Velier Live, un viaggio nel migliore dei mondi possibili

Velier Live, un viaggio nel migliore dei mondi possibili

Il distributore genovese trasforma in realtà i sogni di 6000 professionisti del settore, con una fiera che detta i nuovi paradigmi per la crescita dei distillati e dell’enogastronomia nel nostro Paese

Il futuro delle fiere trade nel settore dei distillati e dei vini è da oggi un po’ meno lontano. Il Velier Live, evento appena concluso al Superstudio Maxi Milano il 18 e 19 febbraio, ha infatti dimostrato che un nuovo approccio alla divulgazione enogastronomica è possibile. Le parole d’ordine sono: interazione; esperienze multisensoriali; un discorso di verità sui contesti socioculturali in cui nasce un prodotto e sui processi produttivi; contaminazioni con mondi vicini e lontani; volontà di spingere sempre più un alto il livello qualitativo dei prodotti degustati, come anche lo spessore degli ospiti internazionali e nazionali. Non da ultimo un’offerta formativa senza pari, con 490 experience nelle 18 ore complessive di apertura, tenute da una squadra formata da alcuni dei massimi esperti nei settori di competenza ma anche da appassionati divulgatori. 

I numeri del Velier Live: 

6000 partecipanti su 9000 metri quadrati; oltre 200 marche di distillati e liquori; 76 vignaioli Triple A in presenza, 52 mila bottiglie; 600 chili di pane e 6000 chili di ghiaccio; decine di aree verdi naturali; 7 mila foto scattate.

La città

Il Superstudio Maxi di via Moncucco ha assunto per due giorni le sembianze di una vera e propria città, animata da strade e “case”, luoghi di grande impatto che hanno ospitato 55 experience. Non solo e non più le classiche degustazioni di prodotti ma vere e proprie esperienze emozionali, immersive, a numero chiuso e accessibili solo accreditandosi in loco. A dare ancora più spessore i tanti distillatori, brand owner e ambassador internazionali arrivati nel capoluogo lombardo. Dietro ogni grande prodotto c’è un contesto culturale stratificato e affascinante, e Velier ha ritenuto di farlo diventare protagonista assoluto, per creare un legame duraturo tra i valori di un potenziale fruitore e la storia di una distilleria, di un liquore o un alimento.  

Le esperienze: Caribbean Street

Nel villaggio del Velier Live si sono intrecciate le diverse strade tematiche, a partire da quei Caraibi che l’azienda genovese esplora da 40 anni contribuendo all’ascesa mondiale del rum. Dietro la facciata del mitico Hotel Florita di Jacmel, i visitatori hanno scoperto un cinema vintage con un cortometraggio girato ad Haiti, terra di tradizioni tenaci che dà i natali al Clairin; il rum giamaicano Hampden è stato protagonista di un percorso multisensoriale, dalle essenze di profumeria all’estrema versatilità in gastronomia; la riproduzione di un tipico bar giamaicano ha fatto da sfondo ai riti quotidiani dell’isola, a partire dal drink nazionale Wray & Ting; tra l’erba e le piante di due giardini tropicali sono spuntate cuffie per scoprire le musiche tradizionali delle isole caraibiche associate ai rum in degustazione. E poi i food pairing del rum domenicano Brugal 1888 e la Shake & Sip del nicaraguense Flor de Caña per imparare i segreti della miscelazione caraibica. Per l’occasione sono state aperte in degustazione anteprime e bottiglie rare, come il nuovo Foursquare Absolutio, la serie Triple Entente, Neisson Armada e i co-bottling tra Velier e Saint James per i 25 anni dell’Aoc del rum martinicano. Ospiti d’onore di questa strada, alcuni dei più grandi distillatori al mondo: Richard Seale (Foursquare), Grégory Vernant (Neisson), Herbert Linge (Providence), tutti insieme in un dream team completato dai rum guru Luca Gargano, Presidente di Velier, e Ian Burrell.

