EXPO 2015 Viaggio intorno al cibo: una sosta letteraria

Proprio per i suoi tanti significati materiali, spirituali e sociali, è ovvio che l’arte si è interessata fortemente al cibo.

Riflettendo sul rapporto tra arte e cibo, possiamo evidenziare tre tipi di arte:


1. l’arte del cibo: la gastronomia e la preparazione della mensa.

2. l’arte per il cibo: ad esempio la ceramica utilizzata per contenere gli alimenti.

3. l’arte sulcibo: il gesto del mangiare e tutto ciò che lo prepara, lo accompagna e lo segue e l’ambiente in cui ciò avviene diventano oggetto di descrizione nella musica, nella pittura, nel cinema e nella letteratura.


Riguardo a questo terzo punto, in tanti romanzi o nelle poesie ci sono scene e situazioni che si svolgono in rapporto al bere o al mangiare. In esse, però, il cibo è più occasionale che centrale: cioè i personaggi dicono o fanno altre cose mentre mangiano, ma non è il cibo il centro dell’interesse del’autore. In una breve commedia di Luigi Pirandello (1867-1936), invece, notiamo che un frutto è proprio l’elemento centrale della composizione, il nucleo intorno al quale si svolge il racconto. La commedia, Lumìe di Sicilia (lumìe significa limoni nel dialetto siciliano), risale al 1910 ed è la riduzione teatrale di una novella precedentemente pubblicata.


La trama è molto semplice. Micuccio Bonavino è un giovane campagnolo siciliano e suona nella banda del paese. Ha aiutato una sua compaesana, Teresina Marnis, nella carriera di cantante lirica e si è fidanzato con lei. Nel frattempo Teresina si è affermata e ora vive in una grande città dell’Italia settentrionale, dove ha conosciuto e frequentato altri uomini, dimenticandosi di Micuccio. Preso contatto con la madre di Teresina, il giovane, che aveva portato anche del denaro ricevuto in prestito durante una malattia, scopre l’amara verità.


I personaggi principali sono Micuccio, Teresina (che, trasferendosi al Nord ha abbreviato il nome in Sina) e la madre di lei. L’azione si svolge in un solo atto.

Pirandello nella didascalia iniziale presenta l’ambientazione:

«La scena rappresenta una camera di passaggio, con scarsa mobilia: un tavolino, alcune sedie. […] Attraverso la camera si scorge un salone splendidamente illuminato con una sontuosa mensa apparecchiata».


Abbiamo dunque due luoghi: uno modesto, l’altro ricco e sfarzoso, pronto per una cena. Qui già si incomincia ad accennare al tema che ci interessa, cioè il cibo e i suoi significati.

Entra in scena il cameriere Ferdinando seguito da Micuccio, il quale ha compiuto un viaggio di due giorni per incontrare la signora Marta, madre di Teresina; ma la chiama ancora con un’espressione tipica del paese: “zia Marta”. Ferdinando e la cameriera Dorina escludono che il giovane possa incontrare la signora, perché: «Vedete, caro. Ci sarà una gran festa. La serata d’onore […] Questa notte si cena. Ah! E che tavolata! Che luminaria!».


Dal dialogo tra Micuccio e i due inservienti veniamo a conoscere che la bellissima voce di Sina è stata scoperta proprio grazie all’affetto di Micuccio, suonatore di ottavino nella banda musicale di Palma Montechiaro. Alla domanda di Dorina circa i suoi sentimenti, Micuccio risponde:


«Io? A Teresina? Mi fate ridere! Mia madre pretendeva che la abbandonassi perché lei, poverina, non aveva nulla, orfana di padre … mentre io, bene o male, il posticino ce l’avevo, nella banda».

E questa povertà di Teresina si precisa anche nella mancanza di alimentazione. Infatti, quando Micuccio decide di impegnarsi per far studiare canto alla ragazza, aggiunge:

«Il pianoforte costava, le carte costavano … e poi Teresina doveva nutrirsi bene per aver forza di cantare. […] Carne, ogni giorno! Me ne posso vantare!».

Anzi, Micuccio fa molto di più:


«Quando un maestro sentì Teresina e disse che sarebbe stato un peccato, un vero peccato non farle proseguire gli studi in una città, in un gran Conservatorio … io presi fuoco: la ruppi con tutti; vendetti il podere che m’aveva lasciato, morendo, un mio zio sacerdote, e mandai Teresina a Napoli, al Conservatorio. […] Quattro anni la mantenni agli studi. Quattro».

E conclude amaramente: «Non l’ho più riveduta, da allora». Nel frattempo la carriera artistica di Teresina aveva preso il volo: Napoli, Roma, Milano, Spagna, Russia. E dunque è tempo di coronare con il matrimonio il sogno d’amore di Micuccio verso la cantante.

All’improvviso suona il campanello: arrivano la madre di Sina e numerosi invitati. Il contrasto tra gli abiti sontuosi indossati da zia Marta e la sua vecchiaia sottolinea la contraddizione che la donna sta vivendo: da una parte vorrebbe tornare alla vita semplice e ai valori del paese siciliano, dall’altra accompagna la figlia ed è costretta a condividerne le scelte. Questo contrasto si esprime nel dialogo che ha con Micuccio:

«MARTA: Adesso di là si cena, capisci? Ammiratori, l’impresario … La carriera, capisci? Ce ne staremo qua noi due. Dorina ci apparecchierà subito subito questo tavolino … e … ceneremo insieme, io e tu, qui, eh? Che ne dici? Noi due soli. Ci ricorderemo dei bei tempi»

E questa distinzione tra «di là» e «di qua» tornerà continuamente nelle parole della donna.

Naturalmente non è possibile andare avanti senza porre la domanda che indica lo scopo della visita del giovane:

«MICUCCIO: E … verrà, vi ha detto? Dico … dico per … per vederla, almeno …

MARTA: Ma certo che verrà! Appena avrà un momentino …».



I due interlocutori continuano a parlare di persone e fatti del paese di origine.

Finalmente anche Marta e Micuccio mangiano. Marta si sente libera di farsi il segno della croce, perché quando è con la figlia e i suoi ammiratori ciò non le è consentito. Così tra ricordi e malinconia trascorrono i minuti, mentre ogni tanto si sentono risate che provengono «di là» e producono in Micuccio un crescente scoraggiamento.

