IL MALE OSCURO DI ANDREAS LUBITZ

Quando la dimensione interiore di un uomo è talmente devastata da diventare nei suoi atti e nelle sue conseguenze tragicamente, fragorosamente, collettiva perfino la tendenza ormai istintiva a giudicare cercando colpevoli e responsabili sembra fermarsi, esitare, quasi paga di spiegare il disastro come “il gesto di un folle”. Secondo tutti i commentatori, un atto deliberato come quello di Andreas Lubitz – distruggere l’aereo con 149 passeggeri che stava pilotando – presuppone una piena consapevolezza e capacità di controllo. Tuttavia, in assenza di moventi terroristici, le prime indagini chiamano in causa un episodio passato di depressione generata da stress o da pene d’amore. Senonchè una depressione causata da stress lavorativo o da una pena d’amore può condurre a un delitto passionale, persino al suicidio, ma non obnubila il sensorio, non maschera la percezione della realtà, non motiva la lucida e tranquilla esecuzione di una strage.


Allora, proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se Andreas Lubitz fosse sopravvissuto alla strage che ha provocato. L’avrebbero dichiarato colpevole o non colpevole in quanto incapace di intendere e di volere? Chiariamo questi due concetti: la capacità di intendere è l’attitudine dell’individuo a comprendere il significato delle proprie azioni nel contesto in cui agisce. La capacità di volere,consiste nel potere di controllo dei proprio stimoli e impulsi ad agire. Viceversa, come abbiamo detto, secondo la legge, il soggetto incapace di intendere e di volere non è imputabile. In apparenza Andreas sapeva perfettamente ciò che stava compiendo e ha realizzato il suo piano utilizzando i mezzi idonei al fine, dunque si direbbe perfettamente in grado di intendere e di volere. Se fosse vivo non potrebbe perciò contare sull’argomento principe cui talvolta ricorrono gli avvocati difensori per giustificare azioni efferate e malsane,appellandosi a quello che – nel gergo dei medici legali – si chiama vizio, parziale o totale, della mente. Viceversa, io penso che, mai come in questo caso, il caso dell’Airbus della Germanwings, si dia giustificazione più veritiera proprio dell’incapacità di intendere e di volere. Naturalmente, purché non si chiami in causa un remoto episodio di depressione, ma qualcosa di molto, molto più distruttivo. Solo la disintegrazione completa della vita mentale, la scissione totale dei processi psichici e l’asservimento a quella voce “dentro”, a quella persona, entità o immagine che vive all’interno di noi stessi e condiziona i nostri pensieri e le nostre azioni può aver spinto Andreas a concepire e attuare il progetto di quell’Io maggiore e, per così dire, “malefico”.


Ebbene, questo tipo d’insanità si chiama schizofrenia e non ha niente a che vedere con la depressione o l’esaurimento, il burn-out. La schizofrenia, da quando è stata scoperta e studiata a partire dall’800 è considerata il cancro della psichiatria. Una patologia micidiale che comprende un gruppo di disturbi mentali, di natura psicotica, clinicamente eterogenei, ma che hanno in comune un nucleo patologico primario: la scissione dei processi associativi e, quindi, della personalità, per cui le funzioni psichiche operano indipendentemente dalla realtà in un crescendo di deliri e di allucinazioni – soprattutto uditive, ma anche visive e tattili – fino a disintegrare completamente la vita mentale. Se questa ipotesi corrisponde al vero, Andreas, chiusosi nel cockpit, potrebbe aver avuto un “altro” compagno di viaggio, nella sua mente ben più reale del comandante ormai escluso e del tutto impotente. Questo compagno, incarnato da un’allucinazione – una voce o un’immagine – che l’accompagnava continuamente, potrebbe avere preordinato di attuare l’insano gesto. Solo uno stadio avanzato di schizofrenia può spiegare l’apparente contraddizione tra la follia del progetto dell’Iomaggiore e la lucidità delle azioni di Andreas.


Ora possiamo tornare alla domanda iniziale: chi è responsabile? E’ accettabile che nessuno abbia indagato a fondo sull’integrità psichica di Andreas? E’ possibile che nonostante i moniti dell’autorità aereoportuale che esigevano il suo costante monitoraggio Andreas abbia continuato a pilotare come se niente fosse? Come e chi ha sottovalutato il rischio? Pilotare un jet è come essere in possesso di un’arma di distruzione di massa che con un sol colpo può sterminare, anzi polverizzare 150 esseri umani. Chi ha lasciato quest’arma nelle mani di un folle? Difficile sfuggire all’impressione che siano coinvolte responsabilità molteplici, dall’imperizia dei medici alla negligenza della Lufthansa, a tutti coloro che hanno autorizzato a volare un pilota che aveva bisogno di stare con i piedi ben piantati in terra, di essere tenuto per mano, di essere rassicurato e, soprattutto, curato.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi