Va fatta una premessa. In nessun paese occidentale si è pienamente realizzato il principio fondante della democrazia moderna: la piena divisione dei poteri.
A seconda dei sistemi questa divisione è più o meno marcata, e più o meno assistita da sistemi di garanzia e di bilanciamento.
È importante chiarire questo punto perché parliamo di legge per elezioni primarie, ovvero per la scelta dei candidati ad essere rappresentanti dei cittadini, dai collegi, nella “unica camera” legislativa, che avverrà se passerà il referendum confermativo di ottobre.
In realtà da noi i “membri del parlamento” non sono semplici “membri dell’assemblea legislativa”, ma concorrono con la fiducia a formare il potere esecutivo, spesso deputati sono anche membri dell’esecutivo stesso senza che vi sia obbligo di dimissioni o incompatibilità. Molte volte in ruoli di governo hanno ampi poteri in ambito amministrativo. E nel caso del Ministero di Grazia e Giustizia abbiamo il caso limite in cui membri del legislativo, sono contemporaneamente parte dell’esecutivo, hanno ruoli di incidenza nell’ambito amministrativo ed incidono concretamente sull’ordine giudiziario.
È importante comprendere questa lacuna nella divisione dei poteri, proprio perché “decidere come vengono scelti gli eletti” non può essere considerato più un fatto “interno e privato” dei singoli partiti, ma incide sull’intero sistema-Stato.
Già la legge Anselmi chiarì, in mancanza di una legge precisa sui partiti, che questi dovevano rappresentare al proprio interno i principi di trasparenza e democrazia interna propri della Costituzione. Articolato del tutto inattuato perché privo di una chiara sanzione.
1) Quali falle il sistema elettorale delle primarie ha manifestato nel corso degli anni (schede elettorali truccate o rese nulle per agevolare alcuni candidati a scapito di altri)?
Le primarie, nelle loro varie forme, da quelle del Pd, a quelle “online” del M5S, a quelle “consultive” occasionalmente introdotte nel Centrodestra hanno tutte le stesse pecche: mancanza di capacità di controllo, verifica, appello, e di organi di garanzia terzi.
Alla fine, sempre, la pecca di fondo è la mancanza di trasparenza e di certificazione terza del risultato. Da qui a imbrogli “veri” o al sospetto di brogli, il passo è brevissimo, e si sono verificati in praticamente la totalità dei casi, con differente intensità.
Il punto tuttavia è che innanzitutto la democrazia è un sistema che deve apparire trasparente, oltre ad esserlo. Ed un sistema che genera polemiche e dubbi non va in questa direzione. Poi, dopo le elezioni “vere” una volta accertato che c’è stato un imbroglio alle primarie interne di questo o quel partito, non è che si può invalidare il risultato elettorale.
2) Può ripercorrere brevemente quali sono stati gli episodi politici più rilevanti che hanno dimostrato quanto il sistema che regolamenta le primarie oggi sia carente?
Alcuni casi eclatanti sono ad esempio le primarie per la scelta del candidato sindaco di Napoli, nel 2012 e nel 2016. in cui non ci fu nessuna verifica, nessun riconteggio, nessun organo nazionale capace di un intervento, se non per cassare o annullare il risultato.
Possiamo citare le primarie per la scelta del candidato presidente della regione Liguria.
Ma su tutte trionfano le primarie nazionali del Pd, quelle “tra gli iscritti”, con numerose segnalazioni di qualsiasi “opacità”: su questi casi la commissione di garanzia nazionale, dopo due anni, non ha ancora chiuso i relativi verbali.
In particolare nell’area di Salerno, città amministrata da De Luca, la Dia ha trovato oltre 2000 tessere false, ed è stato accertato che le primarie che hanno visto la scelta e l’elezione di Bonavitacola (fedelissimo del governatore e vice presidente della giunta regionale attuale) sono state falsate pesantemente.
3) Fino ad oggi le elezioni primarie nascono da un meccanismo interno ai partiti. E’ corretto dire che ad oggi non esiste una legge che garantisce più trasparenza sia nella scelta dei candidati sia nel coinvolgimento dei cittadini?
Esattamente.
Come detto prima sono “processi interni ai partiti” e in mancanza di una denuncia diretta di un soggetto direttamente danneggiato, la magistratura non può intervenire, ed a prescindere non è prevista alcuna sanzione o decadenza.
4) Alla Camera c’è una proposta di legge che pone la necessità di istituzionalizzare le elezioni primarie. Riuscirà nell’intento di rendere chiari sia i criteri di selezione dei candidati sia la partecipazione dell’elettorato attivo e passivo?
Non si possono imporre le primarie come metodo. A meno di non inserirle come “parte” della legge elettorale. E non è questo il caso.
Si può prevedere che “chi le fa, le debba fare in un certo modo”. Ma da un punto di vista del sistema, essendo un processo associativo, non si comprende quale debba essere la sanzione.
Ecco, io nel mio partito non le chiamo primarie ma “pre consultive” e sono fuori da ogni obbligo di legge. Per esempio.