All’improvviso giunge Sina, «tutta frusciante di seta, parata splendidamente di gemme, nudo il seno, nude le spalle, le braccia, si presenta frettolosa». Micuccio «che aveva steso la mano al bicchiere, resta col volto in fiamme, gli occhi sbarrati, la bocca aperta, abbarbagliato e istupidito, a mirare, come innanzi ad un’apparizione di sogno; balbetta il nome di Teresina». Ma lei è tutta sbrigativa e scappa via di nuovo per raggiungere i commensali.

Scende il gelo tra Marta e il giovane. È la presa di coscienza che il sogno di poter sposare la ragazza si è definitivamente infranto. In una tensione crescente che raggiunge il dramma, le parole di Micuccio e di Marta mostrano tutto il degrado morale in cui Teresina è sprofondata per «la carriera». Il giovane decide di andarsene:


«MICUCCIO: State tranquilla. Non le faccio niente. Me ne vado. Che sciocco, zia Marta! Non lo avevo capito … Non piangete, non piangete … Tanto, che fa?».

Ma proprio mentre riprende la valigetta e il sacchetto e si prepara a uscire, gli viene in mente che dentro il sacchetto ci sono i bellissimi limoni, che egli aveva portato per Teresina dal paese. «Oh, me ne scordavo: guardate, zia Marta … Guardate qua …»

«Scioglie la bocca al sacchetto e, facendo riparo d’un braccio, versa sulla tavola i freschi frutti fragranti».

In quel momento giunge Teresina: «Oh! Le lumie! Le lumie!»


«MICUCCIO: (subito fermandola) Tu non le toccare! Tu non devi neanche guardarle da lontano! (ne prende una e la avvicina al naso di zia Marta) Sentite, sentite l’odore del nostro paese … E se mi mettessi a tirarle a una a una sulle teste di quei galantuomini là?

MARTA: No, per carità!

MICUCCIO: Non temete. Sono per voi sola, badate, zia Marta! Le avevo portate per lei … (indica Sina) E dire che ci ho pagato anche il dazio … (vede sulla tavola il danaro, tratto poc’anzi dal portafogli; lo afferra e lo caccia nel petto di Sina, che rompe in pianto). Per te c’è questo, ora. Qua! Qua! Ecco! Così! E basta! Non piangere! Addio, zia Marta! Buona fortuna!».


Ed esce definitivamente, mentre cala il sipario.

Come si può vedere, in questa commedia pirandelliana il cibo diventa occasione d’incontro e di tensione e soprattutto è un simbolo che indica molti significati. Tra i principali, potremmo notare:

a. il rapporto tra città e campagna: la tavola ricca, simbolo di vita artificiale e superficiale, e i bei limoni siciliani, ricordo di una vita semplice e genuina;

b. i valori morali della tradizione in contrasto con l’immoralità e l’egoismo della modernità;

c. rapporto tra presente e passato;

d. due mondi diversi si incontrano e si scontrano: chi dei due vincerà?

e. la nascente industria dello spettacolo, che non raramente corrompe e strumentalizza i sentimenti;

f. il rapporto educativo tra madre e figlia e il senso di fallimento avvertito dalla madre.

Tutto questo e molto altro si concentra intorno alle due cene e soprattutto intorno ai limoni, che in questa commedia diventano simbolo di un’intera visione della vita, che Teresina ha ormai rifiutato.

EXPO 2015: Viaggio statistico intorno al cibo

La statistica è una tecnica e un metodo per indagare i fenomeni collettivi o di massa, quelli che si possono misurare in base a molte osservazioni. In modo particolare si usano gli strumenti matematici e il calcolo delle probabilità, per studiare i fenomeni demografici e sociali. Oggi la statistica è una vera scienza che studia, in base a metodi matematici, fenomeni collettivi di carattere variabile.

Lo studio dei fenomeni collettivi mette in luce relazioni, regolarità, leggi che non erano inizialmente previste e forse nemmeno intuite.


La misura dei fenomeni può avere come oggetto: l’intensità di un fenomeno, le relazioni fra le intensità di due o più fenomeni, la distribuzione di un fenomeno su un territorio o su una fascia sociale, le relazioni fra le distribuzioni di due fenomeni, le relazioni fra le singole modalità delle distribuzioni di due fenomeni.

Il campo di applicazione della statistica è enorme. Basti pensare alla statistica demografica, che studia lo stato e il movimento naturale e sociale della popolazione, i censimenti, le cause di mortalità, le malattie sociali, i fenomeni migratori, la nuzialità, la natalità, le dinamiche di una singola popolazione e così via.


Nel campo che qui ci interessa, cioè il rapporto con il cibo, ogni giorno i mass media ci informano di alcune varianti e di alcune costanti nelle statistiche mondiali. Ecco alcuni degli ultimi dati, elaborati dalle Nazioni Unite e in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dal World Food Programme (WFP) e dall’United Nations International Children’s Emergency Fund (UNICEF), osservatorio privilegiato sulla realtà dell’infanzia.

Ogni anno nel mondo muoiono di fame da 5 a 20 milioni di persone, di cui la maggior parte sono bambini. La fame deriva dal fatto di non disporre della quantità sufficiente di generi alimentari per soddisfare i bisogni nutrizionali.


I segni più evidenti della sottoalimentazione sono la perdita di peso negli adulti e la mancanza di sviluppo nei bambini. Oltre ai morti, grandissimo è il numero di persone che si ammalano per l’indebolimento del sistema immunitario: perciò l’organismo colpito non è in grado di reagire a una serie di infezioni.

I dati dell’OMS indicano che circa 1 miliardo e 300 milioni di persone, cioè statisticamente 1/3 della popolazione mondiale, viaggia verso le 1.500 calorie al giorno. Di queste il 30%, cioè 500 milioni, ha meno di 1.500 calorie.

Il problema più grande, però, consiste nel fatto che circa la metà dei cereali prodotti sulla terra vengono consumati in Occidente, non solo come alimento degli uomini ma anche per gli animali. Con la sola quantità di cereali che gli Stati Uniti e la Russia destinano al bestiame, si potrebbero nutrire un miliardo di persone.


Molte sono le cause che ostacolano o impediscono l’accesso di tanti uomini e donne all’alimentazione: il clima non sempre favorevole, l’arretratezza delle tecniche agricole, la squilibrata distribuzione delle risorse naturali nel mondo, l’instabilità politica di tanti paesi. Va notato che, sempre secondo i dati statistici dell’ONU, le carestie e le guerre provocano solo il 10% delle morti rispetto alla fame, anche se non se ne parla molto nei mezzi di comunicazione.

Molti popoli sono ancora colpiti dalla piaga della fame. È soprattutto il continente africano a essere interessato: lì si soffre una povertà praticamente cronica e molte volte gli aiuti inviati dai paesi progrediti non sono riusciti a produrre effetti di lunga durata. Basti pensare che tre anni fa, su quasi 3 milioni di persone morte per AIDS, il 79% erano africani. Il Corno d’Africa è stato definito «il cuore della disperazione», perché l’80% dei suoi abitanti soffre di gravi malattie legate alla malnutrizione e i bambini perdono i capelli, le unghie e anche il primo strato di pelle.


Sono quasi 1 miliardo le persone che soffrono la fame.


Nel 2001 il WFP ha presentato un rapporto in base al quale si afferma che nel mondo c’è cibo a sufficienza per l’intera popolazione del pianeta. Si tratta, dunque, di mettersi con impegno non tanto nella produzione degli alimenti ma nella loro distribuzione. Bisogna, perciò, sviluppare l’agricoltura nelle zone più povere, proteggere l’economie rurali, introdurre tecnologie agricole più moderne, organizzare centri di allevamento di bestiame, liberare i paesi poveri dall’indebitamento, correggere i cattivi effetti della globalizzazione (specialmente la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, la diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti).

Come si diceva prima, sono soprattutto i bambini le vittime di questo «sterminio per fame». L’UNICEF ha calcolato che ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per cause facilmente prevedibili, mentre molti altri sono colpiti dalla miseria fin dalla nascita e sono costretti a lavorare in condizioni assolutamente disumane: bambini-soldato, vittime di sfruttamento sessuale e forse anche di trapianti abusivi di organi. Oltre 600 milioni, sotto i 5 anni, devono sopravvivere con meno di 1 dollaro al giorno; 200 milioni sono affetti da rachitismo per malnutrizione; 110 milioni non vanno a scuola; 170 milioni sono sottopeso; 2 milioni muoiono per malattie legati al consumo di acqua non potabile; ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25 anni vengono infettati dall’HIV.


Più di 1 miliardo di persone continua a non avere accesso all’acqua potabile e 1/3 della popolazione mondiale non dispone di servizi igienici, soprattutto in Cina, Congo, Etiopia, India.


Certamente dei passi avanti sono stati compiuti. Le statistiche ONU, infatti, ci informano che:

· nel 1980 i morti per fame furono 41 milioni;

· nel 1990 furono 35 milioni;

· nel 2000 furono 24 milioni.

Molto, dunque, si potrà e si dovrà fare anche in futuro.

Purtroppo alcune statistiche evidenziano la grande diseguaglianza che continua a regnare nel mondo:

· 9 miliardi di euro: la cifra necessaria per garantire acqua potabile e impianti sanitari in tutto il mondo;

· 11 miliardi di euro: cifra spesa in Europa nel mercato del gelato;

· 13 miliardi di euro: cifra necessaria per garantire condizioni di salute e alimentazione in tutto il mondo;

· 17 miliardi di euro: cifra spesa in Europa e Stati Uniti per gli animali domestici.


Questi dati mettono in risalto che il problema dell’accesso al cibo non è tanto una questione economica ma culturale e politica.

EXPO 2015: Viaggio economico e giuridico intorno al cibo

L’alimentazione è una necessità fisiologica fondamentale. Perciò, oltre al profilo individuale, il regime alimentare di un popolo è indice del suo livello economico.

Il fabbisogno alimentare viene espresso in calorie e varia a seconda dell’età, del peso, del sesso, della salute, del lavoro, del clima, del metabolismo e delle abitudini alimentari. La caloria è l’unità usata per indicare il contenuto energetico dei vari alimenti e il fabbisogno energetico dell’organismo umano per mantenere il suo bilancio organico. In genere il fabbisogno energetico essenziale per un adulto si calcola in duemila calorie al giorno.


Sul problema fisiologico si innesta quello economico.

Le voci principali per definire un progetto di politica economica sono:

a. le risorse naturali di un territorio: i prodotti forniti dal suolo sono sufficienti per gli abitanti anche in vista del futuro; oppure bisognerà far ricorso ad accordi internazionali, rapporti con i mercati esteri a volte anche per delle convenienze più che veri e propri bisogni;

b. la sua posizione geografica;

c. l’economia agricola e industriale;

d. la demografia;

e. eventi straordinari: carestie, terremoti, …


C’è un aumento complessivo di generi alimentari molto intenso dopo la II Guerra Mondiale. Il patrimonio zootecnico si arricchisce e la produzione di carne raggiunge delle cifre mai viste prima. Forte è l’incremento dei consumi, nonostante alcune crisi ricorrenti, al punto che s’incomincia a parlare di “consumismo” come una nuova ideologia, che sostituisce sia il capitalismo sia soprattutto il comunismo.

Sotto l’aspetto economico è molto importante l’industria alimentare, cioè la trasformazione dei prodotti naturali in generi di consumo più o meno immediato. Le materie prime vengono trasformate in prodotti ormai con criteri industriali, sia utilizzando le macchine che organizzando tutte le fasi del processo. Vediamo così sorgere e svilupparsi industrie interessate a:


a. cereali: la produzione della farina, la pastificazione, il riso, i dolci;

b. latte e derivati: industria del latte, conservazione, produzione di latte in polvere, industria casearia, formaggi, creme, yogurt;

c. materie grasse di origine animale e vegetale: burro, olio d’oliva e di semi;

d. carni: insaccate, inscatolate, …;

e. pesce: conservazione per congelamento, essiccamento, sott’olio, ecc.;

f. prodotti ortofrutticoli: tutto l’ambito della frutta e degli ortaggi, i succhi di frutta, …;

g. vino e derivati: produzione di vini da pasto, vini speciali, aceto, grappa, prodotti alcolici;

h. zuccheri: estrazione dalla bietola, fabbrica di dolci, gelati, marmellate;

i. bevande: acque minerali, birra, aranciata, ecc.


In questo elenco, che potrebbe ancora continua, si nota comunque lo sforzo dell’industria di raggiungere due obiettivi principali: la riduzione dei costi e il consumo di massa.

Varie leggi sanitarie favoriscono la vigilanza sui generi alimentari, basandosi sui concetti fondamentali di lealtà commerciale e di pubblica incolumità. Leggi della macellazione, ad esempio, prevedono che l’abbattimento degli animali va fatto con determinati metodi, in luoghi adeguati ed evitando il più possibile la sofferenza degli animali stessi.

Le norme di legge tendono a evitare un’alimentazione nociva alla salute. Sono norme che proibiscono di contraffare e adulterare gli alimenti e disposizioni che prescrivono delle cautele. L’autorità pubblica ha il potere di ispezionare fabbriche, botteghe, negozi, di prelevare campioni per sottoporli ad analisi, procedere al sequestro e alla distruzione di merci. Controllo importante è quello di tipo doganale, allo scopo di evitare che siano introdotti nel territorio nazionale delle merci non compatibili con le norme d’igiene pubblica.


Un alimento è genuino quando corrisponde per natura, sostanza e qualità al nome sotto il quale è indicato. C’è una differenza tra alterazione e adulterazione degli alimenti: la prima è involontaria, la seconda di solito è intenzionale. Miscele e addizioni producono dei surrogati non sempre adeguati a una sana alimentazione.

Oggi c’è il grande tema degli organismi geneticamente modificati, sui quali è in atto un acceso dibattito.

Un altro argomento che interessa l’opinione pubblica è la gestione dell’acqua. È evidente che l’acqua è un bene essenziale alla vita, perciò ognuno ha diritto di accedere a essa: l’acqua è di tutti. Essa, però, a differenza della luce, se viene utilizzata da uno non è disponibile ad essere usata anche da altri. Inoltre, nel panorama mondiale di oggi, le risorse idriche subiscono un’utilizzazione sconosciuta nei secoli precedenti, a causa dell’accresciuto numero della popolazione, della densità degli agglomerati urbani, dell’emissione di gas che riscaldano l’ambiente e della deforestazione. Perciò la realizzazione concreta di esercitare il diritto all’acqua oggi appare problematico. L’ideale sarebbe la disponibilità effettiva per tutti. Ma assistiamo alla privatizzazione delle risorse idriche da parte d’imprese che operano per conseguire un profitto economico.

I tentativi di riforma si concentrano su alcuni punti: accorpamento dei servizi, tariffe che incoraggino gli investimenti, evitare il monopolio di una singola impresa, controllo da parte di un’istituzione indipendente. Siccome molti di questi passaggi sono affidati alle regioni, non tutte le aree sono organizzate allo stesso livello.


L’aspetto che maggiormente interessa le forze politiche, il dibattito parlamentare e l’opinione pubblica è quello dell’affidamento: si nota una tendenza alla liberalizzazione, cioè ad affidare la gestione delle risorse idriche ai privati; ma c’è anche una controtendenza che preferisce le aziende pubbliche. La competizione tra le varie industrie pubbliche o private dovrebbe avvenire non in base a principi astratti, ma sul concetto di efficienza: i requisiti del servizio, l’operatore più affidabile, vigilanza ed eventuali sanzioni.

C’è, tuttavia, una norma che è alla base di ogni ulteriore intervento legislativo. La norma è stata stabilita dall’ONU nel 2001 ed è un articolo del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali: «Gli Stati parti del presente patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano necessarie per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni».

Una mostra da non perdere Francesco Astiaso Garcia, La Divina Somiglianza

Roma, maggio 2015. Via dei Portoghesi a due passi da Piazza Navona. La chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi, dalla splendida facciata di Martino Longhi il Giovane. Accanto alla chiesa, la Galleria IPSAR, che in questi giorni ospita la mostra La Divina Somiglianza di Francesco Astiaso Garcia, artista italo-spagnolo.

Deve essere un destino della zona, quasi un genius loci; tutti e tre questi personaggi sono giovani, tutti poco più che trentenni: Sant’Antonio di Padova (ma là bisogna dire: da Lisbona), Martino Longhi e Francesco Astiaso. Giovani maturi, con la grinta della giovinezza e tutta la responsabilità dell’età matura.


La mostra è formata da ottanta quadri. Un numero notevole, capace di testimoniare una produzione iniziata quando il maestro Astiaso era ancora bambino. Il leit-motiv dell’esposizione è in queste parole che l’autore consegna alla nostra riflessione: «Ho cercato sempre la maniera di rappresentare la figura umana in modo da fissarne sulla tela l’essenza spirituale e rendere visibile l’invisibile presenza del divino».

Entrando negli spazi espositivi, ben più ampi di quanto siano esternamente percepibili, il visitatore ha l’impressione di immergersi in un’atmosfera senza tempo, quasi una selva dantesca, nella quale è facile smarrirsi non per una sensazione di angoscia ma per un’esuberanza di vita.


Una mostra da non perdere Francesco Astiaso Garcia, La Divina Somiglianza
fig.1



Ogni artista, in modo più o meno consapevole, si mette (e ci mette) in rapporto con la natura. In Astiaso Garcia questa connessione non è solo esplicita, è molto di più: è strutturale. La natura diventa essa stessa parte integrante della materia pittorica. Francesco, in definitiva, non raffigura la natura ma raffigura “con” la natura. I suoi dipinti sembrano essere formati veramente di aria, acqua, terra e fuoco, con tutta la specificità del loro manifestarsi: posseggono l’inafferrabile leggerezza dell’aria, il fluido vagabondare dell’acqua, l’eroica densità della terra, l’insondabile passionalità del fuoco.

Ben si comprende, allora, il senso dell’intera mostra. L’artista, infatti, si muove alla luce di una profonda motivazione religiosa. In quest’ottica, la persona umana non è solo una creatura di Dio, ma ne è l’immagine; è il vertice e la sintesi dell’universo, accogliendo in sé la vertiginosa evoluzione della materia e l’avventuroso stupore dello spirito; è lo specchio nel quale la natura scopre la direzione del suo cammino e si proietta verso una rinnovata identità (fig. 1).


Con il brulicante ritmo della loro presenza i dipinti interrompono il paesaggio di un’esistenza opaca e si aprono come finestre verso una verità umile e incantevole. Il pittore s’immerge e ci immerge in una realtà che va al di là del visibile, ma che costituisce la vera essenza degli esseri e dell’essere. Lo stupore della natura riecheggia nei visi umani soprattutto femminili e, come una cascata di bellezza, inonda lo sguardo del visitatore. Tra i volti «silvani», come direbbe d’Annunzio, si riconoscono alcuni consegnati alla storia dalla grande tradizione dell’arte occidentale, citazioni di classici che giungono dalla scultura greca o dal Parmigianino o da Gian Lorenzo Bernini o, soprattutto, dall’amatissimo Leonardo, il cui stile sfumato è pienamente coerente con la sensibilità, il mondo valoriale e la cifra pittorica di Francesco. Non a caso la Sant’Anna del Maestro di Vinci, con la forza poetica del suo sorriso, è la prima opera a evidenziarsi nella sala d’ingresso (fig. 2). E con lei, in un crescendo armonioso ed elegante, ci vengono incontro figure evanescenti, la cui identità si rileva solo in una distanza logistica e sentimentale; svagate istantaneità che sfidano gli equilibri visivi fin troppo collaudati; specularità figurative e ideologiche, che solo nel loro insieme danno ragione della realtà. È il caso, ad esempio, della Donna africana o dell’Angelo e Lucifero: è la loro complementarità che trionfa nel reciproco richiamo di toni caldi e toni freddi della pittura. E, in modo tutto privilegiato, il dolce viso di Maria José, che del pittore è sposa, modella e musa.


Una mostra da non perdere Francesco Astiaso Garcia, La Divina Somiglianza
fig. 2



Con uno stile e una tecnica molto originali (basti pensare, tra l’altro, ai vari colpi di spugna sulla carta, così da rendere le vibrazioni della materia), nascono forme nuove, le cui radici affondano non solo in un linguaggio estetico ma in una visione di vita. Sono opere che testimoniano il percorso compiuto dal pittore nel suo passaggio dal figurativo all’astrazione, per giungere a una sintesi personale tra le due istanze; ma soprattutto testimoniano le radici esistenziali di un’arte che vuole essere espressione di una fede religiosa e di una fedeltà umana. Le didascalie che accompagnano il visitatore descrivono il percorso di questa ricerca.

La costruzione dell’immagine si basa su moduli apparentemente occasionali, ma in realtà condotti con rigore e razionalità; i colori, con la loro alternanza e la loro corrispondenza, diventano forme; la luce non si limita ad accarezzare le superfici, ma le definisce con vigore e leggerezza; vuoti e pieni dialogano per creare dissolvenze, fino all’informale; impressionismo ed espressionismo s’intrecciano per delineare volti come paesaggi dell’anima, di fronte ai quali la pausa di sospensione diventa stimolo alla contemplazione.


L’universo culturale e visivo di Francesco s’ispira alle grandi intuizioni della Bibbia e della mitologia greca, autentiche folgorazioni capaci di interpretare stati d’animo personali e collettivi, speranze e desolazioni, esili e ritorni. Il manifesto della mostra è la Dafne, simbolo di una profonda simbiosi tra la divinità, l’umanità e la natura (fig. 3). Nel volto diventato foglia e nella foglia diventata volto la natura celebra il proprio autoritratto.

Così, al termine di questa esperienza visiva e culturale, si ripropone la grande domanda: se la natura si ritrova nell’uomo e l’uomo è immagine di Dio, sarà in grado di diventare anche somiglianza di Dio? Ne sarà un’immagine somigliante o un rottame sfigurato e corrotto? E in questo fallimento, anche la natura sarà travolta?

Il maestro Astiaso Garcia illumina la risposta con un ultimo soffio di speranza: «L’animo umano è abitato dal desiderio di trascendere tutti i limiti, la bellezza è fragile custode di questo insopprimibile anelito».


Non è l’uomo che protegge la bellezza.

È la bellezza che protegge l’uomo.

EXPO 2015 Viaggio pedagogico intorno al cibo

I figli dipendono per lungo tempo dai genitori. Ciò influisce sull’educazione alimentare dei piccoli, ma i gusti e le scelte giovanili condizionano anche il mondo degli adulti.

Non tutto ciò che siamo in grado di mangiare viene mangiato. È necessaria la ricerca di un equilibrio.


Anche nell’educazione dei bambini il simbolo del pane è molto importante. Forse oggi lo è un po’ di meno nella società consumistica e sempre più abituata al fast food, ma fino a pochi anni fa si baciava il pezzo di pane che cadeva a terra: era ritenuto un oggetto sacro, fonte di vita. Il semplice fatto che questa abitudine oggi è scomparsa ci fa capire che nella nostra alimentazione i condizionamenti sociali e culturali sono molto importanti. Inoltre c’è una grande massa d’informazioni, non sempre corrette o non sempre adatte a tutti gli organismi, alle quali facciamo ricorso nella speranza di trovare un buon orientamento per la vita.


Oggi esiste una vera e propria scienza dell’alimentazione, formata da tre parti:

a. la fisiologia dell’alimentazione: lo studio dei meccanismi e dei processi mediante i quali i fattori nutritivi dei cibi vengono modificati e usati dall’organismo;

b. la fisiopatologia dell’alimentazione: lo studio delle alterazioni e dei disturbi della nutrizione, le insufficienze caloriche, gli squilibri fra i componenti dell’alimentazione;

c. la dietetica clinica: lo studio delle leggi generali dell’alimentazione dell’uomo malato, indicazioni e controindicazioni.


Prendiamo un esempio frequente nella società occidentale, quello dell’eccesso alimentare: vediamo che si produce una perturbazione metabolica, alla quale fa seguito l’obesità, l’aumento del colesterolo, le alterazioni della glicemia e l’ipertensione arteriosa. Ma sono state identificate molte altre relazioni tra la cattiva alimentazione e la patologia: mancanza di vitamine, comparsa dell’anemia, deficienze di accrescimento e di sviluppo dei bambini, diabete, gotta, epatiti croniche e così via.

L’educazione dovrà concentrarsi soprattutto nella prevenzione. Infatti oggi il cibo, se in molte zone della terra scarseggia, nel mondo occidentale è sovrabbondante rispetto al necessario. In questo ambiente sviluppato, negli ultimi anni si sono manifestate soprattutto due tipi di disturbi legati all’alimentazione: l’anoressia e la bulimia.


La prima si presenta come una perdita di peso dovuta alla volontà e come rifiuto di assumere cibi nella quantità sufficiente. In questa scelta molto importante è l’aspetto psicologico, per cui si evidenzia una distorsione dell’immagine corporea, la paura di ingrassare, la depressione dell’umore, insonnia, aggressività, isolamento sociale, scarsa capacità di concentrazione. Il sottopeso e le conseguenze negative sono immediatamente percepibili. Si può giungere perfino alla morte, qualche volta anche per suicidio: sembra, infatti, che l’anoressia sia la seconda causa di mortalità negli adolescenti dopo la tossicodipendenza.


La bulimia, invece, ha il percorso inverso: il paziente assume una grande quantità di cibo in un tempo molto breve. Ci troviamo in presenza di una totale perdita di autocontrollo, perché il soggetto interessato avverte di non essere capace di fermarsi né di scegliere tra i vari cibi. Egli inoltre prova un senso di vergogna.

Ci sono naturalmente anche altre patologie legate all’alimentazione o alla dieta. Un notevole influsso sembra che venga esercitato dai mass-media, che propongono continuamente modelli non facilmente eguagliabili oppure tipi di diete che promettono benessere immediato e permanente.


È necessario attivare una vera educazione alimentare. Infatti non basta la terapia farmacologia, ma occorre cambiare i nostri comportamenti se essi risultano dannosi per l’organismo. La ricerca di uno stile di vita sano e corretto è la migliore prevenzione e la migliore cura dei disturbi legati all’alimentazione; ma essa richiede una buona motivazione e una certa perseveranza.

La terapia dietetica va regolata sulla massa corporea, sull’entità del soprappeso e su eventuali complicanze che ogni paziente può presentare. Lo scopo fondamentale di ogni dieta è quello di ridurre l’apporto calorico rispetto al fabbisogno quotidiano. Ciò si ottiene con il consumo di latte e yogurt, carni magre, pesce e legumi (che hanno contenuto proteico), cereali e frutta (per i carboidrati), verdure, acqua e fibre; sono da sconsigliarsi le bevande alcoliche e quelle zuccherate, come pure vanno evitate quelle diete che escludono per lunghi periodi alcuni tipi di alimenti, come le diete a base di sola verdura o solo frutta, ecc.


In definitiva, un’alimentazione sana deve essere:

a. varia: orientata a soddisfare tutte le esigenze nutrizionali dell’organismo;

b. moderata: non esagerata nella quantità;

c. completa: soddisfare anche il gusto;

d. nutriente: facilitare l’assimilazione.

Occorre mettere insieme i cibi, abbinandoli tra loro e diversificando le scelte.

Va tenuto presente anche una constatazione elementare: il mangiare non è un’azione staccata dalla vita; perciò va collegata con le altre attività, fra le quali è di grande importanza l’attività motoria, ed è opportuno ripartire il fabbisogno energetico in tutto l’arco della giornata.


Una giusta educazione prende atto dei principali errori alimentari dei ragazzi (e, purtroppo, anche degli adulti, che poi li trasmettono ai ragazzi): c’è un eccesso di calorie rispetto al consumo energetico, molte volte si salta la prima colazione, non si ripartiscono bene i tempi così che ci sono troppi momenti vuoti e altri pieni di eccessi, ci si abitua a consumare disordinatamente merendine e patatine anche senza sentirne il bisogno, si diffonde l’uso di bevande troppo ricche di zuccheri e anche di bevande alcoliche, si svolge una vita troppo sedentaria e lontana da spazi all’aria aperta.

È chiaro che qualsiasi intervento pedagogico non deve essere portatore di ansie e di preoccupazioni, ma deve tendere a un risultato da conseguire in un clima sereno e collaborativo. A tal fine può essere utile coinvolgere i ragazzi nel fare la spesa, nel preparare i cibi e apparecchiare la tavola e così via. La cosa più importante è che i ragazzi non associno l’idea di assunzione del cibo con quella di tensione psicologica.

EXPO 2015 Viaggio psicologico intorno al cibo

holyseeNell’esperienza dell’alimentazione, s’intrecciano diverse esigenze. Tra gli studiosi si notano due tendenze principali.


La prima mette in risalto il fatto che le abitudini alimentari si spiegano non tanto per i loro valori materiali o per le necessità legate alla sopravvivenza, ma per un bisogno di appartenenza a una collettività. Il cibo, in tal modo, è un segno di condivisione della vita che un gruppo sociale mette in moto: in quest’ottica, il grande antropologo Claude Lévi Strauss dice che «il cibo deve essere “buono da pensare” o, meglio, “buono da comunicare” più che “buono da mangiare”». Perciò attraverso il cibo si comunicano valori quali il potere, la ricchezza, la spiritualità, l’incontro con la divinità; oppure, al contrario, miseria, povertà, malattia, solitudine.


La seconda interpretazione vede nelle scelte alimentari anzitutto una motivazione pratica e un’esigenza gustativa. Infatti il riconoscimento del cibo, anche negli animali, avviene mediante i sensi: anzitutto il gusto, poi l’odorato, la vista, il tatto e, in misura minore, l’udito. Ciò accade anche nell’uomo, che, inoltre, vi aggiunge l’importantissima funzione della memoria.


Il sistema alimentare è un complesso sistema di valori, formato da bisogni e da simboli. Un esempio illuminante è il simbolo del pane, come elemento primario che dà nutrimento. “Guadagnarsi il pane” significa svolgere una vita dignitosa.


A tale proposito, va notato lo stretto rapporto tra alimentazione e psicologia. Prendiamo il caso di un ragazzo sovrappeso. Questi, di solito, a tavola assume molte calorie durante i pasti principali, tende a mangiare fuori pasto durante tutto il giorno e assume molte bevande zuccherate e fa poca attività fisica. L’eccessivo apporto calorico non viene smaltito dall’organismo e si accumula sotto forma di grasso.