Whisky Street

Non è passata inosservata l’esposizione di decine di imbottigliamenti mitici della regina dello Scotch Whisky, la distilleria Macallan che proprio nel 2024 compie 200 anni di vita. Strabilianti i dram degustati nel Whisky Inn, tra cui un Glenrothes 40 anni e un Highland Park 30 anni. E poi la casa di Whisky Club Italia, la più grande community nostrana di appassionati di whisky, che ha curato ben 13 percorsi degustativi dedicati alle distillerie e agli imbottigliatori indipendenti. La scozzese Balvenie ha tracciato un parallelismo tra l’arte di far whisky artigianale e le arti visive di Francesco Maccapani Missoni, mentre Waterford ha portato lo studio del terroir applicato al Single Malt, con le lezioni di un agronomo della distilleria. Infine l’interessante scena dell’American Whiskey è stata celebrata nella riproduzione del Fort Nelson Bar, situato nello storico palazzo di Louisville che ospita la distilleria Michter’s. 

Mexican Street

L’incredibile patrimonio culturale dei distillati di agave ha avuto dei narratori d’eccezione. Il Master Distiller Hector Vazquez ha presentato la terza serie di Palenque, il progetto che valorizza e mette in etichetta i volti dei micro produttori di Oaxaca; all’Agua Sancta di Milano il compito di miscelare i tanti tequila del portfolio Velier, mentre La Punta di Roma ha raccontato l’artigianalità del mezcal. E poi le feste di Rooster Rojo e nel tacos bar animato da Herradura e El Jimador.     

Japan Street

Un vero ramen bar nipponico, curato da Ronin Milano, ha fatto da cornice al racconto delle eccellenze dell’isola: dai sake alle micro distillerie di whisky raccontate dal connoisseur Salvatore Mannino, su tutte la mitica Chichibu di Ichiro Akuto. Nikka ha celebrato i 90 anni dalla fondazione della distilleria Yoichi con un percorso museale e poco distante Amaro Yuntaku ha unito la tradizione distillatoria italiana alla biodiversità nipponica, portando anche la testimonianza di un maestro Bonsai.

Piazza Italia

La liquoristica nostrana ha una storia secolare e può contare su una varietà con pochi eguali nel mondo: le arance rosse Igp di Sicilia di Amaro Amara, le erbe montane spontanee di Bordiga protagoniste di uno spiazzante blind tasting, l’enorme lavoro di ricerca sui frutti rari di Capovilla, le mandorle pugliesi di Amaretto Adriatico. Sono solo alcuni esempi delle esperienze di Piazza Italia, in cui hanno esordito anche due storie famigliari di tutto rispetto come il ligure Camatti e i piemontesi Chinati Vergano. Ha fatto notizia il ritorno a casa di Simone Caporale, creatore dell’amaro Santoni, il quale ha riprodotto al Velier Live gli ambienti del Sips di Barcellona, vincitore della World’s 50 Best Bars 2023. Infine, Portofino Dry Gin ha alzato il sipario sulla nuova creazione “Penisola” e il gin biologico d’Alta Langa, Engine ha stupito coi simulatori di guida sportiva Sparco.    

Dalla mixology alla ristorazione

La mixology è stata una parte importante del Velier Live, col Main Bar che ha ospitato le guest di tanti nomi di spicco della scena in collaborazione con Rita Cocktails, Jerry Thomas Project, Ceresio 7, Aguardiente, L’Antiquario, Rosewood Castiglion del Bosco, Bulgari, Il Mercante. Sempre al Bar centrale, ampio spazio alla Cocktail Revolution di ecoSPIRITS, sistema tecnologico appena premiato ai Barawards 2023 di Bargiornale come Innovazione dell’anno. E di miscelazione si è parlato anche nelle case del colosso dei sodati Fever Tree, di Hendrick’s gin e Monin, e naturalmente negli spazi dedicati alla vodka, Stolichnaya, Moskovskaya, Tito’s. 

Il Velier Live è stata anche l’occasione per presentare i Just Born, i nuovi ingressi nel catalogo: da Contrattino, aperitivo tonic biologico ai gin Silent Pool, Porcelain e Jiji, fino a Roots e Rupes. 

Impossibile non bussare alla porta della casa che ospitava l’esperienza gourmet con Billecart-Salmon, guidata da Nicolas Roland-Billecart in persona, coi migliori champagne della maison (Cuvée Louis e Clos St. Hilaire) e i salumi di Podere Cadassa; bollicine e grandi cibi anche da Casa Contratto, dove lo spumante d’Alta Langa ha incontrato la cruda al coltello dello chef Maurilio Garola (Campamac). E poi lo spazio France Gourmande con Cognac, Armagnac e Calvados abbinati ai classici della gastronomia francese selezionati da Longino & Cardenal; il percorso andaluso per imparare i segreti di un grande vino come lo Sherry; la leggenda del liquore più antico al mondo, la Chartreuse dal 1605; la trattoria dedicata alla mitica pasta artigianale Fabbri con una brigata mista fieramente calabrese (Il Lupo Cattivo, La Cascina 1899, Tenuta San Nicodemo); una pasticceria che ha ospitato le sperimentazioni alcoliche di maestri del calibro di Guido Castagna, Corrado Assenza, oltre a Davide Longoni, che ha anche firmato tutti i panificati della fiera.

Infine due parole per un vero e proprio evento nell’evento: un ampio spazio conviviale che ha ospitato in presenza 76 produttori Triple A, il movimento dei vignaioli agricoltori, artigiani e artisti che ha compiuto 20 anni l’anno scorso e che al Velier Live ha salutato una seconda generazione di vignaioli convintamente ancorata ai valori dei padri: artigianalità, gesti positivi verso la Natura e un rispetto sacrale per il terroir.

Milano Fashion Week – MARYLING FW 24-25

MARYLING FW 24-25 – MILANO FASHION WEEK

WINTER SNOWFLAKE ADVENTURE

Il ricordo di una giornata sugli sci tra le cime innevate di Madonna di Campiglio è il cuore della FW 24/25 di MARYLING, “Winter Snowflake Adventure”. Un’immersione magica nella natura che diventa il pretesto per creare una collezione elegante e comoda, moderna e colorata, che rilegge in maniera accattivante l’evoluzione dello sport e del suo stile – sempre più riconoscibile, iconico, lussuosamente funzionale- in dialogo con la moda.

Al centro il classico maglione natalizio dalle lavorazioni hand made che, con il sapiente uso del color block e il suo motivo tradizionale a maglia, dà vita a nuovi oggetti del desiderio, ricchi di vibrazioni accattivanti. L’ispirazione è una miscellanea di fascinazioni artistiche sulle quali MARYLING costruisce l’anima della sua proposta. La snow art e i suoi pattern nati dalla mano di Simon Beck, il land artist celebre per le opere sulla neve fresca; il fotografo dei fiocchi di neve Wilson A.Bentley, pioniere nel rappresentare un mondo microscopico, tanto evanescente quanto affascinante; l’artista americano Doug Aitken maestro nel creare miraggi architettonici con gli specchi.

Così le tracce sulla neve si mutano in habotai di seta stampata in bianco e nero; i paesaggi montani, gli scorci da cartolina, le cromie del rosa, del bianco, del blu indaco disegnano abiti in chiffon e amplificano il carattere dei piumini, mountain clothing per eccellenza, oltre che quello delle puff bag e delle sciarpe trapuntate. E ancora il neoprene assume toni psichedelici mentre capi monocromatici conservano il comfort tipico dell’abbigliamento sportivo celebrando, al contempo, la loro essenza con tinte vivaci pensate per spiccare sulla neve.

E ancora spazio alla maglieria con intarsi; agli jacquard caratterizzati dai simboli iconici della stagione invernale traslati nelle lavorazioni a maglia e nei filati lussuosi, insieme alle texture classiche di MARYLING come la lana lunga, i cappotti in cachemire e mohair, le mantelle e i capispalla sartoriali nelle tonalità cammello, sabbia, cioccolato e fard.

I pattern rileggono il concetto di vacanza sugli sci in chiave glamour e la bellezza dell’inverno tra alberi ghiacciati, cime montuose e una calda atmosfera di relax. Le linee dei modelli sono ispirate alle forme iconiche dell’abbigliamento sportivo graffiate da dettagli di design, enfatizzati da lavorazioni lussuose ed eleganti, che portano la snow couture anche in città.

