Diletta Leotta, giornalista sportiva per Sky, ha subito il disagio e la vergogna di non possedere una vita privata.
Ennesimo caso di sextortion: le è stato hackerato il telefono con immediata diffusione e visione di alcune foto nelle quali era ritratta nuda.
Nello stesso mattino ha sporto denuncia alla Polizia di Stato chiedendo di dare avvio ad azioni penali contro chiunque avesse rubato e fatto circolare le sue foto tramite l’accesso al suo account personale Dropbox.
Questo riporta la nota diffusa dall’ufficio stampa di Diletta Leotta:
“Quello che è successo oggi è estremamente grave. Il telefono portatile di Diletta è stato hackerato e alcune sue foto privatissime di alcuni anni fa, in realtà insieme ad evidenti fotomontaggi, in queste ore sono distribuite in rete da moltissime persone. Diletta ha subito sporto denuncia alla Polizia di Stato (Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Milano) chiedendo che si dia inizio all’azione penale contro chiunque risulti concorrente di tutti i reati perseguibili e cioè della pubblicazione e distribuzione delle foto.”.
La beniamina dei tifosi di Serie B per i quali conduce uno speciale su Sky Sport, era già protagonista di slogan e battute sessiste per il suo mostrarsi in pose provocanti e hot sui social, tanto da divenire culto e ammirazione di gran parte della tifoseria italiana.
Il fenomeno della condivisione, proprietà del web partecipativo 2.0, ha mosso gli utenti in una direzione univoca, quella del fare massa.
Se il fenomeno diviene preoccupante in un incidente fortuito come nel caso di Diletta Leotta, pericoloso lo è invece in un incidente quasi “intenzionale”. Inviare, allora, ingenuamente una foto a degli amici o al fidanzato come nel caso di Tiziana Cantone, diviene reato contro se stessi, prigione e gabbia nella quale nascondere e uccidere la propria identità.
Molti gli utenti che si sono mostrati meravigliati, sorpresi e scossi del nudo di Diletta Leotta, ma in un paese in cui la pornografia possiede livelli altissimi di fruizione, risulta soltanto l’ennesimo esempio del pregiudizio umano: pensarsi diversi.
Autore: Roberta Comes
Vogue USA contro le fashion blogger: “state dichiarando la morte dello stile”
Vogue USA si scaglia contro le fashion blogger: “trovatevi un lavoro vero”.
Queste le accuse al termine della Milan Fashion Week da parte dei giornalisti, stanchi di recedere sulle decisioni dettate della moda.
Ne parlano chiaramente i front row agli ultimi catwalks: alle prime file i bloggers, alle ultime i giornalisti.
“Un circo”, così come è stato definito dalla giornalista Alessandra Codinha.
Fuori dalle passerelle, i paparazzi ritraevano gli stili dello streetstyle, fenomeno ormai riconosciuto.
“È una situazione schizofrenica, e non può essere positivo. Nota per i blogger che cambiano da testa a piedi i loro outfit sponsorizzati ogni ora: Finitela. Trovatevi un altro lavoro. State dichiarando la morte dello stile”, ha espresso Sally Singer, direttore creativo digitale del sito Vogue.
A incrementare la posizione e il ruolo dei fashion blogger, intenti a cambiare diversi looks, sono le aziende e i brand di moda che regalando intenzionalmente capi da indossare, aumentano il traffico di visualizzazioni e vendite. Un vero e proprio mercato che nasce da una sponsorizzazione oculare per trasformarsi in una vera e propria veicolazione del messaggio di “moda passepartout”.
Così da blogger, presto si diventa influencer e opinion leader pur non avendone le competenze, postando un’idea di quello che vuol essere l’outfit del giorno, rinunciando anche alla valorizzazione del proprio corpo, così come detta tal brand.
Una faida, quella tra Vogue e le fashion bloggers, che sembra non voler finire neppure durante la Paris Fashion Week ormai lontana dai riflettori di Milano.
Così oggi, chi vuole far moda, ha da affrontare chi fa del vestire “non scelto” ma “bloggato” uno stile di vita, eclissando la creatività, la capacità di pensare alla moda come materia di studio e riflessione, facendone sinonimo di apparenza e non di appartenenza.