Francesco Cenedese su democrazia diretta e M5S

Conosce il ‘sistema operativo’ Rousseau lanciato recentemente da Grillo e Casaleggio? Le sembra valido dal punto di vista tecnico?



Dobbiamo fare due doverose premesse. 
La prima è che va dato atto al Movimento 5 Stelle di essere attualmente il partito politico che ha la maggiore interazione con il proprio elettorato ed ancor più ai propri iscritti. Questo è un dato di fatto che nel “mercato politico” ha una sua precisa quotazione. Del resto quale ruolo reale hanno gli iscritti agli altri partiti politici? Almeno formalmente il M5S è alla ricerca e si è dotato di strumenti se non partecipativi almeno dialogici diretti. Il resto – tra cui gli esiti – sono ovviamente discutibili. Esattamente come molto spesso – ed anche in questo caso – il metodo scelto è strumentale a due obiettivi: portare acessi (e quini introiti) al blog di Grillo, e, sempre attraverso questi accessi generare “reputation” politica, ovvero alimentare la percezione di acentralità ed interesse. 
La seconda premesa è tecnica. Rousseau non è un sistema operativo, almeno se stiamo alle definizioni tecniche e ci atteniamo ad una proprietà di linguaggio. Casaleggio lo sa bene e gioca sul gioco di parole “sistema operativo” per interndere “il sistema con cui il partito è operativo ed opera”.

Si tratta – semplicemente – di un’insieme di applicazioni, o meglio di un menù di sezioni in cui compiere certe azioni, che vanno dal consultare documenti, commentare, votare… tutti strumenti straordinariamente utili a generare accessi e numero di pagine viste, con un’esponenzialità di cui noi stessi come navigatori non ci rendiamo conto. 
Faccio un esempio: per partecipare ad una votazione online vengono effettuati non meno di 11 click, ovvero “11 visualizzazioni di pagina”. Se consideriamo che ne hanno fatte oltre 66 in un anno e che hanno partecipato mediamente 48mila persone… i conti sono presto fatti.
Con la nuova piattaforma i numeri si raddoppiano, se non triplicano.

Concretamente si tratta di un’area ad accesso riservato in cui condividere commentare “partecipare” alle iniziative legislative in Europa, in Parlamento e nei consigli regionali. Uno strumento anche di “contatto” tra gli iscritti, che potranno anche votare, commentare o informarsi. 
Da un punto di vista dei materiali non molto più di quanto non sia già disponibile in rete.
Semmai organizzato meglio – da chi conosce i sistemi di social aggregation – e “messo tutto insieme” in un luogo unico che riceverà visite esponensiali in termini di traffico web. 
Molte di queste informazioni sono già in tutti i siti di tutti i partiti politici. Qui si può accedere solo se sei iscritto – e non è materiale disponibile al pubblico. In più puoi votare, e va poi declinato il peso e il senso di questo voto caso per caso.


Quali sono i potenziali problemi che vede in Rousseau? Crede sia possibile garantire l’imparzialità visto che il tutto è gestito dalla Casaleggio Associati?


Dobbiamo chiarire. L’unico luogo in cui conterebbe l’imparzialità (meglio definirla neutralità o terzietà) sarebbe nel processo di votazione. Questo è difficilmente garantibile in ogni momento di vita interna di ogni partito politico. Certo, che tutto avvenga in digitale e soprattutto che avvenga su una piattaforma “interna” gestita internamente non è indice di “certezza terza”. 
Provocatoriamente potremmo chiedere perchè non usare le piattaforme messe a punto dal PirateParten tedesco, ma la risposta è facile: sarebbe “altrove” e non porterebbe accessi al blog.
 Casaleggio ripete spesso che sono votazioni certificate da “un soggetto esterno” che però non certifica alcun risultato, ma solo il rispetto del percorso indicato e che ci siano o meno violazioni esterne della piattaforma, ma non ha alcun modo di certificare il risultato.
 Le consultazioni “in sé” sono già manipolate, ad esempio allargando o stringendo gli orari in cui si può votare, o con quanto preavviso comunico una data di votazione è chiaro che “modifico” quanto meno il grado di partecipazione, che quando è più ristretto, tanto più darà un risultato maggiormente ortodosso rispetto alla linea ufficiale, mentre ampliando la partecipazione generalmente aumento il numero dei votanti “critici”. È semplice ingegneria sociale se vogliamo, e chi si ocupa di web e social network queste cose le sa bene.
 Oltre questo è chiaro ed evidente il rischio che “uno vale uno” e “decidono i cittadini” siano degli slogan e che poi “il risultato finale” sia qualcosa di scritto altrove e da qualcun altro. Sia chiaro, il tema non è se ciò avvenga o meno o in che misura concretamente avvenga. Il tema è che nessuno garantisce con certezza che non avvenga e che non possa avvenire.


Il recente referendum in Grecia è stato lodato da molti come un esemplare esercizio di democrazia. Lei pensa che sia stato giusto consultare i cittadini su un tema complesso come quello delle negoziazioni tra creditori e lo stato sul debito?


