Il nuovo mondo dell’informazione

Quella cui stiamo assistendo, non sempre consapevolmente e spesso in modo frammentato, è una vera e propria trasformazione strutturale del giornalismo e del mondo dell’informazione nel nostro Paese. Ma in pochi – anche tra gli addetti ai lavori – se ne sono accorti.
Partiamo da alcune notizie frammentate, apparentemente senza alcun legame diretto.


Il gruppo Repubblica-Espresso si fonde con La Stampa- Secolo XIX. Nasce il più grande gruppo editoriale italiano con radio, siti web e vere e proprie tv online i cui contenuti, nel tempo, spesso superano le audience televisive.
Il Corriere della Sera passa di mano. Dallo storico gruppo di controllo del mondo industriale milanese ad un “editore puro” del mondo dei periodici, a forte vocazione pubblicitaria, proprietario anche di una rete televisiva, La7, che compete ormai alla pari sui contenuti con Rai e Mediaset.
Qualche anno fa la prima grande ristrutturazione della carta stampata aveva visto mettere insieme in QN testate storiche Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno sono ora identici, cambiando solo la testata. L’edizione locale è in un fascicolo interno. Il rapporto tra edizione locale ed edizione nazionale è ribaltato.
Sin qui le concentrazioni, che parlano di riorganizzazione. Ma che parlano anche di un’editoria consapevole di non poter essere più “strumento di potere e di pressione” di qualche gruppo industriale. Che parlano di un’editoria alla ricerca di una strada industriale autonoma, quasi come nel resto del mondo. Concentrazioni che in fin dei conti ci raccontano che quel mondo frastagliato di piccole testate auto-referenti, in un’area linguistica piccola come l’Italia e in cui si legge pochissimo, non avevano ragion d’essere. Tutto questo ha pro, ma anche moltissimi contro in termini di libertà di stampa, di pluralismo dell’informazione, di informazione locale, e di “sbocchi e alternative” professionali.


Nello stesso tempo in cui avvenivano queste forti ristrutturazioni, con qualche anno di ritardo il mondo dell’informazione del nostro paese scopriva il web. Prima come “archivio”. Poi come “vetrina” per metterci dentro i contenuti delle edizioni cartacee. Poi sempre più come contenitore in cui mettere “quello che non c’entrava” fisicamente nell’edizione “nobile”.
Finalmente qualcuno si è accorto che potevano nascere testate “solo web”, nate per il web, che potevano essere più forti e competitive dei “cari vecchi giornali”. Non sul blasone, né sulla riconoscibilità, ma certamente sulla “quantità dell’offerta” di contenuti (non sempre informazione vera e propria).
I giornali di questo paese non si sono fermati un momento a riflettere, ed a scegliere una propria via, autonoma e originale, semmai puntando su un patrimonio immenso fatto di archivi, storia, contenuti unici e autorevoli. Hanno scelto la via decisamente inflazionata di “seguire”.
E questo ha fatto si che oggi non ci sia sostanzialmente differenza tra i siti di un giornale e un qualsiasi sito di contenuti generici, di “raccoglitori di blogger” e quant’altro. Non che ci sia niente di male in sé. Ma quello che manca è la risposta alla domanda “qual è la differenza tra l’informazione professionale e professionista?”. Quella per intenderci per cui un utente dovrebbe essere disposto a pagare dei soldi, dal momento che – in molti casi – è davvero difficile trovare le righe di notizia tra link, pubblicità, adv, pop-up, inserti e cornici e “…continua a leggere” e quando un video di 20 secondi ne ha 30 di pubblicità prima e un banner (quando non due) sopra.


Mentre si inseguiva il web, accadeva che la rete andava più veloce dei giornali.
Nel bene e nel male le aziende dell’informazione native digitali erano liberi da pesi e costi industriali del passato. La loro non era una innovazione o uno sviluppo, ma era “il prodotto”. E questo le ha rese libere anche di sbagliare ma prima di tutto di scegliere vie e modelli alternativi, che spesso hanno incontrato più immediatamente i gusti e le esigenze dei lettori.
Tutto questo fa si che oggi sempre più spesso i gruppi editoriali classici, più che immaginare un percorso proprio, tendano ad acquisire realtà della rete per “farle proprie”.
Qualche volta costa meno, ma molto spesso il rischio è di acquisire qualcosa che “appare vincente” ma che in realtà la rete considera quasi decotto.
E accade sempre più spesso anche che invece realtà native digitali attraggano redattori dalle testate tradizionali, offrendo anche a parità di retribuzione (ma fosse anche meno non è questa la discriminante) più spazi, autonomia, e possibile creatività.
Del resto l’elemento centrale resta il pubblico, che è anche visibilità personale, e se al netto di bounce, click-baiting, pagine-fantasma, click acquistati e sistemi vai ed eventuali, comunque, alla fine, quel contenuto online raggiunge nel tempo cinque volte i lettori della carta stampata, la riflessione, anche professionale, è più che aperta.


Il quadro va completato con qualche nota sulla stampa locale. Quella stampa fatta di piccoli quotidiani e settimanali che hanno un potenziale immenso: la notizia del e dal territorio. 
Essere cioè non solo vetrina reportistica, ma vero e proprio punto di riferimento per ciò che avviene in un’area specifica. Proprio quella “geolocalizzazione” di contenuti (e quindi inevitabilmente anche di lettori) che è la merce più cara oggi sul web.
Per loro il web sarebbe una risorsa immensa. Raccolta di pubblicità locale, mirata e geolocalizzata, visibilità dei contenuti, gestione dell’archivio storico e tematico.
E tuttavia questa rivoluzione digitale, per loro salvifica, è impedita da almeno due limiti.
Mancanza di risorse umane, perchè spesso parliamo di testate con organici ridotti all’osso, e soprattutto mancanza di risorse da investire in un vero progetto industriale di informazione locale online, perché parliamo di testate già in difficoltà sul fronte del bilancio ordinario.


È in questo quadro generale – fatto di concentrazioni ai limiti della legalità sia sul fronte della distribuzione che sul fronte della raccolta pubblicitaria – che si inserisce la proposta di riforma dell’editoria, in agenda in questi mesi.

Francesco Iandola; Miriam De Nicolo; Max Papeschi