GUARDARE NELLA STESSA DIREZIONE – Una riflessione sull’amicizia

«Non camminare davanti a me» – dice l’anonimo cinese – «potrei non seguirti; non camminare dietro di me, non saprei dove condurti; cammina al mio fianco e saremo sempre amici».


Queste sensazioni riecheggiano nel verso di una canzone di Michel Pergolani, intitolata, appunto, L’amicizia: «L’amicizia vuol dire […] guardare nella stessa direzione».



L’amicizia è un fatto tipicamente umano: la sua struttura implica necessariamente un consenso d’intelligenze e di libere volontà. È possibile, al limite, l’amore fra un uomo e un oggetto inanimato (amore chiaramente unilaterale!), ma mai assolutamente un’amicizia. Ora, se si considera che la specificità dell’uomo nell’universo sperimentabile consiste nella conoscenza e nella libertà, vediamo come l’amicizia si inserisca perfettamente in questa condizione «naturale», cioè tipica di ogni essere umano.



La sfera psichica, si diceva all’inizio, comprende anche emozioni e sentimenti. Analizzata lungo i secoli, soprattutto a partire da Cartesio essa viene affrontata in una chiave più scientifica e sperimentale e diventerà oggetto di studio sempre più preciso e articolato.

Nella nostra società occidentale, nella quale i fenomeni di massificazione tendono ad aumentare in maniera nevrotica, si ha l’impressione che il valore dell’amicizia tenda a eclissarsi. Ciò è particolarmente evidente per molte persone anziane. Con lo spegnersi dell’eros e la scomparsa dei legami familiari, la loro principale risorsa affettiva potrebbe essere l’amicizia.

Purtroppo si nota come anche quest’ultima non venga molto apprezzata e, di conseguenza, coltivata nel vissuto contemporaneo, al punto che l’unica amicizia che rimane loro non è quella che si stabilisce con altri esseri umani, ma con gli animali domestici, soprattutto cani e gatti. Questo, di per sé, non ha nulla di sconveniente, anzi è un fatto molto bello, che ci richiama a una comunione con gli altri esseri della natura. Diventa, tuttavia, un’esperienza malinconica e perfino frustrante quando si riduce a un ripiego e a un surrogato dell’amicizia fra creature umane.

Un contributo alla soluzione di questo problema potrebbe venire da un percorso educativo e auto-educativo che, nella frenesia della vita moderna, privilegi il dialogo tra le persone.

È proprio la persona che esige un posto centrale nell’attuale cultura. Si tratta di sviluppare una soggettività che, adeguatamente provvista di autostima, si orienti a vivere con gli altri e per gli altri. Naturalmente ciò non prescinde dall’impegno per realizzare strutture politiche, sociali ed economiche sempre più giuste; ma la persona in quanto tale non si esaurisce in queste strutture. Solo nel volto dell’altro la persona trova risposta al proprio cammino. La sollecitudine per l’altro diventa la vera cifra di ogni civiltà. Forse in questo è possibile comprendere in che cosa consista la causa principale del disagio della modernità.

Un simile disagio è avvertito non solo nelle grandi città, ma anche nei piccoli centri. Sembra che il moltiplicarsi delle azioni, lo scintillio delle cose, i desideri artificialmente indotti, il potere dei mass-media, la fascinazione della realtà virtuale abbia preso il posto dell’ascolto interpersonale disinteressato. Invece solo la capacità di ascoltare l’altro è in grado di liberarci dall’arroganza e dal pregiudizio.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi