Rosy Bindi e il suo complicato rapporto con le mafie

Rosy Bindi in campagna elettorale ammetteva tranquillamente che lei, di mafie, non sapeva assolutamente nulla. Non stupisce quindi che questa incompetenza emerga ogni volta che si faccia un ragionamento che sia anche solo più serio delle previsioni del tempo. Quella che De Luca ha stigmatizzato come imbarazzante ignoranza linguistica ha qualcosa di più profondo. Ma occorre anche ricordare che per statuto del PD la Bindi non è più ricandidabile (e prepara un’uscita di scena sdegnata del cliché “messa alla porta perché scomoda”). E l’unico modo che ha per far parlare di sé è farne qualcuna “di troppo” che la riporti sulle cronache più per le reazioni che per un atto vero, significativo, della commissione che ormai presiede da tre anni.
Ci riuscì ad esempio con quell’elenco di impresentabili reso noto senza diritto di replica e specifica (e con enormi e abbondanti omissioni) il giorno del silenzio elettorale delle elezioni regionali. All’epoca venne querelata da De Luca (e il dato è certo e l’atto è formalmente depositato), come è certo che non ha accettato un confronto pubblico chiesto dai “nominati”. Millantò invece di aver presentato ricorso al collegio dei garanti del PD proprio contro De Luca, il che invece resta nell’archivio dei suoi comunicati stampa, perché di tale ricorso non vi è traccia.
A far parlare di sé ci riesce oggi con quella frase: “la camorra è un elemento costitutivo della società napoletana”, che è stata sviscerata in molte salse e commentata ampiamente.
Dire che la Camorra è una realtà è un conto, e dovremmo ricordarcene sempre, anche quando qualcuno del PD denuncia infiltrazioni e voti strani alle primarie (nazionali, regionali e locali) e quando il PD nazionale chiude un po’ troppo le palpebre. A ben ricordare occhi un po’ troppo chiusi li aveva quella stessa Rosi Bindi che del PD fu presidente, se la storia e le cariche contano. E non si ha memoria di alcun suo atto moralizzatore in tal senso. Eppure poteva, esattamente come oggi molto può l’attuale presidente Orfini.
Dire che la camorra è elemento costitutivo della società napoletana sarebbe come dire che l’essere barbaro saccheggiatore è elemento etnicamente intrinseco ai Lombardi. A giudicare da molti saccheggi al sud ai tempi della Cassa del Mezzogiorno e del boom economico verrebbe da dire che è verosimile. E tuttavia non è così. Per di più nessuno si stupirebbe se a questa affermazione Lombardia e Milano querelassero a mani basse. Ci si stupisce invece delle reazioni partenopee. Perché, altra tesi congenita, è che il napoletano debba “subire in silenzio”, e se si ribella è ignorante e camorrista.
Di camorra si deve parlare, sempre, e che la camorra sia un fenomeno storico e sociale della Campania è elementare. E tuttavia definirlo elemento costitutivo della società è in sé un regalo di legittimazione senza precedenti. Significa elevare la camorra oltre le istituzioni, a modus evolvendi etnico e ad elemento caratterizzante un popolo ed una società. Divenendone più che ogni altra cosa elemento imprescindibile. Verrebbe da dire a questo punto che è un’istituzione, e quindi perché combatterla?
Avevo fatto un ragionamento simile a proposito del funerale Casamonica
Ma a questo non arriva proprio chi di Napoli conosce poco o nulla, chi è abituato a parlarne in un certo modo, e soprattutto chi di mafie sa poco o nulla. O peggio chi si inventa “professionista dell’antimafia”. Sono quelli che usano la Mafia per fare carriera politica, ma di cui appunto non si ricorda alcun atto concreto in tal senso.
Sono quelli che probabilmente senza la mafia non esisterebbero. E anche per questo motivo, spesso, involontariamente e più o meno inconsapevolmente,finiscono con l’essere i più grandi alleati delle mafie. Soprattutto con questi regali mediatici. Perché senza le une non esisterebbero gli altri.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi