Consip e la criminogenesi

Il caso dell’appalto Consip è qualcosa che va ben oltre il “consueto malcostume” della corruttela nazionale che abbiamo sempre conosciuto e che è culminata in modo apicale con Tangentopoli.
E a qualche benpensante che ha subito commentato che “è stato venduto un appalto di 2,4 miliardi per appena 100mila euro” va, anche qui, ricordato che proprio Tangentopoli cominciò da un signore di nome Mario Chiesa, che in tempi in cui il finanziamento illecito ai partiti toccava le decine di miliardi di lire, era stato colto in flagrante mentre intascava una busta da 3milioni (millecinquecento euro di oggi) dall’impresa di pulizie del Pio Albergo Trivulzio.
La vicenda Consip – che è ancora tutta da chiarire e da dipanare nelle opportune sedi di indagine giudiziaria – ci mostra molte cose su cui è bene, almeno per ora, prendere qualche appunto e fare qualche riflessione seria.


Consip e criminogenesi


La prima cosa che mi viene in mente è che è inimmaginabile in sé un appalto di fornitura verso la pubblica amministrazione per una dimensione di quel genere. Primo, perché non esiste un soggetto che può assicurarla, secondo perché non esiste un soggetto che con margini così bassi riesce a sostenere l’onere finanziario di fornire tanto per incassare quando sarà. Almeno se deve garantire quella qualità e quelle quantità, e fare tutto nel rispetto delle leggi (sul lavoro, fiscali, tributarie, di sicurezza etc).


È evidente che fare una gara di questo genere poteva andar bene (e neanche concordo sino in fondo) quando si parla di grandi opere. Nessuno immagina che l’Ansaldo – per esempio – nella sua qualità di “general contractor” avesse uomini e mezzi e materiali per completare, che so, un’autostrada. Ma almeno in quel caso esiste un sistema regolamentato di subappalti, e almeno l’organizzazione per gestire un lavoro con questo sistema, di aziende come la Ansaldo in Italia ne abbiamo (poche, sempre le stesse, ma le abbiamo).


E tuttavia anche quel sistema è un pò come la copertina di Linus. Affido ad una grande azienda la grande gara, e poi… le imprese criminali, la qualità scadente dei materiali e delle forniture, i ritardi, le varianti di progetto, i veri fornitori, emergono in quel groviglio di subappalti in cui alla fine ci si perde, più che ci si ritrova in chiarezza.


Se quindi il sistema tiene sulla carta, decisamente non regge nella realtà. A che serve dunque questo sistema? Semplicemente a ridurre la competitività delle imprese, ridurre considerevolmente il numero dei soggetti che possono accedere come fornitori dello Stato, e garantire grandi parcelle a un certo numero di consulenti, commercialisti, avvocati, capaci di mettere in piedi una struttura per partecipare a queste gare, semmai con ATI, che poi, avendo in pugno i sub-fornitori (di cui hanno bisogno) guadagnano semplicemente abbassando i prezzi. In barba a trasparenza, diritti dei lavoratori, sicurezza e qualità.


Consip e criminogenesi


Eppure basterebbe “mettere tutto online”, semplicemente. Quell’ospedale ha bisogno di carta? Pubblica la richiesta e qualsiasi azienda in regola può fare la sua offerta, per prezzo e a parità di qualità. Guadagnerebbero tutti, il pubblico e i fornitori. E questa lunga pletora di corrotti e corruttori non avrebbe più alcun senso.


La seconda cosa che – a futura memoria – dovremmo segnarci, sin da ora, e prima che diventi una “cantilena politica occasionale a seconda delle opportunità” e della maggioranza di turno, è il buon senso e la decenza morale, prima ed oltre il conflitto di interessi. E questo buon senso parte da una serie di domande a risposta abbastanza implicita.
Può il figlio di un ministro lavorare in un’azienda che è di fatto fornitrice di quel ministero? Può un ministro, o un suo collaboratore, pranzare e cenare con qualcuno che partecipa ad una gara direttamente a lui collegata? Può un imprenditore stare nello stesso circolo sportivo e frequentare magistrati che hanno indagini sulle sue imprese? Può un medico lavorare in un ospedale, essere direttore sanitario di un centro medico privato e contemporaneamente quel centro presentare referti per incidenti stradali? Può un imprenditore chiamare al telefono giudici e direttori della Consip per informarsi di faccende che lo riguardano?


La risposta è chiaramente no. E nel paese in cui esistono leggi anche per la lunghezza delle melanzane e dei gambi dei carciofi o della lunghezza di un’aragosta (antenne o meno incluse) a quanto pare serve una legge che nessuno vuol fare davvero, perché a tutti noi il buon senso manca. O sarebbe meglio dire che forse quella che ci manca è una vera morale ed una autentica etica, del lavoro e del senso dello Stato.
Il terzo appunto – anche questo di carattere generale – che mi viene in mente tuttavia, è che siamo pronti a sparare su quel medico assenteista quando il caso diventa pubblico ed eclatante, e siamo i primo a dargli con zelante e riconoscente sottomissione duecento euro sottobanco e al nero per un certificato falso che ci faccia avere mille euro in più dall’assicurazione. Per poi essere i primi a lamentarci dei premi alti e di quanto le assicurazioni siano sciacalli.


Il quarto ed ultimo appunto – sempre per tenere a mente le cose – riguarda la straordinaria stupidità dei soggetti coinvolti nell’affare Consip: gente che scrive bigliettini, inquirenti che avvertono amici degli amici di non parlare perché ci sono cimici, e l’abnegazione di poliziotti che si mettono a ricomporre carte buttate per trovare le prove. Se guardassimo tutto questo in un film parleremo di filmetto di terz’ordine della commedia all’italiana.
Ma in fondo, perché di terz’ordine? È proprio una commedia all’italiana, ispirata a quella scarsa morale e pochissima etica di questi furbetti del quartierino di cui siamo circondati. Un’Italia che non ha memoria.
Per questo, che aspira ad essere diverso, si tenga stretto qualche appunto. Così, per non perdere la memoria.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi