Orfana di un valido direttore creativo. Un cambio di immagine talmente repentino che ha lasciato l’amaro in bocca agli estimatori della maison storica Lanvin.
Con l’abbandono della direzione creativa di Alber Helbaz circa quattro mesi addietro, il team creativo è stato affidato a Lucio Finale e Chemena Kamali che, con immani sforzi, hanno creato una collezione autunno/inverno 16-17 quasi abbozzata e, comunque, lontana dai canoni estetici del marchio Lanvin.
Il progetto creativo punta ad esaltare gli anni ’80 proponendo capi leggeri e dai colori smorti, rivitalizzati con dettagli in pizzo o con tagli sotto il seno. Gli abiti sottana in seta proposti dal duo di stilisti, affannano ad emergere abbinati a pellicce e a stole in vello di animale che amplificano in difetto l’allure vintage della collezione.
Broccati e motivi jacquard disegnano giacche aderenti e abiti scivolati. Maxi skirts plissettate, corpetti con baschine, boleri in Principe di Galles abbinati a pantaloni abbondanti. Opulenza di ruches e di tessuti laminati. In questa miriade di contaminazioni, non mancano altresì capi extralarge e pantaloni a vita alta in velluto.
Per gli accessori dominano stiletti a punta con fasce incrociate che avvolgono il collo del piede, mini bag e bijoux importanti con cristalli.
È lo show più atteso della settimana della moda parigina ed Olivier Rousteing, direttore creativo di maison Balmain, non delude le aspettative.
Opulenza sfrontata, dettagli superlativi, eccedenza di particolari desunti dai costumi della moda parigina nel periodo di Luigi XIV.
Un salto nel passato, che viene magistralmente attualizzato con fogge contemporanee e grazie alla top model Kendall Jenner (eletta musa ispiratrice dello stilista), che solo per la collezione autunno/inverno 16-17, abbandona la sua chioma scura per indossare una parrucca bionda.
Nappine, crinoline, passamanerie, perle e ricami in oro, esaltano la ricchezza del progetto creativo di Rousteing.
Corsetti striminziti che segnano il punto vita, celebrano capi basici come il maglione in cachemire; straordinario risulta, altresì, l’abbinamento a dettagli fur che elargiscono la collezione a livelli altissimi di magnificenza.
Se il bustier risulta il punto di partenza della collezione, le morbide ruches valorizzano i lati dei pantaloni in pizzo, la baschina e le maniche dei top e, infine, le tute sensuali.
Olivier Rousteing adopera colori pastello per raccontare il viaggio nelle Parigi del 1700 percorso dalla sua collezione. Non mancano il nero, l’oro (simbolo di ricchezza), il bianco e il verde.
Cocker/gorgiera in plexiglass, cinture alte, cuissard in suede e scarpe con fermaglio decorativo sulla tomaia completano la collezione.
C’è da chiedersi cosa sia successo alla maison di lusso Dior potendo giudicare la collezione autunno/inverno16-17 che presenta una noiosa reminiscenza del défilé Haute Couture primavera/estate 2016 proposto nei mesi passati.
L’estro creativo di Monsieur Dior, rivive appannato sulla celebre giacca Bar o attraverso il leopardato: motivo adottato dalla storica casa di moda parigina in tutte le collezioni e rivisto in questa occasione su un over coat dalla lunghezza totale.
L’attesa del nuovo direttore creativo, diventa spasmodica per gli estimatori del marchio di lusso che, orfani di Raf Simons, vedono traghettatori Lucie Meier e Serge Tuffieu, già alla direzione artistica della collezione Haute Couture estate 2016 e forse ancora poco preparati per guidare una maison blasonata come Dior.
Eccedenza di nero in passerella con capi abbondanti, morigerati, distinti. Revers ribaltati in pelliccia su cappotti essenziali, mughetti che fioriscono tempestivamente e delicatamente su pencil skirt e su abiti puritani.
Assenza totale di trousers per eccedenza di femminilità.
Tagli netti, costruiti con dovizia geometrica, si addolciscono attraverso curve sinuose che determinano una mitigazione dei capi strutturati.
Piccoli ma lussuosi dettagli luccicano con cristalli colorati che disegnano i capi o con voluttuose e dinamiche plissettature, che spuntano dallo spacco delle gonne quasi ad insinuare una dignitosa innocenza al défilé.
È chiaro, dunque, come la collezione punti sui particolari servendosi della grazia dei tessuti che movimentano il gioco visivo degli abiti eccessivamente garbati.
Completano la collezione, gli accessori in tono con il progetto creativo degli stilisti: borse a tracolla, stringate ed sunglasses avvolgenti.
“Devo cercare di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica”, affermò Ennio Morricone durante la cerimonia di assegnazione della stella a lui dedicata nella Hollywood Walk of Fame, il 16 febbraio scorso.
