Pressoché sconosciuto in Italia, Sacha Guitry fu un fervido autore, attore, regista, commediografo, scultore e appassionato collezionista d’arte, un dandy che esaltava con grande eleganza l’importanza della leggerezza.
Lo descrivono come megalomane e centrocentrico, quelle personalità bizzarre la cui eccentricità cela qualche guizzo di genio; si sposò ben cinque volte, beveva tre litri di vino al giorno, senza contare la birra e il resto, la sua firma era la rapidità, scriveva commedie in tre, quattro giorni, e aveva il vizio sfrenato per il gioco d’azzardo, che racconta in questo piccolo capolavoro “Memorie di un baro“, edito da Adelphi con traduzione di Davide Tortorella e una bellissima postfazione di Edgardo Franzosini.
Protagonista del romanzo è il caso, a cui viene dedicata l’intera opera, unico e solo a decidere anche per il “baro”, che inizialmente crede di poter decifrare la sorte con numeri e calcoli minuziosi.
L’eroe del libro, baro lo diventa per ironia della sorte, che lo ha reso orfano per intossicazione fungina, uccidendo tutti i componenti della famiglia che lo avevano punito lasciandolo a letto senza cena. Sarà quindi il solo sopravvissuto e girerà per la Francia in cerca di fortuna. Prima e grande certezza di questi viaggi repentini, è che “essere ricchi non è avere soldi, ma spenderli”.
Parigi? Non gli piacerà. Non eccellente, no, troppe ragazze sui marciapiedi, troppa grandezza, troppa miseria, un misto indefinibile di spirito, gusto, snobismo, balordaggine, spericolatezza e amoralità. E’ invece Monte-Carlo a ispirarlo, città dove ogni straniero può sentirsi a casa propria; qui si insedia dapprima come croupier e poi come baro, troverà una moglie che diventerà anche sua complice al gioco e incontrerà il suo destino.
“Memorie di un baro” si fa leggere d’un fiato, inizia come un noir, si apre come romanzo d’avventura, si completa di preziosi bozzetti dove compaiono in piccoli tratti le figure che il narratore incontra nella storia, e si chiude con una morale:
“Il gioco è immorale?
E allora perché si incoraggiano le corse dei cavalli, si tollera la Borsa valori- guai a chiamarli giochi d’azzardo-, si chiude un occhio sulle lotterie, che si fregiano perfino dell’appellativo di nazionali?”