L’Arabesque e l’interculturalità nella moda: Il Grand Tour romantico della SS25

La Milano Fashion Week SS25 ha portato con sé un’ondata di creatività e innovazione, ma ciò che ha realmente catturato la mia attenzione quest’anno è stata l’interculturalità sempre più presente nelle collezioni. L’Arabesque, concept store milanese che mescola moda, design, libri e fragranze, ha presentato una collezione che rappresenta un incontro armonioso tra culture, mostrando quanto la fusione tra Oriente e Occidente possa dare vita a capi pregni di significato.

L’Arabesque si presenta come un negozio che intende reinterpretare l’idea di retail. Il concept è nato dall’intuizione di Chichi Meroni, che ha visitato il Giappone e si è innamorata del minimalismo dell’architettura nipponica e dell’arte contemporanea. Le sue esperienze nelle isole giapponesi, visitando installazioni di artisti come Yayoi Kusama e Ryue Nishizawa, l’hanno spinta a creare uno spazio dove il vuoto diventa un elemento di interazione e riflessione.

Lo spazio di L’Arabesque, situato in Largo Augusto a Milano, è fluido e immersivo, uno scenario che sfugge a rigide categorizzazioni. I 270 metri quadri del concept store si sviluppano come una galleria in cui i prodotti galleggiano nello spazio, una scenografia futuristica in cui il visitatore può sentirsi libero di esplorare senza vincoli. Non ci sono schemi rigidi o divisioni di genere: è il flusso dell’esperienza a guidare chi entra, in un equilibrio tra estetica e funzionalità.

Uno scorcio del cult store L’Arabesque in Largo Augusto 10

Questa idea di fusione e flusso si riflette nella collezione SS25, che si ispira al concetto di “Grand Tour Romantico” in Asia. Un viaggio immaginario che unisce le influenze culturali del continente asiatico con l’eleganza e la tradizione della moda italiana. I capi della nuova collezione si caratterizzano per tagli giapponesi combinati con dettagli che richiamano i broccati dei grandi palazzi orientali. È un incontro tra due mondi, in un mix di modernità e tradizione.

I colori dominanti della collezione SS25 sono il nero, il bianco e il rosso, toni familiari al linguaggio cromatico della moda italiana, ma che in questa occasione si arricchiscono di nuove suggestioni. Le silhouette essenziali, ispirate all’abbigliamento tradizionale giapponese, vengono reinterpretate attraverso ricami e dettagli. Il risultato è una collezione sofisticata, dove i simboli iconici del brand (il fiocco e il floreale) trovano nuovi significati.

Nonostante l’approccio internazionale, L’Arabesque rimane fedele a sé stesso, proponendo uno spazio e una collezione che non si piegano alle convenzioni ma seguono un percorso creativo particolare. La visione di Chichi Meroni è quella di unire design, moda e arte, creando un’esperienza multisensoriale per i visitatori e i clienti.

L’inclusività e la valorizzazione del dialogo tra culture sono elementi centrali della filosofia di L’Arabesque. Le influenze asiatiche che pervadono la collezione SS25 non sono semplicemente decorative, ma diventano una narrazione estetica che parla di scambi, viaggi e contaminazioni culturali. In questo modo, il brand si distingue per il suo approccio raffinato e originale, dove il capo diventa simbolo di un racconto interculturale.

Challengers: la rivalità infuocata di un’amicizia sotto rete

Nel suo ultimo progetto cinematografico, Luca Guadagnino crea una narrazione tesa di rivalità e redenzione, utilizzando il mondo competitivo del tennis come potente metafora per le dinamiche intricate dell’amicizia e della rivalità. Il suo nuovo film si sviluppa come una battaglia meticolosamente strutturata tra due ex amici diventati feroci avversari. Al centro di questo intenso scontro non c’è solo un torneo, ma una donna la cui presenza oscilla tra i due uomini come una pallina da tennis in gioco.

La storia inizia a una festa apparentemente innocua, dove le vite di Art e Patrick, due ambiziosi tennisti, vengono irrimediabilmente cambiate dal loro incontro con la affascinante Tashi, interpretata con profondità e sfumature da Zendaya. Tashi, una promessa del tennis, esprime una dolcezza temperata da una feroce competitività. I suoi sogni sul campo vengono infranti da un debilitante infortunio al ginocchio, costringendola a canalizzare il suo fervore nel ruolo di allenatrice e manager di Art, che alla fine diventa suo marito.

Art, interpretato da Mike Faist, inizia come una forza dominante nel tennis, sebbene la sua carriera sia in declino. Dall’altra parte, Patrick, interpretato da Josh O’Connor, nonostante una storia d’amore giovanile con Tashi, si ritrova in difficoltà man mano che la narrazione progredisce. Il film traccia con precisione l’evoluzione della loro rivalità, un conflitto latente che rifiuta di spegnersi anche quando le loro strade si separano.

