“ESSENZIALE, NARDO E NASI” – L’ODORE DEL NARCISO
“Ci incontrammo per caso, o meglio ci scontrammo: io stavo uscendo dal portone per portare Dorian con la sua premura di pisciare al parco (erano le sette di mattina), lei stava andando in ufficio per un problema con un cliente e la sua premura di risolvere (erano le sette di mattina). Dorian uscì per primo dal portone tirandomi dietro, aggrappato al guinzaglio di cuoio; la bicicletta correva sul marciapiede con a bordo una mantella di lana e due occhi assonnati. L’incidente avvenne in quello spazio: tra la mano e il setter, lungo il guinzaglio. La bici si impennò e Pamela fu proiettata per aria e poi a terra, sempre avvolta dalla sproporzionata sciarpa che ora sembrava una coperta.”
Così inizia il bellissimo romanzo di Osman Entanic’saffa (Osman Smith): “Amore mio sotto il plaid”, che in inglese credo sia “Love for love”.
L’autore (californiano ma di origini turche) si mette a nudo, rivelando le debolezze e le angosce di un rapporto di coppia tra due narcisisti.
Orfano già dall’età di sette anni, Osman ammette di avere una totale incapacità emotiva; non piange mai, non soffre mai, insomma non prova empatia per nulla e per nessuno: “Avrei voluto avere dei genitori solo per trattarli male!”
Sino a Pamela, a quell’impatto sul marciapiedi, all’ambulanza e alla successiva frequentazione.
In sole due settimane, Osman e Pamela si conoscono, si innamorano, si detestano e si tormentano. Le scene, tra dramma e comicità, si susseguono pagina dopo pagina, come in un elenco di appunti che non portano mai a una vera e propria trama: non c’è soluzione alcuna tra i protagonisti, solo inizi e ancora inizi.
Lei lo insegue per strada, in pigiama e armata di una padella, per poi rendersi conto che il tegame era sporco.
Lui la tradisce con una diva di Hollywood, che poi lo denuncia per molestie sessuali.
Lei gli confida di essere bulimica, e lui si accorge di essere guardato come si guarda una fetta di torta vomitata.
Lui ammette di sentirsi attratto dalle cose nuove, e lei realizza di essere guardata come si guarda un abito smesso.
La storia tra i due termina davvero dopo appena quindici giorni, lasciando tuttavia lunghe ombre e inquietudini. In un ospedale, sorseggiando un caffè dentro un bicchiere di plastica, Osman, prima di andare via per sempre (o quasi), le sussurra all’orecchio: “Ti ho amata per le tue cicatrici, ora ti odio per le ferite che mi stai lasciando.”
Dopo aver dato fondo alla riserva di illazioni reciproche, i due amanti vivono nella reciproca ossessione e si riavvicinano e si lasciano altre sette volte nell’arco di un anno. Pamela si crea nuove cicatrici, tagliandosi le vene, Osman sopprime il suo setter irlandese per evitargli la vecchiaia, ma poi se ne pente e si butta giù da un ponte. Nessuno dei due muore e nessuno dei due riesce mai ad accorgersi dell’amore dell’altro.
Nella versione cinematografica, c’è una scena aggiunta voluta proprio dallo scrittore che ha curato anche la sceneggiatura. Nello squallore di una camera di un Motel qualsiasi, dopo l’amore e le reciproche sadiche umiliazioni, Pamela lo abbraccia con i polsi fasciati, sfiora il collare che Osman indossa dopo il trauma cranico e seducente gli confida: “Sei un perverso! Fingi di amarmi per compiacerti e menti solo per essere amato.”
Questo romanzo ha una portata emotiva vastissima. È l’alba ed è il tramonto, è l’ansia della colpa e il desiderio di sbagliare, è, malgrado le illusioni di onnipotenza dei protagonisti, il fallimento dell’essere umano.
Alla fine, nell’ultimo capitolo, dopo pagine di odio e amore, l’autore si rivolge al lettore e lancia un invito a riflettere sulla nostra quotidianità: “Ehi tu, sei sui social? Stai usando filtri? Ti sei fotografato nel cesso di casa con la tavoletta alzata? Hai mostrato i tuoi piedi pari? Lo hai fatto senza vergogna? Allora credimi, anche tu sei drogato di te stesso. E se provi piacere a farlo, a celebrare questo culto dell’ego, allora sappi che non sei più bello di me.”
N.B.
Se hai letto fino in fondo questa breve recensione, o sei hai letto il romanzo, o se non l’hai mai neppure sentito nominare, comunque meriti che ti riveli la promessa del titolo: qual è l’odore del narciso?
È quello del tuo cuscino. È l’odore delle tue notti, del tuo sonno e dei mille specchi che chiami sogni: quelle maschere che indossi senza paura dei like, quelle bugie che ti ricordano la tua verità.
“Ad occhi aperti, sei solo irrilevante… E hai persino paura di ricordare l’ebbrezza di quei sogni. Finisci di leggere! Con l’ultima riga terminerà anche il tuo disprezzo per queste mie parole. L’alcol non serve a niente chiuso dentro la bottiglia.
Sei tutto, quando sei fuori di te, e sei nulla, quando ti scavi dentro!”
(in copertina – La notte (1961) di Michelangelo Antonioni)