Come unire in un piumino calore estremo, leggerezza e alta qualità? Dal 1999, è questo l’obiettivo di add®. Un mondo rivoluzionario in cui la protezione conquista forme ultra light, dove l’eleganza si scopre sportiva, ma anche sostenibile. La piuma add® è infatti originaria dalla filiera alimentare. Il suo filling power 850 garantisce leggerezza, comfort e
performance tecniche, isolamento termico e resistenza all’umidità, abile nel recuperare tutto il proprio volume dopo la compressione. Ogni piumino, coibente e resistente all’acqua, non impedisce mai la traspirazione del corpo.
L’amore per l’ambiente, prima di tutto: portato nella Green Couture Capsule fra capi in piuma e tessuti biodegradabili,frutto di un lavoro intenso sull’unione di eleganza e praticità.
Ma la sostenibilità, con il progetto add®cares, trova una visione a tutto tondo: ogni modello accoglie infatti una speciale tasca Wave Shielding catarifrangente, realizzata in uno fra i tessuti EMF schermanti più potenti, voluta per custodire i nostri smartphone proteggendoci dal 99% delle radiazioni emesse da qualsiasi apparecchio, senza ridurne la potenza.
La vestibilità? Come sempre, gioca un ruolo importante. I capi più lunghi sono dotati di zip laterali che garantiscono maggiore praticità e libertà di movimento. Senza dimenticare colli avvolgenti in tessuto morbidissimo che possono sostituire la sciarpa per proteggere da ventate d’aria fredda. Inoltre, grazie all’inserimento di pinces, tutti i capi add® sono dotati di cappucci perfettamente aderenti al capo per essere utilizzati come layering-pieces. Ogni modello custodisce poi al suo interno comode bretelle che permettono di togliere il capo in totale rapidità, senza mai abbandonarlo. Mentre in ogni capsule, volumi fittati si uniscono a inserti stretch laterali che, nei modelli più lunghi, portano al punto vita un’elasticità montata 2,5 cm più in alto, per garantire una silhouette slanciata. La collezione add® Inverno 23-24 si esprime così tra dinamismo tecnico, visioni classiche e spirito fashion. Un mondo in cui la piuma diventa materia viva: protagoniste le strisce imbottite e montate su reti traspiranti breathable, con manuale artigianalità. Segreto di calore e protezione per piumini e cappotti, con imbottiture portabili su modelli in cotone, tessuto stretch ma anche cappotti in lana dall’interno reversibile, per uomo e donna. Nella collezione Heritage, per la prima volta un morbido tessuto stretch brilla in modelli lavorati a canale, dove piume inserite riga dopo riga, perfettamente sigillate, evitano l‘uso di sottofodere. Mentre un nylon lucidissimo alterna alla classica trapuntatura lineare quella di geometrie chevron o effetto “wave”, con onde visibili sul retro di ogni capo. Un universo che nel mondo uomo si declina fra giacche e gilet dove la trapuntatura esplora linee astratte e asimmetriche. Sviluppata per add®, con Cocoon Light giacconi donna dalla linea più che over lasciano spazio a capi sdoppiabili: piuminetti da portare sotto giacche in cotone indossabili anche separatamente nella mezza stagione. Arrivando all’iconica coperta Cocoon, che da ampio bomber con maniche staccabili si trasforma in poncho facilmente ripiegabile, anche in viaggio. È poi il resistente (e water-resistant) cotone Heavy Cotton Army a portare una nuova sartorialità nel piumino, con modelli dai precisi tagli in vita e pinces disposte per ottenere un fitting architettonico, fra giacche con collo staccabile e ampio fondo a ruota. Che nell’uomo tocca conquista giubbottini motorcycle, bomber e lunghi parka, anche tricolore.
Dalla piuma… al senza piuma. È il segreto di cappotti e mini-coat ispirazione cerimonia, in lucido duchesse colorato e caldissimo grazie a un interno in ovatta eco-sostenibile, per usare in occasioni speciali capi destinati a un utilizzo leisure. Una visione preziosa che giunge fino alla capsule in tessuto Loro Piana sostenibile. Capi offerti anche in panno di lana o tessuto tecnico 3-layer, ognuno con il suo imbottito in flanella o rete traspirante: per arrivare a una giacca in cashmere Storm System® (anche al femminile) e una camicia in tessuto jerseley, caratteristico del mondo Loro Piana Active. Fra le proposte d’avanguardia, brillano modelli realizzati con impunture di bottoni effetto borchia: luci argentee su cui applicare tasche da muovere a piacere e cinturine staccabili. Bagliori che tornano anche in un nylon cangiante, dal bagnato effetto “Wet”: volumi morbidissimi, con coulisse femminili, da portare con o senza tasche. Ispirazioni che nel mondo maschile si rispecchiano in bomber dalle diverse vestibilità e con tasche zippate. I modelli sono anche realizzati nel nuovo signature jacquard add®con doppio layer di tessuto imbottito in piuma leggerissima.
Autore: Redazione
Riflessioni sparse tra l’eti(li)co e l’erotico
TEXT: CARLO MARIA FOSSALUZZA, PhD
PHOTO: IRVING PENN, GIRL BEHIND THE BOTTLE, 1949
Il vino è sicuramente un elemento unico, che da millenni accompagna la storia dell’uomo.
È una sostanza entusiasmante, conturbante, misteriosa, sensuale, ricca e povera, sofisticata e schietta, simbolica e potente.
Ha accompagnato l’uomo nelle celebrazioni di riti, come farmaco, come bevanda inebriante, come compagno della fatica dei campi, come booster dei momenti speciali.
Negli ultimi anni, possiamo vedere che il vino è entrato in una fase pop, è di moda, di grande tendenza.
Prima limitati ai pochi esperti o alle persone del settore, i discorsi sul vino sono entrati oggi nei dialoghi di tutti i giorni di sempre più appassionati. Su di lui sono stati scritti trattati, poesie, odi ed è poi diventato oggetto di manuali specifici per tecnici e per consumatori; ora come ora è sulla bocca di molti, per non dire di tutti, anche solo per dire “non sono un intenditore, ma se mi piace o non mi piace lo sento subito, anche se non so perché”.
Le ormai iper-inflazionate guide sui vini, che da anni influenzano i mercati e spesso anche i palati più facilmente condizionabili, sono ormai quasi sorpassate, obsolete, e in effetti sempre più spesso ne nascono di nuove, che si prefiggono di essere uniche ed innovative, finendo poi per esser sempre la solita minestra riscaldata.
Già oltre un decennio fa, il grande storico della fotografia Italo Zannier riscontrava che ogni giorno, attraverso i media e internet, vengono pubblicate un numero di immagini enormemente maggiore rispetto a tutte quelle che sono state dipinte nell’intero Rinascimento, e denunciava che, proprio ora che ne abbiamo così tanta disponibilità davanti agli occhi, siamo quanto mai analfabeti visivi, siamo incapaci di leggere e valutare le immagini per quello che sono e per quello che significano.
Il ruolo della didascalia appare spesso fondamentale, ma è evidente come la presenza delle parole abbinate all’immagine faccia sì che due diversi medium si trovino a interagire, spesso l’uno condizionando l’altro.
Cerco di spiegarmi meglio con un esempio. Se ci troviamo ad osservare in una rivista l’immagine di un deserto di sabbia col sole che tramonta all’orizzonte, la nostra percezione di tale immagine cambia radicalmente se la relativa didascalia recita “la vista da uno dei nostri splendidi villaggi in Algeria”, oppure “considerando gli attuali cambiamenti climatici questo potrebbe essere il panorama che vedranno i tuoi nipoti dal balcone di casa”.
Vogliamo considerare, poi, le immagini cosiddette, “di repertorio”? Quelle custodite in enormi data base online dai quali i grafici e i professionisti dell’editoria “pescano” per accompagnare i testi dei loro articoli o delle pagine web? Non è questa la sede, ma bene rifletterci. Bene, al giorno d’oggi sempre più immagini sono dedicate al vino, alle bottiglie, alle vigne, alle cantine diventate spesso strutture ricettive o addirittura SPA o resort; proprio come tutte le altre immagini, ci mettono davanti al problema: cosa c’è di vero?
Un problema essenzialmente e dannatamente etico. Il fatto che rapportarsi con il mondo del vino richieda anche un’attenzione all’etica è testimoniato da tutta una serie di evidenze e fattori, basti pensare che solo pochi anni fa al tema è stato dedicato un vero e proprio manifesto, il “Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto”, ma diversi altri se ne possono trovare come fondamenti di interi movimenti o associazioni di produttori, soprattutto nel controverso mondo dei vignaioli “naturali”.
I vini naturali, di cui tanto si parla, nel bene e nel male, oggi, non hanno alla base un vero e proprio disciplinare che li certifichi, ma condividono delle linee di produzione che forse merita qui considerare. Le uve devono derivare da viticoltura preferibilmente biologica, se non addirittura biodinamica, e prodotte dal vignaiolo stesso. I vini devono essere ottenuti solamente attraverso fermentazioni spontanee (lieviti indigeni), non filtrati e senza l’utilizzo di alcuna correzione se non un limitato uso dell’anidride solforosa.
Non intendo esprimermi sul valore enologico di questo tipo di vini in questa sede, perché quel che ritengo interessante è chiedermi perché si sia avvertita, ormai più di venti anni fa, la necessità di doversi distinguere in un qualche modo da un contesto del vino che sempre più era, ed è, condizionato dai grandi produttori, dalle mode, dalle esigenze del mercato, dall’affidamento alla chimica ed alla tecnica esasperate, dall’omologazione dei prodotti e dalla produzione in larga scala. Cosa veniva, e viene, meno? Venivano meno i territori, le tradizioni, l’unicità di un prodotto legata alla mano del suo produttore, la veracità e il nerbo di un vino figlio del luogo, della terra, dell’artigiano.
Ma tutte queste cose non sono proprio la verità del vino a cui facevo riferimento prima? Io ritengo davvero di sì, pertanto ben vedo che un piccolo nucleo di resistenza enoica abbia contribuito a rimettere in discussione la distinzione essenziale che c’è tra il Vino, con la V maiuscola, quello che cantava Hölderlin sulla tavola accanto al pane, e il vino, più concettualmente simile a una bibita ed edulcorato di tutto il suo spirito, della sua Anima potrei dire.
Abbiamo qui compiuto un distinguo molto importante, fra due mondi che in effetti, a parte stare sotto al cappello della stessa categoria merceologica, hanno ben poco a che fare l’uno con l’altro. Ne consegue, viene da sè, che le immagini del vino che in enorme maggioranza riempiono (mi scapperebbe di scrivere “intasano”) le riviste e le pagine web, sono proprio quelle dei prodotti belli e senz’anima, parafrasando una ben nota canzone. Il modo in cui tali immagini condizionano il consumatore è evidente da anni.
I famosi “bevitori di etichette” costituiscono una grande parte non solo dei fruitori, ma anche alla fin fine di quelli che ora sono “influencer” o “opinion leader” e che mai e poi mai potrebbero dar ascolto al loro palato, alle loro papille gustative, al loro naso e demolire a cordiali e virtuali schiaffoni vini di aziende prestigiose, o molto rinomate, magari pluripremiate da diverse guide “autorevoli” (I simulacri, à la Baudrillard, esistono anche nel mondo del vino, purtroppo). Appare ben evidente che questo fenomeno abbia ben bene a che vedere con l’etica del prodotto, sia perché i critici con “la schiena dritta” sono sempre più delle mosche bianche, sia perché quella poca formazione che viene fatta alla massa dei consumatori (lasciamo perdere le nicchie, sono nicchie per qualcosa) è del tutto fuorviante e capziosa: il bevitore di vino perde la capacità di capire se quel che beve sia buono o cattivo.
O è buono per forza essendo un Quelqualcosa della cantina Taldeitali oppure può passare addirittura come neutro, un vino “per neofiti” (come se i neofiti dovessero bere cose cattive proprio all’inizio della loro carriera di bevitori), un vino semplice senza pretese. La peggiore delle definizioni, però, proprio in base a quanto fino ad ora scritto, è “un vino senza pretese, con un ottimo rapporto qualità/prezzo”. Orrore e raccapriccio.
Se non si sa riconoscere l’effettiva qualità, come si può decidere se sia corretto il prezzo. Spesso molti vignaioli più naïf non sanno neppure in prima persona dire perché un prezzo di un loro vino sia quello o un altro, figurarsi un consumatore. La qualità, poi, non viene riconosciuta, in base a quanto ho descritto sopra. Pertanto? Flatus vocis. Un bel dire di nulla da dire. Parafrasando Ludwig Wittgenstein fuor di contesto: di ciò di cui non si può parlare si deve tacere.
Nella assoluta maggioranza dei casi la definizione “un buon rapporto qualità/prezzo” può tradursi con “non mi ha colpito granché, ma costava poco”. Da qui in avanti mi riferirò solamente al vino artigianale, a quello che Sandro Sangiorgi chiama il liquido odoroso, e che sopra distinguevo come Vino con la V. La questione sopra accennata della correttezza di un prezzo di vendita di una bottiglia, mi porta a spiegare ancheperché, fra i vari manifesti di vini naturali o simili, ho scelto sopra di citare “Il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto”. La scelta è dettata dal fatto che, almeno a mia memoria ora come ora, sia l’unico a preoccuparsi, in uno dei dieci punti in cui è strutturato, di precisare che un vino, per essere anche “giusto”, deve aver riconosciuto il giusto a tutte le persone che hanno contribuito a portarlo in bottiglia. Ciò significa che tutti coloro che sono stati coinvolti nel lavoro agricolo, nel lavoro di trasformazione, di magazzino, di gestione dell’azienda, di amministrazione, anche la manodopera saltuaria o da lavoro iterinale, tutti devono aver avuto il giusto riconoscimento economico, professionale ed umano.
Il rispetto per l’ambiente, per il nostro habitat naturale, la scelta di lavorare senza l’utilizzo di prodotti di sintesi in vigna, l’utilizzo di attrezzature sempre a minor consumo di carburante e innovative, la scelta (e l’obbligo) di non inserire nulla di potenzialmente dannoso o anche dubbio nel vino, tutto ciò, secondo me, è del tutto inficiato e vanificato se le stesse attenzioni non sono state rivolte a tutelare e valorizzare la componente umana che ha fatto sì che quel vino trovasse dimora in una bottiglia di vetro.
Rispettare un lavoratore (parlo del comparto agricolo, ma sicuro che molti ragionamenti possano essere trasposti ad altri settori) significa anche mettere a sua disposizione tutti i dispositivi possibili affinché non si faccia del male, che possa lavorare fisicamente comodo, ad orari consoni: sicurezza e dignità.
Posso fare anche il miglior vino del mondo, ma se un trattorista o un cantiniere non ha di che pagare il mutuo per colpa mia, allora sull’eticità di quel vino c’è molto da discutere. Che fare vino sia strettamente connesso con il “voler bene”, secondo me, dovrebbe essere stampato nei manuali di enologia. Voler bene significa, innanzitutto, rispettare.
Se, come poco sopra ho scritto, è necessario rispettare tutti coloro che stanno dalla parte della filiera che è la produzione, importante è voler bene anche a coloro cui il vino è destinato, i consumatori finali. Il vino è un alimento, una cosa che ingeriamo e che nel nostro organismo lascia traccia, venendo metabolizzato.
Certo, non è un bene di primaria necessità, il vino non serve a dissetare, per quello c’è l’acqua, ma serve a migliorare, a intensificare, a celebrare momenti speciali, da un semplice pasto quotidiano ad un momento unico della propria vita.
La sua ragion d’essere è interamente legata ad una dimensione edonistica, connessa al piacere ed al buono. Mi sia concesso ricordare che il Buono ed il Bello, fin tanto che ancora restiamo umani, sono cose necessarie! Questo legame intrinseco con il piacere deve far sì che un calice di buon vino porti solamente valori aggiunti positivi al momento in cui abbiamo deciso di berlo; non deve essere possibile dover pagare a caro prezzo, con malessere, mal di testa, mal di stomaco, la scelta di aver fatto un brindisi.
E qui emerge l’importanza del “voler bene” di chi fa vino. Il fatto che il vino venga ingerito è assolutamente una questione di intimità, e il buon vignaiolo deve esser mosso da un senso di responsabilità che gli impedisce di utilizzare procedimenti o sostanze che possano in qualche modo far male, intaccare quella zona di cristallo che è il piacere e che è la casa del vino contaminandola con tutta quella serie di sgradevoli conseguenze che prima ho citato.
Non parlo di sonore ubriacature, ma solo di un calice in compagnia. Non si può sempre ricondurre alla (iper)sensibilità soggettiva di una persona il fatto di non sentirsi bene a causa di un bicchiere, bisogna invece cercare di far sì che tutti possano godere senza soffrire, perché il vignaiolo non sa in quale bocca andrà il suo vino. Il buon vino, poi, non lascia solamente traccia a livello metabolico, ma anzi e innanzitutto nell’anima. Il vino parla, racconta, esprime; certo, bisogna ascoltarlo e saperlo ascoltare, ma il vino buono ha sempre bei messaggi da imprimere nella memoria. Un ricordo lieto è una sorta di coccola che resta in un cassetto in un qualche luogo della nostra memoria, e che riemerge quando serve, generalmente in una situazione di emergenza, per portarci conforto e pace; un vino può diventare uno di questi ricordi, e farci una carezza quando proprio ne abbiamo bisogno.
Questo sì che è voler bene! Il vero amico che si vede nel momento della necessità! Non è bellissimo pensare che all’origine del lavoro del vignaiolo ci sia proprio questa necessità di fare del bene provocando piacere, creando ricordi, coccolando il consumatore, attraverso un lavoro che parte dalla Natura, passa attraverso le sue mani e la sua interpretazione, e torna alla Natura in un sorso di pensiero liquido? Qualcosa di simile ad un’opera d’arte? Forse sì.
Fare vino significa prender parte ad un processo straordinario che permette al vignaiolo di riconoscersi in una dimensione naturale, di trovare il suo posto nella natura. Il vignaiolo vive la vigna assieme alle viti stesse, come un pastore di vagamente heideggeriana memoria.
Non può certo controllare tutto, ma può guidare e seguire. In un luogo ci sono le piante, con le loro radici ben fisse nel terreno, che da una parte spingono in giù verso la terra e dall’altra nutrono verso l’alto il fusto, che si allunga verso il cielo. Dalle radici, lungo il fusto passa il nutrimento per le foglie, alimentate anche dalla luce del sole.
Protetti dalle foglie, e da esse sostenuti insieme alle radici, figli di terra e di cielo, ci sono i grappoli, il frutto della vite, che la pianta destinerebbe alla propria riproduzione, ma che il vignaiolo invece cerca e cura per fare il suo vino, per accompagnare tutto quello che la terra ed il cielo, in quel luogo e in quella pianta, hanno condensato in quelle bacche fino alla cantina.
Lì, con le sue idee e le sue capacità, con la sua filosofia, interpreterà quei frutti unici per esprimere l’annata in un liquido unico. Interpreterà.
L’interpretazione è il passaggio fondamentale per tradurre quello che la natura fornisce in un’opera unica, perché non esistono quattro mani capaci di produrre lo stesso vino partendo dalla stessa uva. Ogni vignaiolo è unico, e con lui il suo vino. Ma non è forse questo un processo assimilabile a quello artistico? Io penso di sì.
L’artista raccoglie quello che il contesto in cui vive gli offre e lo elabora, lo trasmuta, lo gira e lo rigira, lo mescola, lo lascia sedimentare.
Arriva poi il momento in cui l’artista avverte la necessità di esprimere tutto quello che nella sua testa si è stratificato e sedimentato, e di interpretarlo secondo il medium da lui scelto (pittura, scultura, musica, cinema…) per creare qualcosa di nuovo, indipendente da lui dal momento stesso in cui completa l’opera e che veicolerà il messaggio che la sua urgenza di esprimersi ha voluto imprimergli.
La bottiglia finita è un’opera d’arte, ormai svincolata dal suo creatore, lasciata al giudizio e alla comprensione di chi la stapperà. Una bottiglia potrà finire in mani esperte come no, potrà rovinarsi perché conservata male, o durare per anni nelle teche di un collezionista. Un vino può essere essenziale, barocco, avanguardista, vecchio stile, manierista, raro o comune, proprio come un’opera d’arte di qualsiasi altra natura.
Gustav Klimt sosteneva che tutta l’arte è erotica. D’accordo o meno che si possa essere con questa affermazione, non posso non pensare che il vino, frutto di interpretazione artistica, abbia a che fare strettamente con l’Eros, perché alla fin fine è un grande gesto di amore.
È certamente una delle più belle sensazioni sentirsi amati, ma lo è anche amare senza ombra di dubbio.
Il vignaiolo ama lavorando la terra e facendo il vino, e in questo anelito di amore si pone nella straordinaria dimensione privilegiata di dare e ricevere questo prezioso sentimento, del quale ubriacarsi è la più meravigliosa delle trasgressioni.
COLLEZIONE UOMO AUTUNNO INVERNO 2023/24 ETROMATERIE
Come casa di moda, Etro è stata costruita sulla materia fondante della moda: il tessuto. Dando il suo punto di vista sull’argomento, Marco De Vincenzo costruisce la sua prima collezione uomo per la maison attorno alla materia: un omaggio alle radici di Etro che è anche un modo per connettersi con il proprio passato personale. La maison Etro e la casa di Marco si sovrappongono e si mescolano e ne emerge un ampio senso di domesticità, sullo sfondo di pile di tessuti provenienti dagli archivi Etro, disposti a fare da cornice alla sfilata. Il percorso creativo nasce nel senso di rassicurazione offerto da una coperta di velluto jacquard, che Marco amava da bambino e il cui motivo è riprodotto su ampi cappotti e giacche di lana. La tattilità è fondamentale, con jacquard e intrecci che prevalgono sulla stampa. I pezzi sono messi insieme e assemblati per stimolare sia la vista che il tatto: frutti all’uncinetto crescono tridimensionali sui maglioni, toppe di melton definiscono i colli delle giacche, turbinii psichedelici si liquefanno su pullover lanuginosi.
Il mimetismo domestico è aspetto nodale: tessuti tappezzeria per i blouson, lunghe tuniche e tute che ricordano tende, camicie come tovaglie. Gli shorts e i top di teddy offrono ulteriore intimità casalinga. Nascoste alla vista, le fodere fantasia sono un piacere privato che aumenta ulteriormente il gioco di motivi e texture, con il tartan – uno dei primi successi di Etro – come protagonista. I pezzi sartoriali sono sottili e allungati. Di notte, piccoli fiori sbocciano su rever e fasce degli smoking. L’idea di fondere il pubblico e il privato, il familiare e il sociale prosegue negli accessori: zoccoli Aladino in feltro con suole spesse, sneaker-zoccolo borchiate, shopper in velluto jacquard e ceste oversize tagliate al laser adatte all’uso quotidiano o all’arredo della casa.
L’accento sulla materia e sulla domesticità è l’innesco psichedelico di un viaggio intorno alla propria stanza, e oltre.
Paraboot x Roy Roger’s
Milano, dicembre 2022 – Debutta Paraboot x Roy Roger’s, un’inedita collaborazione che dà vita ad una scarpa limited edition dal sapore autentico.
L’iconico modello Michael di Paraboot incontra il denim Roy Roger’s e prende forma una scarpa uomo e donna in due declinazioni: una total denim con dettagli in pelle ed una in morbida pelle scamosciata con il talloncino sul retro in denim.
Paraboot ha una lunga storia di famiglia che ha attraversato epoche diverse, conquistando tutte le generazioni con il suo stile deciso e unico. Proprio come Roy Roger’s che, arrivata alla terza generazione, dal 1952 è l’emblema del primo jeans italiano. La collezione Paraboot x Roy Roger’s è disponibile in tutti i flagship Roy Roger’s e su royrogers.it.
Flow(ers), la capsule di Faliero Sarti realizzata in collaborazione con il fotografo Francesco Dolfo
Flow(ers) è la capsule realizzata da Faliero Sarti, storico brand a conduzione familiare che propone sciarpe originali, artistiche e sostenibili, in collaborazione con il fotografo friulano Francesco Dolfo.
La collaborazione dà vita a 7 speciali maxi foulard (185cmx135cm) in modal e seta, accessori versatili e unici, perfetti per personalizzare il proprio look o la propria casa. La direttrice creativa Monica Sarti ha selezionato 7 scatti floreali tra quelli nati dallo studio creativo degli ultimi anni Flow(ers), realizzato da Francesco Dolfo e intensificatosi con grande successo proprio durante il periodo di lockdown. Faliero Sarti ha quindi tramutato questi scatti artistici floreali che vedono protagonisti dettagli floreali, papaveri islandesi, dalie ed anemoni in leggeri ed impalpabili colorati accessori.
Con la raccolta creativa Flow(ers), Dolfo ha infatti cercato di tramutare una forzata intimità casalinga in un momento di raccoglimento artistico per elogiare l’effimero della vita ordinaria attraverso una eloquente parafrasi floreale. Nella loro essenzialità, i fiori – con i loro petali delicati che quasi avvertono della loro natura effimera – sono i soggetti ideali per la pratica fotografica alla ricerca dello straordinario nella vita ordinaria. Normalmente non ci si soffermerebbe su questi dettagli, ma il fotografo crede invece siano proprio queste le caratteristiche essenziali a trasformare un “semplice” fiore in qualcosa di prezioso e raro. Similare intento e volontà di ricercare la sostanza oltre l’apparenza avvicina quindi Francesco Dolfo alla vision della direzione creativa di Monica Sarti. Per Faliero Sarti, infatti, la sciarpa non è considerata solo un accessorio, ma un oggetto intimo che avvolge come un abbraccio e che restituisce un senso di confortevole sensualità: un’espressione del nostro sentire che racconta di noi.
La capsule sarà acquistabile presso le boutiques Faliero Sarti, selezionati store multibrand e l’e-commerce https://www.falierosarti.com/it/.
BARBIECORE: PINK IS THE NEW BLACK!
La french manicure più cool dell’inverno si tinge di Hot Pink & Glitter
French sì, ma fuori dagli schemi! Per dare il benvenuto al 2023 in grande stile PassioneUnghie, brand leader nel settore nail, rivisita uno dei grandi classici della manicure.
Cavalcando il ritorno della tendenza Barbiecore che ha consacrato l’Hot Pink come uno dei colori più trendy della stagione, PassioneUnghie presenta una french manicure caratterizzata da glitter cangianti e sfumature di rosa shocking perché Pink is the new Black! Un trend ironico ed irriverente, che esprime allegria e leggerezza ma anche inclusività e che pian piano ha conquistato le celeb di tutto il mondo, sia uomini che donne, che hanno sfoggiato i loro look monochrome ovunque dai red carpet ai social.
Dopo aver tinto le passerelle delle Fashion Week di Milano e Parigi, l’Hot Pink adesso colora anche il make up e la manicure. La versione proposta da PassioneUnghie, originale e colorata, è perfetta per chi ama sfoggiare sempre nuovi trend e non vuole mai passare inosservata.
Come base di questa nail art è stato utilizzato il colore semipermanente SP375 Masterpiece, un rosa glitterato effetto flash-disco caratterizzato da piccolissimi glitter e flakes cangianti fucsia, lilla e corallo che risplendono come stelle alla luce del sole e si illuminano se esposti alla luce diretta dei flash; mentre per realizzare la lunetta della french manicure è stato utilizzato il colore SP252 Confetti, un hot pink intenso e molto coprente che ricorda le sfumature viste sfilare in passerella. Nel segmento nail PassioneUnghie si afferma come leader di mercato: Il successo è dovuto, oltre all’elevata qualità dei prodotti, anche all’ineguagliata capacità creativa del brand che gli consente di proporre ogni mese delle novità acquistabili esclusivamente sul proprio sito www.passioneunghie.com. Il brand vanta infatti oltre 1400 referenze disponibili sul proprio canale online per realizzare nail art più esclusive.
ALBERTA FERRETTI E SKYWAY MONTE BIANCO PRESENTANO SAVE THE GLACIER
Alberta Ferretti si unisce a Skyway Monte Bianco in un progetto di sostenibilità a supporto dell’ambiente e dei ghiacciai.
Nasce così la capsule in edizione limitata a sostegno di “Save the Glacier”: un messaggio che diventa Manifesto nell’iconico maglione Alberta Ferretti, come invito ad avvicinarsi alla natura e a prendersene cura.
Realizzato in morbido cashmere riciclato, il maglione è disponibile in due varianti colore: bianco con scritta nera e nero con scritta bianca. Parte del ricavato della partnership sarà devoluto in progetti ambientali per i ghiacciai del Monte Bianco.
Come evidenziato nel Manifesto Save the Glacier che accompagna ogni maglione “i ghiacciai sono la voce del mondo” e salvarli “significa salvare noi stessi, ospiti di una così grande meraviglia”.
La capsule see now buy now Save the Glacier Alberta Ferretti per Skyway Monte Bianco sarà in vendita a partire da metà gennaio nelle boutique italiane Alberta Ferretti, sullo store online albertaferretti.com, oltre che in una rete selezionata di Retailer specializzati e nei punti vendita dell’esperienza verticale di Skyway monte Bianco.
BOGLIOLI PRESENTA LA NUOVA COLLEZIONE FALL-WINTER 23/24 CELEBRANDO LE STAR DI HOLLYWOOD IN UN CONNUBIO TRA MODA E ARTE
Boglioli è la storia italiana che ha le sue origini nei primi anni del 1900. Lo spirito dell’Azienda risiede in una sartoria sofisticata, distintiva e non convenzionale, in cui i classici vengono reinterpretati in modo creativo. Avanguardia produttiva, stile contemporaneo, occhio attento, sguardo rivolto al futuro e immagine ricercata: Boglioli interpreta la rara capacità di coniugare tradizione e innovazione, e si contraddistingue per la creatività nel lavorare i tessuti e i colori, vivacizzando i capi più classici con un’atmosfera contemporanea attraverso l’esperienza tattile immersiva.
In occasione della Milano Moda Uomo il marchio presenta le nuove collezioni uomo e donna autunno-inverno 23/24 a Palazzo Reale, nella suggestiva Sala delle Otto Colonne. Per l’evento Boglioli è partner ufficiale della mostra fotografica di Vincent Peters, evidenziando il connubio tra moda e dimensione fotografica, grazie ad una collezione che trae ispirazione dalle icone del cinema.
In particolare, nelle opere di Vincent Peters, ogni scatto è speciale e distintivo. Allo stesso modo ogni capo Boglioli racconta la sua storia, grazie alle lavorazioni che consentono al capo stesso di assumere sempre connotazioni differenti, regalando un’esperienza visiva e tattile unica.
Come la moda con Boglioli è in grado di raccontare percorsi affascinanti e sempre diversi attraverso tessuti e lavorazioni minuziose ed esclusive, anche la fotografia di Vincent Peters si distingue in ogni minimo dettaglio attraverso scatti che celebrano le più grandi icone della moda e del cinema, distinguendosi per i particolari attenti e sofisticati. Nella suggestiva sala di Palazzo Reale abbiamo voluto presentare alcuni capi rappresentativi delle nuove collezioni uomo e donna, raccontando il DNA Boglioli: una forte attenzione per la ricerca di materiali esclusivi e pregiati, silhouette destrutturate e confortevoli, e uno spirito che vuole evolvere i canoni dell’eleganza ricercandone il futuro”, dichiara Francesco Russo, CEO Boglioli.
Christian Bale, Vincent Cassel, Matt Dillon, John Malkovich, sono solo alcuni dei personaggi ritratti dal rinomato fotografo e a cui Boglioli si ispira nella nuova collezione FW23/24, contraddistinta da un forte ritorno al suo DNA sartoriale. Il marchio introduce costruzioni leggere e una proposta versatile per uno stile di vita dinamico ed esigente dell’uomo contemporaneo. Uomini che amano testare i confini tra formalità e informalità, che apprezzano lo stile, ma che cercano sempre capi di qualità che durino nel tempo. Nella collezione Fall-Winter 23/24 Boglioli parla anche alle donne contemporanee, eleganti, con uno stile che celebra l’orgoglio di essere diversa ed unica.
Boglioli e Vincent Peters si incontrano così in una conoscenza profonda rivolta all’interlocutore.
AERONAUTICA MILITARE, Collezione Uomo A/23-24
AERONAUTICA MILITARE è un brand che emoziona. Total look dall’estetica raffinata, pratica ed essenziale, che raccontano una storia d’eccellenza e celebrano il connubio costante tra innovazione e tradizione artigianale.
Una collezione di qualità, versatile e capace di soddisfare le richieste e i gusti dei consumatori più esigenti che unisce stile e performance e rende omaggio alla 46° Brigata di Pisa che con i suoi velivoli è impegnata in missioni nell’ambito del trasporto aereo sia di carattere militare sia civile. Una collezione che, come da tradizione, si sviluppa in quattro linee – Pilot, Heritage, Urban, Sport – per rispondere alle richieste di un pubblico sempre più attento e consapevole, che verranno affiancate dall’esclusiva capsule Centenario: nel 2023 infatti l’Aeronautica Militare compie 100 anni ed è un evento che va celebrato.
PILOT – stile inconfondibile, accentuata ispirazione military, cura dei dettagli e grande attenzione all’utilizzo dei materiali che mescolano praticità e tecnologia. Sono questi i principi sui cui viene sviluppata per il prossimo A/I questa iconica linea del brand. A nuovi lavaggi e tessuti tinti in capo, si aggiunge l’utilizzo importante del denim, icona per eccellenza dell’abbigliamento casual. La vestibilità viene rinnovata e i colori dominanti sono il verde salvia, il verde scuro e il nero.
All’interno di questa linea si colloca uno speciale progetto, che diventerà continuativo, denominato “L’archivio del pilota”: ad ogni collezione verranno aggiunte specifiche capsule che racconteranno aspetti speciali dell’Aeronautica Militare. La prima, inserita in questa collezione A/I 2023-2024, è ANTARTIDE, un omaggio alla 46° Brigata Aerea che ha un ruolo primario nelle varie spedizioni scientifiche italiane in questa terra. Una capsule che traspira voglia di avventura e adrenalina, con capispalla importanti, che garantiscono comfort, calore e alte prestazioni, dove i colori principali sono il rosso e il bianco.
HERITAGE – impreziositi da grafiche a contrasto e patch che hanno fatto la storia del brand, i capi di questa linea hanno carisma e uno stile che trascende ogni trend.
Look casual e informali, pensati per un uomo di carattere che vuole sottolineare la propria personalità e le proprie passioni. Nella collezione A/I 2023_2024 il focus sarà concentrato sulle Frecce Tricolori, si faranno infatti rivivere i capi più amati come i giubbotti in pelle, i bomber e i pantaloni Anti-G prestando massima attenzione alla qualità e alla vestibilità dei capi.
