Saint Tropez: il regno di un’unica regina, BB

Saint-Tropez è Brigitte Bardot. E Brigitte Bardot è Saint-Tropez. Tutto inizia circa sessant’anni fa, quando Roger Vadim decise di scrivere il copione di E Dio creò la donna”, quel film sexy che, grazie allo scandalo suscitato, avrebbe fatto conoscere nel mondo una giovanissima Brigitte Bardot, l’ingenua, impudica e libertina Juliette, ma soprattutto il luogo dove era stato girato: Saint Tropez. Un villaggio di pescatori, bello ma sconosciuto, divenne un luogo famoso e punto di incontro del jet set internazionale. Come famosa è diventata la spiaggia di Pampelonne, dove iniziarono le riprese, e il suo Club 55, punto d’appoggio di tutta la troupe. L’hotel de Paris nel cuore della città vide nascere l’amore tra il regista e la sua pupilla.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


Saint Tropez divenne Saint Trop nel 1950, quando il mondo artistico e intellettuale parigino, affascinato dal piccolo porto, scendeva per l’estate. Jean Cocteau, Picasso, Prevért s’incontravano al porto. A Saint Tropez tutto è celebre e celebrato, dalle spiagge, alla piazzetta des Lices dove all’ora dell’aperitivo, sotto i Platani, si sorseggia Pastis e si gioca alle bocce calzando i celebri sandali di cuoio.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


Coco Chanel, Maurice Chevalier e Isadora Duncan furono i primi vip, ma l’atmosfera particolare, che già allora vedeva auto di prestigio, yacht e divertimenti negati ai più, era mischiata a un’altra, più intellettuale, di cui si fece testimone la scrittrice Colette, che nel 1932 scrisse nel suo libro Prisons et paradis: “Cocktails e champagne sugli yacht in porto. Io conosco l’altra Saint Tropez, che esiste ancora ed esisterà sempre per quelli che si levano all’alba”. La Treille Muscate, la casa in cui Colette trascorse tutte le estati e spesso un mese a Natale, era ancora pacifica e abbastanza lontana dal trambusto. Colette si alzava all’alba per sarchiare i pomodori e passeggiare nei boschi silenziosi, con i gatti al seguito, tornando con le espadrille madide di rugiada. Faceva colazione con i fichi che aveva raccolto – o rubato. Due volte al giorno, sul presto e sul tardi, andava a nuotare in un mare cristallino.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


Dopo Colette i nomi famosi non si contarono più: Errol Flynn, Marlene Dietrich, Orson Welles, Ernest Hemingway, Gérard Philipe e Picasso. Subito dopo la guerra arrivarono gli “esistenzialisti”: Jean-Paul Sartre con Simone de Beauvoir, Juliette Greco e Boris Vian, scelsero l’Hotel de La Ponche come quartier generale, ribattezzandolo “Saint-Tropez-des- Prés”. Un posto magico, come scriverà la Gréco, «per bere, ballare, nuotare, dormire al sole e fare l’amore». Nel 1954, la giovanissima Françoise Sagan che sbarcava ogni estate a Saint-Tropez, scortata da Jacques Chazot, e da tutta la sua banda per vivere la dolce vita del posto, si ritrovò scrittrice di successo con il romanzo Bonjour tristesse, manifesto di una gioventù psicologicamente fragile che trovava in Saint Tropez un luogo dove esistere più liberamente.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


Era un ambiente di pescatori, e divenne un porto di miti. Qui Mick Jagger chiese, in francese, a Bianca Perez Moreno de Macias di sposarlo. Molto si è detto e poco si sa sul loro sposalizio. Se non che c’erano tutti. Arrivarono in Rolls-Royce, Alain Delon, Roger Vadim, lord Patrick Litchfield (cugino della regina Elisabetta). Keith Richard che giunse in ritardo, con la polizia che non lo voleva far passare per il suo look. Un party fu dato al Cafés des Arts con Paul McCartney, Ringo Starr ed Eric Clapton.


Charles Aznavour pedalava su una bici con tanto di transistor che emetteva musica francese. Eddy Barclay istituì la prima festa in bianco. Quincy Jones, Barbra Streisand erano le più paparazzate.


Gli italiani scoprirono Sain Trop, solo nei primi Anni 60; il primo vip fu Gianni Agnelli, con il suo yacht a due alberi, ma il primo a mettere il nome di questa località sulla bocca di tutti, o forse è meglio dire, nelle gambe di tutti, fu Peppino di Capri con la sua Saint Tropez Twist, del 1962. Nelle villette che degradano a mare si ritrovavano, Sophia Loren e Monica Vitti. Elsa Martinelli era l’italianne più à la page della città.


Nell’estate del 1968 la storia tra il simbolo assoluto della femminilità del tempo Brigitte Bardot e il play boy Gigi Rizzi fece di Saint Tropez il fulcro della mondanità. E fuori dalla Madrague, buen ritiro, della Divina, sventolava Il tricolore. Un italiano a piedi nudi, con la bandana del pirata, era adorato e invidiato perché aveva conquistato la donna più desiderata del mondo.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


“Colazione, amore, sci d’acqua…Erano teneri quei baci pubblici e privati, e ancora di più lo era la scoperta di una donna vera, lontana anni luce da quella dei film, scrive Gigi Rizzi, nella sua autobiografia. Brigitte era adorabile nelle sue piccole manie, il terrore del buio, la paura della solitudine, una timidezza quasi da bambina nei confronti delle persone anziane. Poi si metteva alla chitarra e cantava le sue canzoni, o strimpellava dolcissime serenate gitane, con gli occhi da gatta e i capelli raccolti in una treccia. Non sapevo e non volevo sapere se fosse un colpo di fulmine o il capriccio di una diva, restavo davanti a lei e lei era felice, la trascinavo fuori di notte con gli amici e lei faceva scintille”.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


E solo grazie a questa love story cosi infuocata che siamo riusciti ad avere il racconto di un’altra BB, una donna umana a tratti complessa ma soprattutto una diva controvoglia. “Brigitte era una casalinga gelosa della sua intimità. Raccontava dei suoi alti e bassi, era straordinariamente malinconica, ma poi bastava un sorriso, un gesto d’affetto e si lasciava andare. Era anche irascibile, furente, disperata quando l’assedio dei fotografi o la curiosità dei giornalisti non lasciavano scampo. Voleva nascondersi, odiava la ressa, i fans, le domande morbose sulla sua vita privata e sentimentale”.


Saint Tropez: il regno di un’unica regina, Bb


Ma come per tutti gli amori estivi, ai principi di settembre, la fine stava per arrivare anche per quella liason. Gigi Rizzi era ancora l’uomo di quella bambina benedetta dalle fate, ma avvertiva che stava arrivando la Mezzanotte, come nella favola di Cenerentola. Une Histoire de plage, come diceva la canzone che la diva cantava accompagnandosi con la chitarra, si avviava al tramonto. La fin arrivò e Gigi Rizzi batté in ritirata dicendo addio alle sue albe che profumavano di whisky e Chanel n.5. BB rimase e rimane, l’unica regina di Saint Tropez dal musetto imbronciato e dallo sguardo languido Al diavolo gli amori belli o brutti, i film di successo e non, il volontario viale del tramonto, le lotte animaliste, le rughe. Si Nasce BB non lo si diventa!

Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis

Questa estate è un vero delitto non leggere l’ultimo libro della giornalista Marcella Leone de Andreis “Capri 1950, Vita dolce Vita”, edito da La Conchiglia. Uno degli affreschi più glamour e fascinosi di Capri, ma soprattutto il racconto due decenni irripetibili. La dolce vita degli anni Cinquanta e Sessanta tra feste in piazzetta, personaggi eccentrici, attori, artisti, aristocratici e principesse. Tutti erano attratti da quell’isolotto scoglioso, meta prediletta dell’imperatore Tiberio.


Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis


Nel 1948 nell’isola delle Sirene, c’era già la dolce vita. Era la patria di divi e divini, come Rudy e Dado, al secolo Rudy Crespi e Dado Ruspoli, belli, ricchi e titolati, coi loro stili diversi nel vestire, teatrale ed estroso quello di Dado con i suoi bizzarri gilet e i suoi pantaloni da torero, o a guaina con le scarpe incorporate. Girava con un corvo sulla spalla e lanciò una moda: divenne trés chic, a Capri, passeggiare con un pennuto sulla spalla. Rudy era più sobrio e preferiva le immacolate camicie bianche e normalissimi pantaloni di tela blue. Tyrone Power e Linda Christin si affidavano a lui per godere al meglio del loro soggiorno caprese. C’era poi Chantecler, all’anagrafe Pietro Capuano, gioielliere che lanciava la moda del poncho e che faceva da cavalier servente di Edda Ciano.


Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis


A Raffaele La Capria, detto Dudù, piaceva scendere al mare quando l’isola non si era ancora svegliata. Raggiunto un piccolo scoglio, a Cala Ventroso, trascorreva ore in solitudine e in silenzio, facendo lunghe nuotate e scaldandosi al sole. Mentre si accomodavano, spesso in piazzetta al Piccolo Bar, Alberto Moravia ed Elsa Morante, con musi come al solito imbronciati. Arrivarono in tanti: Orson Welles, Truman Capote, Graham Greene. Curzio Malaparte che preferiva l’autunno e sedeva a un tavolo del caffè Vuotto.


Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis


La voglia irrefrenabile dei rampolli di ricche famiglie, avventurieri e viaggiatori di cercare relax e superficialità su una sdraio de “La Canzone del mare”, o sorseggiare vino sul belvedere di Tragara divenne un must. In rada era spesso ancorato il panfilo “Cristina” di Aristole Onassis, con a bordo Maria Callas e un 84 enne Winston Churchill. Poco più in là al belvedere della Funicolare, spesso s’incontrava la splendida Grace Kelly assieme a suo marito Ranieri III di Monaco.

La vita incominciava dopo mezzogiorno, annotava Oriana Fallaci in uno dei suoi taglienti reportage. Prima di quell’ora era sommamente disdicevole alzarsi dal letto e apparire in pubblico. All’una si scendeva alla Canzone del Mare, mai a Marina Grande luogo da borghesi, si prendeva poco sole e nuotare vicino a riva era usanza ‘dopolavoristica’. Novella Parigini, intanto si faceva fotografare prendendo il sole nuda. A Capri tutto era tollerato!


Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis


Il principe de Curtis che alloggiava alla pensione Weber a Marina piccola, era pronto a trasformarsi in Totò, a dire battute, a strabuzzare gli occhi e a mettersi in posa per i fotografi, ma a Capri la sua parola d’ordine era relax: preferiva un tranquillo tran tran borghese alle ammalianti lusinghe della mondanità. Calamitavano l’attenzione le grandi dive americane: l’atomica Rita Hayworth in compagnia del principe Alì Khan,la meravigliosa Ava Gardner, accompagnata da Frank Sinatra, l’ossigenata Lana Turner, la deliziosa Audrey Hepburn col marito Mel Ferrer, l’algida Ingrid Bergman scortata da Roberto Rossellini. Ma ci sono anche le italiane: l’esile e fascinosa Elsa Martinelli, sempre scortata da Franco Mancinelli Scotti, suo futuro marito e la procace Silvana Pampanini.

Suscitava curiosità Greta Garbo. Più la divina, voleva vivere in completa privacy, più ogni suo avvistamento diventava un evento.


Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis

Vestire Pucci divenne un diktat. Negli anni dell’ingessata couture parigina, il marchese Emilio Pucci, inventò un nuovo modo di vestire: pantaloni aderenti, colori sgargianti e le camicie annodate su un fianco o dietro la schiena. Ma la stilista che fece scalpore con il rivoluzionario pijama palazzo, fu la Principessa Irene Galitzine. A villa Vivara, Donna Irene, riuniva il bel mondo cosmopolita da Gianni Agnelli a Mario D’Urso, da Marella Caracciolo a Maria Pia di Savoia fino ad arrivare alla first lady delle fisrt lady: Jacqueline Kennedy. E fu un vero coup de foudre!! Jackie amava passeggiare per le strette vie senza bodyguard, in mezzo alla gente comune: adorava fare shopping, comperare sandali capresi, entrare nelle deliziose e piccole boutique; amava soprattutto camminare, d’estate anche scalza, e intrattenersi con la gente semplice; le piaceva bere un caffè con panna o un aperitivo, seduta nella famosa Piazzetta dell’isola, andare in trattoria e gustare una semplice insalata caprese, fermarsi ai chioschi a bere una spremuta di limone. A Capri poteva dimenticare la vita austera e formale che conduceva a New York dove era continuamente osservata, e sentirsi veramente libera, viva, felice!


Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis


Era A’ la Parisienne che tutte le donne che contavano, da Consuelo Crespi con la gemella Gloria a Doris Pignatelli, si facevano confezionare camicie e pantaloni, abiti e gonne a ruota, costumi da bagno interi e a due pezzi. E’ sempre A la Parisienne che Rita Hayworth, Ingrid Bergman e Audrey Hepburn, si spogliavano degli abiti cittadini con cui erano appena sbarcate e indossavano abiti capresi.

Non passava inosservato Clarke Gable, l’indimenticabile Rhett di Via col Vento. La sua non era una vacanza ma un impegno di lavoro perché stava girando, proprio a Capri, il film La Baia di Napoli, la cui protagonista era la giovane e bellissima Sophia Loren che con le gambe lunghissime e le curve morbide, suscitava l’entusiasmo di turisti e capresi. Come constatavano barman e ristoratori capresi, Gable era perennemente ubriaco. Si svegliava solo quando doveva girare: al ciak ogni effetto della sbornia si dissolveva come per miracolo. Finita la scena ripiombava nel suo torpore.



Capri 1950, Vita dolce Vita, l’ultimo libro di Marcella Leone de Andreis

A dispetto dei suoi 19 anni, Françoise Sagan, era diventata famosa per il suo romanzo Bonjour tristesse. Piccola ed esile, capelli cortissimi, sempre imbronciata e per niente bella, stava realizzando in Italia un reportage commissionato da Elle France. Era sempre in compagnia dell’eccentrica pittrice Novella Parigini, un tipino sopra le righe che aveva vissuto a Parigi alla corte di Jean Paul Sartre. Faceva della trasgressione il suo credo nella vita e nell’arte. Icona indiscussa di Via Veneto e Via Margutta, dava scandalo a Capri con abbigliamento succinto e leopardo al guinzaglio.

Negli anni sessanta l’isola Azzurra divenne la meta prediletta delle nuove stelline del cinema e della tv: Alessandra Panaro e Lorella de Luca, protagoniste di Poveri ma Belli, dove interpretavano il ruolo di amiche ingenue e di buoni principi innamorate dei rispettivi fratelli impersonati da Maurizio Arena e Renato Salvatori. Elette reginette della cronaca rosa, non sfuggivano all’attenzione dei paparazzi. Proprio a Capri la bella Alessandra Panaro apprese di essere stata lasciata in tronco dal fidanzato, e immediatamente i giornali parlarono del suo chagrin d’amor.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco e nero

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Walter Chiari a Fregene

C’era una volta la villeggiatura, quando intere famiglie lasciavano la città e correvano in auto stipate per raggiungere il mare o la montagna. Erano i favolosi anni Cinquanta e Sessanta e cominciava l’epopea dell’«Agosto, moglie mia non ti conosco», con i mariti soli nelle città a lavorare (e a morire di caldo) e mogli e figli parcheggiati nel villino o nella pensioncina della meta turistica, prescelta. I venerdì arrivavano puntuali, e tutti i “paparini”, ma proprio tutti, diventavano santi e immacolati per l’occasione.

Oggi tutto ciò ci appare come una cartolina vintage dagli angoli un po’ ingialliti e smussati, ma fino all’altro ieri, gli italiani in vacanza erano molto più poetici di oggi, o meglio sapevano godersi meglio le vacanze! Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’Italia scopre la villeggiatura. E in villeggiatura si va soprattutto al mare.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Mastroianni e Fellini a Fregene

Fregene divenne in quegli anni la “Hollywood sul mare”. I grandi registi del cinema italiano si ritrovavano, d’estate, nel villaggio dei Pescatori e nel ristorante Mastino a parlare di cinema e progetti per il futuro con spensierata e preziosa amicizia. Franco Rosi, Ettore Scola, Gillo Pontecorvo, Nanni Loy, Lina Wertmuller e Franco Solìnas, erano tutti di casa.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Sordi a Castiglioncello

Gli stabilimenti non erano molti, il più alla moda era Tony, dove Rossano Brazzi, Gino Cervi e altri divi del cinema d’oro, italiano, ça va sans dire, erano degli abitué. Presto arrivarono Gian Maria Volontè e Walter Chiari, i fratelli Vanzina, erano di casa all’Hotel Villa dei pini, il più caro ed esclusivo albergo del luogo. Il Sogno del Mare, con le cabine verdi e gialle, era una piccola Hollywood sul mare. La sera le comitive vip e non andavano a ballare sotto le pagode di paglia del Tirreno e della Conchiglia. I Platters, Peppino di Capri e Gino Paoli si esibivano alla Nave, lo stabilimento con i grossi fumaioli che piacevano anche a Fellini. Ma l’evento di quelle torridi estati profumate di gelsomino e plumbago in fiore, negli anni Sessanta, se lo accaparrò l’Oasi con il concerto di Mina, la diva di Studio Uno. Le cronache mondane dell’epoca, pur di far notizia, raccontarono un piccolo incidente della Divina: pare infatti che la Tigre di Cremona, fosse diventata improvvisamente rauca per il clima piuttosto umido e che per ritrovare la voce avesse ingurgitato alici sott’olio, omaggio dei pescatori del Villaggio.

 

Alberto Moravia e Dacia Maraini assieme a Pier Paolo Pasolini aspettavano il tramonto prima di rientrare dal mare nel casotto a forma di Cubo, accanto al fiume Arrone, mentre Gillo Pontecorvo invitava Marlon Brando a mangiare la zuppa di pannocchie nella sua casetta. Solìnas, ospitava da Mastino, Costa Gravas e Joseph Losey. Da Fellini, invece, era spesso di casa Marcello Mastroianni, soprattutto quando era in crisi. Si rintanava con la Masina, scappando dal Villaggio dei Pescatori dove aveva comperato una casa, per fargli le sue confidenze. I due passeggiavano insieme anche sulla spiaggia, “dove la sabbia è fina fina” diceva la Masina.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
La Lollobrigida

Nel 1962, con il Sorpasso, il celebre film di Dino Risi, interpretato da Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignan, Castiglioncello, entrò di diritto nell’empireo delle località balneari più gettonate dei Mitici Anni Sessanta.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Fellini e la Masina a Fregene

Rosse scogliere a picco sul mare, baie riparate, spiagge e calette bagnate dall’acqua cristallina. Il cinema a Castiglioncello fu richiamato dalla famiglia D’Amico, notissimi scrittori e sceneggiatori. Grazie a loro s’insediò nel dopoguerra la colonia di cinematografari romani. Facevano una gran vita. Il giorno ai bagni Ausonia, Nettuno, Lido, la sera o meglio le notti intere, al popolarissimo night “Ciucheba” in pinetina. Il 12 luglio 1960 apriva i battenti Il Fazzoletto, il locale che più di tutti segnò l’epoca dei vip, «il miracoloso night di Castiglioncello». Gli ospiti erano Delia Scala, i fratelli Giuffré, il regista Enzo Trapani, Sofia Loren, Claudia Cardinale, Alain Delon, le gemelle Kessler con Umberto Orsini ed Enrico Maria Salerno, Armando Trovajoli, Toni Ucci, Vittorio Gassman e Nora Ricci, e solo qualche volta Indro Montanelli. Si beveva, si mangiava, si facevano le quattro e mezzo del mattino fra le note che venivano dal giradischi e il baluginio delle candele.

 

Ilprimo attore ad avere casa a Castiglioncello fu Sergio Tofano. Panelli si costruì casa quando sposò Bice Valori. Seguì Marcello Mastroianni che aveva sposato Flora Clarabella. Paolo Ferrari non fu da meno e Alberto Sordi comprò la bella villa di Memmi Corcos. Mario Monicelli e Franco Zeffirelli, erano dei grandi presenzialisti. La famiglia Gassman, invece, era spesso ospite della pensione Fiorentina. A Castiglioncello per alcuni anni ci fu un gran passaggio di dive e divine.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Anna Magnani a Venezia

Mastroianni e Panelli che se ne stavano quasi tutti i pomeriggi a chiacchierare al club delle Quattro gomme lisce, un’officina trasformata in circolo esclusivo insieme a Renzo Montagnani. A volte, al tramonto, anche Suso Cecchi D’Amico si univa alla discussione prendendo un po’ di fresco. Nel 1958 Suso, sceneggiò insieme a Vasco Pratolini, nella sua casa al mare, uno dei più bei film del dopoguerra: Rocco e i suoi fratelli. Nelle ariose stanze di Villa Bologna, la villa ottocentesca che prendeva in affitto per oltre trent’anni, erano ospiti, stagione dopo stagione, Luchino Visconti, Nino Rota, Ennio Flaiano: il gruppo che lei chiamava con nostalgia struggente «i miei pensionanti». Visconti spesso e volentieri scappava a fare shopping nella vicina Livorno. Andava a prendere le stoffe per le sue camicie oppure, si aggirava per negozi di antiquari, da dove usciva, regolarmente, con qualche acquisto sotto il braccio. Comprava di tutto, con singolare voracità e nel lessico famigliare di casa D’amico, solo per lui, fu coniata l’espressione “se ne sentiva il bisogno”. Tutti la usavano ogni volta che Luchino comprava qualcosa di cui non si sentiva la necessità. Cioè quasi sempre.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
La Maraini e Moravia a Fregene

Ma le cronache ricordano anche un Roberto Rossellini sornione e seduttivo che ammaliava i bambini con i giochi di prestigio eseguiti con le carte, oppure le sere passate da Flora Mastroianni che organizzava sedute spiritiche sulla torretta della villa a picco sulla scogliera che finivano sempre con una ridarella generale. E le danze acquatiche di Bice Valori e delle sue amiche alla scaletta dei bagni Miramare a parodia dei film hollywoodiani, e infine uno schivo Alberto Sordi che per fuggire ai tentativi dei suoi amici di fargli prender moglie, tentò la fuga gettandosi in mare, vedendosi arrivare una giunonica donna in bikini”.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Paul Newman a Venezia

E come non terminare questo viaggio in bianco e nero con il Lido di Venezia, da sempre avvolto dalla magia rarefatta della laguna e dal fascino carismatico degli ospiti divini che si sono succeduti negli anni.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Visconti e D’Amico a Castiglioncello

La prima celebrità a innamorarsi del Lido fu la geniale, dissacrante e rivoluzionaria Coco Chanel. Venezia diventò per lei, il rifugio dopo un grande dolore, la perdita del suo amato Arthur Boy Capel (morto di incidente d’auto a 38 anni). Dopo le gite al Lido in barca e i pic-nic sulla spiaggia, con le immancabili maglie a righe, Gabrielle Chanel e i suoi amici, tra cui la coppia Jose-Maria e Misia Sert, approdavano nel ‘salotto glamour’ della città: il Caffé Florian. Ma l’ultimo drink prima di ritirarsi a dormire, Mademoiselle se lo concedeva all’Harry’s bar, nel bar ultrasnob aperto negli anni 30 da Giuseppe Cipriani. Qui si fermarono a bere, ma anche a cenare Charlie Chaplin, Orson Welles, Georges Braque e Hemingway, che aveva un tavolo fisso.

