Mentre da noi vorremmo imitare in maniera amatoriale, atecnica, senza la minima competenza, e per altro in maniera parziale, solo quello che intuitivamente ci piace della comunicazione (soprattutto politica) americana, la loro comunicazione, soprattutto in politica estera, si fa sempre più raffinata. Già negli anni cinquanta gli americani avevano abbondantemente imparato l’importanza del cinema, anche oltre il tempo di guerra, nella esportazione di usi e consuetudini e soprattutto come strumento di propaganda di un certo modello di estetica, di bellezza, di benessere, di economia, e di valori sottesi. Negli ottanta, con la diffusione delle televisioni commerciali in Europa, la politica USA aveva compreso il potere di poter parlare in modo “economico e ripetitivo” soprattutto ai giovani, per “avvicinarli” al proprio modello, soprattutto sociale. Antesignano di quella comunicazione fu Donad Bellisario (padre italiano, madre serba), che riceveva (sin da allora) contributi notevoli dalla CIA e dalla Segreteria di Stato per produrre serie indimenticabili per la nostra generazione. Magnum PI, A-Team, per cominciare, Quincy, I predatori dell’idolo d’oro, Airwolf, In viaggio nel tempo (Quantum Leap), Tequila e Bonetti e First Monday, per arrivare alle odierne serie di successo JAG – Avvocati in divisa e NCIS oltre ai Griffin. Bellisario prestò servizio nell’U.S. Marine Corps dal 1955 al 1959, raggiungendo il grado di sergente ottenendo la medaglia di buona condotta dei Marines (Good Conduct Medal). Svolse il servizio militare nei Marines assieme a Lee Harvey Oswald, l’assassino “riconosciuto” di John F. Kennedy. Questo modello di serie televisiva ci ha fatto metabolizzare come “normale” il modello americano soprattutto come struttura giuridica e sociale. Non stupisce pertanto che oggi, quando la comunicazione ha assunto soprattutto una dimensione simbolica e subliminale “per immagini”, si pensi a tutto, ma proprio a tutto, soprattutto ai dettagli.
Ed è proprio questa “scientificità”, questa estrema professionalità, e questa assoluta mancanza di improvvisazione, che segna il gap maggiore (ed inimitabile) tra la struttura della comunicazione americana e quella che noi vorremmo scimmiottare. È storia vecchia quella della postura, quella del colore della camicia e della cravatta, del come stringere le mani e del salutare “qualcuno nella folla” – concetti che qualcuno dei nostri politici sta scoprendo come “rivoluzionari” e che erano già superati nella prima campagna Clinton!
Ed è proprio il nuovo sito della “Clinton Foundation”, messo online nella nuova versione da qualche giorno, che ha attirato l’attenzione di alcuni osservatori. Una semplice mappa del mondo. Su cui campeggia il logo della fondazione realizzato con le stelle (della bandiera americana) a forma di “sala ovale” (lo studio pubblico del presidente americano). Lo slogan “Together we can solve / the world’s biggest challenges.” Ovvero, viene ripreso in maniera centrale lo slogan di Obama (we can) e al rigo sottostante la frase “le più grandi sfide del mondo”. La home page è una mappa interattiva, con il mondo come sfondo. Le “sfide” sono collocate in maniera apparentemente casuale, e costituiscono il menù di ricerca dei vari temi ed argomenti su cui è focalizzata la fondazione dell’ex-presidente. In realtà, se la intendiamo come una vera e propria geolocalizzazione, abbiamo una mappa precisa di un’altrettanto precisa filosofia e chiave di interpretazione del mondo. Il problema occidentale/americano è l’obesità (in varie declinazioni inteso), quello dell’america latina è la “diseguaglianza ed iniquità economica” (e non va trascurato che molti di quei paesi hanno un governo socialista). La sfida dell’Africa riguarda essenzialmente la sanità (declinata come vaccini e malattie endemiche, ovvero spesa farmacologica per le multinazionale americane). La questione del cambiamento climatico invece è una sorta di “responsabilità” di economie come quella indiana e cinese, in forte espansione non regolamentata (soprattutto in termini ambientali) e in danno essenzialmente al comparto manifatturiero made in usa, oltre che, incidentalmente, europeo.
In un mondo in cui tutto ha un significato preciso, soprattutto in questi modelli comunicativi, dovremmo cominciare tutti a riflettere un po’ di più,e un po’ su tutto.