Bisogna domandarsi anzitutto se il sovrappeso può dipendere da fattori ereditari o da disfunzioni dell’organismo. Ma ci possono essere anche delle cause di natura personale o ambientale che potrebbero influire sul comportamento del ragazzo: per esempio se il ragazzo si sente soddisfatto di sé o presenta delle insicurezze, se ha un buon rapporto con i coetanei, se ama stare in compagnia o preferisce isolarsi, se si sente accolto ben voluto a scuola, se ritiene di essere apprezzato dai professori e dai compagni oppure vive con frustrazione il contesto scolastico, se parla facilmente anche delle cose che lo preoccupano o si chiude in se stesso di fronte al dolore, se le abitudini alimentari della famiglia sono abbastanza corrette, se in casa c’è un clima di cordialità e così via.


Spesso il comportamento dei genitori è all’origine di molte disfunzioni alimentari. Quando ciò accade è perché essi rifiutano di esercitare un controllo sui figli, avendo paura di vederli tristi o temendo di essere percepiti negativamente da loro.


Se le motivazioni sono psicologiche, bisogna agire a livello di psicologia più che di numero di calorie. Si tratta di incoraggiare l’esercizio fisico: spesso i ragazzi in sovrappeso sono più lenti e goffi dei loro coetanei, per questo si rifiutano di gareggiare in competizioni sportive e ciò li conferma ancora di più in uno stile di vita sedentario. Bisogna reagire con calma, invitando il ragazzo ad attività sportive non competitive, come passeggiare in bici o nuotare. Poi indicare degli obiettivi realisticamente raggiungibili, ma in graduale progressione. Il loro superamento non solo farà bene alla forma fisica, ma contribuirà ad aumentare l’autostima, che è un fattore importantissimo per il benessere. Egli deve stare bene con se stesso per poter star bene anche con l’ambiente in cui vive. Si tratta, insomma, di prestare attenzione alla globalità della persona interessata e non solo ai chili in eccesso.


Lo stesso vale per un ragazzo che, al contrario, è troppo magro. Anche in questo caso, molte volte le ragioni di un peso inferiore alla norma sono di tipo psicologico, oltre che fisiologico o ereditario: i disagi legati alla propria immagine corporea possono determinare una profonda frustrazione. I maschi si vedono meno robusti, le ragazze meno attraenti. Le fasi d’inappetenza sono un fenomeno comune nell’età evolutiva, ma diventano preoccupanti quando si trasforma in un rifiuto consistente del cibo. Il non mangiare può diventare un modo di affermare la propria autonomia e sottrarsi almeno momentaneamente a un controllo da parte dei genitori ritenuto esagerato.


Naturalmente anche il temperamento individuale svolge la sua parte nell’assunzione del cibo. Bambini o ragazzi molto vivaci e in movimento possono mangiare di meno rispetto a coetanei placidi e tranquilli. Inoltre la quantità di energia consumata varia molto da persona a persona.


Il cibo ha un grande rapporto con tutta la sfera emozionale dell’uomo. È un’esperienza che facciamo tutti: quando abbiamo un’emozione molto forte, non riusciamo a mangiare o, al contrario, mangiamo in eccesso. Lo cantava Gianni Morandi in una canzone di alcuni anni fa, Belinda. «Bella Belinda innamorata, parla da sola con l’insalata. Non bada al piatto, ma alla finestra, scende una lacrima nella minestra»: Belinda non è attenta al piatto, cioè non riesce a mangiare, perché la sua attenzione è attratta dalla finestra in attesa di guardare il ragazzo che ama e che purtroppo sta ritardando. Durante particolari stati di tensione o di tristezza sentiamo “chiudersi lo stomaco” o, ancora, rifiutiamo certi cibi perché li leghiamo al ricordo di momenti spiacevoli della nostra vita. Altre volte mangiamo perché siamo nervosi o pieni di rabbia, o annoiati e tristi. Molte particolarità alimentari, dunque, si spiegano non solo su base biologica e fisiologica, ma anche per esperienze emotive. Quando un uomo, per motivi diversi, entra nel circolo vizioso dell’uso del cibo per esprimere degli stati emozionali, allora il meccanismo della fame e della sete subisce un forte condizionamento. Bisogna, perciò, imparare a riconoscere i segni che queste situazioni fanno emergere e a gestire con efficacia il rapporto con il cibo.

EXPO 2015: Viaggio storico intorno al cibo

L’importanza del cibo nella storia dell’umanità e delle singole persone è talmente evidente che non ha bisogno di dimostrazioni. Tutta la nostra vita, dalle azioni più banali a quelle più sacre, indica un rapporto costante con il cibo. Tra le azioni banali, quante volte, passeggiando per Roma, notiamo che i nomi delle strade e delle piazze indicano un rapporto speciale con tutto ciò che riguarda l’alimentazione: Via dell’Acqua Acetosa, Via dell’Agnello, Sant’Angelo in Pescheria, Piazza dei Caprettari, Vicolo del Farinone, Via dei Fornari, Vicolo dei Granari, Piazza del Mattatoio, Via della Mole dei Fiorentini, Piazza della Pollarola e potremmo continuare ancora per molto. Stessa “musica gastronomica” si avverte in tante altre città italiane ed estere. Tra le azioni sacre, ricordiamo che tutte le religioni fanno riferimento al cibo, dai sacrifici offerti agli dei fino alla Messa che è un banchetto, dal frutto proibito di Adamo ed Eva alla festa di Pasqua. Anche Gesù ha insegnato a pregare dicendo «dacci oggi il nostro pane quotidiano».


Raccontare una storia del nostro approccio al cibo è praticamente impossibile, perché bisognerebbe raccontare tutta la storia dell’umanità. Tuttavia si possono indicare alcune tappe principali di come è cambiato il nostro comportamento di fronte alla necessità di mangiare.


EXPO 2015: Viaggio storico intorno al cibo


Il primo elemento da tener presente nella storia del cibo è il suo rapporto con il territorio. È chiaro che l’uomo si è servito di ciò che la terra spontaneamente riusciva a fornirgli. Forse in un primo momento i gruppi umani sono stati nomadi o seminomadi, cioè si spostavano di terra in terra ed esercitavano la caccia e la pesca, la raccolta dei frutti, un allevamento piuttosto selvaggio e uno sfruttamento parziale e temporaneo dei campi. Quando, però, essi hanno deciso di fermarsi su una determinata porzione di terra, allora lo sviluppo della civiltà è stato notevole e l’utilizzazione del terreno è progredita sempre di più.


Con uno sguardo panoramico lungo i millenni, possiamo immaginare cosa mangiavano gli uomini primitivi: termiti, cavallette, topi di campagna, qualche uovo di uccello, tuberi, radici ed erbe varie. La caccia aveva un’importanza enorme, com’è documentato anche dalla prima arte delle caverne. Con l’“invenzione” dell’agricoltura le cose cambiarono sensibilmente, anche perché, insieme alle coltivazioni, iniziò a organizzarsi anche l’allevamento degli animali: cereali e carne diventavano sempre più abbondanti, grazie anche alla scoperta del fuoco e alla possibilità di cuocere gli alimenti.


Entrando nella storia, cioè con l’invenzione della scrittura, vediamo le antiche civiltà dell’Egitto e della Mesopotamia. Grazie soprattutto ai celebri fiumi Nilo e Tigri ed Eufrate, si sviluppa un’intensa attività agricola. Di conseguenza il pane di farina o di orzo diventa l’alimento principale, insieme con i pesci, i formaggi, i legumi e la frutta. Non mancava il miele, il vino e una bevanda simile alla birra. I Babilonesi, in Mesopotamia, preferivano la carne lessa, accompagnata da cipolle, porri, aglio e piante aromatiche.


In questo periodo delle prime civiltà storiche appare un prodotto che avrà un grande successo, cioè l’olio. Di esso si parla anche nella letteratura di un altro popolo, gli Ebrei: se si legge qualche pagina della Bibbia, si vedono anche le usanze alimentari dell’epoca, fra cui la proibizione di mangiare carne di maiale, che era ritenuto un animale impuro.


Con la Grecia si entra in una di quelle epoche che fanno registrare un grande progresso alla cultura nel suo insieme. Non può mancare, perciò, anche un riferimento al cibo: l’Iliade e l’Odissea in diversi momenti parlano dell’alimentazione e delle circostanze in cui avvenivano i pasti, per esempio anche in occasione dei funerali. Questa usanza si trova ancora oggi presso molti popoli. Sembra addirittura che in Grecia esistessero settantadue tipi diversi di pane: quello di farina, di orzo, quello senza lievito, un pane scuro, quello fatto con fior di grano, un altro composto di varie farine, ecc. Pesce sotto sale o affumicato, legumi, olive, uva passa, fichi secchi, salsa di erbe aromatiche, ciliegie, fragole, …: di tutto questo narrano i racconti di Omero, le tragedie e i dipinti sui vasi.


Lentamente questi prodotti invadevano i mercati del Mediterraneo, anche grazie ai viaggi dei Fenici e di altre popolazioni.


Naturalmente, man mano che la civiltà si organizzava, si notava anche una certa differenza sociale tra i poveri e i ricchi, così che la tavola dei primi era piuttosto essenziale, mentre i secondi avevano modo di gustare pasti più raffinati. Nell’antica Roma non mancano scrittori e poeti che mettono in risalto queste distinzioni sociali ed economiche, che trovavano nell’alimentazione uno dei simboli più espressivi. Con l’Impero Romano praticamente non manca niente, perché l’estensione territoriale del grande stato abbraccia tutto il bacino del Mediterraneo ed entra in contatto con esperienze africane, asiatiche e nordeuropee.


Con le invasioni barbariche si assiste a un’epoca di grande crisi economica: di conseguenza anche il cibo tende a scarseggiare sia come quantità che come qualità, ma c’è molta selvaggina. Alla fine di questo periodo inizierà il Medio Evo e ci sarà una straordinaria fioritura culturale in tutta Europa. Le campagne torneranno a dare frutti, i contadini avranno di che vivere all’ombra dei castelli, i monasteri organizzeranno i lavori agricoli, verranno costruite le grandi cattedrali: tutto questo è segno di un benessere che tende a diffondersi e di un’alimentazione che incomincia a diventare migliore. Ci sono ancora, però, troppe pestilenze e carestie, oltre che un infinito numero di piccole e grandi guerre che distruggono i raccolti oltre che le persone.


EXPO 2015: Viaggio storico intorno al cibo


Tra le questioni polemiche, che accompagnano fino ai nostri giorni questo periodo, si delineano le crociate e il rapporto con il mondo arabo. Sotto l’aspetto alimentare l’apporto degli Arabi è notevole, sia per quanto la riguarda la preparazione dei cibi sia per le spezie e gli agrumi che essi coltivano e diffondono.


E arriviamo al periodo del Rinascimento. La scoperta dell’America nel 1492 è l’avvenimento che più di tutti gli altri incide per questa svolta che dà origine a una nuova fase della civiltà. Dal nuovo immenso continente arrivano nuovi generi alimentari: riso, mais, asparagi, spinaci, pomodori. Il mais dà origine, soprattutto nel Nord Italia, a quel cibo così tipico che è la polenta. Con il Rinascimento le grandi corti d’Europa fanno a gara ad allestire una mensa sempre più ricca, al punto che perfino i re si dedicano all’arte culinaria: Luigi XIV, il Re Sole, amava molto i liquori, mentre il successore Luigi XV favorì la produzione di alcuni alimenti speciali, quali il consommé, la fricassea di pollo e di piccione, la besciamella e la maionese. I viaggi intercontinentali in questo periodo permettono di introdurre in Europa il caffè, il tè e la cioccolata.


Dall’America erano giunte anche le patate, che nei secoli si dimostreranno come l’alimento che più di tutti contribuì a sconfiggere la fame in Europa.


Nei secoli successivi le tavole si arricchiscono di salumi, salsicce, molti tipi di formaggi e tanti dolci. Nell’Ottocento s’iniziano ad applicare le scoperte scientifiche anche all’agricoltura che, grazie al crescente impiego delle macchine, produce in misura sempre maggiore. In Francia viene impiantata la prima industria di lavorazione della barbabietola: da questo momento lo zucchero diventerà un alimento molto frequente e normale.


Al termine di questa corsa nella storia dell’alimentazione, ci domandiamo: e oggi, com’è il nostro modo di accostarci al cibo? È chiaro che oggi c’è tutto; però molto spesso i nostri pasti si riducono a un mordi e fuggi presso un fast food oppure ad un panino al bar. Naturalmente ci sono anche pasti più ricchi e importanti. E qualche volta anche un po’ troppo ricchi!