Museo Salvatore Ferragamo: una mostra celebra il ritorno dello stilista in Italia

Era il 1927 quando Salvatore Ferragamo, designer di calzature osannato a Hollywood, tornava in Italia, nella sua Firenze. Era un periodo delicato per l’Italia, stretta tra il boom economico del primo dopoguerra e il ventennio fascista. Un periodo, però, molto produttivo per l’arte e per la moda. Il Museo Salvatore Ferragamo celebra l’anniversario del rientro in patria del “calzolaio delle stelle”, in una mostra che aprirà i battenti il 19 maggio. Si chiamerà “1927 Il ritorno in Italia“, il percorso che promette di immergere nel fervore artistico e nelle suggestioni estetiche degli anni ’20. Curata da Carlo Sisi e allestita da Maurizio Balò, la mostra accosterà dipinti, costumi e stoffe d’epoca, manifesti pubblicitari, insieme ovviamente alle creazioni di Salvatore Ferragamo al rientro dagli Stati Uniti.


Nel 1914, il giovane Salvatore Ferragamo parte dalla Campania alla volta degli Stati Uniti per cercare fortuna. L’ex bambino prodigio, che a soli 9 anni aveva realizzato il suo primo paio di scarpe, si fa amare da attrici e teste coronate, personaggi politici e donne comuni, fino a diventare il designer di scarpe più apprezzato dalle star di Hollywood. Rientrato in Italia nel 1927, viene inevitabilmente travolto dai codici estetici e dalle suggestioni artistiche degli anni ’20, trasferendole in modelli senza tempo, calzature che hanno fatto la storia della moda. Oggi al Museo Ferragamo quelle scarpe saranno accostate a opere d’arte di Maccari, Martini, Thayaht, Gio Ponti, Rosai, Balla e Depero, ai costumi del periodo, alle stoffe più pregiate, alle fotografie e ai manifesti che hanno contribuito a creare la cultura visiva di quegli anni a cavallo tra le due Guerre Mondiali. Inaugurato nel 1955 nello storico Palazzo Spini Feroni di Firenze, il Museo Ferragamo è stato fortemente voluto dalla famiglia del designer, per preservare e tramandare l’immenso archivio della maison legandolo indissolubilmente all’arte e alla società, sempre fonte d’ispirazione primaria per Salvatore Ferragamo.

Cronache Vintage – Oh My Boyish!

CRONACHE VINTAGE – OH MY BOYISH!

Mi hanno invitato a un festa di compleanno. In costume. Dress code in stile anni ’20/’30. Donne ricoperte di lustrini e uomini in coppola. In tutta onestà, non ho alcuna voglia di indossare un abito da flapper girl, di cospargermi di perle e pailettes, né di mettermi in testa piume a corredo di cerchietti ricamati. E vogliamo parlare degli antipatici tacchi a rocchetto o dei collant velati (che al solo sguardo si sfilano e da donna in costume a donna del buon costume è un attimo!)? Dio ce ne scampi! No, no, e ancora no! Ho deciso, m’infilo i pantaloni!

D’altro canto, proprio in quegli anni nostra signora Coco metteva in atto una rivoluzione estetica dalle incredibili risonanze: la donna conquistava gradualmente il diritto di lavorare, di fare sport, di guidare e come avrebbe potuto con abiti che costringevano invece che assecondare i movimenti? Mademoiselle Chanel se ne infischiava delle tradizioni, lei voleva sentirsi LIBERA! E allora via ai pantaloni a vita alta con pinces, maglie basic girocollo, comodi mocassini. Toglieva, semplificava e “trafugava” l’armadio di lui. Ne venne fuori uno stile paradossale, risultato di una combinazione stravagante e avanguardistica di elementi femminili e maschili insieme (guardatela abbracciata a Lifar, abbigliata esattamente come lui, ma non dimentica di essere una donna da perle e turbante). In altre parole, nasceva il look à la garçonne.

 

Chanel and Serge Lifar at the Lido venise - 1937
Chanel and Serge Lifar at the Lido Venice – 1937


 

Quindi farò il mio ingresso alla festa in camicia da uomo in seta, tutta abbottonata, calzoni a vita altissima, stringate e bretelle. Eh sì, perché fino alla fine degli anni ’20 le brache venivano sostenute mica con la cintura. E non indosserò la cravatta, voglio essere una MASCHIA informale!

Ah, beh, poi c’è la storia del capospalla. Naturalmente non mi metterò addosso boa di struzzo e pellicce (eco). Ho già pronto il cappotto-vestaglia ereditato da mia nonna. Con quello sembro un po’ un gangster a dire il vero. Ma la contaminazione di epoche me la consento.

Marlene
Marlene


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Marlene


O farò come la Dietrich, mi vestirò da uomo, ma non rinuncerò ai 10 cm di altezza. Marlene fu l’antesignana di quel “lesbo chic style”, pantaloni e rossetto, cilindro e tacchi, cravatta, doppiopetto e smalto. Una ragazzaccia ambigua e altera. La onorerò! E poi non mi dimenticherò della lezione di Monsieur Yves Saint Laurent, che durante l’arco di tutta la sua lucente carriera amò così tanto le donne, la moda e la sperimentazione, da innovarne il guardaroba con pezzi maschili. L’androginia fu un suo pallino, e allora blazer, sahariane, smoking, trench, giubbotti in pelle e tailleur-pantaloni modernizzarono l’aspetto delle signorine del tempo, che si evolse per divenire mascolino ma conturbante. Dunque, sbottonerò la camicia e farò scorgere il body in pizzo, come una SEXY TOMBOY. Yves avrebbe gradito molto. E scommetto che anche i giovanotti invitati alla festa apprezzeranno! Oh my boyish!

Yves Saint Laurent, Vogue France by Helmut Newton, 1975, Paris
Yves Saint Laurent, Vogue France by Helmut Newton, 1975, Paris