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
La Martinelli al Lido

Al Lido di Venezia gli alberghi importanti sono stati sempre due, l’Excelsior e il Des Bains. Scrittori, sceneggiatori e poeti preferivano il più riservato e romantico Des Bains, Il mondo del cinema, in genere, sceglieva l’Excelsior, dove il Festival è nato. Con gli anni le proiezioni si sono spostate al Palazzo del Cinema ma l’Excelsior è sempre rimasto il cuore, mondano della Mostra e non solo!! Se quelle mura potessero parlare! Stanze mitiche? Soprattutto una. La 135, che Enrico Lucherini, leggendario press agent cinematografico, ha occupato da sempre. Proprio dalla passerella dell’Excelsior, nel 1959, Lucherini buttò in acqua, vestite, le belle interpreti della Notte Brava di Mauro Bolognini: Rosanna Schiaffino, Antonella Lualdi, Anna Maria Ferrero ed Elsa Martinelli. Quando uscirono dal mare i loro abiti sembravano trasparenti. In un’altra di queste stanze Roberto Rossellini, consolava Anna Magnani, in lacrime per non avere ottenuto il premio per la sua interpretazione in «Amore». La loro relazione era agli sgoccioli: l’algida Ingrid Bergman era apparsa all’orizzonte con il leggendario telegramma: Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo “ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei…

Fregene, Castiglioncello, Lido di Venezia: le villeggiature d’antan degli italiani in bianco  e nero
Coco Chanel al Lido

Da un’altra di queste stanze, al primo piano, un nugolo di ragazzini prese a sassate la finestra di Gina Lollobrigida, e non si calmarono finché la star non lanciò un bel fascio di fotografie. Erano anni che al Lido si poteva incontrare Orson Welles, perdutamente e inutilmente innamorato di Lea Padovani, o prendere un caffè al Blue Bar accanto a Tyrone Power e Linda Christian. o imbattersi improvvisamente sulla spiaggia, nel proprio divo dei sogni, Paul Newman insieme alla moglie Joanne Woodward. Erano altri tempi: i Cicogna, i Misurata, i Brandolini e Berlingeri, si mescolavano con Yul Brynner, Audrey Hepburn, la regina del Belgio e Truman Capote ed era pura dolce Vita!

Il ritorno della Divina Alessandra Ferri all’Auditorium Parco della Musica

Il ritorno della Divina Alessandra Ferri, domani a Roma, all’Auditorium Parco della Musica
Foto di Lucas Chilczuk

Se la Divina Alessandra Ferri, ritorna a danzare, dopo il suo addio alle scene, risalente a qualche anno, bisogna accorrere, senza pensarci su due volte. Perché sarà un evento irripetibile, perché è cosi difficile rinunciare a vedere danzare una della maggiori ballerine del nostro tempo, stella del Royal Ballet di Londra, dell’American Ballet Theatre di New York e de La Scala di Milano, musa di grandi coreografi come Kenneth McMillan, interprete senza eguali di ruoli drammatici.

“Ho visto danzare Mikhail Baryshnikov a 65 anni ed ho trovato il coraggio di tornare sulle scene”. Mai intuizione fu più giusta. Alessandra è di nuovo sulle scene, per riabbracciare il suo pubblico.

“Mi sembra di portare bellezza nel mondo, come se fosse la mia missione”

La Ferri, torna a Roma domani, 30 luglio, nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica Roma con lo spettacolo Evolution organizzato dal geniale e talentuoso Daniele Cipriani, in collaborazione con Fondazione Musica per Roma, uno spettacolo intenso e sfaccettato che ci mostrerà una nuova Alessandra.

“Mi sono lasciata alle spalle Giulietta, Manon, Giselle. Ora voglio affrontare ruoli nuovi che appartengano all’Alessandra di oggi”

Il ritorno della Divina Alessandra Ferri, domani a Roma, all’Auditorium Parco della Musica
Foto di Lucas Chilczuk

Ad accompagnarla in questo nuova avventura ci sarà Herman Cornejo, primo ballerino dell’American Ballet Theatre e alcuni acclamati danzatori provenienti da compagnie classiche e moderne di punta: Tobin del Cuore (Lar Lubovitch Dance Company), Craig Hall (New York City Ballet) e Daniel Proietto (Russell Maliphant Company), Jonathan Alsberry, William Briscoe e Jonathan Fredrickson, artisti molto diversi tra di loro, eppure tutti profondamente uniti dalla medesima visione della danza.

La Ferri è una delle stelle della danza italiana più amate nel mondo. E’ una star assoluta, la sua personalità e il suo talento fanno di lei una ballerina unica e rara. Lei non è l’erede di nessuna étoile del passato, lei è Alessandra Ferri, che ha impresso un suo stile nella storia della danza, di ieri, oggi e domani.

Qualche anno fa decise di abbandonare le scene. Mai notizia fu accolta con tristezza dai ballettomani e non. Tutti accorsero ad ammirarla nei suoi ultimi spettacoli e una sera di circa otto anni fa, infatti, tutti ricordano le lacrime al viso e un sor­riso rico­no­scente verso il suo pub­blico. Eravamo in estasi al Tea­tro alla Scala di Milano, Alessandra dava l’addio alle scene insieme all’amico e collega Roberto Bolle, con uno dei uno dei ruoli più strazianti della sua car­riera, La Dame aux Camé­lias di John Neu­meier, sto­ria d’amore e morte, una di quelle parti che esigono talento, personalità, sensibilità, interpretazione.

Il mondo della danza perdeva una delle sue stelle più luminose, una diva controvoglia, una donna dal carattere tenace e carismatico.

Voleva dedicarsi alle figlie adolescenti e all’allora marito Fabrizio Ferri. Tutto era così umanamente comprensibile, ma il pubblico rimase, attonito e triste, comunque! E’ cosi difficile lasciar andare via le stelle.

“Quando smisi avevo capito che un capitolo era terminato per me. Ho avuto una fase di lutto. Poi un’altra, di sollievo. Mi sono occupata delle mie bambine, ho curato aspetti della vita che erano stati secondari rispetto alla carriera. E poi all’improvviso, ho cominciato a soffocare. Non era la scena, non era il pubblico, era proprio il ballare, il bisogno di vibrare, quello che mi mancava”.

Bentornata Alessandra!!

 

Foto in copertina di Lucas Chilczuk

Ritorna in libreria Luca Bianchini con Dimmi che credi al destino

Le storie ambientate nelle librerie hanno un fascino tutto loro, a metà tra il vintage e il romanticismo. Poi se a scriverle è Luca Bianchini, l’enfant prodige dell’editoria italiana, il successo è assicurato.


Il suo ultimo libro, Dimmi che credi al destino, è una deliziosa commedia agrodolce, che non vi lascerà delusi.

Luca Bianchini è un adorabile Peter pan, scrittore e giornalista poliedrico, è una delle più belle persone che abbia mia incontrato in questi anni di televisione. Ha energia da vendere, la sua allegria è contagiosa. Le sue storie riescono ad avvolgerti e ad accompagnarti per mano in trame romantiche, divertenti, in cui l’ironia dei personaggi non delude mai.


Ritorna in libreria, l’enfant prodige dell’editoria italiana Luca Bianchini  con Dimmi che credi al destino


Bianchini è lo scrittore che vorrei per amico. Perché la sua bontà è disarmante! Adoro la sua verve, il suo carattere giocoso (come è bello vedere una persona sorridere sempre) e come non rimanere colpiti, ad esempio, dalla descrizione che fa di sé sul suo sito?


“Sono nato l’11 febbraio 1970. Nello stesso giorno, in anni diversi, sono comparse Jennifer Aniston, Irène Némirovsky, Sarah Palin e la Madonna di Lourdes. Le cose più belle mi sono successe senza averle cercate direttamente, come a tutti, credo. Ma mi piace credere alle coincidenze e questo dipende senza dubbio dagli anni che passano. L’unica cosa di cui sono sicuro, in questo tempo precario, è che scrivere è la cosa che amo di più, dopo la pasta coi broccoli.”


Uno così lo sia ama a prima vista e non lo si lascia scappare!!!


Il suo precedente romanzo, “Io che amo solo te”, ha venduto oltre 250mila copie e sta per diventare un film, diretto da Marco Ponti. Pochi giorni fa, infatti, sono iniziate a Polignano a mare, le riprese con Michele Placido, Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti.


Al centro del racconto c’è la storia di Ninella (che nel film viene interpretata da Maria Pia Calzone) e don Mimì (Michele Placido): un amore impossibile coronato però da un colpo di scena: sua figlia Chiara (Laura Chiatti) si fidanza proprio con Damiano (Riccardo Scamarcio), il figlio dell’uomo che ha sempre sognato e desiderato. Quando i due ragazzi decidono poi di convolare a nozze, si animano le tensioni sotterranee tra le due famiglie, creando una vera baraonda di situazioni surreali. E poi basta dare un po’ di sfogo alla fantasia per capire che non sarà un matrimonio facilissimo…e che i colpi di scena sono dietro l’angolo.


Lo stesso Bianchini, farà un cameo nel film tratto dal suo libro e non è nella pelle. Ritorna nella sua adorata Polignano che è diventata, negli ultimi anni la sua cittadina adottiva. Fu qui che si scontrò per la prima volta, con la tradizione nuziale, rimanendo affascinato dall’indimenticabile folklore pugliese.


I matrimoni del resto, non sono altro che dei crocevia tra lunghissime portate, sentimenti e risentimenti, outfit all’ultima moda, amori mancati e coronati, giorni più belli della nostra vita, costruiti intorno ai tavoli, tra menù elaborati, bomboniere di Limoges e confettate.


In questi giorni, in libreria, è uscita l’ultima fatica letteraria di Bianchini: Dimmi che credi al destino, edito da Mondadori. E dire che sta per diventare un nuovo fenomeno letterario è troppo poco.


E’ un romanzo che intreccia realtà e finzione narrativa e che parla soprattutto di donne, della grande solidarietà che sanno spesso regalarsi, per affrontare al meglio le avversità del destino. Ma è soprattutto un romanzo che parla di seconde possibilità, di amicizia e di destino.


“Il destino è quella porta socchiusa da cui ogni tanto puoi sbirciare. E allora vedi che nulla avviene per caso e che tutto ha senso, anche quando sembra non averlo”


Ornella, è la direttrice dell’Italian Bookshop di Hampstead nel cuore di Londra, una piccola libreria italiana che rischia di essere chiusa per essere trasformata in un ristorante turco. Insieme a Clelia, scontrosa e insoddisfatta collega, cerca di portare avanti la libreria, tra mille difficoltà; ma per fortuna, arrivano, in suo soccorso, la sua adorata amica Patty e i suoi inseparabili tacchi 12 e il poliedrico barbiere gay Diego, e la situazione finalmente sembra migliorare.



Tutti i personaggi fuggono da qualcosa, chi da una zia tirchia, chi da un amore sbagliato, chi dalla solitudine, chi da un marito in fin di vita e un passato troppo difficile da dimenticare.



“Alcuni amori sono capaci di restarti nel cuore anche quando sanno solo farti del male”.

Ce la faranno i nostri eroi a salvare la libreria e a liberarsi dalla loro “appuncuntria” personale?

“Cos’è l’appucuntria? Chiede una sorpresa Ornella, a Diego?

“E’ quel misto di noia, nostalgia, mal d’amore, insoddisfazione e solitudine”.

Ma soprattutto quali saranno le sorti delle vere star della libreria: due pesci rossi di nome Russell & Crowe?

E’ un romanzo che fa sorridere, piangere e riflettere, come accade ad Ornella sulla sua panchina al parco di Hampstead Heath, spesso in compagnia di Mr George, un vecchietto che ha fatto la guerra, che ha studiato a Perugia e che legge Calvino.


Come non innamorarsi di questo straordinario vecchietto che ci insegna che in guerra la cosa più importante è non pensare: non pensare al passato e non pensare al futuro. Perché è lì che scatta la paura; o ancora che non è mai tardi per gli eroi. La prima cosa da sconfiggere è la paura. Perché in guerra tu puoi essere il tuo alleato ma anche il tuo peggiore nemico”.


Ornella impara ancora una volta a farsi coraggio. Anche con l’aiuto di Jane Austen e di Orgoglio e Pregiudizio. Le bastano poche righe del romanzo per ritornare a respirare. Ama Lizzie con tutta se stessa perché è come lei: un’eterna seconda. Se fosse esistita e si fossero incontrare, sarebbero diventate amiche, ne era certa.



E anche se è una maestra di cadute, Ornella, sa risollevarsi, sa guardare avanti, sa riprendere la sua strada, con un po’ di ammaccature, qui e là. “Del resto la vita non è un film dove i colpi di scena sono previsti”.

Ma Dimmi che credi al destino è anche una storia d’amore e come in tutte le favole a lieto fine, il principe azzurro arriva a salvare l’eroina della romanzo. E non ci sorprende che l’eroe sia il vicino di casa, quello che ti aspetta da una vita e che non sa cucinare un piatto di pasta e che gli viene così scotta da sembrare una minestra. Ma con gli occhi dell’amore tutto si perdona a un inglese maldestro coi fornelli.


“E quando scopri che non t’importa più che tempo fa, vuol dire che sei innamorata”.

Sei la mia vita – il nuovo e appassionante memoir di Ferzan Ozpetek

Ho per Ferzan Ozpetek una grande ammirazione e soprattutto devozione. I suoi film si legano a molti ricordi, alcuni condivisi con le mie amiche di sempre, le donne della mia vita, materne, a volte drammatiche, ironiche, pragmatiche, insostituibili.

Mi sono sempre circondato da varia ed eccentrica umanità e le pittoresche tavolate delle Fate Ignoranti, le ho vissute anch’io, anch’io ho condiviso con le mie anime fragili, lunghe cene intrise di drammi e melodrammi ma anche di spensierate chiacchiere che solo amici devoti possono regalarti.

Il tempo passa inesorabile, ma le amicizie vere, quelle allacciate in anni spensierati rimangono, sono quelle che aiutano a combattere i momenti difficili che spesso arrivano, lasciandoti smarrito di fronte al da farsi.


Con Ferzan il concetto di famiglia si allarga, non ha vincoli di sangue ma legami empatici intrisi di solidarietà e generosità.

Le sue storie lasciano il segno, non solo sullo schermo ma anche sulla carta: in questi giorni è uscito per Mondadori, la sua ultima fatica letteraria, Sei la mia vita, un vero e proprio memoir che ripercorre la sua vita, ma soprattutto il suo arrivo a Roma, negli anni ’70, quando era un giovane studente di cinema.

Il suo presente, il suo passato e il suo futuro hanno inizio in Via Ostiense, in un vecchio palazzo un po’ fané, all’ombra di un gasometro, abitato da un mondo variopinto di emarginati.

“Li ho nutrito i miei sogni, ho provato ogni tipo di emozione, ho capito chi ero davvero e che cosa desideravo fare della mia vita”.


Sei la mia vita – il nuovo e appassionante memoir di Ferzan Ozpetek


La sua famiglia d’adozione romana, anime candide ma esperte di vita, ciascuna con la sua solitudine da offrire, è il fil rouge di questo tenero libro autobiografico che si legge tutto di un fiato per poter scoprire aneddoti e spunti che hanno reso immortali alcune delle scene dei suoi film.

Ed ecco che arriva, da subito, nella sua nitidezza il ricordo dei pranzi domenicali sulla terrazza che è entrato nell’immaginario collettivo grazie alle Fate Ignoranti.

“Non so nemmeno io quanto è cominciata. L’abbiamo organizzata una volta e poi, senza bisogno di darsi appuntamento o mettersi d’accordo, la domenica dopo eravamo di nuovo tutti qui”.

Regina indiscussa di quei convivi era Vera, la trans più estrosa e richiesta di Roma. La regina delle drag-queens capitata per sbaglio in un film neorealista.


Quel personaggio interpretato poi, nel film dalla mia straordinaria amica Lucrezia Valia, è pieno di tenerezza, esagerazione, drammaticità e divismo. Quel divismo vintage che raccoglie in sé l’allure di un tempo che non tornerà. Dive che lasciano, dietro di loro, scie voluttuose di Madame Rochas.

Come non ricordare gli altri commensali di quei convivi così pittoreschi: Bruno, soprannominato la postina di Monteverde, Ernesto, centralinista ed attore fallito in perenne contestazione con il mondo e soprattutto con una soubrette televisiva ai tempi sua compagna di studi al Centro Sperimentale di Cinema, Rossella, che cerca un figlio ma non vuole un compagno e che sceglierà un lungo e difficile percorso per coronare il suo sogno di madre e ancora la portinaia Rosita, una donna grassissima e molto gioviale e amante delle arie di Verdi e in modo particolare della Traviata e del Nabucco.

“Fra un boccone e l’altro, un sorso di vino, mi ero conquistato un po’ di spazio in quel magico circo, composto da checche, travestiti, donne di spirito, amanti infedeli e cacciatori di farfalle”.

Come non riconoscere, tra le pagine, il fantasma che ha dato vita al personaggio di Massimo Girotti nel film La finestra di fronte con Giovanna Mezzogiorno e Raoul Bova.


“Quando t’imbatti nel fantasma del tuo passato felice, la consapevolezza di quanto hai perduto ti sommerge con un’ondata quasi insopportabile di rimpianto. Allora vuoi solo nasconderti in un luogo sicuro a leccarti le ferite, perché la tua anima è come un animale domestico, che il dolore ha reso selvatico”

Massimo, era un signore anziano, molto distinto, indossava un cappotto dal buon taglio sartoriale e non ricordava nulla del suo passato e del suo presente; si aggirava su Ponte Sisto come un esule di una grande battaglia, nella fredda notte romana.

Ferzan e il suo compagno di allora lo ospitano a casa cercando di ricomporre il puzzle della sua vita ormai dimenticato e ricevono insieme ai loro amici la prima lezione sull’amore del libro: “Chi importa chi amiamo? Io ho amato, e questo deve bastare. Voi amate, e questo ci rende uguali. Uniti nell’amore. Abbiamo baciato, accarezzato, abbracciato, consolato, atteso con folle felicita un suo s’. Perché l’amore condiviso è la forza che ci rende migliori. Anche quando è sfiorito, anche quando ci ha lasciato, anche quando è un ricordo che brucia con la sua assenza. Noi viviamo d’amore”.


Sei la mia vita – il nuovo e appassionante memoir di Ferzan Ozpetek


Sei la mia vita è soprattutto un libro che parla d’amore. Un racconto che la voce narrante dedica al suo compagno, ripercorrendo passo dopo passo la loro storia d’amore ma soprattutto del suo mondo prima di lui.

La mia vita è la tua e ora te la racconterò, perché domani sarà la “nostra. Sono un sopravvissuto a un disastro: Il disastro che sarebbe potuta diventare la mia vita se non ti avessi incontrato”.

Ed ecco che arriva la seconda lezione sull’amore: ”Oggi so che l’amore ti cerca, spetta a te farti trovare. Per questo occorre lasciare aperte tutte le porte: non sai mai chi potrebbe entrare, cosa ti potrebbe portare. Amo i colpi di scena. Mi è sempre piaciuto sperimentare, avventurarmi lungo strade sconosciute. E poi ho incontrato te, il più inatteso degli imprevisti”

Intraprendiamo con Ferzan e il suo compagno, un lungo viaggio che permetterà al lettore di conoscereuna storia intrisa di tenerezza, confidenza, complicità ma anche di una Roma lontana, decadente e magica, libera e tollerante.


Rivediamo le scene più salienti della vita del regista come se fossimo seduti al buio di una sala cinematografica: la memoria non è in digitale, gira come una vecchia pellicola, si consuma. E le immagini troppo amate si bruciano.

In questo lungo Amarcord non possono mancare le estati, quasi tutte interamente trascorse al Buco, una spiaggia incontaminata, lungo il litorale di Ostia.

Il mare, la sabbia fine, le passeggiate sul bagnasciuga, le confidenze sotto all’ombrellone ascoltando Alan Sorrenti e le dive della musica italiana.

Capitava di far tardi guardando il tramonto con lo scrittore Goffredo Parise e la sua compagna, o di conversare con Piero Tosi, il costumista preferito di Luchino Visconti, premio Oscar alla carriera nel 2013.


“Quando ci incontravamo al Buco ed io ero ancora un ragazzo di belle speranze, Piero non mi spronava affatto a darmi da fare per costruire il mio futuro. Al contrario mi esortava a prendermela comoda. “Divertiti! Nella vita questo è l’importante!”

I pomeriggi passavano più in fretta ascoltando i suoi aneddoti come quello sulla leggendaria rivalità tra Visconti e Fellini, o ancora le storie del cinema di una volta di cui Ozpetek era e continua a essere un appassionato estimatore. E non ci meraviglia scoprire che tra i due sia nata una solidale amicizia e che lo stesso Tosi abbia suggerito una scena del film Magnifica presenza, che vedeva imprigionati dei fantasmi – una compagnia di attori tragicamente morti durante la seconda guerra mondiale, in una splendida casa a Monteverde.

Mai suggerimento fu più prezioso e nella scena finale del film, vediamo i fantasmi prendere il tram per andare a recitare la loro ultima pièce al Teatro Valle.


Su quel set Ferzan diviene amico di Anna Proclemer – icona del teatro e del cinema italiano, scomparsa nel 2013. Una vera diva che il regista avrebbe voluto dirigere di nuovo sul set del suo ultimo film Allacciate le cinture. Di lei, ammette qualche anno dopo, gli mancheranno per sempre le lunghe telefonate e le conversazioni intime tra amici.

Non mancano riflessioni profonde, come quelle legate all’Aids e sulla malattia.

“Dagli Stati uniti e dalla grande comunità gay Di San Francisco ci giungevano notizie allarmanti. Qualcuno stava giocando con noi alla roulette russa, decidendo il nostro futuro: Tu sei salvo, tu presto ti ammalerai, tu sei già morto..

Il virus si è insinuato nelle nostre vite a poco a poco. Ciò che sembrava una delle tante leggende metropolitane, è diventato una realtà”.


Arriva così come un pugno nello stomaco la vera storia che ha ispirato una delle scene cult della Fate ignoranti, quella che vede in primo piano Gabriel Garko nel ruolo di Ernesto, malato terminale di Aids. Per tutti gli amanti di quel film quella storia era una semplice finzione letteraria. Leggendo il libro si scopre, invece, la verità. Un uomo che vuole dal suo compagno malato, tutto di lui, compresa la malattia. “Perché l’amore non ubbidisce ad alcuna logica umana”.

Adriano, occhi dal taglio orientale e profondissimi, zigomi alti e labbra carnose. Sembrava un pirata. Bello da mozzare il fiato. Piaceva a tutti, uomini e donne. Pur conducendo una vita molto movimentata aveva una storia da molti anni con Sergio, un architetto, un po’ più vecchio di lui. Quando Sergio scopre di essere ammalato, Adriano si sente morire dentro. Teme di averlo infettato per colpa dei suoi numerosi incontri extra. Ma non è stato lui, il suo test risulta negativo. Da allora fa di tutto per condividere, il dolore, l’annichilimento, la morte del suo adorato compagno.


E quando il referto risulta positivo, diviene raggiante. E’ riuscito nel suo intento.

Per fortuna di fronte alla tragedia, il regista, col suo piglio da narratore navigato, sa riprendere in mano la situazione, e ci riporta nella commedia, raccontando il doppio coming out di Mine Vaganti, realmente accaduto ad un suo amico a San Paolo in Brasile.

Marcelo, interpretato poi da Riccardo Scamarcio al cinema,è figlio di un industriale in Brasile. Ama la musica e arriva in Italia per realizzare il suo sogno, ma soprattutto per vivere liberamente la sua omosessualità.

Torna poi nel suo paese per mettere ordine nella sua vita e soprattutto per dire tutta la verità ai suoi, ma viene preceduto dal fratello Ricardo che confessa di essere gay a dei parenti stralunati, durante un festoso pranzo della domenica.

I pranzi della domenica sono uguali nel mondo e nascondono sempre finali surreali alla “parenti serpenti”.


Da quel momento Marcelo rinuncia a se stesso per sempre e per non deludere la famiglia si sposa e allontana da sé la sua vita di prima.

“Ma è proprio necessario che ti sposi?

“Si perché devo avere dei figli, i miei ormai se lo aspettano…non parlano d’altro”.

Da ragazzo Marcelo aveva saputo aspettare l’onda giusta. Era riuscito a cogliere il momento più opportuno per prendere il largo dalla famiglia e realizzare i suoi sogni. Ma poi si era arenato.

“La vita non è mai esattamente come la vogliamo: ci offre sempre delle sorprese, più siamo capaci di adattarci ai cambiamenti di programma, meglio è. L’importante, però, e non tradire mai se stessi. Perché se ci intestardiamo a non ascoltare l’amore, siamo perduti”.


Ozpetek sa giocare con le emozioni, sa calibrare le sfumature dell’amore, e dell’amicizia. Nonostante sia diventato uno dei personaggi più importanti del nostro paese, è rimasto fedele a se stesso, a quel ragazzo innamorato del cinema italiano e dei grandi maestri come Francesco Rosi, Pietro Germi, Vittorio De Sica, Antonio Pietrangeli, quel ragazzo che cercava un posto nel mondo, lasciando intatta la sua voglia di emozionarsi e di emozionare.

Il successo non ha minimamente intaccato la sua integrità. Ed è per questo che continua a mietere consensi.

“Il successo segue leggi misteriose: non va mai dato per scontato. E’ proprio quando pensi di avere tutte le carte vincenti, che resti a mani vuote. Io credo che il segreto per riuscire in ciò che fai è continuare a coltivare fino all’ultimo quella naturale insicurezza che ti assale ogni volta che metti in gioco tutto te stesso e andare avanti, con i tuoi dubbi, gli attacchi d’ansia, i ripensamenti”.

ELSA MAXWELL, I MILLE VOLTI DELLA PETTEGOLA DI HOLLYWOOD

Ho sempre sognato di diventare come Hedda Hopper, Louella Parsons ed Elsa Maxwell, tre giornaliste capaci di far tremare il mondo con i loro articoli taglienti, le loro recensioni negative, il loro gusto sopraffino. Loro si che sapevano mettere in ginocchio, aristocratici, divi, re e regine, presidenti e first lady. Tutte e tre coltivarono in gioventù l’ambizione di diventare attrici, anzi dive.


Tutte e tre non avevano ricevuto il dono prezioso e unico, della bellezza. Tutte e tre si dedicarono fino all’ultimo giorno della vita a denigrare il jet set senza rimorsi, senza voltarsi mai indietro. Senza pietà, le signore spifferavano ai quattro venti, all’epoca non c’era ancora facebook, i pettegolezzi del bel mondo. La solidarietà o ancora la generosità non sapevano nemmeno cosa fosse. Se dovevano stroncare una carriera o distruggere un film, loro non ci pensavano su due volte.


Il gossip divenne la loro unica ragione di vita.


La più ironica delle tre, rimane Elsa Maxwell, di cui la casa editrice Elliot, ha ripubblicato, nei mesi scorsi, Party – L’arte del divertimento, un collage di buone maniere, di volti patinati, di un’aristocrazia ormai scomparsa, dell’arte del ricevere che non esiste più. Leggendolo ne esce fuori un “sunset boulevard” disarmante. Le regole che detta il suo libro sono un po’ fuori moda ma cosi fascinose che si chiude, di certo, un occhio. Come le regole sui fiori; è fondamentale non lesinare sui fiori, ad esempio, ma non bisogna arrivare al punto di far assomigliare la sala al camerino della grande attrice la sera. I fiori devono risultare belli e gai, ma bisogna saperli scegliere. I gladioli ad esempio vanno benne per decorare gli atri degli alberghi. Oggi nemmeno quello. I gladioli sono passati di moda come molti dei consigli che ci vengono propinati.


ELSA MAXWELL, I MILLE VOLTI DELLA PETTEGOLA DI HOLLYWOOD


Nell’arte d’intrattenere non importa tanto il chi quanto il perché. Non importa quanto si spende, e quanto prestigio si racimola; conta ciò che si ha nel cuore. Ancora di più, conta ciò che si lascia nel cuore degli altri. Dare una festa non vuol dire solo tirar fuori le porcellane migliori e i tovaglioli bianchi delle nozze per poi sperare che tutto vada per il meglio. Si tratta di un atto di amore. Di generosità. Di volontà di condividere. Si tratta della possibilità, che ognuno di noi ha, di accendere una candelina negli angoli bui.


Che cosa emerge da questo memoir dal gusto retrò? Che Elsa Maxwell si divertiva. O sapeva nascondere molto bene che non si divertiva. E che sapeva emergere in un mondo popolato da soli uomini.


Adoro le storie delle donne che hanno saputo farsi da sole! E lei di strada ne ha fatta tanta, viste le sue umili origini. Figlia di una massaia e di un assicuratore ha saputo inventare se stessa. «Non sarà facile per te quando me ne sarò andato, le dichiarò il padre. Sei brutta e grassoccia e via via che passerà il tempo diventerai sempre più brutta e grassoccia». Non potendole lasciare denaro, le dette qualche suggerimento: non tener conto del giudizio altrui, mantenersi libera dalle cose materiali, godersi la vita così come viene, prendere con leggerezza le cose serie, saper ridere di se stessa.


Di questi consigli la Maxwell, allora poco più che ventenne, ne fece tesoro. Ed ebbe un successo incredibile. Socia di due locali notturni a Parigi, consigliera di stilisti, addetta alle pubbliche relazioni per Montecarlo, sceneggiatrice, giornalista, collaboratrice di riviste, conferenziera e soprattutto pettegola.


«Sono sempre stata orribile a vedersi – confessa con disarmante sincerità -. E quando compresi che nessun uomo si sarebbe mai prodigato nei miei confronti, puntai tutte le mie carte sul cervello, il solo organo del corpo umano che ci permette di vendicarsi del prossimo» oancora,«Non è stata una vita facile per una donna che non sarebbe riuscita a sembrare chic neanche indossando una creazione di Molyneux in mezzo ad una riunione di preghiera di Hamish».


Ed è proprio dal suo aspetto e dalla sua ambizione, che inizia la sua favola di “princesse du mal”. Una principessa sprovvista della grazia e del “savoir faire” ma dotata di grande tenacia.


In breve tempo, divenne una delle socialite più richieste del momento, riuscendo a creare eventi e allacciare rapporti sociali tra politica, business e arte, al punto che non solo Alì Khan nel 1948 ricorse a lei per essere presentato a Rita Hayworth e, ma anche Wallis Simpson, neoduchessa di Windsor, negli stessi anni, per imporsi alla casta snob di Park Avenue, accettò di sfilare per beneficenza in un défilé organizzato a New York da Cecil Beaton.


E ancora, con le sue perfide e sottili strategie, fece da Cupido tra Aristotele Onassis e Maria Callas sul famoso yacht Christina in crociera sul Mare Egeo, creando quel love’s affair di cui ancora oggi parlano le riviste di gossip.


ELSA MAXWELL, I MILLE VOLTI DELLA PETTEGOLA DI HOLLYWOOD


“Qualcuno ha detto che la vita stessa altro non è che una festa: uno ci arriva che è già cominciata e se ne va quando non è ancora finita. Bé, quando verrà per me il momento di abbandonare la festa più lunga, non potrò sperare in un epitaffio più azzeccato di quello che il compianto Frederick Lonsdale ha scritto prematuramente per la mia persona: Ha bussato alla porta della storia e ha segnato parte del secolo coi suoi ricevimenti. La sua fama è legata a mille una festa – e non se ne ricorda una noiosa”.


Parlare di Elsa Maxwell significa passare in rassegna un elenco interminabile di personaggi come gli osannati Churchill, Roosevelt ed Eisenhower o ancora coppie a prova di bomba come i duchi di Windsor e coppie destinate a scoppiare come Cary Grant e Barbara Hutton. Conoscere la Maxwell significa sapere tutto di tutti. Come non ricordare il vezzo di Enrico Caruso che serviva ai suoi ospiti pizza spruzzata di cipria, Scott Fitzgerald che non smaltiva né le sbronze né i complessi di inferiorità, Greta Garbo radiosa, solitaria e piena di paure, il bravo, buono e bello Gary Cooper, Hemimgway che si vantava troppo della sua virilità e fa sorgere qualche dubbio, l’incazzoso seduttore Gianni Agnelli che sfasciava fidanzamenti e automobili, Albert Einstein che amava suonare il violino piuttosto che spiegare la teoria della relatività, Charlie Chaplin che improvvisava pantomime per gli ospiti.


E’ stata la regina indimenticata dei salotti di mezzo mondo, dai suoi adorati Stati Uniti ai dorati palazzi della nobiltà europea, dal Ritz di New York al Maxim di Parigi, dal Lido di Venezia alla Costa d’Azur. Il suo motto era: «Ho mirato alla luna, e l’ho raggiunta»; prima, però, si era concessa un bel giro sulla Terra, in compagnia di «parecchi presidenti degli Stati Uniti, una dozzina di re e metà dei titolati dell’Almanacco del Gotha». “Quando Maria Callas viene a una mia cena e il giorno dopo mi fa recapitare un mazzo di rose con un biglietto scritto di suo pugno, be’, io sono semplicemente fuori di me dalla gioia”.


La regola numero uno di Elsa Maxwell per un party strepitoso riguarda la padrona di casa. “Se si vuole avere successo come padrona di casa, bisogna dare alla gente quel che non si aspetta. Bisogna sbarazzarsi delle regole, a parte quelle dettate dalla discrezione e dal buon gusto. Bisogna prendere in mano il timone e far lavorare l’immaginazione. Bisogna dar feste secondo le regole della propria personalità, del proprio gusto, del vostro portafoglio. Ma bisogna ricordare che tutti i soldi del mondo non bastano a fare una valida padrona di casa. Non sono i soldi a decidere la riuscita della festa, ma la persona che la organizza.


Chi organizza una festa deve stupire, lasciare tutti a bocca aperta, divertire e épater come dicono i francesi.


La Maxwell sapeva fare tutto ciò e organizzò ad Hollywood una festa a tema gastronomico. Una sorta di Masterchef ante litteram, che vide la partecipazione in veste di chef, divi e divine dell’epoca tra cui Joan Fontaine e Claudette Colbert. Il primo premio, fu conferito ad un uomo: Clarke Gable, il re di Hollywood. A Londra inventò una caccia al tesoro con così tanti invitati vip che arrivò la polizia e poi il Principe del Galles a dileguarla. Come non ricordare, poi, la festa a tema bucolico nella Sala della Giada del Waldorf Astoria, a New York. La sala da ballo del lussuosissimo albergo fu trasformata in uno scenario così verosimile che perfino i maiali si sentirono a loro agio. C’erano meli, un pozzo, mucchi di fieno, i famosi maiali e addirittura un porcaio fatto arrivare dall’Ohio. Cecil Beaton si presentò mascherato da spaventapasseri con due passeri impagliati sulle spalle. I duecento uccelli che gorgheggiavano a squarciagola, chiusi in gabbia e a fine serata regalati agli ospiti come cotillon. E infine il ballo di beneficenza April in Paris, dove la Maxwell vestita da maharaja stupì gli invitati e la regina Giuliana dei Paesi Bassi, facendo partecipare alla festa alcuni elefanti presi in prestito da un circo. L’enorme quantità di cacca scaricata dai pachidermi sui marmi e sui tappeti persiani verrà giudicata foriera di buona fortuna.


ELSA MAXWELL, I MILLE VOLTI DELLA PETTEGOLA DI HOLLYWOOD


«Festicciole senza pretese e banchetti pantagruelici» li definisce Elsa, regina senza rivali del gossip. Essere la regista di quei party è per lei «pura gioia, puro piacere». Ma non bisogna dimenticare che una padrona di casa di successo deve essere o amata o temuta, o essere una donna importante. Serve una personalità amabile. Può essere intelligente o stupida, graziosa o ordinaria, ricca o povera, può svolgere qualunque professione ma l’amabilità è un fattore intangibile.


Poteva non essere amabile Diane Vreeland, direttore di Harper’s Bazaar e poi di Vogue? O ancora Rosalind Russel, Loretta Young e Marlene Dietrich? Per non parlare delle signore dell’upper class di Manhattan come le Rubinstein, le Winston, le Woodward.


Fondamentale per la riuscita di un party è l’umorismo ma soprattutto la conversazione. Bisogna tenere un archivio mentale di aneddoti brevi e appropriati alle circostanze, anche di domande stimolanti, a cui ricorrere per rilanciare la conversazione o riempire dei vuoti”. E poi, mai dimenticare di mescolare con intelligenza gente molto diversa. Ognuno, però, deve portare il suo valore aggiunto. Per Miss Maxwell gli ospiti perfetti erano la Duchessa del Devonshire, Mrs Clare Boothe Luce, il principe Ali Khan, il Duca di Verdura, Mr Cole Porter, Mr Noel Coward e naturalmente Madame Callas, una delle donne più affascinanti del secolo scorso, ma soprattutto il più grande genio creativo in ambito operistico.


Tra le pagine si ritrovano anche i consigli per liberarsi dai criticoni (quelli che vanno alle feste solo per trovarne le pecche) e dai seccatori (un aspirapolvere sociale che risucchia tutto quello che incontra senza dare niente in cambio). Come ci si difende: mettendoli tutti allo stesso tavolo. Non solo un ospite va sacrificato.


ELSA MAXWELL, I MILLE VOLTI DELLA PETTEGOLA DI HOLLYWOOD


Che a tavola siedano teste coronate o nuovi ricchi, la padrona di casa dovrà fare attenzione al passaggio più delicato, la fine del pasto: «Dopo cena può esserci un momento morto. La novità è svanita, la conversazione potrebbe iniziare a vacillare, la noia a stendere un velo di polvere su stomaci e menti appagate. E’ qui che viene alla luce il talento della padrona di casa. Se è saggia si limiterà a tenere sotto controllo l’andamento della serata, serbando un qualche asso nella manica che sfodererà solo nel caso in cui la fase letargica minacci di protrarsi oltre il dovuto. Quando si dà una cena bisogna prepararsi a gestire la bonaccia che segue la gozzoviglia»


E infine gli ultimi consigli: invitare più uomini che donne. Le donne sole a un party sono pericolosissime. Se organizzate una festa in casa, per l’amor di Dio, tenetene fuori i bambini. Anche i più portati per la vita sociale sono per la maggior parte della gente una vera iattura. Stesso trattamento viene suggerito per i cani e gatti: l’ideale è «isolarli in cantina». E poi se si ha qualche ansia, si bevono due robusti drink e per il resto della serata sembrerà di volare sulle ali dell’entusiasmo. Solo così la serata decollerà meglio!


Chiude il libro una rassegna di ricette delle signore dei ricevimenti di tutto il mondo a cui Elsa Maxwell ha preso parte, elogiandone l’eleganza della mis en place e soprattutto la raffinatezza delle portate. Ricette un po’ pesanti, a mio avviso, come il fagiano en casserole di Mrs Garret, il soufflé di pesce e formaggio di Margaret Case, le crepes canarius al curacao, all’arancia e al cointreau, i cuori di carciofo ripieni au gratin e il gumbo di pesce alla creola di Joan Fontaine, il consommé vert-pré che Mrs Vreeland usava offrire alle sue cene. Loretta Young era brava nel preparare il riso pilaf per accompagnare qualunque piatto di carne o di pesce in salsa cremosa, mentre la più celebre Rosalind Russel, diventata famosa per aver dato il volto a Zia Mame, era bravissima a preparare il Vitello con panna Acida.


Il consiglio migliore lo fornisce Mrs Ballard, l’ex modella e consulente di moda, Bettina, che dichiara: il modo migliore per mangiare bene, è quello di disporre di un bravo cuoco!