La sceneggiatura di Guadagnino, ricca di flashback, giustappone abilmente i momenti cruciali nelle vite di Art e Patrick, legati indissolubilmente dai loro rapporti con Tashi. Queste retrospezioni sono intrecciate con le scene di una partita cruciale in un torneo minore, uno scontro che trascende lo sport. Qui, ogni colpo di racchetta e ogni punto segnato risuonano con anni di tensioni irrisolte e rancori inespressi.

La rivalità tra Art e Patrick è tutt’altro che pulita. È segnata da tradimenti e tattiche subdole, ma ciò che spicca è come ciascuno dei due naviga attraverso questi dilemmi etici, accettandoli come parte integrante del loro duello di una vita.

All’atmosfera elettrizzante del film contribuisce la colonna sonora pulsante elettronica di Trent Reznor e Atticus Ross. Il duo crea una colonna sonora carica di adrenalina che si adatta perfettamente al ritmo incessante e all’intensità psicologica degli scontri dentro e fuori dal campo.

Il film di Guadagnino è un capolavoro di tensione e studio del carattere, un racconto schematico ma profondamente coinvolgente di competizione, ambizione e il costo di entrambi. Attraverso la lente di una partita di tennis, esplora l’essenza stessa della rivalità e la spinta incessante dello spirito umano verso la vittoria, sia nello sport che nella vita.

Arte, moda e innovazione: Il Salotto di Milano rivela il suo fascino

Nel cuore di Milano, all’indirizzo di Corso Venezia 7, sorge un luogo intriso di storia e raffinatezza: Il Salotto di Milano. Nato originariamente come punto d’incontro per un’élite desiderosa di condividere esperienze e rimanere aggiornato rispetto alle novità del tempo, oggi mantiene saldo l’obiettivo di riportare in vita in modo multisensoriale il concetto di eccellenza e innovazione made in Italy.

Tra le sue mura, due esperienze si distinguono per veicolare con audacia tali valori, immergendo gli ospiti in un’atmosfera di arte e moda.

Nel suggestivo scenario del Salotto, si è recentemente inaugurata la mostra dell’eclettico artista romano Cristiano Petrucci, dal titolo evocativo “Una singola moltitudine” che resterà visibile fino al 24 maggio. L’inaugurazione è stata un viaggio sensoriale attraverso le note avvolgenti del sax, accompagnate da una sinfonia di suoni ispirati al microcosmo dei batteri. Qui, l’arte e la scienza si fondono in un connubio sorprendente, rendendo tangibile il misterioso mondo delle colonie batteriche. Attraverso palline da ping pong magistralmente intagliate e cesellate, il visitatore è invitato a immergersi in un universo unico, dove dieci creazioni rivelano il sotteso collegamento tra ecosistemi biofisici. Un’esperienza che gioca con i confini della percezione, trasportando il pubblico in un viaggio verso l’interconnessione, l’essenza stessa della vita.

Ma non è solo l’arte a dominare il panorama del Salotto. Le creazioni del brand del designer colombiano Zantiago trovano qui la loro vetrina ideale. Un connubio sorprendente tra l’etnicità sudamericana e l’alta moda europea si materializza in ogni capo, incarnando l’eleganza senza tempo e la vivacità delle culture che si intrecciano. Tra le creazioni più rappresentative spicca la borsa “Barbara”, un omaggio alle radici e ai ricordi che plasmano la nostra identità. Ispirata a un disegno d’infanzia del designer, porta con sé il nome della nonna, custode di segreti e confidente di sogni. Un simbolo tangibile di sicurezza e libertà espressiva, che racchiude in sé la bellezza intramontabile della nostalgia.

In questo contesto unico e affascinante, Il Salotto di Milano si conferma come un’oasi di creatività e raffinatezza, dove arte e moda si fondono armoniosamente, lasciando un’impronta indelebile nel cuore di chi vi si avventura.

Eccellenze Snob: le 5 invenzioni che definiscono il lusso

Eccellenza Snob: Le 5 invenzioni che definiscono il lusso”

Tra tutte le invenzioni, alcune spiccano per il loro valore esclusivo e raffinato, conciliando design, moda e tecnologia per creare delle vere e proprie opere d’arte. Cinque di queste creazioni hanno conquistato i clienti del lusso in tutto il mondo, assumendo il ruolo di simboli di prestigio e desiderio, in grado di catturare l’immaginazione e i portafogli dei più facoltosi.

Le auto Ferrari sono un incanto per gli amanti delle auto di lusso e delle prestazioni ad alta velocità. Simboli di avventura adrenalinica e l’ingegneria di precisione, le Ferrari sono simboli di successo e status sociale. La loro sinuosità e la potenza dei motori V12 stupiscono e catturano l’attenzione ovunque vadano, conferendo al loro conducente un’aura di potenza e prestigio.

