Per quanto tempo ci è rimasta impressa nella mente l’immagine macabra del teschio della signora Bates e quanto l’espressione inquietante negli occhi di Norman, quel ghigno maligno e pieno di misteri e di allusioni che solo un malato può avere?
La risposta è in tasca a chi “Psycho” l’ha visto anche per una sola volta, perché certo è un capolavoro difficilmente dimenticabile. Il maestro del brivido Alfred Hitchcock ha lasciato un’impronta ingombrante quanto la sua persona con questa pellicola, un film che ha influenzato registi delle generazioni che lo hanno succeduto, divisi da chi tenta di emularlo, chi lo idolatra e ritiene le sue opere intoccabili e chi invece, uno su tutti, ha deciso di rendergli omaggio con una “copia dichiarata”. Il nome dell’impavido fautore è Gus Van Sant, che con “Psycho” del 1998 ha girato un film identico per trama, luoghi e dialoghi, ma con delle modifiche “studiate” che parlano con l’occhio del regista contemporaneo.
“Psycho” di Van Sant è stato oggetto di numerose polemiche, come volevasi dimostrare, certamente attese dall’autore, ha ricevuto elogi ma anche pomodori marci, non si può però non premiare il coraggio di chi ha voluto recuperare la Sacra Sindone e colorarla con tempere acriliche.
Quando lo si guarda, il remake, si è sconcertati. In primis perché davvero non ci si capacita sulla temerarietà di Van Sant, in secondo luogo perché si tenta di capire l’azione che, alla prima visione, pare disperata come il salvataggio del Titanic. Tutto quello che vediamo, i dettagli, gli attori, i colori, sprofondano nel mare dei dubbi e dei perché. Credo che per poter dare un giudizio per lo meno “lucido”, lo si debba riguardare due, tre, quattro volte, cercando di entrare nel vivo dell’intento e forse si giungerà ad impressioni diverse dai preconcetti che urlano al disastro.
Visto a distanza di tempo, Psycho di Van Sant vi sembrerà un semplice omaggio, come quello che la devota porta all’altare della chiesa, come il petit cadeau che l’alunno iniziato alle arti porta al suo maestro, saggio dei consigli appresi.
Cosa vuole aggiungere e cosa vuole togliere Gus Van Sant al Sacro Graal hitchcockiano? Niente. Esattamente niente. Pare invece voglia dire “ti idolatro e questo film avrei voluto farlo io”, una sorta di gelosia che non è invidia, ma rispetto, devozione e stima.
Van Sant ha reso tutto “moderno”. Ha girato la pellicola a colori, togliendo il fascino e il mistero e i chiaro scuri così potenti del bianco e nero, ha aggiunto un sottotesto di omosessualità in Norman, il protagonista, tenendo la camera su di lui mediante i suoi passi, i gesti, alcuni delicati movimenti, ha esplicitato alcune scene, come quella iniziale dove compaiono dei nudi e quella in cui Norman Bates spia Marion nuda, masturbandosi, mentre Hitchcock lasciava tutto elegantemente sottinsteso.
Gus Van Sant sceglie poi un attore troppo bello e troppo maschio per il personaggio di Norman, l’attore Vince Vaughn, mentre Anthony Perkins, con la sua magrezza, le spalle ricurve, riesce a interpretare meglio il profilo psicologico malato di Norman.
Ma il fatto di cronaca vera su cui si basa Psycho, relativa al serial killer Ed Gein, ha infettato anche il filmmaker Paolo Ranieri, che si è cimentato in un ancor più rocambolesco giro di fune con “Psyco Twice“.
Cos’è Psyco Twice? La sovrapposizione dell’originale alla copia, un cortometraggio di 20 minuti dove due donne simili ma di epoche differenti, subiscono e affrontano gli stessi fatti.
Ne esce un brulicare di voci, un brusio di suoni che a poco a poco diventano indistinguibili e somigliano più alla confusione mentale del personaggio Norman Bates che ad un film. A rendere ancora più inquietanti le scene, le musiche di Alberto Modignani.
Qual è l’intento di Paolo Ranieri? Creare un’opera nuova, da due già esistenti, un po’ come fanno alcune stylist cucendo due capi di guardaroba vintage differenti, realizzando un capo moderno ma dal sapore retrò.
Il profilo del serial killer Ed Gein ha ispirato molti altri film, tra cui “Non aprite quella porta“, “Il silenzio degli innocenti“, “Deranged“…, la malattia e la psicosi entrano nel nostro immaginario collettivo attraverso uno schermo, un filtro, un riparo; l’uomo che ha ucciso molte donne e ne ha conservato le pelli per tappezzare la proprio parete di casa affascina e intimorisce, i teschi appesi alle mura come trofei sono solo la diapositiva di un film, il cannibalismo una predilezione culinaria eppure…tutto questo è realmente accaduto!