Chi vincerà le amministrative a Napoli?

A meno di un anno dal voto il dibattito para-politico su Napoli è bloccato, fermo sostanzialmente a quattro anni fa. Ma se fosse solo “fermo” sarebbe probabilmente meglio di quando – come adesso – il dibattito è essenzialmente “chiuso”, tra gruppi e posizioni che hanno una loro visione e che fanno pronostici fondati letteralmente sul nulla, se non il proprio autoconvincimento.
È un modo “antico” di fare politica, soprattutto a sinistra, che però ha tappe macroscopiche di cui sarebbe bene tenere traccia e memoria. 
A Bologna si vince comunque, qualsiasi sia il candidato. Poi vinse Guazzaloca. A Napoli si vince comunque, e nella peggiore delle ipotesi si va al ballottaggio. E vinse De Magistris. Parma dopo gli scandali deln centrodestra è si-cu-ra. E vinse Pizzarotti. A Venezia non può che vincere il pd. Livorno rossa la si vince anche se non si candida nessuno. E ha vinto il Movimento 5 Stelle. Possiamo mica perdere la Liguria con la Paita, e (solo) per colpa della “sinistra sinistra” ha vinto Toti, ci mancherebbe. E l’elenco potrebbe anche continuare, semmai con un “De Luca stravince con otto punti di vantaggio” (il giorno prima) che il giorno dopo è diventato una vittoria sul filo di lana di meno di 40mila preferenze. 
Ecco, dircele queste cose e ricordarcele non guasterebbe. Perchè l’umiltà in politica è una gran bella cosa. Soprattutto aiuta – tutti – a restare coi piedi per terra. Aiuta anche a ricordare che ci si candida e fa politica on per fare l’ultras che esulta per uno scudetto, ma per amministrare il bene comune. Non ci sono coppe da portare a casa, ma un lavoro serio che dopo la campagna elettorale andrebbe svolto tutti insieme, o quanto meno col contributo di tutti.

Io sulla mia città in questo mese ho detto poche cose. E mentre è costume della politica che l’affermazione del giorno prima venga sovente ripensata il giorno dopo, mi accorgo che le cose che ho cercato di dire restano quelle. Per questo le metto qui, tutte insieme, in ordine cronologico. 
È il mio contributo a questo dibattito, che si affanna ancora sui totonomi e che non lascia trasparire alcun contenuto.


All’indomani dei dati della Svimez provai a declinare in satira…
[la riflessione seria la trovate qui] 

Contro questi piagnistei meridionalisti sarebbe una cosa buona chiudere la Svimez. 
Si perchè ultimamente va molto di moda questo “pensare positivo”, guardare al bello, parlare dell’Italia che funziona. Se non lo fai, se non sei “ottimista”, sei un retrogrado, un gufo della solita sinistra piagnona e masochista che rema contro. 
Infondo la soluzione è semplice: se i problemi non li documenti non esitono. 
Nella retorica della comunicazione social alla domanda “e dove sta il link?” se non c’è ti inventi tutto, quindi meglio “togliere il link” e amen. 
Potremmo però risolvere tutto, e non solo i problemi del sud, con questa logica stringente: se facciamo emigrare tutti i disoccupati cancelliamo la disoccupazione. Pensiamoci bene. Potremmo risolvere la fame nel mondo, il problema dei malati e delle “diverse abilità” in maniere simili… 
Forse se smettiamo di parlare del debito pubblico (mai così alto nella storia repubblicana) anche quello per miracolo e da solo svanisce. 
Tempo fa De Magistris a Napoli, nella mia città del resto disse “basta parlare di blatte per strada, le blatte non ci sono, chi ne parla sarà querelato” (vero che spuntarono foto di blatte ovunque e non si ha notizia di querele sindacali, ma accadde anche questo).
 Sono i tempi bellezza. Sono quelli del #menefrego in trend-list su twitter e di quelli che fanno ironia dicendo “mi aspettavo anche i treni in orario”. Ma quale ironia, i treni sono in orario: sei tu che sei gufo e ci hai anche l’orologio rotto. E dato che la crisi non c’è, puoi anche smettere di fare il taccagno e compratene uno nuovo, che il paese ringrazia.


Meno satirico è quello che scrissi due giorni dopo.


Mentre si dipana il dibattito sul sud, che pare funzionare anche come novello sempreverde tormentone estivo (insieme agli immigrati), e si sentono citare e piovere (nonostante il caldo, o proprio come effetto collaterale del caldo) cifre di ogni tipo genere e dimensione, io ne vorrei citare solo due. Che nel loro piccolo riguardano soldi già disponibili e che riguardano entrambe Napoli.
La prima cifra è 156milioni di euro, e sono i soldi per dragare il porto e per l’ammodernamento delle banchine di attracco. Soldi che il 31/12 torneranno all’Unione Europea perchè – dato che la politica cittadina e quella regionale non si sono messe d’accordo per la nomina di un presidente dell’autorità portuale, la progettazione e realizzazione delle opere non è stata fatta. Alla stessa data tornerà in Europa anche la seconda cifra. Questa volta 101milioni di euro. Che sono i fondi per la riqualificazione del centro antico e storico di Napoli, dopo che queste aree sono rientrate nel partimonio mondiale dell’Unesco. Messe insieme queste due cifre sono 257 milioni (e spicci). 
A ben vedere hanno tra loro anche una coerenza straordinaria, perchè andrebbero a finanziare l’enorme risorsa-volano dell’economia cittadina: il turismo. 
Ecco. Seppure 257 milioni vi sembran pochi, cosideriamo che li abbiamo persi. Ma per una volta, senza forche e senza populismi di piazza, sarebbe un bel segnale di rinascita del sud se, pacificamente, semplicemente, chiedessimo tutti conto e che qualcuno rispondesse di questo che – prima di tutto – è un atto di irresponsabilità verso la città e verso il bene e il patrimonio comune.

Fu poi la volta di quando De Magistris divenne “sindaco di Facebook” che commentai così dalle colonne del Roma:


Dopo essere stato sindaco rivoluzionario, sospeso, di strada, reintegrato, oggi De Magistris lancia definitivamente la sua campagna elettorale con un lungo post su Facebook. Che fosse social lo sapevamo, ma stavolta il suo post è con un vero e proprio manifesto politico delle cose fatte e di attacco al pd renziano. Tra le molte accuse “a firma” del sindaco di Napoli ce ne solo alcune difficilmente attribuibili a Matteo Renzi come “Mafia Capitale, inchieste Expo, Venezia Mose”: tutte vicende semmai esplose sotto la sua segreteria e cui lui è chiamato a mettere una pezza. 
L’atto che da oltre un anno fa infuriare De Magistris è la sua estromissione dalla gestione dell’affaire Bagnoli. “Renzi, dopo anni ed anni di omissioni, sprechi, affari e crimini, invece di dare alla Città le risorse per la bonifica ha deciso di commissariare. Vuole mettere le mani sulla città con le stesse logiche di potere che hanno distrutto parte del nostro Paese.”
Su Bagnoli lo scontro è ampio e forte, e ne sentiamo parlare da tempo. Come i nomi ballerini dei presunti super commissari con poteri da superuomo, così come le cifre da capogiro che potrebbero abbattersi (letteralmente) sulla città, e su cui i soliti presuntamente grandi imprenditori e finanzieri anche loro si vogliono letteralmente abbattere per pasteggiare alacremente. 
Quello che manca sulla questione Bagnoli è una risposta chiara ad una domanda che dovrebbe essere il presupposto di qualsiasi cifra e nome commissariale: qual è il progetto per Bagnoli? Soldi e nomi per fare che? Realizzare cosa? Quando fai questa semplice domanda si solleva la nebbia, come se Bagnoli fosse in val padana. 
Nel lungo articolo il sindaco di Napoli fa un elenco di cose fatte, che sono cose vere, almeno parzialmente. Molti sono progetti ereditati dal passato (come le stazioni della metropolitana da lui inaugurate a ripetizione), così come è innegabile l’aver ereditato un bilancio a dir poco disastroso e del quale nessuno degli assessori degli ultimi vent’anni è stato chiamato a rispondere. 
Spiccano però due elementi. Il primo è che un sindaco che il PD considera decotto e condannato alla sconfitta abbia ricevuto in meno di sei ore oltre 2.000 condivisioni e 3.500 “like”, cui si sommano oltre 1.500 tra commenti e repliche. Indice di una città viva e di un sostegno al sindaco che molti sembrano ostinarsi a non vedere. Dall’altro il vuoto delle repliche del partito democratico, che vanno dalla ilarità all’attacco diretto, senza alcuna proposta nel merito. L’alzata di scudi “a difesa del segretario” a livello nazionale ci sta, ma a livello locale appare decisamente poco credibile, laddove ad un anno dal voto il PD non solo non ha nomi alternativi da proporre, ma non ha un progetto politico, non ha un programma, e nemmeno un’idea di percorso per arrivare ad averne. 
Il post del sindaco fa discutere e fa schierare. Apre il dibattito sulla città e sull’amministrazione. Tutto questo è comunque politica. Al momento degli altri partiti non si può dire nemmeno questo: nemmeno uno status programmatico o analitico che faccia discutere.


