Cos’è l’amore? L’amicizia

Oltre all’affetto e all’eros, l’esperienza umana conosce una terza tipologia dell’amore: l’amicizia. Anche questo sentimento appare nell’età adolescenziale e si presenta con alcune caratteristiche dell’eros e altre simili all’affetto.


Con l’affetto condivide l’espansività: l’amicizia è un sentimento pluridirezionale, non si concentra su una sola persona, ma è capace di dilatarsi verso molti soggetti. Con l’eros condivide il senso di responsabilità: cioè è esigente.


Ma, a differenza degli altri due, l’amicizia prescinde quasi completamente dal dato biologico e sessuale, perché essa consiste in un orientamento personale intessuto di confidenza e di solidarietà, nel quale la componente razionale gioca un ruolo di primo piano. È una forma di amore più «spirituale» delle altre.


C’è, poi, un altro aspetto assolutamente indispensabile all’amicizia: la reciprocità. Si può vivere l’eros «a senso unico» e, almeno in parte, anche l’affetto: cioè è possibile innamorarsi di una persona senza che quest’ultima lo sappia e lo voglia; anche nell’affetto si vivono simili situazioni, cioè una forma di amore non (o non sempre) corrisposto, quale a volte quello dei genitori verso i figli. Invece non è possibile essere amici senza che i due (o più) lo sappiano e lo vogliano. La reciprocità rientra nella responsabilità imbevuta di razionalità.


Ovviamente, nella concretezza dei percorsi esistenziali queste forme di amore molte volte convivono, s’intrecciano, si condizionano e si completano reciprocamente. L’affetto, in tal modo, può sfociare nell’amicizia; questa può costituire l’anticamera dell’eros; l’eros, a sua volta, può assumere le modulazioni dell’affetto. Più difficile è passare dall’eros all’amicizia («Ma amici mai», cantava qualche anno fa Antonello Venditti), ma non è impossibile. Si può passare da una forma di amore all’altra: ma, appunto, è «altra». La riflessione teorica può aiutarci a comprendere meglio il vissuto, ad affrontarlo con maggiore chiarezza e ad intervenirvi con una consapevolezza più adeguata.


Se è vera, almeno a grandi linee, la descrizione dell’affettività finora proposta, appare chiaro che una delle principali caratteristiche dell’amicizia risiede nella facoltà di scegliere.


Laddove questa facoltà non si esprime, o si esprime poco, si parla preferibilmente di «compagni», non di amici. È il caso, ad esempio di una scolaresca: i compagni di scuola sono un gruppo nato non da una opzione reciproca, ma da una organizzazione. Lo stesso linguaggio viene usato in un’aggregazione nella quale il dato prevalente non è l’affettività, ma un’azione da compiere o un risultato da raggiungere: perciò si parla di «compagni di squadra», non di amici, perché lo scopo dell’aggregazione non è il rapporto tra le persone ma lo svolgimento di un’azione sportiva o di altro genere. In questo senso, molto illuminante è il linguaggio marxista: ciò che sarebbe dovuto prevalere è la trasformazione del mondo mediante il cambiamento radicale delle strutture economiche, anche attraverso un’azione violenta, perciò i militanti si chiamano compagni. Oggi questa parola ha subito un notevole slittamento semantico e, da espressione comunitaria, tende a rinchiudersi nel privato della coppia: «il mio compagno», «la mia compagna».


Gli amici, dunque, hanno la possibilità di scegliersi. Proprio questo particolare fa sì che l’amicizia sorga soprattutto nell’adolescenza. Tra bambini, infatti, prevale la compagnia, i «compagni di gioco».


L’amicizia consiste nella comunanza d’idee e nella condivisione dei valori, nella reciproca confidenza, nelle esperienze da compiere insieme, nell’accompagnamento psicologico che volentieri si esprime e si espande in un’ottica di gratuità, nel fattore evolutivo che segue il divenire delle persone.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi