Khorshid – (Sole) di Majid Majidi – 77mo Festival del Cinema di Venezia
Nei sobborghi di Teheran, in una terra che ci appare solo in televisione tra le notizie di tragedie, sfruttamenti, medievali violenze, esiste invece una realtà che il regista Majid Majidi ha portato sullo schermo del 77mo Festival del Cinema di Venezia. La macchina da presa dentro le vite di bambini costretti a rubare e a delinquere per mantenere le proprie famiglie, tiranne anch’esse e vittime al tempo stesso della propria ignoranza. E’ dalla strada che sono stati scelti gli attori, bambini di dodici anni circa, convincenti fino all’osso, e fotografia umana della tirannia senza scrupoli, dell’infanzia negata, del ricatto senza riscatto.
Ali, il protagonista, ruba gomme insieme a una piccola banda di amici, assoldati da un boss della zona, la madre vive in un manicomio e spesso non gli è permesso di vederla né tantomeno di portarla via da lì.
Per farsi perdonare il furtarello di un piccione da un boss, Alì e i suoi amici hanno una missione: trovare un “tesoro” che si trova esattamente sotto “La scuola del sole”, tra la fogna e il cimitero. Anche i bambini sanno che nelle fogne i tesori non esistono, eppure, nella più totale disperazione, spinti dalla fame e da quel briciolo di speranza e di salvezza, i ragazzi si buttano alla ricerca di qualche anfora colma d’oro, di magici bauli pirateschi colmi di medaglie e argenterie, accecati dalle menzogne di adulti sporcati e infangati da quelle stesse fogne che sono le strade, quelle in cui si sono arresi alla delinquenza e alla violenza.
Tra la soffocante ricerca nei tunnel sotterranei e lo spazio luminoso della scuola, il regista contrappone un’immagine metaforica, il contrasto della prigione a cui sono costretti, che è la vita del fuggitivo, e il barlume di fiducia che il ruolo di un insegnante coltiva nei loro cuori, attraverso la compassione, la fiducia, la bontà.
Un film che inizia come una favola per bambini e che si rivela invece accusa di un modello sociale, una pellicola a cui dobbiamo molto, perchè seme che cresce nelle nostre coscienze, che ci spinge a riflettere e forse a denunciare, ad agire. Il lieto fine in “Sole” però non c’è, rimane la disillusione di un bambino che sognava di portare a quella “luce” la propria mamma malata, e chi si ritrova invece con in mano un pugno di “polvere”.