ANTEPRIMA PRESENTA ELEGANZA DIGITALE FW24 COLLECTION

ANTEPRIMA PRESENTA ELEGANZA DIGITALE FW24 COLLECTION

Anteprima presenta una collezione che ridefinisce i confini tra il reale e il digitale, celebrando l’innovazione, la creatività e l’eleganza in un mondo sempre più complesso e non convenzionale.

“Il mondo è imprevedibile e cambia ogni giorno. Ci stiamo allontanando dalle certezze. Questo ha ispirato il concetto di “eleganza digitale”, uno stile punk, audace, energico e allo stesso tempo intellettuale. In questa era digitale, credo ancora che la moda abbia il potere di influenzare le persone, i sentimenti, i pensieri e le azioni. Continuerò a creare la collezione per dare potere alle donne e per loro vite contemporanee” spiega Izumi Ogino, Direttore Creativo di Anteprima.

Artigianato e tecnologia si intrecciano nella nuova collezione Anteprima FW 24-25 presentando due realtà distinte ma complementari. Estetiche moderne che riflettono la bellezza dell’era digitale che ha rivoluzionato il modo in cui interagiamo con il mondo circostante, offrendo nuove opportunità di espressione artistica e di riflessione sul rapporto tra design e tecnologia.

“L’incontro tra artigianato e tecnologia è qualcosa in cui credo da sempre ed è l’elemento chiave di ANTEPRIMA che si esprime da sempre nella nostra signature bag, la Wirebag. Materiale innovativo vs lavoro artigianale fatto a mano. Il contrasto tra il materiale Row Rough e il materiale scintillante Precious è sorprendente ed è qualcosa che amo di questa collezione” sottolinea Izumi Ogino.

Un design che stimola tutti i sensi incoraggiando la sperimentazione e la fusione tra moderna tecnologia ed estetica combinando il nervosismo dell’estetica cyberpunk degli anni 2000 con la sofisticatezza dell’alta moda.

L’onda digitale che permea la collezione si esprime in modelli distorti creati digitalmente, linee fluide e trame che stimolano i sensi attraverso tessuti stratificati, risultato della sinergia tra creatività e tecnologia.

La grafica floreale in stile digitale e pixel suggerisce un’atmosfera surreale che diventa il fiore all’occhiello della stagione FW24, riflettendo la distorsione della tecnologia AI e suggerendo illusioni visive che sfidano la percezione tra reale e digitale.

Dal 2D al 3D e viceversa: queste caratteristiche sono utilizzate per esaltare gli elementi chiave a pezzi interattivi, accattivanti e giocosi.

Glamour deciso attraverso finiture liquide lucide dall’aspetto bagnato come la pellicola metallica, l’effetto specchio morbido, paillettes quadrate irregolari, traslucido argento lucido e la lucentezza acrilica.

Un abito con spalle scolpite e orlo stretto, caratterizzato da una struttura in maglia con nylon metallizzato lucido da un lato e viscosa compatta dall’altro.

Digital party: l’ensemble presenta un design in pelliccia lavorata a maglia realizzato con una miscela di scintille metalliche poliestere e nylon, caratterizzato da un cappotto lungo fino ai fianchi con accenti di filo metallico. Accompagnato da un miniabito con cappuccio staccabile abbinato realizzato in rete argentata.

Il cappotto oversize in lana double face, che abbraccia una silhouette inclusiva di genere, accoppiato con eleganza con i pantaloni Venice in PU a gamba larga.

Gli shorts sartoriali in maglia ornati con catena aggiungono un tocco di audacia e glamour alla collezione.

Il colore è protagonista e unisce la vivacità creativa dell’intelligenza artificiale con elementi più morbidi e ultraterreni: dai pastelli influenzati dalla tecnologia come menta e cipria, ai toni acquatici tecnologici accesi come glicine, ametista, magenta e giallo, fino a blu nero, grigio e khaki. Un video immersivo progettato dallo studio WOW durante il Fashion Show, trasporterà gli spettatori nel mondo digitale con gli stessi colori e le emozioni della sfilata dal vivo, creando un’esperienza sensoriale unica.

