Le tragiche notizie degli attentati di Parigi hanno attirato l’attenzione di tutti verso la Ville lumière, ferita dalla violenza, e da parte di tutto il mondo continuano a manifestarsi espressioni di vicinanza e di solidarietà verso il popolo francese.
Tra i segni di questa vicinanza, Roma ne può presentare uno che, alla luce delle circostanze, assume un significato ancora più profondo: la statua di Paolina Borghese, scolpita da Antonio Canova tra il 1805 e il 1808, opera universalmente ammirata, simbolo non solo di un’epoca, cioè l’età neoclassica e napoleonica, ma dell’intera modernità.
La famiglia Borghese è una nobile famiglia romana, originaria della Toscana, che aveva sempre valorizzato il culto dell’arte e della bellezza. Una prova ne è la straordinaria collezione raccolta nella Galleria Borghese fin dal Seicento. Il principe Camillo Borghese, in occasione del matrimonio con Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, incaricò il Canova, che già aveva realizzato una scultura di Napoleone a Milano, di eseguire il ritratto della moglie. La scultura è collocata all’interno della suddetta Galleria.
La statua, in marmo bianco, è un ritratto celebrativo idealizzato. Raffigura la giovane donna nella posa dei ritratti classici romani e, come accadeva nell’antica Roma, nelle vesti di una divinità: in questo caso Venere, vincitrice della gara narrata dalla mitologia greca. Secondo questo mito, un giorno la dea della Discordia, durante un banchetto, lanciò una mela dedicandola “alla più bella”. Ne sorse una disputa tra Era (Giunone), Atena (Minerva) e, appunto, Venere (Afrodite) su chi fosse la più bella. Il troiano Paride, interpellato, la consegnò a Venere: questo primo “concorso di miss universo” (!) scatenò la collera delle due divine eliminate, che diede origine alla guerra di Troia.
La statua si trova in una sala sulla cui volta appare il Giudizio di Paride, affrescato da Domenico De Angelis del 1779. Ed effettivamente nella mano sinistra di Paolina notiamo una mela: lei è la Venere, dea della bellezza, che torna nuovamente ad abbellire il mondo.
Paolina, avvolta da un lieve drappeggio, è delicatamente appoggiata su un divano stile impero. Le pieghe delle vesti e del lenzuolo, la posizione delle braccia e il volto di profilo suggeriscono un movimento di torsione del busto. Il viso della donna, già bellissimo naturalmente, viene esaltato e incorniciato da una preziosa acconciatura dei capelli. Ciò che risalta è la perfetta anatomia, mentre gli elementi decorativi sono ridotti al minimo: solo un bracciale appare al polso della donna-dea. Lo scultore ha caratterizzato in modo diverso le superfici delle diverse parti: la densità dei cuscini e del materasso che si flette sotto il peso del corpo, i drappeggi del tessuto, la delicatezza della pelle, le ciocche della pettinatura. La superficie levigata, secondo la tecnica della cera a fluido, conferisce al soggetto dei toni luminosi rosati, aggiungendo un tocco realistico all’astrazione della scultura. In tal modo il marmo sembra diventare carne viva, che riverbera gli effetti della luce.
La Paolina Borghese incarna alla perfezione il concetto di grazia e bellezza come valori perfetti derivati dal compiuto equilibrio tra arte e natura.
Paragonando Paolina a Venere, Canova intendeva celebrare la bellezza della principessa e con lei il trionfo della famiglia Bonaparte. Ma, al di là dei riferimenti storici, ciò che prevale è la realizzazione di una bellezza ideale, al di fuori del tempo e dello spazio. Questa bellezza non consiste solo in un’esperienza estetica, ma perviene a una profondità etica e spirituale. Il mito del giudizio di Paride, infatti, ci insegna che il sommo valore delle cose non consiste nel potere (rappresentato da Giunone) né nella cultura (Minerva), ma nell’amore. È questa bellezza intrecciata d’amore che salverà il mondo, come direbbe Dostoevskij.
È in quest’ultimo senso che Canova presenta Paolina Borghese: la sua bellezza è una vittoria sul trascorrere del tempo, è un’espressione di eternità, è la proposta di un’armonia civilizzatrice contro l’ottusità della barbarie.