Io credo che sia un bene per la democrazia informare. E un bene per un Paese che i propri politici abbiano ben chiaro che il proprio mandato è a tempo, e che di fronte a scelte che travalicano il destino di una generazione occorrono almeno due cose: un ampio consenso parlamentare (oltre la semplice maggioranza di governo) e un “mandato straordinario” popolare. 
Del resto anche da noi è previsto un referendum in caso di modifiche particolari dell’assetto costituzionale, indipendentemente dalle due letture parlamentari. Il che ci riporta al concetto di un “mandato politico straordinario aggiuntivo”.
Fatta questa premessa però la politica dovrebbe impostare la propria comunicazione esattamente in questi termini: spiegare il contenuto della scelta da compiere, e non trasformare (come quasi sempre accade) un referendum in un sondaggio politico su questa o quella maggioranza, o su questo o quel leader. O peggio leggere in questo modo il risultato referendario.
 In Grecia oggi, in Italia nel 2016 o 2017 che sia…


Crede sia pratico consultare gli iscritti su temi anche complessi o ‘market sensitive’?


Doveroso. E la domanda – anch’essa provocatoria – è perchè tutti i partiti non lo facciano.
 Semmai anche mostrando e proponendo ciascuno un proprio modello differente, alternativo, così che possiamo tutti confrontarci su quale sia il migliore, come migliorarlo e come rendere questi strumenti “imparziali”. 
Chiaramente è una provocazione perchè se al popolo del centro destra venisse chiesto se sono a favore o contrari a primarie interne di coalizione, cosa pensate risponderebbero? Se chiedessimo ai cittadini se vogliono che i candidati (italicum o meno) siano scelti con primarie (chiuse o aperte) o dalle segreterie di partito, secondo voi cosa sceglierebbero?
 Tutti esiti che minerebbero alla base molte delle scelte politiche dei leader, scelte su cui si basa il loro potere, la propria maggioranza o le proprie clientele.
 Molti parlamentari da queste scelte – a torto o a ragione – sarebbero spazzati via. Non che sia un bene o un male, ma è la democrazia, e non la si accetta “a pezzi”.


In questo senso, crede possa funzionare la democrazia diretta proposta dal M5S?


No. La democrazia diretta non esisterebbe, non è mai esistita e non può esistere.
 Esistono varie forme di delega, e soprattutto varie forme di controllo e contrappeso dei poteri.
 Molti di questi controlli e contrappesi non dipendono solo dalle leggi ma soprattutto dai popoli. 
In Inghilterra se un parlamentare non risponde ai giornalisti la sua carriera politica è finita.
 Negli Stati Uniti uno scandalo che dovesse uscire anche su un sito o su un blog farebbe aprire un’inchiesta immediatamente. In Francia un servizio televisivo ha mostrato il ministro della sanità che andava a teatro con l’auto di servizio: solo per questo ha pagato settecento euro di multa e ha dovuto chiedere scusa pubblicamente. In paesi come la Germania, la Francia, l’inghilterra, anche i giornali più schierati – dichiaratamente – “danno la notizia”, anche se questa tocca la propria parte politica, con il risalto che merita la notizia in sé, non in base alla propria fede. È questo che i cittadini si aspettano.
Questi sono esempi di controllo democratico. Anche se non sono espliciti in leggi o regolamenti o nella Costituzione. Perchè la democrazia è, in fin dei conti, la percezione che ne hanno nella pratica quotidiana i cittadini e quanta pressione in tal senso riescono ad esercitare sui propri politici a che si adeguino.


I cittadini possono essere sempre abbastanza informati per esprimere una decisione? Uno dei benefici della democrazia rappresentativa è che vi sono degli esperti che si occupano della legislazione in vari settori. Come possono i cittadini fare delle scelte migliori degli esperti?



Quasto sarebbe vero in teoria. Se guardiamo alla prassi abbiamo avuto medici ministri della sanità che sono stati peggiori della storia, ed abbiamo avuto ottimi politici che senza essere tecnici puri hano saputo impostare una visione complessiva che ha miglioratomolto i settori di cui si sono occupati. Abbiamo una presidente della commissione antimafia che sino al giorno prima dichiarava tranquillamente che di mafia non sapeva nulla. E se guardiamo alla composizione delle commissioni parlamentari non sempre abbiamo esperti che le compongono.
 Al politico non deve essere richiesto (solo) di essere un tecnico, ma soprattutto di avere una visione politica complessiva, possibilmente almeno di medio-lungo termine.
 Per il resto esistono i tecnici e funzionari dei ministeri, i consulenti esterni, le audizioni…
 Ed anche qui interviene la partecipazione democratica, e la percezione della democrazia.
 Negli Stati Uniti esistono ampi canali aperti attraverso cui i cittadini possono interagine con le commissioni, con i parlamentari, esistono soggetti come lobby (le più potenti in termini elettorali sono quelle ambientaliste e degli insegnanti per esempio) o semplici think-thank che possono interagine sul processo legislativo di singole leggi.
 Ecco, usare i nuovi strumenti tecnologicamente disponibili per favorire la partecipazione dei cittadini è qualcosa che da noi va importato in maniera strutturale. Anche perchè i cittadini hanno una formazione, un lavoro, interessi, competenze, che possono essere utilissime in occasioni specifiche e tecniche. 
Tutto questo non è certo democrazia diretta, ma non solo è utile ai processi legislativi, ma soprattutto ad un rapporto diretto tra cittadini e Stato e migliora la percezione del concetto stesso di democrazia, per cui diventi parte delle scelte, e senti come tuo anche il dovere del controllo.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi