La cyberwar di ISIS/3

In stile guerra lampo, lo “Stato islamico” è stato in grado di occupare grandi fasce di territorio nelle roccaforti arabe-sunnite di Siria e Iraq nel mese di giugno 2014 e le loro principali città e dichiarare queste aree “califfato”.
Da un punto di vista mediatico, la valorizzazione dei risultati si esprime in un linguaggio giovane e altamente visivo. Quando lo Stato Islamico d’Iraq e al-Sham, prima della dichiarazione del “Califfato”, in una mossa a sorpresa è stato in grado di prendere il controllo di vaste zone dell’Iraq, compresi i centri urbani di Mosul, Tikrit e Samara, l’autostima jihadista è accresciuta enormemente nella loro convinzione di essere pochi eletti ad agire per conto di Dio e secondo la condotta profetica. 
Ciò ha trovato la sua massima espressione social in un format più moderno nell’uso di Twitter da parte dei simpatizzanti. Sono stati ripresi temi e format e narrazioni dei film tipicamente hollywoodiani adoperandoli per descrivere ciò che – secondo loro – stava avvenendo sul campo. 
Alcuni utenti Twitter pro-isis – parte di una rete di cluster di sostenitori di lingua inglese – si sono affrettati a rimodellare manifesti del film “300” per i vittoriosi “800” mujahidin dello “Stato islamico” (tra le beffe, citando il Guardian come fonte della notizia).



I fan e simpatizzanti, non solo creano i propri contenuti o rilanciano contenuti generati da altri utenti, ma capiscono e conoscono i film ed i codici popolari all’interno di cerchie sociali specifiche arrivando a concepire un messaggio veicolato in una strana connessione tra l’iconografia centrale mujahidin e la cultura popolare globale, dominata da elementi da film Western e film specifici. Questo meccanismo di trasmissione di mondi on- e offline è forse l’aspetto più pericoloso dell’uso moderno di Internet da parte degli attivisti jihadisti per sviluppare un movimento radicato nella regione del Medio Oriente e Nord Africa. 
Contemporaneamente, all’interno del “stato”, all’interno delle “province” occupate dall’IS Internet è il collegamento principale per la connessione con il mondo esterno, per chiamare a raccolta i musulmani in tutto il mondo per ottenere un sostegno e nella migliore delle ipotesi per partecipare a questo progetto. 

Lo scenario complessivo quindi si presenta con un IS che fa conquiste in Iraq e dichiara un califfato islamico, gli attivisti dei media integrati lungo le linee del fronte e le loro reti di supporto globali, i mujahedin dei media che valorizzano i loro successi in video HD e con poster e immagini e linguaggio in stile di Hollywood distribuiti via social network e social media. 
In questo scenario sia la diplomazia che le organizzazioni incaricate di relazioni culturali con l’obiettivo di contrastare l’estremismo violento richiedono strategie basate su concetti di rete per contrastarli efficacemente.


La sottocultura jihadista è caratterizzata da una cultura di partecipazione individuale, mentre gli user-generated-content arricchiscono la propaganda di IS. Questi contienuti creati dagli utenti non devono essere sottovalutati. 
Mentre alcuni utenti preferiscono video scabrosi o “film da prima linea”, altri sono più attratti dal “lato civile” di “Stato”, dove l’IS si presenta come uno stato funzionante che fornisce alla popolazione l’energia, l’acqua, la riapertura di negozi di alimentari, o con una brigata di vigili del fuoco a Raqqa. Tutto ciò permette all’IS di rivendicare una superiorità e supremazia totale sulla parte sunnita della popolazione civile e promuove l’immagine “del lato morbido” del gruppo terroristico proponendolo come salvatore che distribuisce aiuti ai loro fratelli e sorelle nel momento di bisogno.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi