Il M5s e la magistratura

Alle volte succede.
Succede che quando sei all’opposizione con tre o quattro consiglieri sia facile gridare agli scandali altrui. Succede che quando sei un partito piccolo – e basta con questa storia di chiamarsi movimenti, associazioni, o mongolfiere che dir si voglia – sia anche facile “filtrare” e verificare.
Succede che, quando il potere non lo hai e non lo gestisci, a nessuno importi infiltrarti, appoggiarti, coinvolgere persone nei tuoi calcoli politici: perché semplicemente non conti.
E alle volte invece succede che quando “cresci”, allora sì che diventi appetibile. E quando diventi “un po’ più grande” di un’aiuola isolata cominciano avvenir fuori le magagne.
E queste sono sempre di due tipi, a restare nell’ambito della sostanziale onestà.
La prima, è quella che qualcuno il pensierino a “infiltrarsi” lo fa, e semmai metti in lista – a volte succede – qualcuno che “appare” onesto e trasparente, e poi quel qualcuno, pur di arrivare, pur di essere eletto, ne combina di cotte e di crude. Spesso – a voler restare nell’ambito della sostanziale onestà – anche a tua insaputa.


La seconda, è che quando amministri compi degli atti, e di questi atti ne rispondi. Eh si, alle volte succede che indipendentemente dal colore politico e dal simbolo elettorale, la magistratura – ordine dello Stato a ciò preposto – debba “verificare” gli atti che l’amministratore pubblico compie. E succede, alle volte, che quegli atti non sempre siano “perfetti”. Per quanto esistono delle garanzie: quegli “avvisi” che appunto ti avvisano che su quell’atto e per quel tale motivo la magistratura sta indagando sul tuo operato.
E succede anche che sia semplicemente questione di tempo: non è che un sindaco possa essere indagato prima di amministrare, né la magistratura possa indagare prima che l’atto amministrativo sia stato perfezionato.


Ora è anche vero che alle volte succede che per anni sia facile ripetere “arrestano voi”, e noi siamo onesti, puliti, fuori dalla casta, e finisce anche che ci credi da solo. Anche quando sai perfettamente che è ben diverso essere opposizione unicellulare o amministrare un comune.
Ma se finisci con il credere al tuo slogan, sbandierato in cento piazze e mille comizi, succede che poi quando tocca a te (perché succede) riprendi slogan da prima repubblica del tipo “contro di noi inchieste come manganelli”, o parli di inchieste politicizzate, a orologeria, o anche torni al concetto di “toghe rosse” a giorni alterni. 
Atti dovuti quelli contro i tuoi avversari, atti politici quelli contro la tua parte politica.
Stupisce – o forse no? – che a parlare di inchieste a orologeria e politicizzate sia una giovane avvocato allieva di Cesare Previti che si candida a sindaco di Roma con il Movimento Cinque Stelle.
Difesa d’ufficio che in qualche modo sorge spontanea visto che ormai, settimana dopo settimana, avvisi di garanzia sono arrivati – per le più disparate motivazioni – a tutti gli amministratori del movimento di Beppe Grillo.


Un elenco che va dalla nota vicenda di Quarto – con il seguente imbarazzo di vertici alla Fico e Di Maio ignari di ogni cosa a giorni alterni, anche quando smentiti dai verbali della magistratura – sino a Civitavecchia, e da qui a toccare due sindaci sotto i riflettori: prima Nogarin, sindaco di Livorno, che fa assumere a tempo indeterminato persone da una società che dopo pochi giorni mette in liquidazione, e poi Pizzarotti, per un abuso di potere sulle nomine in teatro.
Una percentuale che, rapidamente, sta arrivando a toccare il 100% degli amministratori a cinque stelle.
Per carità: chi amministra compie atti, e atto dovuto della magistratura è indagare sulla loro correttezza, così come atto di garanzia prima di tutto dei diritti dell’indagato quello di comunicare che è sotto indagine e per quale motivo.


Ma ci si aspetterebbe, da chi sino a ieri è stato irrimediabilmente forcaiolo, nel rivendicare il suo essere “nuovo”, che almeno lasci a casa questo garantismo a giorni alterni, per cui quando tocca a te allora le indagini sono manganelli.
Perché questi sono toni che non fanno bene al paese, alla politica, alle campagne elettorali, e non si addicono, francamente, ad un giovane avvocato. A meno che non abbia argomenti, e non sappia cosa dire, e disperatamente, farebbe miglior figura ad appellarsi alla “clemenza della corte”.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi