Sbarca in questi giorni su Netflix l’ultimo, eccentrico ed esilarante film di Sidney Sibilia ispirato a una vicenda realmente accaduta. ‘L’incredibile storia dell’isola delle rose’ interpretato da Elio Germano, Luca Zingaretti, Fabrizio Bentivoglio e Matilda De Angelis, prodotto da Groenlandia, la società creata da Sidney Sibilia e da Matteo Rovere (regista di ‘Romulus’) è una vicenda epica ma anche molto grottesca legata a un’utopia giovanile e a un sogno di ribellione: la libertà assoluta dai freni borghesi di un mondo destinato a cambiare.
Il primo maggio del 1968, mentre per le strade di Parigi divampava la rivoluzione giovanile che sarebbe stata ribattezzata ‘Youthquake’ e che aspirava a costruire un mondo nuovo, Giorgio Rosa, un giovane e romantico ingegnere bolognese fresco di laurea e digiuno di politica, decise insieme a un amico e ad altri personaggi fra cui un naufrago e un disertore e la sua fidanzata Gabriella (inizialmente molto scettica sull’argomento), di costruirselo quel mondo nuovo. E così fondò ‘l’isola delle rose’, uno stato indipendente dall’Italia al largo della costa di Rimini e ad appena 500 metri dalle acque territoriali del nostro paese con una propria lingua e una propria moneta. Inutile dire che questa oasi felice ed ecologica, amata dai ragazzi di tutto il mondo, ma considerata un aperto e intollerabile atto di sfida dall’establishment sociale, politico e culturale dell’Italia scudocrociata degli anni’60 e del boom, non mancò di suscitare gli anatemi dei più fieri sostenitori dell’ala più dorotea della DC.
Giovanni Leone, allora presidente della Repubblica, che aveva inizialmente sottovalutato il progetto di Giorgio Rosa definendolo una ‘ragazzata’ fu poi costretto ad adottare provvedimenti drastici per arginare un legittimo moto di protesta e di ricerca di libertà e autonomia che, se assecondato, avrebbe potuto creare un precedente dannoso al sistema. Il film, girato fra tra Roma, Cogne, Rimini, Bologna e Malta (nei cui studi acquatici è stata ricostruita l’isola), e interpretato in modo formidabile da un sempre più bravo Elio Germano, cerca di rispondere all’annosa domanda: quando bisogna smettere di sognare di poter cambiare il mondo?
La tensione fra ideale reale è un tema in realtà estremamente dibattuto dal pensiero filosofico occidentale. Rispetto a un film così vengono in mente precedenti illustri (in realtà molto diversi nell’impianto e nello sviluppo dell’idea) come ‘Mediterraneo’ di Gabriele Salvatores che uscì nel 1992, oppure ‘The beach ’ con Leo Di Caprio (2000) ma anche il libro ‘La possibilità di un’isola’ di Michel Houellebecq. Un’isola è la metafora di un desiderio spesso irrealizzabile di indipendenza spirituale che da sempre anima gli esseri umani e che ci spinge a sovvertire gli schemi e a superare le barriere per affermare le nostre idee. Il regista, avvezzo alle boutade (ricordiamo la trilogia di ‘Smetto quando voglio’ del 2014 che lo ha reso famoso) fa spallucce affrontandolo con grande leggerezza e cimentandosi in un plot fresco e vibrante costellato di spassosi momenti di puro sense of humour che non mancherà di divertire ma anche di far riflettere con un tono semiserio e un timbro accattivante. Degno di nota il ruolo di Tom Wlaschiha, attore tedesco già scelto in passato nei cast di Mike Leigh e di Game of Thrones come pure di ‘Brideshead revisited’ e che in questa pellicola impersona Rudy, un ragazzo intraprendente, selvaggio e donnaiolo che ha disertato il fronte e che cerca una via di riscatto esistenziale. Interessante ed elaborata la scenografia, una palafitta di acciaio grande 400 metri quadrati che doveva essere, secondo l’intendimento di Rosa, un atollo in mezzo all’oceano eretto con tubi metallici svuotati e riempiti d’acqua. Un’opera alquanto singolare, ma anche monumentale per il dispiegamento di mezzi che ha richiesto, e che solo Netflix probabilmente poteva rendere possibile. Davvero affascinante l’andamento caleidoscopico delle inquadrature che conferiscono energia, verve e dinamismo a questo stimolante gioiellino.
Lo spunto per questo film così fantasioso (sembra proprio incredibile che sia tratto da una storia vera…) deriva da una frase che il vero Giorgio Rosa ha pronunciato: “negli anni sessanta lo stato era un nemico perché non ci consentiva di sperimentare liberamente idee che non erano di alcun danno a nessuno; “Per demolire un abuso edilizio lo Stato impiega degli anni, quando va bene. All’Isola delle Rose, che non era neppure in Italia, venne riservata una delle rare esecuzioni lampo”. Inoltre, aggiunge chi scrive sulla scorta delle osservazioni degli autori, la cosa più curiosa è che l’unica guerra vinta da un paese che in base alla nostra costituzione avrebbe dovuto ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, fu quella che il governo di Leone sferrò alla nostra isola”. E questo deve farci davvero riflettere.