E sempre sul Roma però mi toccava ricordare che
esattamente un anno fa Matteo Renzi venne a Napoli. Era da poco diventato premier ed era il tempo del “giro d’Italia”, delle scuole, delle regioni del sud. Esattamente un anno fa sottoscriveva a Bagnoli un accordo di programma per quell’area: accanto a lui Luigi De Magistris e Stefano Caldoro. Già, esattamente un anno fa: politicamente un’era geologica. Una politica che va sempre più veloce ma che qui al sud resta archelogica. Non sarà un caso quindi che le uniche novità riguardano gli scavi di Pompei: nuove scoperte e qualche nuovo ennesimo crollo. 
Un anno fa era prima della “fonderia” – sempre a Bagnoli – prima delle primarie in casa Pd per la scelta del candidato governatore, prima dell’elezione di Mario Oliverio in Calabria, di Marcello Pittella in Basilicata, della vittoria di misura di De Luca alle primarie e di meno di 40mila preferenze alle elezioni regionali. Il PD che vince al sud è tutto meno che nuova classe dirigente, ed anche quande quando vince un candidato renziano come Michele Emiliano in Puglia certamente non lo si può definire un “leopoldino”. 
Un anno fa a Napoli, a Bagnoli, sembrava tutto possibile e imminente, realizzabile – almeno per una volta – in sinergia e accordo tra locale, regionale e nazionale. Le elezioni del “rinnovamento” (almeno auspicato e certamente auspicabile) della classe dirigente sono state la cassazione del dato che qui i signori delle tessere che migrano da una maggioranza interna all’altra la fanno da padroni e dettano tempi, modi e condizioni. Ed ecco che mentre un nuovo scavo ci regala un’altra meraviglia di Pompei, e mentre Carditello si avvia al recupero avviato dal coraggio di un ex ministro come Bray (che tutti si chiedono ancora perchè non sia stato confermato), Bagnoli resta la pietra angolare dello scontro politico, amministrativo, finanziario. Ma resta anche come monumento e cartina di tornasole dell’interesse concreto e tangibile per temi come recupero ambientale, occupazione, sviluppo, attenzione al sud, investimenti, riqualificazione… 
E allora ad un anno esatto da quella visita, da quella firma, da quegli annunci, resta un decreto ancora vuoto, parziale, senza alcuna nomina, senza un progetto, senza un’idea. E Bagnoli diventa il metro che misura la distanza tra la velocità della politica e la concretezza del cambiamento. La politica, e la comunicazione politica, possono anche essere velocissimi ed efficaci. Ma la concretezza passa per le cose che cambiano. O quanto meno che si muovono. 
Stavolta però la responsabilità non è dell’amministrazione comunale, regionale, e nemmeno del premier. Semmai della classe dirigente locale del suo steso partito che evidentemente non riesce ad essere efficace nel far comprendere le urgenze, o peggio, che intende, ancora una volta, usare l’ipotesi di un passo in avanti su Bagnoli per la costruzione della campagna elettorale delle prossime amministrative.


Ad oggi tutti pensano che la vittoria sia scontata: centro destra, PD, il sindaco e il M5S. Almeno se ci si ferma a discuetere ed ascoltare. La realtà è ben diversa. 
Ad oggi il PD non ha un candidato e non ha un prcorso chiaro per individuarlo, e probabilmente si ricorrrerà ad una scelta calata dall’alto, ennesima pietra lapidaria su una classe dirigente sempiterna.
De Magistris ha un suo zoccolo duro non inferiore al 20-25%. Il Movimento 5 Stelle ha un suo bacino abbastanza definito non inferiore al 20-25%. Il centro destra unito ha il suo storico, consueto 35-37%.
 Ciò che resta è il PD. Meno qualche punto percentuale ad una sinistra con cui non si vuole né può alleare. E meno le sempiterne e sempre presenti liste civiche, candidati di opportunismo e opportunità, varie ed eventuali. 
La domanda è: qualcuno davvero oggi può dire chi e come vincerà a Napoli? 
L’umiltà, come dicevo all’inizio, è una bella virtù. In politica appare un pò desueta. Rivalutarla non farebbe male. E aiuterebbe a fare scelte più costruttive e opportune.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi