Palazzo Reale è la sede di mostre non solo dedicate ai grandi artisti, ma anche ai collezionisti più famosi che resero Milano la capitale di questa prassi.
È il caso dell’esposizione dedicata a Geo Poletti, artista, ma soprattutto grande conoscitore e grande collezionista, allestita nell’appartamento dei Principi, al primo piano di Palazzo Reale di Milano, dal 1 al 24 marzo 2019, nell’ambito dell’iniziativa MuseoCity. Curata da Paolo Biscottini, direttore di MuseoCity, e Annalisa Zanni, la mostra intende presentarci le capacità di collezionista e critico di Poletti, attraverso la raccolta di dipinti, del ‘600 e del ‘700, raffiguranti Nature Morte, ma anche la sua figura di artista, tramite le tele da lui stesso eseguite nell’arco della sua vita. Sì, perché quella di Geo Poletti fu una vita al servizio dell’Arte.
Ruggero, detto Geo, Poletti nacque a Milano nel 1926. La famiglia possedeva una villa a Bellagio: qui il giovane Geo soggiornò durante la Seconda Guerra Mondiale e qui conobbe il maestro che lo avrebbe spinto alla carriera artistica, Mario Sironi. Finito il conflitto, Geo tornò a Milano ma, nei primi anni ’50, seguì il padre a San Paolo del Brasile, dove ebbe modo di affinare uno stile pittorico legato al primitivismo. Tornato in Italia, strinse amicizia con il grande critico Roberto Longhi, che lo instradò verso quella passione per il XVII secolo che avrebbe indotto Alberto Arbasino a chiamarlo “il più grande conoscitore milanese della Pittura del Seicento”. Con Longhi, Poletti approfondì soprattutto Caravaggio e i suoi seguaci, ma anche vari altri pittori del nostro Seicento, dai bolognesi legati ai Carracci ai napoletani come Caracciolo, Stanzione e Cavallino. Si interessò moltissimo anche agli artisti spagnoli dello stesso secolo, come Velazquez e Ribera. Nello stesso tempo, studiò anche i moderni e i contemporanei, da De Chirico ai Futuristi fino a uno dei modelli di riferimento per la sua Pittura, ovvero Francis Bacon. Con gli anni ’60, Poletti si diede quasi esclusivamente al collezionismo, dipingendo solo per diletto personale. Iniziò a raccogliere opere del Seicento e del Settecento e intraprese viaggi a Londra per entrare in contatto con il mercato antiquario internazionale e per arricchire la sua collezione, composta per lo più da Nature Morte. Studiò non solo nomi di peso della Pittura lombarda come Tanzio da Varallo, Giacomo Ceruti, Fra Galgario e Cerano, ma anche personaggi fino allora considerati minori, come il bolognese Bartolomeo Passerotti o il comasco Paolo Pagani, pittore pochissimo attivo in Patria ma celebre nell’area austriaca e boema. La sua collezione è stata visitata da molti critici, studiosi e conoscitori, da Federico Zeri a Vittorio Sgarbi, che ne hanno fatto un punto di riferimento per le loro attribuzioni. Negli anni ’90, con l’amata moglie Giulia, anch’essa pittrice, acquistò una villa dal FAI a Lenno, sul suo adorato ramo del Lago di Como. Qui, Geo Poletti è morto nel 2012, lasciando agli eredi una collezione di inestimabile valore.
Proprio grazie agli eredi Poletti è stato possibile ricostruire, nelle sale del primo piano di Palazzo Reale, una parte della collezione di Geo. Si tratta di venticinque nature morte del XVII e XVIII secolo, molte delle quali ancora di dubbia attribuzione, appartenute al maestro, il quale aveva fatto i nomi dei pittori che compaiono oggi sui cartellini. Queste opere sono, per la prima volta, esposte al pubblico e intendono essere una sorta di riflessione sul concetto di Natura, proprio negli stessi giorni in cui inaugura una grande mostra a tema attigua all’esposizione dedicata a Poletti. La Natura, dalle opere che possiamo osservare, non è esercizio stilistico, né monito moralistico alla caducità della vita, ma qualcosa di vivo, di quotidiano, diretto nella sua purezza e semplice straordinarietà, sempre in grado di stupirci.
