INTERVIEW: MIRIAM DE NICOLÒ
PHOTO: MARCO ONOFRI
Massimo Giacomini, l’imprenditore visionario che ha scelto SNOB come progetto fortemente identitario, unico sul mercato, dallo spirito critico e dalla natura controcorrente.
Prova a raccontare a un bambino qual è il tuo mestiere
Prendi i LEGO e gioca.
E come definiresti le varie attività della tua società? Immobiliare, finance, green…
Allora prendiamo i mattoncini di LEGO e prendiamo un LEGO verde e lo mettiamo nel Green, prendiamo un LEGO rosso e lo mettiamo nella Finanza dove si rischia, prendiamo un LEGO giallo per le attività che mi divertono e prendiamo un LEGO grigio per le attività che devono essere fatte ma non mi piacciono.
Massimo Giacomini nella vita lavorativa e in quella privata, c’è distinzione?
In ambito lavorativo posso giocare, nella vita privata no.
La vita privata può essere croce o delizia, fantasia o noia, ma è necessario essere sempre ponderati, cristallini, credibili.
Tendenzialmente è il contrario, perché non rischiare?
Perché l’aspettativa da parte delle persone che ti stanno accanto è sempre altissima, si aspettano il padre di famiglia, il compagno, il marito, l’amico, ed è sempre tutto molto monotono.
Ma non è forse che chi vive nella tranquillità economica rischia di più perché ha le spalle coperte?
Non è assolutamente così perché nella mia vita lavorativa sono arrivato più volte alla bancarotta, possono testimoniarlo tutti. La creatività a volte paga a volte no; la vita privata è un qualcosa di fisso, di immobile, l’unica valutazione da fare è quella di non mettere mai a rischio la vita privata con quello che fai nella vita lavorativa.
In che modo può succedere?
Facendo semplicemente il passo più lungo della gamba. Una volta che la famiglia e i figli sono al sicuro, il resto è un surplus; il concetto è che il denaro è solo uno strumento e non il fine.
Cosa ti diverte più fare?
Fare cose nuove. Non riesco ad annoiarmi, se mi annoio sono un uomo morto. Quest’anno compio 60 anni e qualcuno potrebbe pensare sia arrivato il momento di stare un po’ tranquilli, ma quanto è bello circondarsi di persone creative, avere stimoli dall’esterno, persone che ti pungolano, ti spingono a fare, ah che figata! Ma si può dire in un’intervista “che figata”? Non lo so, ma io lo dico lo stesso, che figata!
Qual è la caratteristica che stimi di più nelle persone di cui ti circondi in ambito lavorativo?
Molti potrebbero rispondere l’onestà, la sincerità, la trasparenza e l’integrità. No, io cerco il genio, quella marcia in più, cerco persone stimolanti, propositive, fresche, che abbiano voglia di crescere e soprattutto veloci, perché non posso permettermi di fare programmi per i prossimi 15 anni.
Perchè tra cinque anni vuoi andare in pensione?
Assolutamente no, non andrò mai in pensione, però la demenza senile esiste, il Parkinson esiste.
Vivi oggi come se fosse l’ultimo giorno.
Possiamo usarlo come motto della tua vita?
Il mio è “Vivi come fosse il penultimo”.
L’esperienza si fa sul campo, quali sono state le tue prime esperienze lavorative?
Ho iniziato a 21 anni nell’azienda di mio padre Gianni Giacomini che faceva valvole per riscaldamento, nell’ ‘83 facevamo 40 miliardi di fatturato; quando sono uscito nel 2005 facevamo 250 milioni di fatturato. Quelli erano veri imprenditori, uomini che al centro di qualsiasi cosa mettevano il dipendente, perché la ricchezza di un’azienda era il dipendente. Mi ricordo sempre il primo giorno di lavoro nel lontano ‘80, mio padre mi disse “Senti hai finito la terza liceo, non vorrai mica buttar via tutta l’estate?”. Mi diedero un poster di un metro per un metro e ottanta e c’erano delle valvole disegnate, ho passato un’estate a fare 5 poster colorando la parte dell’acqua calda in rosa e la parte dell’acqua fredda in azzurro. Consumai 60 pennarelli, avevo i calli alle mani e alla fine dell’estate il direttore dell’ufficio tecnico mi disse “Vediamo se hai capito qualcosa” e mi diede un disegno in 3D da fare in china, io avendo fatto il liceo scientifico la sapevo usare, poi disse “Hai fatto un bel lavoro, ho buttato via un mese e mezzo della tua esperienza”.
Ma v*********.
E che cosa ti ha insegnato questo?
Umiltà. L’essere figlio di papà in un’azienda significa dover dimostrare più degli altri, essere sempre il più bravo, il migliore, quello che ne sa più di tutti, altrimenti ti massacrano. Ah, dopo i pennarelli, dall’ ‘84 all’ ‘88, lavoravo in officina e tornavo a casa con l’olio fino ai gomiti!
Che cosa facevi in officina?
Imparavo, imparavo, imparavo, le basi sono tutto in ogni genere di azienda, da quella di produzione a quella di servizi.
C’è ancora tempo di imparare?
Mah, io ho 60 anni, penso di avere 20 anni di tempo non di più.
Che cosa stai imparando adesso?
Sto imparando dalla persona che mi sta intervistando ad analizzare me stesso, si impara sempre, da un cameriere, da un dipendente, si impara sempre e bisogna farne tesoro. Non sono un tuttologo quindi alcune informazioni non le saprò mai se non c’è qualcuno a insegnarmele.
Cosa non tolleri negli altri?
Io non sono né particolarmente intelligente né particolarmente furbo, ma se mi sento preso per il c*** (lo so che non potrai scriverlo), vado fuori di senno, quando sento che stai cercando di raccontarmela con profitto.
E come lo percepisci?
Siamo animali, fatti di istinti, molto spesso la prima impressione è quella giusta, tutto il resto è fantasia.
La tua idea di felicità
Guardare negli occhi una persona e vederla felice.
Per cui è un atto di generosità?
No, è un atto di egoismo. Felicità chiama felicità interiore; esserne partecipi è grande motivo di gioia.
La felicità non è solo il risultato di un dono che ha valore economico, si può donare in altri modi
La felicità non è denaro, quella economica è una felicità transitoria. Tu ad esempio dai felicità alle persone con cui interloquisci, e la gioia che ne ricavano, quella emotiva, ti assicuro che è 100 volte meglio.
Ma la fonte più grande di contentezza sta nella condivisione.
Tuo figlio Emanuele oggi ha aperto una galleria d’arte ad Orta, filo che lo collega a te, grande appassionato collezionista. Cosa ti auguri per il suo futuro?
Che sia felice. Ricco, povero, non mi interessa, io farò di tutto per garantirgli una sicurezza, anche economica certo, ma soprattutto vorrei guardare l’orizzonte insieme a lui e capire qual è la sua strada, cosa davvero lo farebbe sentire un uomo realizzato. Il futuro è suo, non sta al genitore ribaltare le proprie aspirazioni sui figli.
Vizi e virtù
Il fumo è compreso? I vizi fisici? Ognuno ha i suoi. Il mio è un’autocritica feroce, costante, spietata. Virtù? La stessa.
E cosa ti dici?
Non va mai bene, non hai preso la decisione giusta, hai sbagliato.
Sono voci che arrivano da dove?
Ovviamente dall’inconscio, un uomo che non si pone cento domande al minuto non è un uomo, è un automa; dall’ipercritica nasce la voglia di cambiare. Le voci sono presenti sera e mattina in antitesi. La sera è una sofferenza perché penso a ciò che avrei potuto fare meglio; la mattina è un risveglio perché vedo che ho davanti una giornata intera e posso mangiarmi il mondo.
Cosa ti spaventa di più nella vita?
Essere considerato un fallito, non dagli estranei ma dalla propria famiglia.
Sei un grande collezionista di arte contemporanea, pezzi che esponi non solo nel tuo ambiente privato ma anche nei tuoi uffici, che sono delle piccole gallerie. Quanto ti influenza l’arte?
L’arte è fondamentale, non solo per un collezionista ma nel percorso di vita. Regala emozioni, aumenta la creatività, aiuta a “guardare oltre”. Dal figurativo mi sono interessato alla fotografia, da Canaletto a un’immagine di Venezia, da Boldini che racconta l’eleganza e l’irraggiungibilità di una donna, all’intensità di Rembrandt. Ma nella tela che scelgo, io cerco una storia, che non sempre ha a che fare con l’intenzione dell’artista, forse ha più a che vedere con le mie sensazioni. Che cambiano, perché da Balla (che adoro) passo al nulla, perché può essere arte e nel nulla si esprime più che in altre tecniche.
Il nulla può essere una tela bianca?
Ne ho di tele bianche, una nera in alcantara nel mio ufficio.Ti estranei e ti immergi nella tela nera. Quante cose ci trovi? Infinite.
Sei il visionario di questo nuovo progetto editoriale, SNOB, un magazine che va totalmente controcorrente, che parla di esclusività in un momento in cui tutti urlano all’inclusività, che sceglie la stampa in un periodo in cui tutti credono l’editoria sia morta. Cos’hai visto in SNOB?
La differenza di essere unici.
Quanto sei Snob?
Molto.