URBAN – linee pulite e vestibilità confortevoli, per un uomo che cerca capi perfetti per un utilizzo quotidiano e da lavoro, sia dentro sia fuori casa. Le grafiche e le patch sono discrete, lasciano posto all’iconica aquila turrita, stemma simbolo distintivo del brand, realizzata in ecopelle per dare un tocco elegante e originale ai capi. I colori sono panna, grigio mélange, marrone e i classici toni del blu.
SPORT – pochi capi, circa 20, dal DNA esclusivamente sportivo, con una vestibilità impeccabile in grado di donare assoluta libertà di movimento a chi li indossa. I materiali e i tessuti dei capispalla sono versatili e funzionali, dal sapore un po’ leisure, con pesi diversi che li rendono adatti ad ogni situazione.
Perché “ci piace” la Musica?
…nella bellezza “unica” di un tema, nell’identità musicale, nella ricerca di “Emozioni”!
TEXT: MARINO MORA
Pianista, compositore, musicologo
«Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi ritrovarsi a volare e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere… E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire dove il sole va a dormire. Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore (…) Tu chiamale, se vuoi, emozioni!». Che parole meravigliose ha scritto in questa splendida poesia l’immenso Mogol! E che incredibile, ulteriore cambiamento le ha impresso la musica di Lucio Battisti, trasformandola in “canzone” d’arte: l’effetto di magica miscela tra suoni e parole ci restituisce un’idea di levitazione sospesa, iconica, vellutata, il respiro dei suoni muove come un soffio di vento sopra il nostro animo, creando un effetto-alone notturnale magico e incantato! È il miracolo delle emozioni che, ogni volta, ci restituisce un così detto “capolavoro”! È un caso? No di certo!
Ricordate quel passo fortemente coinvolgente del film Amadeus di Milos Forman? Quando il sacerdote che confessa un Antonio Salieri ormai anziano e ammalato, ascolta alcuni temi musicali suonati dal musicista? Salieri glieli esegue, chiedendogli se li riconosce, ma il prete, del tutto dispiaciuto, proprio non li ricorda! Poi Salieri ne suona di altri ed il sacerdote subito gli risponde con entusiasmo: «Certo che sì! Sono suoi? Che meraviglia!» Come un tonfo arriva la risposta del vecchio Kapellmeister di Vienna: «Padre, No, sono di Mozart!», lasciando i protagonisti di questa scena in un sorprendente sconcerto e imbarazzo. Certo, Antonio Salieri, al tempo in cui visse, era considerato un ottimo musicista. È stato così veramente nella sua epoca e ciò è tuttora effettivamente riconosciuto e restituito dalla “Storia della Musica”, che ne ha compreso il notevole valore. Ma tra Salieri e Mozart? Il pubblico, la critica, in generale il giudizio dell’Arte, ci dice oggettivamente la straordinarietà del compositore di Salisburgo! Che ha lasciato nella Storia della Composizione un patrimonio irripetibile di Bellezza! C’è dunque differenza nella portanza, nell’efficacia, nella capacità di restituire e convincere dentro un’opera, in un tema, in un’idea o in un’armonia musicale? Distinguendo tra musica bella ma ordinaria e musica straordinaria, nel senso, proprio di “extra ordinarius”, fuori della norma, dall’ordinario? E quello che i Romantici chiamano “genio” è solo un’invenzione, una suggestione culturale o c’è di più? Lasciamoci con qualche interrogativo e proviamo ad approfondire …Quanti di noi sono legati ad uno o più brani musicali assolutamente imprescindibili nel nostro immaginario?
Talvolta “quel pezzo” o “quei pezzi” divengono catartici, fondamentali, perché legati, ciascuno, ad un fatto preciso, ad un episodio, più olisticamente in grado di rappresentare una nostra storia personale! Come una fotografia o un ricordo cui teniamo molto e ci piace, talvolta, andare a rivedere, funzionano come “terapia psicologica” e rappresentano, per la nostra interiorità, un preziosissimo talismano ricco di sollecitazioni! Vogliamo citare qui, precisamente, la specialissima capacità della musica di farci fare un viaggio nel tempo! Ci è già capitato?
È il flashback musicale!! Basta ascoltare un pezzo cui siamo legati, che ci riporta ad un momento importante della nostra vita e in un battito d’ali siamo come “teletrasportati” su quello spicchio di vita vissuta! Proprio in quel preciso attimo, magari distante ormai anni! È come un’illuminazione, un’intuizione di rara efficacia, che ci fa commuovere e ricordare ambienti e persone: noi stessi immersi in quegli attimi salienti!

Una meraviglia, vero? Questa sorta di riuscita ed emozionante delocalizzazione temporale ci commuove e “corrisponde veramente ad un regalo più unico che raro”, che proprio la musica ci dona ogni volta che lo desideriamo! Si viaggia nel tempo e ci culliamo incantati dalle endorfine che la musica ci induce! Ma la musica ha un altro dono in serbo per noi. Parliamo di “iso musicale” o identità musicale … Ciascuno di noi riconosce e sceglie il proprio gruppo o cantante, il proprio stile, non solo per cultura, ma anche per “gusto” e piacere personale. Ciascuno di noi ama in particolare un genere o uno stile e deliberatamente propende per l’uno e per l’altro! È stato l’eterno dilemma e alterità per tante generazioni: Beatles o Rolling Stones? … Joan Baez, Bob Dylan, Genesis o Queen, Pink Floyd, Elton John, Madonna, Lady Gaga, Oasis, o, più recentemente … Coldplay e quanti altri? Senza togliere merito a nessuno. Per stare ad autori italiani come non citare le affinità di molti di noi con grandi artefici, oltre a Battisti, come Guccini, Lucio Dalla, Venditti, Vasco Rossi, De Gregori, Baglioni … et alia?
Italiano o non italiano, compositore o esecutore, la propensione per uno stile o genere, per il pop, il rock, il jazz … il rap o il classico: siamo tutti d’accordo che ogni volta la scelta sappia veramente esprimere ciò che i francesi chiamano le goût, il “gusto”: che è, per definizione, una presa di campo del tutto convinta e deliberata! Ne ha trattato specificamente anche la musicoterapia con la teoria dell’identità musicale di Rolando Benenzon.
