Assistiamo in questo libro a due evoluzioni: quella della storia dell’uomo e quella del protagonista, Giulio Ferraro, ricercatore universitario con il sogno di diventare archeologo.
“Esoscheletro distopico” è un libro diagramma di flusso, inizia in una piccola aula universitaria e si espande in infinite informazioni che si immettono con collegamenti, a cui si aggiugono blocchi e ragionamenti. Qui il lettore curioso ha da divertirsi, perchè la storia del libro non è solo la storia di un giovane sognatore, ma la storia dell’umanità intera.
Giuseppe Foderaro, autore di “Esoscheletro distopico”, ha dato vita alla sua grande passione, quella per la scienza; attraverso i dialoghi dei protagonisti (che sappiamo come essere vestiti; conosciamo i loro feticismi, come la visione dello sciogliersi di trecce di una fanciulla; le loro abitudini, la lista della spesa sempre dimenticata alla calamita del frigo) assistiamo al quesito più antico del mondo: da dove veniamo?
In un romanzo che porta in sé saggistica, avventura e giornalismo d’inchiesta, Giuseppe Foderaro ci regala una serie di informazioni che parlano di noi, dei nostri antenati, di paleontropologia.
“Siamo figli di una ibridazione tra Sapiens e ominidi usciti dalla loro terra africana; l’Asia è probabilmente la culla dell’umanità; siamo un popolo evoluto dal punto di vista biologico ed involuto culturalmente; la nostra laringe nei primi due anni di vita è posizionata in alto per permettere ai neonati di poppare senza strozzarsi, come succede per i mammiferi che possono mangiare e respirare allo stesso tempo” sono solo alcune delle ricerche scientifiche che l’autore riporta e che ci invogliano a cercare e cercare, Google alla mano, come dei veri e propri archeologi in tutta comodità sul divano di casa.
“Esoscheletro distopico” ci presenta la risposta all’antica domanda, si arricchisce di colorate similitudini, di descrizioni tecniche e cristalline, di personaggi su cui fare il tifo, come il protagonista, il giovane Giulio che ci accompagna, mano nella mano, in questo lungo viaggio all’indietro, lungo duecentomila anni.
Giuseppe dove hai fatto ricerca per la stesura del romanzo?
Ho consumato tutti i testi della Facoltà di Archeologia e culture del Mondo Antico dell’Alma Mater di Bologna, e altri testi della Sapienza di Roma, oltre che le riviste scientifiche come Nature e Science.
Quanto c’è di vero e quanto di inventato nel romanzo?
È tutto vero. Sull’esito delle ricerche finali ho mixato un’insieme di teorie, visto che la storia dell’evoluzione è ancora tutta in divenire. Ho finito di scrivere il romanzo alla fine del 2017 e consegnato il manoscritto a Mursia, la casa editrice, a maggio 2018, fino ad allora si pensava che i Sapiens si fossero sviluppati soltanto nel Corno d’Africa 150mila anni fa e avessero lasciato l’Africa per l’Eurasia 60mila anni fa. Soltanto dopo le nuove ricerche hanno stabilito che i Sapiens si siano sviluppati in Africa molto prima (315/320mila anni fa), e non solo nel Corno d’Africa (Africa orientale), bensì un po’ in tutto il continente e che abbiano lasciato l’Africa 200mila anni fa.
In particolare, i Sapiens da cui deriviamo noi, quelli più evoluti, hanno lasciato l’Africa 135mila anni fa, a seguito della Glaciazione Wurm (nel Pleistocene). Ma le teorie raccontate nel mio romanzo sono quelle in voga nel 2017.
Da dove arriva questa passione per la paleontropologia?
Deriva dalla domanda che un po’ tutti ci poniamo: come siamo arrivati fin qui? Ed è vero che ci siamo evoluti, visto lo scenario mondiale in cui ci troviamo calati, nostro malgrado?
La mia risposta è che ci siamo evoluti più a livello biologico che culturale.
L’antropocentrismo, il narcisismo dell’uomo, è tale che gli esseri viventi vengono ancora classificati secondo una scala che vede l’uomo occupare le posizioni più elevate, ma è una forzatura. Noi ci sopravvalutiamo. L’uomo non è più evoluto di una carota o di un batterio; tutti gli organismi viventi sono la manifestazione di un processo evolutivo cominciato circa 4miliardi di anni fa, con la nascita della Terra.
Perché non ci siamo evoluti culturalmente?
Perché la nostra ambizione ci porta a modificare gli ecosistemi a discapito di tutto il resto. Non sappiamo vivere in simbiosi con la natura (cosa che invece facevano i Neanderthal).
Anziché La Sapienza, che ci fa chiamare Homo Sapiens, noi abbiamo un’altra peculiarità che è la narratività, ovvero la capacità di strutturare le storie. E questa cosa ci ha sempre salvati.
Nel ‘67 un etnologo tedesco (Kurt Ranke) ha coniato il termine Homo Narrans, proprio perché è attraverso le storie che noi impariamo il mondo; se non trasmetti ad altri le tue conoscenze sei morto. E l’essere umano ovunque vada lascia un segno.
Per tutto il resto, il nostro desiderio di incrementare la demografia e l’economia in maniera selvaggia e incontrollata sta distruggendo il mondo, i suoi ecosistemi, il clima, ecc.
Cosa c’è di te nei personaggi che hai descritto?
L’amore per la scienza.
La scienza a volte può rivelarsi quasi poetica, quando ti fa ben sperare in un futuro migliore.
Perché le risposte le troviamo lì, ed è nel sogno di volerle cercare quelle risposte che immagino un mondo diverso domani
Poetica come le storie delle Sacre Scritture?
Io sono credente, ma per un mio retaggio culturale/familiare. Per un imprinting più che per una convinzione. Credo che le sacre scritture siano più che altro i testi scientifici, quelli seri e comprovati.
Dobbiamo continuare a meravigliarci e a viaggiare ed esplorare senza aspettare un deus ex machina che ci risolva i problemi.
Quindi il paragone che fai nel romanzo tra sacre scritture e scienza non è un tuo pensiero, lo affibbi al personaggio
Sì, io cerco sempre di astrarmi quanto possibile da ciò che scrivo, anche se poi ciò avviene solo in parte, per forza di cose. Ma i miei personaggi pensano e agiscono in maniera autonoma.
Io nonostante tutto credo ancora nell’essenza del genere umano (e molto meno nei suoi comportamenti).
L’uomo tutt’oggi pensa poco e male. E questa è una rovina. Molti credono che i nostri cervelli si siano evoluti per aumentare il cosiddetto ragionamento astratto (pianificare le cose, organizzare concetti, produrre nuove informazioni). In realtà la natura ha fatto crescere i nostri cervelli non per pensare (e questo spiega l’arcano!), bensì per far fronte a maggiori capacità sociali, per farci vivere in gruppi sempre più grandi.
E vivere in gruppi sempre più grandi è una vera impresa (competizioni e lotte necessitano di forti abilità sociali); quindi siamo più strateghi, al massimo, che pensatori.
È tutta una questione di sopravvivenza, e di prevalenza in un gruppo sociale.
- “Esoscheletro distopico” : 250 pagine
- Editore : Ugo Mursia Editore (27 agosto 2020)
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