5) Che cosa cambierà (se davvero cambierà qualcosa) rispetto al recente passato se il testo di legge dovesse essere definitivamente approvato? Ci saranno meno opacità nell’intero impianto di costruzione delle primarie?
Diciamo che quello è l’obiettivo.
Indicare una strada. Che preveda delle garanzie e delle tutele e una certa trasparenza anche nei ricorsi. Ma limitatamente a quei partiti che decidano – liberamente ed autonomamente – di far rientrare i propri processi decisionali nell’ambito di quello schema normativo.
Una facoltà, più che un obbligo.
6) Come si svolgono oggi le selezioni dei candidati? I meccanismi sono semplici e comprensibili per gli elettori?
Assolutamente no. Per due motivi. Intanto perchè anche per essere candidato alle primarie l’iter è interno e decisamente “chiuso”.
Quindi alle primarie scegli tra un elenco di persone che comunque qualcuno altrove ha scelto per te.
Secondo perché le regole cambiano di città in città e regione per regione e di elezione per elezione, e quindi non aiuta nemmeno una “prassi consolidata” in questo senso.
7) Quali le tempistiche entro le quali oggi si chiudono le iscrizioni al partito? Anche in questo caso, le chiedo cosa cambierà con questo testo?
Poco o nulla. Perché le iscrizione ad una “associazione-partito” sono sempre possibili, e la legge non può limitare la partecipazione al voto attivo ad un iscritto anche del giorno prima.
E tuttavia la legge non disciplina “i partiti politici” – legge che attendiamo da settant’anni circa – e quindi tanta parte di questa vita è soggettiva, eterogenea, non regolamentata.
8) Il candidato del partito davvero rispecchia oggi le preferenze di voto di chi lo elegge?
No, e non è nemmeno voluto. Basti pensare alla nuova legge elettorale. I capolista nominati, gli altri in lista secondo preferenze in collegi di circa un milione di abitanti. E nessuna norma che – ad esempio – indichi che i candidati debbano risiedere nel collegio o da quanti anni.
9) C’è democrazia partecipata nel rapporto tra i partiti che svolgono le primarie e quelli che non adoperano questa procedura per la selezione dei candidati?
Certamente anche con mille difetti fare consultazioni territoriali – che talvolta possiamo anche chiamare primarie – è occasione di maggiore partecipazione.
Meglio se “in carne ed ossa” più che su una scheda precompilata in un gazebo occasionale o peggio online.
Ma la democrazia partecipata – che significa concorrere concretamente e concettualmente alla formazione di una decisione e di un percorso legislativo – è decisamente ben altra cosa.
10) Il PD è stato il partito che, fin dalle sue origini, ha utilizzato lo strumento delle primarie. Negli ultimi mesi anche il centro destra, seppure diviso, ha cercato di intraprendere questo percorso mettendo in risalto ancora di più le lacerazioni interne. Quali differenze ci sono tra le primarie del Partito Democratico e quelle messe in atto da altri partiti?
Il pd le effettua sul territorio, attraverso sezioni con commissioni elettorali.
Funziona spesso male, ma la materialità consente anche un teorico riconteggio, una verifica, la trasparenza di poter vedere come vanno le cose. Anche quando vanno male.
Il M5S le fa online: esiste un risultato finale reso pubblico, senza che vi sia alcun sistema di verifica terzo. Ma in questo caso è anche peggio, perché il sistema di votazione online consente a chi organizza la consultazione di sapere ciascun elettore quale voto esprima.
Il centrodestra non le fa, e questo lacera soprattutto anagraficamente chi vorrebbe un rinnovamento ed un ricambio. Il non farle è un modo per mantenere lo status quo e non mettere in discussione “il possesso” interno.
Le vere primarie sono quando il centrodestra si divide e usa le elezioni in genere amministrative per una conta interna. È il caso – da ultimo – di Roma, con il confronto Marchini-Meloni.
11) Il sistema delle primarie italiane può essere per taluni aspetti paragonato al sistema americano? Quali sono le difformità e le eventuali similitudini?
Assolutamente no.
Negli Stati Uniti esiste una divisione dei poteri fortissima. Quello che pochi sanno è che tutte le cariche non direttamente elettive, ma ad esempio di nomina presidenziale in ambito governativo (esempio Segretari di Stato – i nostri ministri – o membri delle magistrature superiori, dalla Corte Suprema in giù a cariche come Capo della Cia o dell’Fbi) vengono vagliate da una commissione del Senato (che rappresenta gli Stati).
In questo contesto le primarie le fanno i due maggiori partiti, ma non tutti i partiti.
E ciascuno dei due partiti le fa in maniera differente, finanche il conteggio dei voti e dei risultati è diverso. Addirittura diverso Stato per Stato.
E tuttavia chiunque, membro di un partito, può partecipare a qualsiasi elezione primaria, senza che la sua candidatura venga – formalmente – preselezionata da nessuno.
Certo, se il partito non è d’accordo avrà vita molto difficile ad accreditarsi, ma non è detto.
I repubblicani hanno addirittura apertamente finanziato una campagna “contro Trump”, che tuttavia ha partecipato alle primarie, le ha vinte, e il partito non può non sostenerlo.