Sarebbe davvero difficile scrivere del Maestro, tralasciando ogni coinvolgimento emotivo. Morricone è un virtuoso. È eclettico. Sospinge attraverso i suoi capolavori, ogni ascoltatore in un turbine di emozioni.
Il suo approccio alla musica appare più sentimentale che tecnico. È viscerale e coinvolgente al contempo.
Ennio Morricone, classe 1928, ha scritto musiche per più di cinquecento film, sessanta della quale vincitori di premi. Ha collaborato con geni del cinema internazionale come Sergio Leone designando il successo della serie spaghetti-western o Quentin Tarantino, grazie alla quale ha potuto alzare al cielo per la seconda volta l’Oscar per la colonna sonora di “The Hateful Eigh”.
La prima colonna sonora che scrisse per Leone, suo compagno di classe alle elementari, fu per il film western “Per un pugno di dollari”, continuando poi con titoli celeberrimi come “Per qualche dollaro in più”, “C’era una volta il West”, “Il buono, il brutto e il cattivo” (nella quale inserì suoni realistici desunti dal regno animale) e “C’era una volta in America”, ultimo gangster-movie di Leone che segna la conclusione del sodalizio tra i due artisti.
L’originale e severo compositore italiano, che da piccolo voleva diventare medico e che proseguì gli studi diplomandosi in tromba nel Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, è riuscito a catalizzare l’attenzione sulle sue opere, mantenendo sempre distante la sua forte personalità dal suo lavoro.
Oltre cinquant’anni di carriera con nobili spartiti elaborati. Le sue opere hanno fatto piangere o tenuto con il fiato sospeso, hanno creato turbini irrazionali di sentimenti contrastanti.
Per “La leggenda del pianista sull’oceano” (pellicola del 1998 firmata da Giuseppe Tornatore), il musicista e direttore d’orchestra italiano, impiegò circa un anno per elaborare la partitura.
Ma è con “Nuovo Cinema Paradiso” che il sodalizio tra Morricone e Tornatore esplode in tutto il suo clamore. La pellicola del 1988, ambientata tra Roma e Giancaldo (in realtà Palazzo Adriano, un borgo quattrocentesco in provincia di Palermo n.d.r.), è l’apoteosi stessa del tatto delicato che il compositore imprime nelle sue opere. Nuovo Cinema Paradiso è un’opera cinematografica struggente, poetica, come il lavoro del Maestro che ha elaborato in musica, l’originale e sentimentale opera di Tornatore.
Il lungo percorso lavorativo di Ennio Morricone annovera diverse firme importanti : “La vita è bella” di Roberto Benigni, “Giù la testa” di Tornatore e “Malena” di Tornatore e “Gli intoccabili” di Brian De Palma.
Il 28 febbraio scorso, dopo nove anni dal primo riconoscimento con il Premio Oscar alla carriera, Ennio Morricone, per la seconda volta in vita sua avuto modo di stringere tra le sue mani la statuetta più ambita in ambiente cinematografico.
Commosso, sul palco ha esordito salutando in italiano tutti i presenti, poi ha commentato la vittoria: “Ringrazio l’Academy per questo prestigioso riconoscimento. Il mio pensiero va agli altri nominati, in particolare allo stimato collega John Williams. Non c’è musica importante senza un grande film, per questo ringrazio Quentin Tarantino per avermi scelto e dedico la vittoria a mia moglie e mentore Maria. Grazie, saluti.”
Annullare ogni dettame di sensualità forzata per descrivere una donna affascinante ed elegante con capi casti e dalla linea prettamente maschile.
Giorgio Armani chiude la settimana della moda milanese con una collezione che invalida la miriade di colori presentati sinora, di capi succinti e accostamenti osati a favore di una individuale e sorprendente austerità e l’abuso convincente di toni cupi che depurano da ogni eccesso il défilé più atteso degli ultimi appuntamenti della fashion week nostrana.
La classe di Re Giorgio passa innanzitutto dal velluto: tessuto regale della collezione, adoperato sia su pantaloni comodi che su giacche a doppio petto e su abiti da sera.
Giorgio, attraverso questo progetto creativo, insegna che l’eleganza non ha bisogno di orpelli o declamate dichiarazioni di stile, nemmeno di effetti scenografici imponenti.
La collezione autunno/inverno 16-17 potrebbe essere definita, peraltro, la sintesi del pensiero del couturier italiano: “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”.
L’impianto esecutivo della collezione si sviluppa sul concetto di abolizione di genere tra uomo e donna, idea nutrita ed applicata ormai da anni, dallo stilista.
L’eleganza della donna pensata da Giorgio Armani si insinua, infatti, nella sua classe innata. Capi essenziali, mocassini e clutch. Linee pulite, giacche aderenti e farfalle bijoux che impreziosiscono gli outfit di una semplicità disarmante.
Ricami, timide ruches, fiocchi, lavorazioni dévoré e fantastici fiori stilizzati, galvanizzano la collezione a livelli altissimi.
Nessuna vanità, alcuna ostentazione: i capi proposti da Giorgio Armani sono stati creati per essere acquistati da chiunque e indossati in svariate situazioni.
Del resto, la moda si avvicina sempre più alla gente comune e Re Giorgio è a tutti gli effetti il precursore di questa tendenza.
Estremamente borghese, severa. È l’antitesi dell’essenziale in tutte le sue forme. È ricca e castigata, disegnata per una donna d’altri tempi, che non si lascia abbagliare dalle tendenze. È lasciva.
Tomas Maier austero direttore creativo della casa di moda Bottega Veneta, presenta a Milano una collezione autunno/inverno 2016-17 degna della maison. Totale abbandono degli eccessi, nessuna trasparenza ordinaria, alcun dettaglio sopra le righe. La bellezza risiede nella semplicità, nel garbo e nell’eleganza.
La donna Bottega Veneta è aggraziata ed è eterea come Greta Garbo. Porta un lungo foulard annodato al collo, indossa gonne ampie che sfiorano delicatamente il ginocchio e veste abiti delicati in chiffon.
Riesce, peraltro, ad indossare over coats magnifici in lana bouclé con estrema femminilità e classe.
È grintosa quando porta generosamente capispalla animalier e dimostra gran carattere quando indossa abbondanti tailleur maschili.
Profondamente seducente, la donna disegnata da Maier ha stile da vendere e punta sulla qualità dei tessuti indossati. Cachemire e pelliccia sono un vezzo per lady Bottega Veneta, ma indossa piacevolmente canotte in lurex, maglioni over in lana e dettagli in pelle.
I toni della collezioni sono anch’essi rigorosi: nero, verde e viola, illuminati da un bianco candido e dal grigio.
Ad incarnare la donna Bottega Veneta, tre modelle d’eccezione: la bellissima e prorompente modella russa Irina Shayk, l’irresistibile topo model Adriana Lima e l’affascinante Kendall Jenner.
Il circo. Il suo mondo effimero, bello a vedersi, difficile spesso da giustificare. Le majorette e i loro virtuosismi, le cavallerizze in stile vittoriano che incantano il pubblico. Gli animali, quegli esseri così mansueti e così teatranti che, come attori, fingono di essere felici.
Elisabetta Franchi, con la collezione autunno/inverno 16-17, lancia più che una collezione, una missiva con la t-shirt slogan “Animals are not clowns”. Loro non sono dei pagliacci, loro meritano la libertà.
Incedono sicure e a passo di felino, le modelle della maison italiana sulle note di Cat People (Putting on Fire) di Hollywood & Mon Amour. Indossano alti cuissard e pantaloni aderentissimi a vita alta. È sensuale negli abiti attillatissimi, nelle velature generose degli abiti da sera e nel vertiginoso e audace spacco di una gonna leggera che lascia scorgere i micro shorts della tuta sahariana.
È wild e androgina, iper femminili e luminosa. Il défilé presentato da Elisabetta è variegato e asseconda i gusti eclettici della stilista.
L’animalier, tanto caro alla designer e onnipresente nelle sue collezioni, viene proposto totalmente sugli abiti o in piccoli e piacevoli dettagli.
Abiti sparkling da gran soirée e pantaloni luminosi abbinati a giacche mini, impreziosite da lunghe frange dorate.
Non mancano nemmeno le pellicce, rigorosamente faux fur: sono vaporose, leggere, glamour.
Il circo contamina non solo i completi rigati rossi e blu, ma anche gli accessori con fantastiche nappine annodate in vita come una cintura.
Vigorosa e decisa, fortemente unisex. La collezione autunno inverno 16-17 di Emporio Armani, esplora un universo ricco di suggestioni maschili pur mantenendo vivida una femminilità esplosiva.
Linee rigorose ed essenziali ridisegnate, in qualche occasione, da curve delicate e morbide.
Re Giorgio Armani si affida a pattern geometrici per alleggerire i capi: triangoli, quadrati e cerchi decorano i capi non solo come segno grafico, ma anche con spille singolari ed essenziali.
Short cortissimi, gonne a trapezio ed abiti mini, sono il fil rouge della collezione accostati amabilmente a lunghi pantaloni dalla linea ad anfora e maxi coats e plastron di paillettes.
Giacche asimmetriche e mono bottone, spalline arrotondate, tuxedo con ricami geometrici maglioni castigati e tailleur maschili: il bon ton Emporio Armani si rivela in tutta la sua bellezza, attraverso questi capi.
