Miracolo a Milano 

INTERVIEW BY MIRIAM DE NICOLO’

PHOTOGRAPHY MARCO ONOFRI

Se “le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano“, come affermava il grande scrittore Alberto Moravia, questo trio colorato ne è certamente l’esempio. Nina Zilli, Alvin e King Raptuz, sono tre amici che hanno fatto del sentimento più nobile, l’amicizia, un progetto artistico: Miracolo a Milano! 
Una mostra itinerante che toccherà diverse tappe delle più importanti città italiane dove esporranno le loro opere, così diverse eppure così accomunate dalla passione e dall’entusiasmo per la vita, che il successo popolare della tv non poteva raccontare. 
E siamo così abituati a collegare l’immagine mondana che lo schermo riflette, da dimenticarci che dietro quella parete si celano  esseri umani con paure, fragilità, e sogni! 
Percepisco immediatamente che in Nina, Alvin e Raptuz, qualcosa di importante li accomuna: l’umiltà. Ah, quale piacere conversare con persone che vestono solo i panni della loro vitalità, i colori che li descrivono, che rispettano le loro radici, abbracciandole, ma soprattutto che conservano quella parte fanciullesca dal fascino esotico. E’ la scintilla che non muore mai, la si legge dallo sguardo, dal sorriso onesto, dalla bonarietà di concedersi agli altri; è una dote superiore, imparagonabile ad altri talenti. 

 

Nina Zilli, pseudonimo di Maria Chiara Fraschetta, cantautrice dalla voce potente, veejay, conduttrice televisiva, disco di platino con il brano “Per sempre”, è influenzata dalle sonorità dei ’40, Nina Simone, Etta James; l’immagine di una pin-up che ha sempre qualche dettaglio rock e deliziosamente femminile, la grinta di una vichinga e l’aria di chi guarda solo alla sostanza. Nina Zilli è l’elemento magnetico del trio. 

Alvin, pseudonimo di Alberto Bonatoamato dal grande pubblico italiano per aver ricoperto il ruolo di inviato nel noto programma televisivo “L’Isola dei Famosi”, è un presentatore e conduttore radiofonico. Un passato da cantante e compositore, Alvin è di quelle personalità che non possono non piacere, è il perfetto vicino di casa, è il prediletto della maestra, il cocco di mamma, insomma possiede quell’aria da bravo ragazzo a cui non si riesce mai a dire “NO”. Doti innate? Io credo piuttosto che dietro quel sorriso generoso ci sia un lavoro enorme di autodisciplina, che ha alla base educazione e grande senso civico. Scusate se è poco!

King Raptuz, pseudonimo di Luigi Maria Muratore, il più affermato tra i writer italiani, fonda la  TDK (The Damage Kids, 1990), il più importante collettivo della disciplina. Più di 30 anni di carriera alle spalle, Raptuz è membro della storica crew di West Hollywood “CBS”; amico dei rapper J-Ax e Space One, fonda il collettivo Spaghetti Funk, con Gemelli Diversi, DJ Enzo e Chief. Espone nelle più importanti gallerie del mondo e collabora con importanti aziende sia in performance live che in qualità di grafico.
Il suo stile è diretto e apparentemente caotico, proprio come la sua personalità; gioca sugli accostamenti di colori e grafiche, non mi stupisce abbia scelto il writer come mestiere, la timidezza è forse il lato che prova a celare dietro grandi e scuri occhiali da sole, lavora quando tutti dormono, lascia il segno con bombolette spray, vernici, smalti, è un grande osservatore, parla solo la mattina, la notte gli è sacra. Ah, è un purista dell’arte. 

Che cosa vi accomuna, oltre l’amicizia? 

A: Le colazioni a casa di Nina.  Tutto è partito da lì.

NZ: E Milano, la città delle grandi opportunità, quella che realizza i sogni dei giovani ragazzi come in “Miracolo a Milano”, il film di Vittorio De Sica. “La storia si ripete, ma cambia il contesto“, lo diceva anche Giambattista Vico.

Milano come le Americhe?

NZ: Arriviamo tutti e tre dalla provincia, quella cosa noiosissima, si sa.

A: Una provincia che può schiacciare o lanciare. La capacità è sapersi aggrappare a tutto ciò che luccica in qualche modo. E così Milano diviene il sogno americano di tre ragazzi che hanno la stessa passione per l’arte e per la musica. 

E la tua passione per l’arte quando è nata?

A: Intorno al 2018 ho sentito l’esigenza di circondarmi di colore tra le mura di casa, vivevo un momento molto difficile della mia vita. Quelle tele mi hanno riportato ai 12 anni, i primi pastelli, gli aerografi, la creatività istintiva e naturale.

Difficoltà che possiamo raccontare? 

A: Il Covid che ha intaccato gli equilibri lavorativi, la scomparsa prematura di persone a me care,  sono stati anni di grande dolore, ma che hanno portato in seguito anche grande gioia, una personale a Modena e molte collaborazioni, anche se il mio principale lavoro rimane quello del presentatore. 

Il rimando delle tue opere è Banksy. Ti ispiri a lui?

A: Diciamo che lui è il più riconosciuto e facilmente riconoscibile, ma esistono numerosi street artist a cui mi ispiro. 
A questo proposito mi è parso d’obbligo creare un quadro che recita così “Assomiglia a Banksy, ma non lo è”. 

In una tua serie c’è un cuore che cola…

A: Il cuore che cola è un po’ il centro di tutta la mia idea dell’arte, richiama il dolore, la passione, è interpretabile a seconda della propria storia, e tutti ne possediamo uno. 

Nina, qual è invece il tuo concetto artistico?

NZ: Da bambina disegnavo, scrivevo canzoni, suonavo il pianoforte, fino a quando il rock’n’roll si è impossessato di me, ma quelle passioni non le ho mai perse, pensa che tutte le grafiche dei miei dischi le firmo io. Un bel giorno una giornalista che lavora per la casa Editrice Rizzoli, mi ha detto “Dobbiamo fare un libro di illustrazioni”. Io ho pensato fosse pazza e ho risposto “I miei disegnini?” Ne è nato un volume bellissimo, si chiama “Dream city”, una città con le distruzioni per l’uso dove si possono scardinare le leggi della fisica di Einstein, viaggiare nello spazio, acquistare boule de neige nel negozio di una certa Amy Winehouse che le riempie delle sue lacrime. 

“Dream city”, ma tu hai un sogno non realizzato che hai impresso in questo libro?

NZ: Ho volato per la prima volta all’età di cinque anni, da quel momento ho sempre sognato di mangiare le nuvole, quelle che potevo guardare dal minuscolo finestrino senza poterle toccare. In “Dream City” quindi esiste una gelateria, e il gusto più delizioso è ovviamente quello alla nuvola!

C’è una parte fanciullesca fortissima in te.

NZ: Io credo in tutti noi.

A: La difficoltà sta nel mantenerla viva.

NZ: La vita talvolta ti tira bastonate. Sta a noi metabolizzarle e trasformarle in qualcosa di buono e sano. La noia è qualcosa di sano.

A: Non ci si annoia più oggi, si entra direttamente in depressione.

NZ: Mi chiedo spesso:”Avrei studiato così tante ore pianoforte a otto anni se avessi avuto a disposizione la Pay tv, Internet, un cellulare?” All’epoca era una conquista andare a cercare il film che volevi vedere, lo daranno al cinema? Me lo presterà un amico? C’era il piacere dell’attesa. 

A: Il mio sogno di dj era invece avere tutta la musica con me, senza trasportare scatole di dischi pesantissimi. 

Un sogno realizzato con l’avvento del digitale. In merito a questo, ha ancora senso l’arte oggi?

KR: Lo ha sempre, anche se è cambiato il modo di fruirne e le gallerie d’arte si sono dovute adattare.

Oggi anche le opere d’arte sono divenute digitali.

KR: Gli NFT, hanno cambiato il mercato dell’arte, ma non la spinta e la passione di chi la crea, di chi vuol dipingere a colori la propria vita. 

Raptuz, qual è il messaggio delle tue opere? 

KR: Dipingo da che ho memoria, ma il grafit artist un tempo era considerato solo un vandalo, non un professionista, era un mestiere non ancora riconosciuto. 

Perché hai iniziato dalla strada? 

KR: Perché i muri delle città sono i fogli bianchi più grandi dove far conoscere velocemente la tua arte, condividendola con chiunque. E’ per tutti. Poi lo ammetto, ero un po’ scapestrato; ci si nascondeva, si faceva arte sui treni, nelle metropolitane; con il tempo sono arrivate le prime commissioni, le prime mostre, le illustrazioni, i lavori per la Disney con i titoli di Topolino, e i lettering che adoravo, perchè oltre alla Scuola del fumetto ho frequentato l’Accademia Disney con il maestro Giovan Battista Scarpa. Oggi invece vedo solo marchette tra street artist. Dov’è finita quella forza vitale che ci spingeva per le strade la notte? Dove, la voglia di comunicare e farsi sentire? E’ deludente, e quando oggi mi definiscono “street artist” mi incazzo.

Come vuoi essere definito?

KR: Artista urbano, pittore, imbianchino, ma non street artist. Ho vissuto tutte le varie fasi di questa evoluzione, e so riconoscere chi lo fa per vocazione e chi per business. 

Alvin: E’ questa la nostra fortuna, sceglierci per passione, non per dovere. 

La vostra prima mostra “Miracolo a Milano” nella bellissima location “Cittadella degli Archivi”. In quali case sperate arrivino le vostre opere?

A: In quella di Bill Gates. Sempre puntare in alto (ride). 

KR: Io spero sempre tra le mura di chi apprezza veramente quello che facciamo, non destinato a chi manda il proprio architetto che vuole tappezzare i muri perché “fa figo”. 

A: Io in casa di chiunque. Anche se uno manda l’architetto va bene. (risate)

NZ: Un amico durante il vernissage ha nascosto un mio quadro e mi ha detto “Ue’ Nina, va che ti hanno rubato il quadro” e io non ho sclerato, ho subito pensato “Eh, che buon gustaio“. Voleva farmi uno scherzo e mi dice:  “Ma non sei impazzita? Guarda che gli artisti perdono la ragione per molto meno“.

Raptuz, c’è un’opera a cui sei particolarmente legato? 

KR: “Just Love”. Rappresenta il mio cane, è l’unico quadro della mostra non in vendita. Sulla tela c’è sempre la mia vita, i miei sentimenti, le mie città, Los Angeles e Milano, perchè alla fine faccio giri immensi ma torno sempre qui.

Perché torni sempre a Milano?

KR: C’è l’ho dentro, Milano. I miei sono di zona Loreto, via Popoli Uniti, Greco, quando sono nato hanno deciso di trasferirsi a Pioltello, vissuta fino alle superiori, poi sono passato in una zona migliore, via Padova (ride), e ci sono rimasto per quindici anni, da un ghetto all’atro, me li sono fatti tutti. Ma Milano è Milano, ogni volta mi ripromettevo “stavolta non torno più” e invece eccomi qua. E’ questo il vero Miracolo di Milano, una nostalgia che ti si attacca dentro.