La Montblanc Meisterstück è una penna stilografica che non adempie solo alla sua funzione, ma è un vero e proprio gioiello da taschino. Il design e la fattura artigianale preziosi, collocano questa penna come emblema di ricercatezza e buongusto. Indossata con fierezza da professionisti, artisti e scrittori di ogni genere, la Meisterstück rappresenta l’essenza della scrittura di lusso e il piacere della creazione.

Il Cristal, champagne di rara eccellenza, attribuisce alla convivialità un allure di raffinatezza e lusso. Impiegato già nel XIX secolo come bevanda prediletta della nobiltà russa, il Cristal ha mantenuto la sua aura di ricercatezza ed esclusività. La sua effervescenza è diventata un sottofondo distintivo per i momenti celebrativi e festosi della vita.

Il Rolex Daytona è un orologio da polso elevatosi ad icona di eleganza e prestigio. Ideato in ambito automobilistico , questo orologio è diventato un emblema di stile, indossato con fierezza da celebrità, imprenditori e amanti dell’orologeria di lusso. La combinazione tra eccellenza manifatturiera e design raffinato lo rende un investimento di valore e un inconfondibile simbolo di status.

Infine, i bauletti e le borse Louis Vuitton sono rinomati emblemi di viaggi e avventure esclusive. Rivestite dal celebre monogramma, la loro qualità artigianale senza pari classifica questi accessori come testimonianze di un’eleganza senza tempo e di un gusto sofisticato. Indossati da jet setter e celebrità in tutto il mondo, i prodotti Louis Vuitton hanno guadagnato un’aura di prestigio ed esclusività.

Per concludere, queste cinque invenzioni snob sono molto più che oggetti preziosi: sono espressioni tangibili di un’esclusività che va oltre il materiale, trasmettendo un messaggio di raffinatezza, successo e prestigio. Sono testimoni del valore simbolico della manodopera e della creatività umana, che definiscono l’essenza di un ideale come il lusso e determinano il gusto di intere generazioni.

3 top exhibitions al Fuorisalone 2024

I cinquant’anni del design della gioia: Cleto Munari in vetrina all’Officina Bernardi

L’officina Bernardi ospita per il cinquantesimo anniversario di carriera di Cleto Munari, le opere più celebri. Durante il suo percorso artistico il designer ha lavorato a numerosi asset realizzando gioielli, ceramiche, orologi, mobili, stilografiche. 

Dopo Palermo, Roma e Bologna, Milano è la quarta tappa di un tour celebrativo iniziato nell’ottobre 2023 che si concluderà in Italia, a Torino, e nel dicembre 2025 con le mete internazionali Dubai, Parigi, New York e Seoul.

Il progetto, che inaugura il percorso artistico di Munari, risale al 1973 e consiste in un set di posate dal design unico esibito in 82 musei tra i più importanti al mondo. Gli ultimi invece, realizzati a 92 anni, sono i vasi veronesi e il variopinto set di occhiali che testimoniano la sua poetica di “design della gioia”.

I vasi veronesi sono artefatti che riprendono la forma cinquecentesca nata a Murano, reinterpretati su modello di Munari da celebri artisti come Scarpa, Palladino, Meier. 

Il felice connubio tra le collezioni dell’Officina Bernardi e le opere del designer è testimoniato dal ruolo dei Locletoys, statuette di ceramica realizzate da Munari con il ceramista Leonardo Zanovello. 

Queste ricreano, attraverso forme e colori, le fattezze caratteristiche di personaggi immaginari, come la statuetta Afro che, sormontata da un pezzo di ceramica nero curviforme, riproduce l’ iconica capigliatura. Le silhouettes sinuose e le tonalità sgargianti di queste sculture si uniscono in maniera armoniosa con la brillante luminosità e il carattere esuberante delle collezioni di gioielli Senzatempo, Damasco, Mimosa che popolano lo spazio diafano dell’Officina Bernardi.

“Il mare dove non si tocca”, lo spazio espositivo di Antonio Marras per il Salone del Mobile

“Il mare, io non riesco a guardare a lungo il mare. Sennò tutto quello che succede a terra non mi interessa più”.  È da una forte attrazione che nasce la mostra “Il mare dove non si tocca” nella quale Antonio Marras sembra aver voluto rivestire di un alone marittimo la realtà. Perché se come pronuncia Monica Vitti in Deserto Rosso, dopo aver visto il mare, il quotidiano appare meno interessante, il rimedio migliore sembra rivestirlo di mistero.

La collezione resort 2024 dello stilista sardo è ispirata in particolare all’isola di Caprera e, gli abiti che la costituiscono, sono inseriti in un contesto che ne riprende i colori e la semantica. Le tonalità dominanti sono il blu oltremare e il bordeaux, riprese nelle stampe degli interni, con le quali Marras ha rivestito gli arredi della collezione Eva di Nodo Italia. La scenografia è popolata da manichini marinareschi e libri colorati di celeste, un clima balneare dalle sfumature oniriche. Al mare si ispirano anche le ceramiche che coprono le pareti dello spazio, una collaborazione con i leccesi Fratelli Colì, opere che ricordano le tipiche incrostazioni degli oggetti rinvenuti dopo molto tempo dai fondali.