ELISABETTA FRANCHI FALL-WINTER 2024/25

ELISABETTA FRANCHI FALL-WINTER 2024/25

THE CLUB

L’ispirazione della collezione autunno-inverno 2024/25 nasce dall’immagine senza tempo delle uniformi dei college inglesi, che Elisabetta Franchi ha reinterpretato partendo dall’estetica tomboy.

L’uniforme viene raccontata con un tocco di trasgressione per esprimere la personalità unica di ogni donna, che si riconosce all’interno di una community ma senza omologarsi.

La fusione di stili incarna il dualismo di una donna contemporanea e libera, che si muove con disinvoltura tra il silenzio della biblioteca ed il ritmo frenetico dei party, abbracciando con passione sia il fascino tradizionale della cultura accademica che glamour della vita notturna.

Microgonne a pieghe, maxi-cardigan e pullover indossati come fossero miniabiti si fondono armoniosamente in un gioco di sovrapposizioni con le camicie, vere protagoniste della collezione, e con giacche dal taglio maschile, mentre i cappotti lunghi in tweed e tartan, aggiungono un’allure di raffinata sartorialità.

Stemmi e blasoni, preziosamente ricamati, evocano il senso di appartenenza a un club esclusivo, accademico o sportivo. Il tartan gioca un ruolo centrale nel guidare la palette colori, dominata dal rouge noir, dall’oxford e dal grigio steel, a tratti illuminata da un vivace mimosa.

Gli eleganti abiti lunghi, preziosamente ricamati, scivolano su sneakers dal sapore vintage, e si fondono con avvolgenti sciarpe in maglia creando un irresistibile mix glamour e cozy. Le calzature spaziano dai combat boot alle slingback con tacco medio, da abbinare sempre ai calzini maschili.

Edizione 2024 di The I.C.E. St. Moritz – International Concours of Elégance

Più che un semplice evento automotive, The I.C.E. St. Moritz si conferma un immancabile appuntamento culturale e lifestyle

Si scaldano i motori dell’edizione 2024 di The I.C.E. St. Moritz – International Concours of Elégance, uno degli eventi invernali più attesi da cultori e appassionati del mondo automotive. L’appuntamento è per il 23 e 24 febbraio sul lago ghiacciato delle Alpi svizzere, che per questa edizione ospiterà più di cinquanta auto uniche nel loro genere.

The I.C.E. St. Moritz nasce come concorso di eleganza, ma ha dimostrato di essere molto più di un semplice raduno automobilistico. È un evento nuovo, glamour e contemporaneo che si colloca a pieno titolo tra gli eventi culturali e lifestyle più accattivanti. Non a caso, il villaggio di The I.C.E. diventerà punto di incontro con brand iconici del fashion e del design, oltre che dell’automotive con il suo heritage. Un hub che celebra la qualità automobilistica, tecnologica, artigianale, enogastronomica e manifatturiera, promuovendo tradizioni, cultura e il comune amore per il bello, e al contempo anticipa nuove tendenze di stile.

Fondamentali sono la riconferma di Richard Mille come Title Sponsor per il secondo anno consecutivo e il sostegno della Città di St. Moritz, insieme all’iconico Badrutt’s Palace.

Come Main Partner di questa edizione, al loro primo anno, parteciperanno Loro PianaUBS e VistaJet, official aviation partner di The I.C.E. 2024. Nel mondo automotive, il ritorno di Pagani Automobili, che presenterà il progetto Pagani Arte, la nuova divisione dedicata all’interior design, Automobili Lamborghini con il Lamborghini Polo Storico, che si occupa della conservazione dell’archivio storico aziendale, di certificazioni e restauro, e Mercedes-Benz Classic, che promuove l’heritage del brand.

Tra le nuove partecipazioni, anche quella dell’iconico brand Riva, che reinterpreta in maniera unconventional il suo habitat naturale.

Per la prima volta, inoltre, l’azienda di design di alta gamma Poltrona Frau arricchisce l’evento con un progetto di allestimento elegante e sofisticato, in partnership con la casa d’aste RM Sotheby’s, partner consolidato della manifestazione. 

Molti sono i brand che continuano a riconfermare il loro supporto a The I.C.E., come Moët&ChandonDonnafugata, The Little Car CompanyGoodWool e Blasto, ma ancor più sono le nuove sinergie, che quest’anno toccano davvero i più vari settori: Gufram e Meyers ManxBang&OlufsenRoaringtonAlcantara e Vincenzo Dascanio.

I Partner dell’edizione 2024 sono guidati dalla medesima passione e condividono con The I.C.E. St. Moritz gli stessi valori fondanti. Tutte queste presenze contribuiranno a rendere il villaggio un luogo glamour, elegante e spettacolare allo stesso tempo. Un vero e proprio parco divertimenti per appassionati di auto, cultura ed eleganza.

The I.C.E. St. Moritz – The International Concours of Elegance

Nata da un’idea di Marco Makaus nel 2019, la manifestazione è annoverata dal 2020 tra i Diamond Events dell’Engadin St. Moritz Tourism AG. The I.C.E. St. Moritz fin dalla sua prima edizione ha creato un format senza precedenti nel mondo dei concorsi di eleganza: un mix di arte e sport, staticità e dinamismo in una location unica. L’evento, imprescindibile dalla presenza del lago che lo ospita, si è sempre tenuto nel rispetto del patrimonio ambientale e naturale dell’Engadina. Le vetture partecipanti sono attentamente selezionate e gli accessi al pubblico limitati proprio per salvaguardarne l’inestimabile valore.


(foto concesse da The Ice)

Collezione FW24/25 Des_Phemm

La collezione FW24/25 di Des_Phemmes nasce da una lettura trasversale e intimista di una delle personalità più influenti del secolo scorso: Carlo Mollino. Un esteta, un artista visionario e trasformista, che con la costante ricerca del bello e dell’armonia ha sperimentato i più disparati linguaggi artistici, dall’architettura al design, fino alla fotografia.

Il punto di partenza ed aspetto più interessante per il designer Salvo Rizza è però l’osservazione della dicotomia artistica di Mollino, da una parte le opere pubbliche e più celebri, dall’architettura severa e dal design futurista, dall’altra un Mollino più intimo, quasi sconosciuto, surrealista, che si esprime nella progettazione di Casa Mollino e nelle polaroid scoperte dopo la sua morte; ed è proprio su questa parte più intima che Salvo Rizza si concentra ed inizia un percorso di fascinazione.
Pochi conoscono il Mollino fotografo, nelle cui polaroid immortalava donne incontrate sul suo cammino, conosciute o spesso anche sconosciute, a cui era chiesto di posare per lui, donne interessanti, uniche, che lui “imprimeva” su pellicola come fossero opere d’arte. Dal medesimo approccio nasce la collezione di Rizza, pensata per donne diverse ma accumunate da forti tratti e caratteristiche femminili definite.



Casa Mollino, è una villa ottocentesca nel torinese riprogettata dall’artista tra il 1960 e il 1968, uno scrigno d’arte ricco di riferimenti simbolici, che diventa il manifesto della sua visione creativa, in cui elementi opposti, apparentemente, coesistono: un telescopio interiore che vive senza essere vissuta, in cui l’artista mette sé stesso ma non vivrà mai. Un melting pot di stili e colori, i cui arredi e colori diventano ispirazione: i tappeti animalier diventano gonne e mini dress dal motivo zebra in maxi paillettes ricamate a mano nei toni del bianco e del nero, da indossare con polo di lana cashmere riprese dal guardaroba maschile e impreziosite da colli interamente ricamati, cifra stilistica del brand. Allo stesso modo, tappeti di pelle di mucca vengono reinterpretati su capi tailoring in velluto di seta e cotone con stampa fotografica: gonne longuette a portafogli e dettagli ricamati a contrasto o pantaloni con stud splash in abbinamento alla maglieria in lurex.



Così come nella casa spiccano elementi di design in colori forti e decisi, allo stesso modo la palette di collezione nasce da un mix and match perfetto e sbilanciato di nuances e texture all’apparenza contrastanti ma che nell’insieme risultano in armonia, creando un linguaggio nuovo ed eclettico.
Colori che all’apparenza non coesistono diventano l’uno il supporto dell’altro ed è proprio dal loro accostamento insolito che vengono esaltati: verde acido, giallo navone, glicine e rosa ma anche grigio, nero, beige e nude colorano duchesse, cashmere, ecofur, cotone e denim.


Chiari rimandi al guardaroba maschile acquisiscono un nuovo significato attraverso giochi di volumi oversized su silhouette femminili, sottili e delicate: il suiting in grisaglia grigia e beige si indossa con bra e culotte a vita alta in pizzo francese chantilly nelle tonalità pastello, discostandosi dalla sua funzione originale di capo intimo e divenendo parte integrante dei look da voler mostrare. Un richiamo sensuale e mai volgare quello delle culotte in pizzo a vita alta, che cita quei boxer sotto ai jeans tipici dei 90s presentati nelle scorse collezioni, e che oggi nella proposta FW24 si intravede da pantaloni over e gonne longuette interamente ricamate portate con camicie oversized in popeline bastonetto o ancora indossate come shorts con giacche doppiopetto in duchesse brillante dal fit
asciutto e molto corto. Come le giacche anche le gonne si fanno micro, diventano ancor più ricamate e con un accentuata linea ad A e si indossano con mini cardigan che nascondono maxi camicie dal sapore maschile.

La maglieria-body è attillata come una seconda pelle, le coste in lurex seguono le curve del corpo, linee di grande ispirazione per Mollino nei suoi celebri arredi.
I ricami, matrice ed elemento caratteristico del brand, si ispirano alle opere dell’artista torinese, dall’abito da sera in frange ricamate che ricordano il soffitto del Teatro Regio di Torino, alle paillettes ricamate su gonne che riprendono forme e linee futuriste a rose 3D, forgiate a mano che sbocciano su minidress dalla matrice couture e su gonne a matita.
La collezione racconta di una donna che si aggira per gli spazi di Casa Mollino, con ipnotiche movenze e una sensualità semplice ma forte, come se la casa fosse il suo habitat, interpretandola e portandola addosso. Una donna che fa sua questa eclettica e silenziosa sensualità, come quelle donne ritratte nelle famosissime polaroid dell’artista nelle quali, in maniera fortuita, degli ambienti della casa si trovano le uniche incredibili testimonianze dell’epoca.

Panico a Sanremo

Panico a Sanremo

di Damir Ivic

Cosa resterà di questo Sanremo, lo stabiliranno nelle prossime settimane le piattaforme di streaming: unico vero giudice di cui tenere conto nel capire dove e come il Festivalone incida sulle vita di noialtri, quanto davvero si inserisca nelle nostre passioni al di là della “settimana santa” in cui tutto e tutti convergono verso il monoteismo dell’argomento-di-cui-non-puoi-non-parlare. Cosa resterà invece alla Rai e ad Amadeus di questo Sanremo, beh, saranno i dati d’ascolto record: evviva per loro. Ma i dati d’ascolto record nel 2024 valgono molto di meno rispetto al 1984, al 1994, al 2004 – perché sono dati d’ascolto televisivi, e la televisione è solo uno dei tanti elementi nel menù della comunicazione e dell’intrattenimento odierni, non il Moloch dittatoriale che era fino a una decina d’anni fa. I dati record o comunque molto buoni ci sono anche per quanto riguarda il traffico on line, ma lì bisogna fare attenzione. Il marketing e l’analisi dei dati odierne si sono fatte molto più raffinate, e una cosa che conta – nell’ottica degli investitori pubblicitari, che è l’unica cosa che conta: sono loro a far muovere tutto il Carrozzone – è il sentiment.

…ecco, il sentiment. Occhio: perché quello che ha circondato il Sanremone nazionale anno 2024 potrebbe essere, oggi, molto meno salutare e positivo di quello che paiono raccontare i numeri e gli indici, e di quello che gli addetti ai lavori si raccontano a vicenda, per convincere non solo il mondo ma anche se stessi di essere nel giusto, assolutamente nel giusto, che va insomma tutto bene così. Va tutto bene davvero?