Accurata si presenta anche la palette di colori con un dolcissimo rosa baby, un purissimo bianco ed ancora un vivido verde e un nero basico.
La donna Emporio Armani, elegante e glamour, incede sicura calzando semplici Mary Jane abbinandole a maxy tracolle per il giorno e clutch essenziali, la sera.
Onde sinuose e aggraziate finemente ricavate da speciali e delicate ruches. Onde decorative e intessute non solo sugli abiti, ma anche su tutti gli accessori proposti.
Onde gravitazionali che colorano magistralmente pellicce vaporose dal sapore retrò.
La collezione Fendi autunno/inverno 16-17 è un’apoteosi di bellezza e studio delle forme, un delicato ritorno all’età adolescenziale con pantaloni culottes, volants sulla baschina e salopette increspate nei dettagli ma è anche un’inno all’austerità, attraverso giacche tailleur rigorose con dettagli plissettati sui fianchi e over coats abbondanti e sblusati da una cintura.
Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi hanno creato una collezione magistrale, pura ed iper femminile.
Ad aprire la sfilata, Kendall Jender, modella e musa ispiratrice di Kaiser Karl; indossa cappotto dalla linea baby con revers in pelliccia e cuissard color carta da zucchero fascianti e giocosi.
La pelliccia, tessuto must have della maison romana, si tinge di mirabili colori e pattern suggestivi: segni grafici maculati si avvicendano a toni pastello rinvigoriti da onde di toni contrastanti.
Due ospiti esclusivi hanno presenziato alla sfilata Fendi: “Piro-chan” e “Bug-kun“, i Fendirumi nati dall’estro creativo di Karl Lagerfeld per celebrare la cultura giapponese dei Kigurumi e creati in occasione dell’apertura a Tokyo del più grande pop-store d’Oriente.
Colori pop e pastello, cupi e vivaci, la palette di colori è incredibilmente variopinta e gradevolmente abbinata.
La collezione très folies di Fendi è meravigliosa. È straordinariamente “cosmica”.
Sovrabbondanza di tessuti, accostamenti di forte impatto visivo, carattere e forza. La collezione autunnoinverno 16-17 di Costume National presentata questa mattina presso gli spazi The Mall, è decisa, contemporanea, vera.
Ennio Capasa, couturier della maison, rimane fedele al suo estro creativo proponendo un défilé estraneo dagli stili ordinari, presentando una silhouette del tutto inaspettata.
Volumi ampi, linee destrutturate, abbinamenti anticonformisti, la denaturalizzazione dei cappotti che si accorciano nettamente sui fianchi o scivolano verso l’orlo, con chiusure che chiudono oltre la linea dei fianchi.
Gonne longuette svasate, pantaloni e abiti fluidi. Montgomery e trench, pantaloni in velluto con bottoni sui fianchi, tute e abiti in seta. Non mancano neppure gli abiti in lurex che donano alla collezione un tocco di luce e l’inossidabile gessato.
Colori cupi e misteriosi come il bordeaux, il blu e il nero, compongono la palette di colori e tinteggiano non solo i capi, ma anche le borse a tracolla in pelle, stivali in camoscio e boots in pelle.
Esotica e selvaggia. Vintage e barocca. Tante ispirazioni, un unico obiettivo: riconfermare l’immagine della maison Roberto Cavalli pur affidando la direzione creativa a Peter Dundas.
Silhouette anni settanta invadono maxi capispalla con manicotti e revers in pelliccia, trousers a vita alta e pellicce multicolor voluminose.
Lunghe cappe austere ricamate con fili d’oro che rilevano eleganti segni barocchi. Immancabile il jeans: tessuto tanto amato da Roberto Cavalli e riproposto per la collezione autunno/inverno 16-17 con pantaloni, over coats e camicie.
Abiti caftano in velluto abbinate a stivali in pitone, lunghe sciarpe che fluttuano generosamente nell’aria che nascondo appena le generose e sensuali scollature degli abiti e delle camicie lasciate sbottonate.
Ruches, plissettature, trasparenze audaci che mostrano una lingerie casta. Abiti da sera leggeri come piuma, impalpabili e couture, elaborati ma allo stesso tempo semplici da abbinare.
La rivalutazione del velluto, presente ovunque: su abiti, pantaloni, tailleur, cappotti over, blousons.
La palette di colori è variopinta, forte, importante. Non manca il gold su dettagli ed abiti da sera fascianti, il viola accesso, il verde, il nero. Nessun romanticismo, tanta avventura.
Peter Dundas, al suo ritorno nella maison italiana, ha elaborato una collezione vera, androgina, sontuosa, incarnando totalmente l’estro creativo di Cavalli.