Di Agenda Digitale si parla spesso, spessissimo, quasi sempre per per qualche nulla di fatto.
E mentre assistiamo a veri e propri show di capitani d’industria marziani che mostrano – solo nelle slides – mondi futuribili e miracolosi – la realtà che abbiamo davanti è fatta spesso di bollette telefoniche da superfibra per una connessione poco più che adsl.
Eppure la vera infrastruttura che farebbe da volano per tutte le economie del nostro Paese sarebbe proprio il digitale.
Una giustizia più veloce, semplice e possibilmente più sicura. Tele istruzione e tele salute abbatterebbero moltissimi costi e avvicinerebbero i nostri 10mila comuni. Un e-commerce degno di un mondo globalizzato faciliterebbe lo sviluppo e la crescita del nostro tessuto economico fatto di piccole e medie aziende e di artigianato d’eccellenza. La nostra economia dei servizi – ormai vero motore del Paese – potrebbe decollare con una interazione e internazionalizzazione vera. Per non parlare della lotta all’evasione fiscale ed alla velocizzazione della pubblica amministrazione.
E per non parlare delle migliaia di opportunità che si aprirebbero per i nostri giovani, e che sta solo a loro immaginare e realizzare.
Il digitale entra quindi in tutti i settori, potrebbe migliorarli e velocizzarli – se fatto bene e avendo una strategia vera e complessiva. E tutto sommato costerebbe anche relativamente poco, finendo con il ripagarsi da sé in pochissimo tempo.
Ma proprio tutti questi possibili benefici sono da ostacolo. Pensiamo a quanti nella pubblica amministrazione, nella giustizia, nella sanità privata, nell’economia sommersa, nel mondo dell’impresa analogica che fatica a immaginare se stessa in una piena era digitale “remano contro”.
Per dare impulso alla digitalizzazione del Paese nacque l’AgID – agenzia per l’Italia Digitale – delle cui vicende abbiamo già ampiamente parlato e che hanno visto, alla fine, le dimissioni (prevedibili quanto sempre negate) di tutti.
Abbiamo visto nascere “il digital champion” e come speso accade nel nostro Paese questo ruoo è stato interpretato come trampolino personale “verso nuovi lidi” e nuove prospettive di carriera.
Anche di questo si è parlato spesso, e il “digitale” è stato un nuovo vessillo per quanto di peggio aveva il nostro mondo economico analogico.
Oggi come “commissario” per l’AgID arriva il 4 ottobre la pubblicazione sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri del decreto di nomina a Commissario straordinario di governo per l’attuazione dell’Agenda digitale di Diego Piacentini, super-manager di Amazon, che “lavorerà gratis”, con un budget 2016 (altri 4 mesi) di 7 milioni di euro (per il 2017 non è dato sapere) e in uno staff con parecchie caselle vuote, da riempire con bandi pubblici ma “risultano formalmente ancora aperte ma abbiamo già individuato potenziali candidati con i quali stiamo per finalizzare l’accordo di collaborazione”: altro non è dato sapere.
Andrea Lisi ha pubblicato un articolo molto corposo e documentato su questa nomina nel quale ha evidenziato non solo una serie di possibili – sempiterni e onnipresenti – conflitti di interessi del super manager, ma anche messo in evidenza come (come sempre) bastava davvero poco per evitarli.
Ma si sa che nel nostro paese nulla può essere fatto sino in fondo se non c’è almeno una piccola “clausola di salvaguardia” per la polemica – e le possibili inchieste o polemiche.
Il problema non è Piacentini, ma quale la visione – che non può che essere politica generale, ma anche di approccio nazionale – complessiva dell’infrastruttura digitale del nostro Paese. Altrimenti, ancora una volta, sarà solo “un insieme di delibere” utili a far fare qualche affaruccio di basso cabotaggio a qualche azienda – semmai in crisi – a qualche personaggio stile digital evangelist, che ci mostrerà come stiamo andando su Star-Treck a nostra insaputa, per poi ritrovarci, ancora una volta, nella parte meno moderna di un mondo globalizzato.