Proprio questo effetto ci fa, appena entriamo, la tela di Giacomo Ceruti, pittore molto amato da Geo, con una testa di maiale su un piatto d’argento, messa lì, davanti ai nostri occhi, ma senza il colare del sangue delle macellerie dei Carracci, bensì con un semplice tocco di bianco con cui l’artista bresciano settecentesco rende incarnato e pelo dell’animale. Accanto, possiamo osservare una riflessione del bergamasco Evaristo Baschenis sulla Canestra di frutta di Caravaggio all’Ambrosiana, ridotta in chiave più semplice e “povera”, com’era tipico di un artista di provincia, e un tripudio di fiori, frutti e selvaggina dello spagnolo Luis Melendez, che approfondì il genere a Napoli. Seguono una serie di opere, come la Vecchia con cesta di funghi, che Geo Poletti attribuì ai Carracci, ma su cui non abbiamo prove certe che si tratti di uno dei maestri bolognesi, e una meravigliosa tela, di scuola olandese a cavallo tra Seicento e Settecento, raffigurante diverse varietà di volatili, che il maestro attribuì all’ungherese Tobias Stranover.
Nella sala successiva compaiono vari piccoli dipinti raffiguranti uccelli, tra cui spiccano i Piccioni del romano Arcangelo Resani, autentico re della Natura Morta tra Emilia e Romagna a cavallo dei due secoli dopo una breve carriera da pittore sacro, da collocarsi nella fase tarda della sua produzione, influenzata dal chiaroscuro di Giuseppe Maria Crespi, ma anche due opere raffiguranti colombe, una di ambito napoletano, attribuita a Bernardo Cavallino per il tono naturalistico e caravaggesco, l’altra del Settecento veneto, che Poletti assegnò, senza riscontri sicuri, a Giandomenico Tiepolo.
A seguire, degno di nota è il Ragazzo con cesta di frutta e cacciagione, che stupisce per la somiglianza con il Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio. Si tratta di una tela di dimensioni medie, raffigurante un giovane, quasi efebico nella sua bellezza, che si è introdotto di nascosto in una cucina ed è colto dallo stupore del tripudio naturalistico della Natura Morta. Il dipinto venne assegnato da Poletti, con conferme di altri studiosi, all’olandese Henrik Terbruggen, che soggiornò a Roma nel primo decennio del Seicento e iniziò a seguire l’esempio di Caravaggio nelle sue Nature Morte e nelle raffigurazioni di genere.
La sala successiva ospita un’opera quasi sicuramente attribuibile all’artista più amato da Geo Poletti, il genovese Bernardo Strozzi, pittore di Nature Morte, di cui il collezionista raccolse molte tele, influenzate da Caravaggio ma approfondite nel tasso scenografico e nell’impostazione della luce, più chiara e sicuramente frutto del suo lungo soggiorno veneziano. La prova migliore è il Catino con fiori, che, per l’impaginazione, ricorda moltissimo la Canestra di Caravaggio, autentico modello per la Natura Morta del ‘600 in Italia, ma che, nel colore e nella pennellata, rimanda alla mano del pittore genovese, così come nel semplice ripiano su cui poggia il catino, di ascendenza fiamminga e olandese. Concludono la carrellata di opere, alcune Nature Morte di ambito napoletano, attribuite da Poletti ai Recco e a Luca Forte, insieme a un’altra di ambito romano, che il conoscitore assegnò a Simone del Tintore, caravaggesco lucchese attivo nell’Urbe a cavallo tra Sei e Settecento.
Degna appendice della mostra sono alcune prove pittoriche di Geo Poletti, che attestano il parallelismo tra la sua verve critica e una Pittura influenzata, nella stesura del colore, dall’Impressionismo e dal Verismo di Morlotti, specie per le raffigurazioni del giardino della villa di Bellagio, con pennellate dense e veloci, così come, nello studio della figura umana, dal trionfalismo di Sironi e dal primitivismo, come provato dal suo autoritratto, in cui il volto pare estratto da una maschera africana.
Le Nature Morte di Geo Poletti
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì 14.30-19.30
martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9.30-19.30
giovedì-sabato 9.30-22.30
Ingresso libero
Info: www.museocity.it