Ma questo e altri fondamenti scientifici delle teorie che sottostanno al fatto musicale potranno essere argomenti trattati in futuro per il lettore che avrà piacere di approfondirne le credenziali … I fonosimbolismi musicali, cioè quello straordinario reticolo dendritico che mette insieme ritmo, melodia, armonia, durata, timbro – colore e quant’altro e che fanno ciò che noi oggi chiamiamo “la musica”, lavorano meravigliosamente su di noi, inducendoci ad apprezzare un tema musicale, a preferire uno spunto, ad emozionarci di fronte ad un “capolavoro”!
Tornando specificamente al “gusto”, cioè a questa specialissima “preferenza” che va oltre la semplice cultura, vediamo, ora, che è effettivamente ciò che piace davvero, ciò che sentiamo affine, ciò per cui “vale la pena di…”! Insomma, si tratta di una vera e propria, netta, “scelta” interiore, consapevole e in parte anche … inconscia!
I latini, giustamente, dicevano: “de gustibus non disputandum est” (sui gusti non c’è storia, ognuno sceglie il proprio). E avevano perfettamente ragione! Questa massima sembra veramente aderire perfettamente anche alla musica! Vogliamo concludere queste nostre riflessioni sulle qualità, sulle caratteristiche, sulle precipuità della musica, citando un celebre episodio storico, che affonda le proprie radici nella leggenda, ma che ora ci parrà perfettamente plausibile.
Incrociando l’iso musicale con la capacità della musica di indurre emozioni, di farci preferire la straordinarietà di uno stile, di un lavoro, di un tema … Johann Sebastian Bach, l’illustre genio di Eisenach, il campione della Fuga e del Contrappunto, a 20 anni fece un vero “colpo di testa”.

Lavorava già come organista ad Arnstadt, ma, venuto a sapere che a Lubecca vi era uno straordinario organista, Dietrich Buxtehude, che per ore improvvisava ai concerti, stupefacendo con le sue mirabilie il pubblico, gli fece decidere l’impensabile.
Chiese un permesso di 4 settimane (che divennero poi 4 mesi!) e fece un leggendario percorso a piedi di 400 chilometri sino a Lubech. Una volta giunto in loco, ogni sera, in gran segreto, nascosto nella Cantoria della Chiesa di Santa Maria, ascoltava le esecuzioni delle Extraordinarien Abendmusiken di Buxtehude, estasiato da quei suoni! In questo modo imparò l’arte pura di inventare, improvvisare, rendere la musica una cascata infinita di suoni, mettendo al centro l’invenzione, l’originalità, la Bellezza che, insieme alla tecnica, possono creare autentici capolavori!
Quando il giovane genio tornò ad Arnstadt nel febbraio 1706, con quindici settimane di ritardo, i responsabili della Chiesa di San Bonifacio notarono che «Dopo questo viaggio eseguiva stupefacenti variazioni sui corali e vi mescolava armonie estranee a tal punto da confondere i fedeli …». Nulla per lui sarebbe stato, da quel momento in poi, come prima, perché l’impronta di quella musica l’aveva catturato, ritrasformandone le caratteristiche di autore!
Forse la famosa Toccata e Fuga in re minore, ancora oggi per tutti noi imprevedibile, avvincente e catturante, non sarebbe mai nata se non ci fosse stata l’infatuazione per lo “Stile Fantastico” del faro assoluto J. S. B.! Che, non per niente, amava firmarsi, pensando al Trascendente: «Soli Deo Gloria …». Potere della Musica! Un plaisir dal sapore unico e irrinunciabile! E forse anche un po’ “divino”!
MIRCO GIOVANNINI PRESENTA LUXURY CLOUDS KNITWEAR
Il designer Mirco Giovannini presenta LUXURY CLOUDS KNITWEAR: il suo nuovo progetto ecouture sostenibile combina da un lato la collezione KNIT LUXURY COUTURE, ispirata ai volumi degli anni ’50, con incursioni nel “futurismo” degli anni 2000, dall’altra la capsule CLOUDS, in cui l’universo della camicia viene esplorato all’infinito attraverso un puro esercizio di esaltazione della femminilità grazie all’unione del voile più sottile ed etereo con il filo di pura e nobile seta.
La collezione è stata svelata durante l’esclusivo evento organizzato in occasione di Pitti Uomo daCristina Vittoria Egger in partnership Degorsi, presso l’NH Hotel di Palazzo Gaddi a Firenze.
Il designer, romagnolo di nascita e per affinità poetica, ha da sempre scelto la maglia come atomo della sua cosmogonia. Maglia non solo come tessuto, ma come filosofia intrisa della sua proverbiale inventiva e di una sapienza artigianale costruita, punto speciale dopo punto speciale, durante il suo straordinario percorso professionale.
La capsule LUXURY CLOUDS KNITWEAR è parte della collezione di maglieria lusso donna, MIRCO GIOVANNINI ATELIER FOLLERIA, nata dal progetto imprenditoriale MG ATELIER s.r.l. creato con l’imprenditore nonché amico Gianluca Marchetti.
I capi firmati Mirco Giovannini nascono da materie prime contraddistinte da certificati aziendali ecosostenibili di natura non solo ambientale ma anche sociale e etica. Nell’ottica del designer la chiave della sostenibilità si traduce in creazioni sofisticate che si basano sulla Responsabilità Sociale, Gestione del Rischio Chimico, Tracciabilità e Sostenibilità Ambientale e si basa su azioni concrete, come l’impegno a ridurre la presenza di sostanze nocive nei tessuti e nei capi finiti.
MIRCO GIOVANNINI ATELIER FOLLERIA offre un’esperienza di arricchimento a ritmo lento, dove incontri e racconti sono fatti di persona, rispettando l’andamento di una città da salvaguardare e in cui Mirco Giovannini si è fatto spazio come nuvole che diventano impalpabili e pronte a volare, leggere come il vento.