Dopo quasi cinquant’anni dalla retrospettiva che Villa Medici gli dedico’, torna in Italia presso Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la mostra di Gustave Courbet, padre del realismo e uno dei più grandi pittori dell’Ottocento.
“Courbet e la natura“, mostra organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, racconta l’importanza storico-artistica del pittore francese che ha dato voce a Madre Natura, ha dato carattere alle vallate della Loue, ha intriso di nostalgia i laghi della Svizzera, quelli dipinti durante il suo esilio.
Nessuno come Courbet ha saputo dare il soffio umano alla natura che ci circonda, così come l’uomo fece con il Golem; le sue opere diventano presto modello di riferimento per gli artisti che lo seguirono: Monet, Manet, Degas…
Esattamente 49 le opere provenienti dai principali musei europei ed americani, formano il percorso espositivo di quell’uomo sicuro delle sue capacità e dei suoi mezzi, così come ci viene detto dal suo primo “Autoritratto con cane nero” (1842) in cui un Courbet appena venticinquenne vestito come un vero dandy, si mostra accompagnato dal suo spaniel sullo sfondo della natia Franca Contea.
E’ una ricerca profonda e ossessiva quella di Courbet, che della sua produzione lavora per i due terzi sulla natura.
Misteriose le grotte da cui scaturiscono sorgenti alle cavità carsiche, buio e luce, sono questi gli elementi che lo attraggono a quei luoghi come una calamita, spazi in cui si perde, in cui gode silenziosamente di quella solitudine che non gli faceva paura, i luoghi remoti e nascosti “delle valli del suo paese“.
Potenza e mistero erano qui rappresentati con un minuzioso tocco di spatola, che restituisse alla tela la materia di cui erano fatte quelle rocce, la spigolosità e la profondità di quelle grotte.
Anche se è vero il detto che recita “tutto il mondo è paese“, non è altrettanto vero che la luce sia uguale in tutti i luoghi del mondo.
Gustave Courbet ci riporta dai suoi diari, che sono le sue stesse tele, tutte le intensità di luce dei suoi viaggi. Limpidi i cieli di Liverpool e di Hartford, trasparenti le atmosfere e cheti i paesaggi.
Tra il 1865 e il 1869, l’artista soggiorna spesso in Normandia dove, oltre agli amici, incontra l’oceano, le sue violente tempeste, le architetture naturali, il mare che cambia sempre forma e colore, il mare meteoropatico, il mare adirato e poi placido. E’ in questi che luoghi che sperimenta una personale tecnica pittorica, in cui subentrano mezzi quali stracci, spatole, ma anche polpastrelli.
La tela diviene fotografia di quei mari, possiamo sentirne il suono, la risacca sulla battigia, l’infrangersi delle onde sugli scogli, lo scricchiolìo dei sassi bagnati dall’acqua.
Cézanne, che venerava il maestro diceva:
“Le onde di Courbet sembrano arrivare dalla notte dei tempi“.
Sempre lirici i dipinti del pittore francese, dalla rappresentazione di una quercia a quella di una “Giovane bagnante” (1866), la rivoluzione pittorica sta nella relazione tra l’essere umano e la natura, un legame talmente forte da rendere i due soggetti indissolubili, uniti per destino e inseparabili.
Quale profonda emozione legava il pittore alla natura? Che volesse esprimere forse il suo stato di grazia quando ne rimaneva immerso delle ore, durante la pittura o nelle sue lunghe passeggiate, solo o in compagnia di qualche amico con cui parlare? Che sia stato così buono da volerci regalare quei suoi momenti di gioia e di pace che sente l’uomo saggio, così vicini al pastore più che all’uomo del commercio? Che lui, come Tolstoy in “Anna Karenina” o Bertrand Russell in “La conquista della felicità” voglia dirci quanto la natura sia portatrice di pace e di energia positiva?
Riuscirci ci è riuscito, anche senza l’uso della parola, ci è arrivato con i colori, con la pastosità della materia, abbiamo vissuto con lui la nostalgia dell’esule sul lago Lemano in Svizzera, la parabola malinconica di quei profili montuosi, le vedute lacustri e i suoi riflessi sullo specchio d’acqua.
Ma, testimonianza della sua grandezza pittorica, è la rappresentazione della caccia, il senso di impotenza dell’uomo di fronte alle leggi della natura. Tele in cui il cielo domina sulla terra, grandi formati che prima erano destinati alle scene storiche e bibliche, Courbet li dedica alla caccia. Con questo tema il pittore arriva sulla punta dell’iceberg, governa in grandezza, attinge da una tradizione pittorica che spazia dai maestri fiamminghi del Seicento ai contemporanei inglesi.
Dipinge ciò che conosce, apprendiamo infatti dalle sue numerose lettere, che amava trascorrere i mesi invernali della nativa Ornans andando a caccia sulle colline innevate o nei sottoboschi insieme agli amici d’infanzia.
All’amico Jules Castagnary scriveva ” Guarda l’ombra della neve, com’è azzurra!“.
Nello straordinario dipinto “Volpe nella neve” (1860), Courbet esprime con maestria gli effetti coloristici della luce e delle ombre sul candore della neve. Il manto scuro della volpe gli permette di raccontare il contrasto tra i due elementi (natura/animale), con un tocco felpato nella rappresentazione del manto, così reale da poterne sentire la morbidezza, soffice e folto, prende quasi tridimensionalità.
Lo spettatore viene accompagnato nelle varie fasi dell’opera pittorica di un artista che ha lasciato un segno indelebile nell’arte dell’Ottocento fino a noi, le quasi 50 opere scelte sono la sintesi dell’amore che Courbet aveva per la natura e di come si sentisse debitore nei suoi confronti, dedicandogli tutta la sua vita in viaggi e osservazioni.
“Courbet e la natura” è l’esposizione a Palazzo dei Diamanti di Ferrara e rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2019.
(in copertina “Les Demoiselles des bords de la Seine” Gustave Courbet 1856-1857)
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