Un Mare Fuori di gangster
Io non so voi, ma cari lettori di SNOB, sono un po’ preoccupata da questa necessità di sentirsi gangster.
Anni fa la voglia di chi usciva da quartieri disagiati grazie alla musica, al successo ottenuto a fatica portando fuori il proprio pensiero, la faceva da padrone nella Eight Miles di Eminem.
Oggi invece, la necessità (lo dicono i grandi numeri) della generazione attuale è quella di sentirsi un gangster, anche se non si appartiene a contesti culturali difficili, di sentirsi parte di qualcosa di brutto per potersi autogiustificare forse. La musica della colonna sonora di Mare Fuori lascia a tratti un po’ basiti, con testi quasi mai chiari. Riconosco un aspetto interessante, ovvero quello di mischiare gli archi ad un parlato quasi trap local. Voci quasi mai intonate, l’intonazione è ormai un di più, e forse in questo grande contesto di gangster ci si può concedere di non esserlo no?
Perché è questo che fa quel tipo di storytelling no? Non sono preciso, non sono intonato, ma perdonamelo: forse non ho potuto studiare, non ho potuto fare di più. Apprezza di me quello che so dirti a modo mio, con quella veracità che mi contraddistingue, quella imperfezione che fa di me un artista.
Mi ha stupito però, devo ammetterlo, leggere numeri importanti non solo nei pezzi cantati, che potrebbero essere un po’ falsati dal potere del personaggio, ma anche in sole composizioni d’ambiente, che fanno alla serie TV un contorno inquietante, devo dire ben scritte e ben articolate nella loro inquietudine. Definiscono colori scuri, a tratti hanno del classico, ma non sono raffinate come Morricone, lasciano intravedere qualcosa di bello ogni tanto, per poi tornare in quel mood, molto disagiato. Ha una coerenza tutto questo, ma mi sono chiesta: l’ascoltatore perché lo ascolta? Vuole davvero sentirsi così, mentre cammina per strada?
Vuole andare avanti, con quella faccia imbruttita, nella sua eterna adolescenza, nella sua eterna sofferenza da incompreso? Non credo che la società abbia bisogno di questo. O sì?
E perché le generazioni attuali cercano questo mood? Che cosa vogliono provare, cosa vogliono sentire?
Che stiano cercando di dirci qualcosa? C’è una sofferenza nuova forse: un non ascolto che fa del dolore enfatizzato e colorato dal folklore napoletano una rappresentazione nuova di se stessi. Una generazione di gangster arrabbiati senza sapere perché, o perché soffocati troppo da poterlo trovare quel motivo.
Ma quasi 40milioni di streaming devono pur dire qualcosa, e non ci si può girare dall’altra parte se non lo si capisce.