Se le aziende del digitale investono in Italia

Gramellini ci è andato giù duro.
“Dopo la campagna pubblicitaria sul Fertility Day che avrebbe tolto la voglia di fare figli persino al ministro Delrio, la comunicazione del governo segna un altro significativo passo avanti verso il ridicolo. Nella brochure del famoso piano Industria 4.0 (credo significhi: Industria 4 – Italia 0), che dovrebbe indurre gli stranieri a investire da noi, si legge testualmente: «L’Italia offre un livello di salari competitivo che cresce meno rispetto al resto della Unione Europea e una forza-lavoro altamente qualificata». Cioè, ci si vanta del fatto che da noi quelli bravi costano poco. L’impoverimento del ceto medio non è più una catastrofe epocale, ma un’astuta strategia per invogliare gli stranieri a derubricarci alla voce «Terzo Mondo» e farci la carità di portare qui un po’ di lavoro. A mo’ di esempio attrattivo, la brochure esibisce, gonfiando il petto, la parabola esistenziale dell’ingegnere italiano medio, che guadagna 38.500 euro all’anno contro i quasi 50.000 intascati dal suo omologo europeo (e infatti emigra appena può).”


Che la moda della comunicazione porti a mettere numeri sempre più alti è ormai condizione nota.
 Ancora non ci siamo messi d’accordo su una definizione univoca di web 3.0 che già qualcuno guarda al 4,5,6.0 in qualsiasi cosa. Cosa voglia esattamente dire non è dato sapere, ma suona bene.
Così come suona benissimo dire “Apple investe a Napoli e creerà 600 nuovi posti di lavoro d’eccellenza”.
Lo slogan – perché di questo si tratta – fa il paio con Ryanair. Quella che era “brutta e cattiva” sei mesi prima quando aveva dichiarato che con queste regole pensava di ridurre le tratte nel nostro paese, e giù lo sdegno “se la compagnia low-cost vuole può anche andar via”. 
Sei mesi dopo – in concomitanza con la Brexit – la stessa compagnia annuncia un piano industriale che vedrà leasing per circa un miliardo di dollari (per nuovi aerei) e nuove tratte, tra cui anche l’Italia. Immediatamente il messaggio è diventato che “Ryanair investiva un miliardo in Italia” e di colpo da “compagnia low-cost che poteva togliere il disturbo” è diventata “giovane e hi-tech company che investe in Italia”.
È la comunicazione bellezza. (Ma verrebbe da dire “anche no”).
Tornando ad Apple – che ha un contenzioso in Europa per circa 3 miliardi e in Italia ha chiuso per 600milioni (pare), agli slogan stanno seguendo i fatti, e di questi fatti si parla ben poco.
In concreto Apple si appoggerà all’Università di Napoli ed alle sue strutture, per fare sostanzialmente un corso post laurea di formazione, per insegnare a giovani e brillanti laureati “come fare app da poi vendere sulla sua piattaforma iTunes”.
Il che in sé non è una cosa negativa, anzi. Uno stimolo ed una formazione alta e qualificata.
Ma niente a che vedere con investimenti (a stento 200 mila euro per strumenti, docenti propri e spese generali). Men che meno con posti di lavoro. A ben vedere parliamo di una quindicina di persone, semmai stabilizzate che già erano nel mondo universitario.
Parliamo di opportunità: giovani che avranno e se avranno buone idee impareranno come trasformarle in app per Apple, che guadagnerà il 50% da ogni download a pagamento. E parliamo di competenze che questi ragazzi se vorranno, sapranno, e con capitali propri, potranno trasformare in aziende che offriranno sul mercato un servizio: creare app per Apple.


Perché Napoli e il sud? Perché abbiamo menti, cervelli, giovani con poche prospettive altrove e nel settore, e perché chiediamo poco o nulla pur di avere qualche eccellenza. E poi si, siamo bravi, creativi… e come diceva Gramellini – e come afferma il Governo “un ingegnere italiano medio guadagna 38.500 euro all’anno contro i quasi 50.000 intascati dal suo omologo europeo”.
E si, siamo bravi, ma in più costiamo meno.
Magra consolazione.
Speriamo non sia questo il senso del 4.0.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi