Lo sfondo è una Torino bene dei primi ’50, un gruppo di amiche impellicciate si scambia consigli su creme di bellezza e su luoghi di villeggiatura. Sono donne il cui unico pensiero è cosa indossare al primo appuntamento o scegliere se tornare col marito ricco e assente oppure vivere una vita sole, questo almeno apparentemente.
Fino a quando una di loro tenta il suicidio. Il suo nome è Rosetta, una bella ragazza timida e discreta, che a differenza del gruppo ciarliero è più taciturna e più schiva. I motivi di questa sofferenza sfuggono alle ragazze, a sciogliere la matassa sarà Clelia, l’estranea del gruppo, la responsabile di un elegante atelier appena avviato.
Clelia stringe amicizia con loro e durante un viaggio di ritorno da una gita al mare, comprende che dietro la scelta di quella triste ragazza c’è un uomo: Rosetta infatti ammette di essere innamorata di Lorenzo, un uomo sposato di cui è l’amante.
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Tra una sfilata di moda all’atelier e un flirting annoiato – “Tutti siamo stanchi ma non è una buona ragione per dirlo, si fa finta, si fa sempre finta” dirà Momina, la più cinica delle ragazze rivolgendosi allo sbadiglio del corteggiatore, – la storia clandestina dei due romantici amanti si consuma sotto gli occhi di una moglie che soffre, tradita dall’amica e dal marito, ma non si frappone alle loro scappatelle, e annuncerà la sua partenza per l’America per motivi di lavoro.
Alla notizia Lorenzo, il marito fedifrago, tornerà piagnucolando all’ovile con la coda tra le gambe e lasciando la povera Rosetta, ingenua, illusa e con le ferite di un tentato suicidio che stavolta porterà a termine.
Tutta la combriccola a questo punto si sentirà sporcata dal senso di colpa, chi per non averla protetta, chi per averla lasciata, chi per averla spinta tra le braccia di un uomo impegnato.
Ciascun personaggio femminile è perfettamente profilato: Rosetta è la romantica illusa che cede alle languide bugie di un artista fallito (Lorenzo) e bisognoso di attenzioni, un uomo geloso del successo della compagna (Nene) e che cerca in una donna sola, disponibile e con la giornata libera, le parole di incoraggiamento e le lodi che accrescono il suo narcisismo.
Momina è la più cinica, manca di empatia e non perde occasione per dimostrare al gruppo il suo senso di superiorità. Un’amica l’additerà in questo modo: “Tu hai sempre l’aria del genio in mezzo ai deficienti“.
“Può darsi che sia la verità“.
Mariella è la più frivola e la più leggera, si annoia facilmente e per passare il tempo bacia i ragazzi di tutte. Anche la sua allegria non manca di ipocrisia: arrabbiata con Momina che la accusa di essere sciocca, sedurrà e provocherà l’uomo dell’amica, per poi pentirsene ed abbracciarla.
Quello di Michelangelo Antonioni è il ritratto di una borghesia anni ’50 con troppo tempo a disposizione, lascia alle uniche donne impegnate in un lavoro che le rendono indipendenti e libere dalle schiavitù dell’amore, l’ultima frase del film: “Non ho mai il tempo di pensare, e questa è una gran fortuna.”
“Le amiche”, Michelangelo Antonioni 1955