Lo spazio Marras, allestito come un labirinto che ricorda il relitto di una nave, espone abiti bianchi realizzati con materiali di scarto grazie all’aiuto di duecento studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Su questi capi, delle simil meduse, sono state ricamate frasi connesse al folklore e alla scaramanzia partenopei. Al centro, il Tesoro di Atlantide, una struttura in ceramica realizzata dai due brand raffigurante la leggendaria terra sommersa, la Sardegna stessa?

Per l’occasione, un ristorante gestito da Giovanni Rana, con sedute realizzate da Nodo Italia e piatti di ceramica firmati Marras, il cui set impiega finti coralli, modellini di navi d’antiquariato dell’800, quadri vintage raffiguranti vedute balneari in perfetta assonanza con l’atmosfera di tutte le aree della mostra.

Blooming Visions, il connubio uomo e natura in una villa razionalista del 1936

Un panorama inaspettato nel tessuto urbano di Milano, è offerto da via Randaccio dove una villa del 1936 attribuita a Gio Ponti, si erge in tutta la sua calma solennità razionalista. All’interno di questa antica struttura, ribattezzata Ted Suite, l’interior designer Ilaria Ferrario ospita una mostra che ha l’obiettivo di immergere l’ospite in un ambiente in cui la natura ha preso il sopravvento sul costruito.

Questa immersione è stata realizzata da Marina Malguzzi di Imagiflora e dalla fragrance designer Nuria du Chene de Vere attraverso un percorso floreale e olfattivo che richiama nei profumi la luminosità, le forme e i colori dello spazio; a inebriare gli ospiti dall’ingresso, un’essenza boschiva base di mirto.

Come contraltare agli elementi che richiamano la natura, ci sono poi le sculture in alluminio battuto a mano di Filippo Salerni e le ceramiche dello storico brand veneziano Geminiano Cozzi. Gli arredi d’epoca di Vintage Domus degli interni alternano forme sinuose ad altre più razionaliste e si armonizzano in un insolito accordo con gli esterni della terrazza. Realizzati dal brand di outdoor Jwana Hamdan, hanno unito estetica e matericità come per il tavolo Alì , struttura in alluminio e piano in pietra lavica; le sedie Aliya rivestite con le stampe floreali dell’americana Tricia Paoluccio.

Al piano inferiore un dittongo uomo-natura; quattro opere realizzate dall’artista Irene Coccoli, anime di poltrone Vintage Domus ricreano habitat autonomi; l’artista utilizza materiali di recupero per interpretare i 4 elementi naturali.
Gli scheletri delle sedie nude del novecento, in opposizione all’opulenza artistica, sottolineano il valore dell’intervento umano sulla materia.
E’ mostrato su maxi schermo un video realizzato da Martina Rella dove le foto delle poltrone vengono impiegate dall’AI nel generare pattern per la creazione di immagini con mobili inediti, veri oggetti di arte digitale.

Da Ted Suite, la stanza circolare, ex sala da pranzo della villa, ha mura rivestite da una carta da parati dorata che si illumina riflettendo la luce da una grande finestra. Per fermarsi a cogliere la bellezza dell’ambiente e godersi i raggi di luce ci si può accomodare sul divano circolare firmato Vintage Domus e respirare il profumo evocativo di Blooming Visions, un’essenza creata da Nuria du Chene de Vere mixando 42 diverse essenze.

Giovani e liberi attraverso gli occhi di Pierpaolo Piccioli: dopo 25 anni il designer lascia la maison Valentino

Giovani e liberi attraverso gli occhi di Pierpaolo Piccioli: dopo 25 anni il designer lascia la maison Valentino

Dopo circa 25 anni di collaborazione, Pier Paolo Piccioli lascia la maison Valentino.  Un’esperienza iniziata nel 1999 quando il designer è approdato alla casa di moda fondata da Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti. Inizialmente con l’incarico di realizzare la linea gioielli, passa poi alla direzione creativa del brand, prima in coppia con Maria Grazia Chiuri e infine nel 2008 da solista. Il contatto prolungato con l’artigianato italiano di questo lungo excursus gli ha permesso di apprendere quel ‘savoir faire che è alla base del mestiere di un designer’.

Pierpaolo Piccioli

Carattere poco avvezzo ai lati commerciali del settore, ritiene che ‘non si ha bisogno di nuovi oggetti, ma di sogni ed emozioni‘. Nel momento in cui scopre attraverso i grandi fotografi, come David Bailey, il potere narrativo della moda, decide di voler intraprendere la carriera come designer. La capacità che apprezza maggiormente di questi artisti è quella di saper raccontare le persone e coglierne la bellezza, ‘che non risiede negli attributi fisici ma in una grazia intrinseca‘. La realizzazione della sua prima collezione infatti non parte da un’idea di vestito, ma di bellezza. E il contrasto è palese visto che la moda è effimera mentre la bellezza è eterna.

Ma è la tensione del contrasto stesso, come nei due poli opposti di una pila, a creare l’energia che rende accattivanti le sua creazioni. La stessa tensione che si manifesta ad esempio nel dover conciliare il suo motto no rules is my rule con la tradizione ben consolidata della maison. In quest’ultimo caso Piccioli risolve l’apparente paradosso sostenendo che ‘non esiste innovazione senza conoscenza del passato e il limite stesso dà la possibilità di pensare a come superarlo‘.

La tendenza alla sovversione di un sistema consolidato, utilizzando la tradizione stessa, emerge da alcune delle sue collezioni più iconiche. E nel processo di cambiamento ritiene particolarmente fertili i momenti di transizione, quando menti libere possono dire qualcosa di nuovo e ‘mostrare il sentiero del futuro‘. Una delle collezioni manifesto di questa poetica della transizione come periodo di fertilità è la sua prima sfilata in solo per la la ss2017. 

In quell’occasione Piccioli unì all’arte rinascimentale le stampe fatte a mano della stilista Zandra Rodhes. È con quest’ultima infatti che sono stati realizzati gli abiti diafani con temi che richiamavano l’opera di Hieronymus Bosch The Garden of Earthly Delights. 

Un’altra sfida abbracciata dal designer è stata inoltre quella di modellare il significato che solitamente viene attribuito ai colori. ‘I colori sono in definitiva parte del messaggio che vuoi trasmettere‘, e in una sua celebre collezione ha voluto stravolgere in particolare il significato del pink. La fall-winter 2022-23 ha infatti reso il colore signature del brand con la collaborazione di Pantone: nasce così il PP Pink, un rosa super saturo che poco ha dei tratti dolci e femminili attribuiti solitamente a questa tonalità.

La stessa carica innovativa caratterizza la sfilata Black Tie, applicata ad un classico indumento corporate maschile. L’idea della sfilata gli è arrivata guardando la figlia quindicenne scegliere una cravatta dal suo armadio per un outfit serale, rimodellando inconsapevolmente il significato dell’accessorio. La cravatta così diventa simbolo della creatività individuale e non più del potere costrittivo maschile, un modo con il quale fare emergere la propria personalità.

È con collezioni come queste che Piccioli si è aggiudicato premi come il Designer of the Year nel 2022 ed è stato inserito dal Time tra le cento persone più influenti al mondo. Ma soprattuto ha creato un immaginario che ci ha regalato la sua visione, i suoi occhi, per ‘guardarci come lui ci vede’ e come egli stesso si sente, giovane e libero.

Oltre il design: l’eredità di Gaetano Pesce nell’arte e architettura contemporanea

Oltre il design: l’eredità di Gaetano Pesce nell’arte e nell’architettura contemporanea

All’età di 84 anni ci lascia Gaetano Pesce. Designer, architetto, scultore, urbanista, una personalità difficilmente inquadrabile in categorie rigide, che ha fatto proprio dell’elisione delle barriere una sua marca identitaria.

Di madre veneziana e padre fiorentino, Pesce studia Architettura all’università di Venezia alla fine degli anni ’50, in pieno periodo modernista. Alimentato da forte curiosità, è stato un ricercatore di novità costante, che ha deciso di esprimersi solo qualora possedesse un messaggio da veicolare, poiché, come egli stesso ha dichiarato,quando si parla troppo il rischio è quello di ripetersi”. 

Ha dimostrato grande capacità visionaria con la realizzazione di strutture come la maestosa Organic Building ad Osaka, ultimata nel 1993, precorritrice dell’architettura eco-compatibile. Come quest’ultima, in generale le sue opere trasmettono un forte valore simbolico e narrativo. Infatti Pesce “non accetta che un oggetto sia muto”, ma ha bisogno che questo parli alla gente. Un oggetto può essere la sua funzione e allo stesso tempo esprimere una posizione ideologica. E questa carica comunicativa è ciò che ha animato le sue idee architettoniche e di design, in tutto il suo percorso.

È esempio di un creare che veicola messaggi, oltre a funzioni, la Bahia House in Brasile: essa racchiude nel suo aspetto le istanze della cultura del luogo in cui è immersa, “una cultura legata al colore, alla danza, al canto”; o la famosa poltrona Up5, realizzata nel 1969, chiamata anche Big Mama e ispirata ad una antica dea della fertilità: assieme ad essa è stato realizzato un poggiapiedi a cui è legata con una catena, simbolo dell’oppressione riservata alla donna nei secoli.

L’importanza dell’innovazione nell’arte è una colonna portante della concezione creativa di Pesce. Egli sosteneva che un grande problema dell’istruzione odierna è che “gli insegnanti educano in base a ciò che hanno imparato quando erano giovani” ignorando ciò che conta nel presente per il futuro. E il futuro “è fatto di diversità. Non a caso Pesce ha vissuto per buona parte della sua vita a New York: questa per lui è una città “fatta di frammenti”, priva di ripetizioni anche nei suoi abitanti, costituiti principalmente da minoranze. Questo amalgama eterogeneo è secondo lui essenziale per comprendere il nostro tempo.

A tal proposito confessa che il suo lavoro consiste proprio “nell’ intuire quello che il tempo sta comunicando oggi e cercare di trasmetterlo attraverso le sue creazioni”. E quello che i nostri giorni ci stanno insegnando è la liquiditàdi un periodo in cui i valori scompaiono e ci si trova a cambiare idea sul mondo quanto mai rapidamente. 

Seppur disorientante “è proprio questa fluidità a costituire la bellezza del nostro presente”, perché una vita statica è orribile, è come morire prima del tempo” e “e se rivivi ogni giorno lo stesso giorno, allora hai vissuto un solo giorno”. 

I suoi lavori sono stati esposti nei maggiori musei di tutto il mondo, dal Louvre di Parigi al Moma di New York in  mostre con le quali ha cercato “un nuovo modo di esporre, un nuovo modo di provocare e suscitare emozioni, perché sono le emozioni che ci aprono verso la novità”. Quello di Gaetano Pesce è stato, ed è, un lavoro ottimistico che cerca per l’avvenire “qualcosa di migliore, di più buono, di più vitale”.

Chanel FW 2024-25: omaggio a Claude Lelouch e alla storia iconica della maison

Chanel FW 2024-25: omaggio a Claude Lelouch e alla storia iconica della maison

Già dalla colonna sonora, che riprende la musica di Pierre Barouh, si evince che l’advertising della Fall-Winter 2024-25 di Chanel è ispirato esplicitamente al film Un uomo e una donna del regista francese Claude Lelouch. In particolare è ripresa una delle scene finali (quella della cena), il viaggio in macchina, e le riprese di una serena spiaggia a Deauville

L’atmosfera in cui i due protagonisti sono immersi è infatti proprio quella della cittadina costiera normanna, cara alla maison poiché proprio lì nel 1913 Gabrielle Chanel inaugurò la sua prima boutique di moda, affascinata dal clima bucolico di quel luogo.

Possiamo notare come, attraverso un gioco di richiami, la scena dell’appuntamento dei due amanti, interpretati da Brad Pitt e Penelope Cruz, ben si presta all’esposizione della celebre Flap bag, dal momento che anche nel film, in primo piano, sul tavolo è esposta una borsa nera di forma analoga. 

Le inquadrature del paesaggio balneare che intervallano il dialogo tra i due protagonisti, inoltre, richiamano il legame di Chanel con il mare. È proprio negli anni di Deauville infatti che nasce la marinière, l’iconica maglia a righe orizzontali bianche e blu ispirata a quella dei marinai ed emblema dell’inconfondibile stile chic balneare ideato dalla stilista francese.

In un clima di erotismo raffinato, che ben si addice all’immaginario di Chanel, il cortometraggio aggiunge all’eleganza quel tocco di seduzione emblematico della maison.È in questa danza di allusioni ed eleganza che ad uno Chateaubriand mediamente cotto si sovrappone la calda passione dei corpi a cui si allude nel finale.

I 10 capi iconici della moda – must have del guardaroba

I 10 capi iconici della moda – must have del guardaroba

Trench Burberry

Burberry nel 1910 inizia a produrre usando il gabardine, il trench coat che verrà indossato dagli ufficiali britannici durante la prima guerra mondiale (il termine trench richiama appunto le trincee).

Inizialmente era prodotto in unico colore, il khaki, con una trama a quadri scozzese e una cintura con fibbia a D che fungeva da portaoggetti. Successivamente è stato riadattato per le masse e il suo modello midi con cintura che segna il punto vita è diventata la variante più celebre del brand.

Slip dress Calvin Klein

Reso iconico negli anni ’90 da Kate Moss, trasferito sulle passerelle da contesti di intimità, è l’erede del classico tubino nero. Versatile e sensuale lo slip dress è praticamente una sottoveste diventata capo cult dello stile nineties.

Minigonna Mary Quant

Nel 1945 la stilista londinese Mary Quant realizza un capo assurto a simbolo della liberazione femminile, la minigonna. Già da fine ’800 l’accorciamento degli abiti era diventato emblema del movimento femminista quando la suffragetta Hubertine Auclert fondò la Lega per le gonne corte, ma sarà soprattutto durante gli anni ’60, con i movimenti di protesta giovanili, che la minigonna diventò un capo celeberrimo.

Abito Rosso Valentino

Ispirato da un viaggio a Barcellona, lo stilista italiano Valentino Garavani, decise di realizzare un vestito di una tonalità di rosso particolarmente accesa, che sarebbe diventato icona di femminilità e sensualità per eccellenza.

Smoking Tuxedo Yves Saint Laurent

Introdotto nel 1966, grazie alla scollatura vertiginosa, lo smoking tuxedo era il primo capo che permetteva alle donne di avere un taglio maschile, conservando però la propria sensualità.

La sua invenzione costituisce un atto rivoluzionario che permetteva anche al gentil sesso di indossare uno smoking per qualsiasi evento mondano. E per consacrare questo abito Yves Saint Laurent lo fece indossare nel ’67 ad una celebrità del calibro di Catherine Deneuve.

Tubino nero Givenchy

Il little black dress viene disegnato da Hubert de Givenchy e reso celebre dalla sua musa Audrey Hepburn che lo indossa nel film Colazione da Tiffany del 1961. Si tratta di un abito senza tempo dal taglio basico, senza maniche, che scende fino al ginocchio in modo sensuale ed elegante. Col tempo ha conosciuto diverse varianti senza smettere però di essere perfettamente riconoscibile.

Tailleur Chanel

Quando fu presentato per la prima volta nel 1923, il twin set in tweed non riscontrò il successo sperato da Coco Chanel. Fu solo dopo la seconda guerra mondiale, con i cambiamenti sociali che portano le donne sempre più all’interno del mondo del lavoro, che il tailleur ottiene enormi attenzioni e conosce un successo che continua ancora oggi. È un capo infatti fortemente legato alle mutazioni storiche del periodo, e in particolare a quelle riguardanti i ruoli di genere, offrendo l’immagine di una donna libera e in grado di autodeterminarsi.

Tacchi alti Louboutin

Partendo da delle Pigalle nere a punta con tacco 12, Loubutin ne avrebbe colorato la suola utilizzando lo smalto rosso di una sua assistente. Da quel momento nacquero le decollette diventate simbolo di desiderio e seduzione per antonomasia.

Power Suite Giorgio Armani

Vestendo Richard Gere per il film American Gigolò nel 1980, Armani rivelò il suo talento decostruttivo al mondo. Infatti gli abiti realizzati per quell’occasione, e già presentati in sfilata durante gli anni ’70, non avevano traccia della rigidità tipica di quelli comunemente utilizzati dagli uomini del periodo. 

Abito di maglia Missoni

Dopo aver introdotto un concetto di maglieria nuovo, utilizzando inedite fantasie folgoranti, nel 1969 Missoni realizza il suo abito in maglia. Si tratta di una novità policromatica, pensata per essere pratico e confortevole, adatta ad una donna moderna e attiva.

Oltre i Limiti: La Vita e l’Arte di Juergen Teller in “I Need to Live”

Oltre i Limiti: La Vita e l’Arte di Juergen Teller in “I Need to Live”

Il titolo della mostra fotografica I need to live racchiude in modo icastico molta della poetica di Juergen Teller, che attinge linfa vitale da un viscerale senso di trasgressione. In un’intervista per Vanity Fair il fotografo racconta infatti di averlo ricavato da una discussione con la moglie Dovile, la quale gli aveva fatto notare la stupidità di fumare durante un periodo influenzale. Alle prediche della donna aveva infatti replicato proprio “I need to live”.

Evidente la trasgressione di un realismo che rispetta un’estetica dell’understatement, la quale conferisce valore artistico anche a quegli aspetti della realtà considerati più bassi e deprezzabili. Tra i tanti esempi offerti dalla mostra il più emblematico è il video trasmesso su maxi schermo, nel quale il fotografo defeca nei pressi del circolo polare artico, aiutato dall’attore svedese Alexander Skarsgård.

E come in questa stravagante ripresa, spesso è sfumato il confine che separa la vita personale dalle opere del fotografo tedesco. È il caso della grande fotografia nella quale è nudo mentre beve birra sulla tomba del padre, o quella di sua figlia neonata, Iggy, che indossa una tutina con la stampa del dito medio dell’omonimo cantante.

Spesso, infatti, a rendere la realtà quotidiana degna di interesse fotografata, sono accostamenti dal sapore surreale, che in modo folgorante rivelano una verità all’osservatore che sa coglierla. Ciò accade ad esempio nella foto scattata al Louvre, raffigurante l’attrice Charlotte Rampling e la modella Raquel Zimmermann  davanti alla Gioconda: in questo caso è immediato come un corpo senza veli (che può essere il corpo di chiunque) attiri la nostra attenzione prima di una delle opere più importanti della storia dell’arte. O ancora, è straniante l’atmosfera generata dalla serie fotografica di un ammasso di crocifissi e figurine sacre, che rivela la dimensione consumistica e obsolescente degli oggetti, anche quelli ai quali viene attribuito un valore sacro. 

La nudità è al centro dell’attenzione in buona parte della mostra, ed egli stesso se ne fa portavoce in più di un ritratto, come quello in cui è sdraiato di fianco, su un materasso, con dei palloncini in mano. E ad essere immortalate nude non sono solo modelle come Kate Moss, ma anche qui il realismo irrompe, presentandoci, senza veli, una Vivienne Westwood non più giovane, che posa come nella scena del ritratto in Titanic

Questa voglia di spogliarsi e rivelare, unita alla ridefinizione di ciò che è degno di essere soggetto di uno scatto, racchiude la volontà di mettere in discussione le convenzioni per creare liberamente. Juergen Teller infatti, attraverso questi atti di libertà, stabilisce ciò che è rilevante per i propri occhi, aldilà di ciò che dovrebbe esserlo, spinto da un prorompente need of life..

Un tributo a Dries van Noten: maestro della moda avant-gard annuncia il ritiro

La mattina del 19 marzo, dopo una carriera di quattro decadi, lo stilista belga Dries van Noten annuncia il suo ritiro come direttore creativo del proprio brand. Infatti quella che sfilerà a Parigi per la ss25 menswear di giugno, sarà la sua ultima collezione. In suo onore ripercorriamo i tratti salienti del percorso artistico e lavorativo di una delle personalità più influenti del mondo della moda avant-gard.

Distintosi come uno dei Sei di Anversa assieme a designer del calibro di Ann Demeulemeester, van Noten dichiara di trarre ispirazione dovunque: da un fiore, un odore, una poesia, un film. E durante la sua carriera lo ha dimostrato attraverso le sue collezioni, che meravigliano per la varietà ed eccletticità delle references. Non a caso nel 2014 è stato uno dei pochi stilisti viventi ad essere esposto nel Musée des Arts Decoratifs di Parigi con una mostra intitolata Inspirations.

È un esempio di questa ricettività poliedrica la Grunge collection (ss 2013), che parte dallo stile tipico di questo genere musicale, come quello dell’iconico vestito floreale indossato da Kurt Cobain ad Amherst nel 1990, per unirsi con le tonalità e colori dei quadri del pittore britannico Lucien Freud.

D’altronde il designer di Anversa ha avuto un legame prediletto con la pittura sin da piccolo. Infatti suo nonno, oltre che sarto, è stato un collezionista d’arte. Questa passione si esprime ad esempio con i capi ispirati ai quadri dell’artista Francis Bacon, realizzati per la fall-winter 2009. Egli stesso ha affermato come non volesse ricreare l’arte del pittore irlandese, ma travasare nei propri lavori le emozioni provate guardando le sue tele. 

Attraverso l’uso di colori e stampe estrosi, unite all’eleganza delle silhouette sartoriali, van Noten  è riuscito a creare un proprio stile iconico che si potrebbe definire avant-gard opulento.

Amante dell’esotico e della contaminazione degli stili, evidenzia quanto sia importante la conoscenza del passato e del diverso, dai quali estrarre le connessioni per realizzare ciò che l’arte gli permette di intuire. E in questo processo creativo assume un ruolo fondamentale l’apprendimento dell’artista. Infatti egli stesso ha dichiarato che ‘Nel momento stesso in cui smetto di imparare qualcosa, allora è meglio che mi fermi, perché la paura più grande che ho è di essere sistematico.’

Dries van Noten ha dimostrato di saper bilanciare gli aspetti più cerebrali della sua personalità con una lucida concretezza: formatosi alla Royal Academy of Fine Arts di Londra e avendo lavorato nella boutique del padre ad Anversa, afferma di non voler vivere nel passato, che pure tanto ama, e di realizzare vestiti per il futuro che non siano solo arte, ma che possano essere acquistati e indossati. 

A proposito di questa concretezza, si è sempre rifiutato di realizzare collezioni haute couture che non potesse vedere esposte nei negozi. Limitatosi ad organizzare quattro sfilate l’anno, van Noten ha sostenuto la necessità di rallentare i ritmi forsennati delle fashion week, rivelandosi anche attento alle tematiche ambientali. Egli stesso ha affermato ‘che la moda è ormai morta, e che in realtà sia un bene perché è di moda ciò che dopo solo sei mesi non lo è più’.

Inoltre, nonostante suoi collaboratori, come il sound director Michel Gaubert, vantino non a torto, il suo spirito di indipendenza, van Noten nel 2018 ha ceduto il suo brand al gruppo spagnolo Puig, rimanendone però direttore creativo e investitore minore. In questo modo ha potuto dedicarsi ad altre passioni nella sua residenza ottocentesca nei pressi di Anversa e, allo stesso tempo, preservare la stabilità economica dei propri dipendenti.

(foto copertina via @Pinterest)