Sanremo 2024 è stato, in realtà, un festival bloccato dalla paura. Probabilmente mai come negli ultimi anni (diciamo dal 2018, dall’avvento della direzione artistica Baglioni). Panico a Sanremo, sì: e pure tanto. Un panico che in questa edizione non ha fatto danni, perché appunto i risultati numerici sono stati portati a casa, eccome; ma un panico che potrebbe essere il racconto di una crepa in procinto di allargarsi male, in grado di far ripiombare nell’arco di poco tempo il festival in una nuova fase di declino (sì, Sanremo ne ha avute e potrebbe averne ancora, di fasi di declino: non è una categoria dello spirito al di sopra dei mali dell’umanità e dei cicli della vita, delle mode, delle passioni).

Quel senso di rinnovamento e di risincronizzazione con la realtà, autentico elisir di anni recenti, nel 2024 si è affievolito. Di chi sono le colpe, lo si stabilirà col tempo – quando saranno de-secretati riunioni segrete, discussioni, scelte interne, strategie. Quando capiremo come mai i rapper hanno scelto di rinunciare all’hip hop (con l’eccezione di Geolier nella serata delle cover: e guarda caso ha trionfato). Quando capiremo fino a che punto gli artisti sono liberi di esprimersi e fino a che punto invece sono le grandi case discografiche che controllano, impongono e dispongono tutto anche dal punto di vista creativo, come e più di prima (imponendo cioè autori per testi e musiche, come “cintura di sicurezza”: quanti brani ha firmato Davide Petrella quest’anno?). Quando capiremo perché i momenti non musicali gestiti da Amadeus e Fiorello sono diventati così vecchi, imbarazzanti e sorpassati (diciamolo, su: anche Fiorello si è imbolsito), perché una roba come quella di Travolta e del Ballo del Qua Qua è faccenda da oratorio triste anni ’80 ma non c’è stata solo quello (tra mille esempi possibili, citiamo il mesto coinvolgimento di Carolina Kostner in un siparietto a favore di uno dei principali sponsor dell’evento).

Un’ipotesi ce l’abbiamo: la paura. Si muovono tutti con la paura. E da fuori questa cosa si è iniziata a vedere – quando parliamo di sentiment intendiamo esattamente questo.

La Rai si è mossa con la paura di perdere la sua unica, ultima, vera gallina dalle uova d’oro, e allora finché le cose vanno bene per carità non facciamo colpi di testa. Amadeus con la paura di osare troppo, uscire dal seminato e quindi non raggiungere più risultati da record. Le case discografiche si sono mosse con la paura di non massimizzare la presenza loro e dei loro artisti in queste kermesse che è, tra le altre cose, per loro costosissima. Gli artisti arrivati da contesti più indipendenti (hip hop o indie che siano) si sono mossi con la paura di perdere questa improvvisa, avvolgente e per certi versi sorprendente benedizione del mainstream nazionalpopolare.

Ma la paura, si sa, può facilmente diventare una cattiva consigliera. E non è un buon investimento per il futuro, soprattutto. Sanremo l’hanno guardato e seguito in tantissimi, in questo 2024, certo; ma quella dinamica per cui era percepito come di nuovo decentemente sincronizzato al paese reale, quello dei veri consumatori di musica, si nutre sul medio periodo solo ed unicamente col coraggio e con la voglia di innovare, e quest’anno di questi due non se n’è visto granché. Al loro posto invece un panico sottile che i grandi risultati degli ultimi anni possano intiepidirsi. La paura dei sazi. Il panico di chi non vuole perdere privilegi dati ormai per acquisiti. Non una bellissima cosa. Perché in una società sempre più veloce ed istantanea, i privilegi acquisiti – anche quelli più granitici – si possono perdere quando meno te l’aspetti.

Forte e Chiara, lo spettacolo di Chiara Francini al Teatro Manzoni

di Giulia Perin


“Forte e Chiara” nasce come titolo della rubrica di Chiara Francini per La Stampa, diventa romanzo autobiografico nel 2023, e approda finalmente con il medesimo titolo al teatro Manzoni di Milano dal 1 a 4 febbraio 2024 interpretato da Francini stessa e con la regia di Alessandro Federico. Leziosa, sopra le righe ma anche vulnerabile, Chiara Francini ci porta con simpatia e leggerezza attraverso la storia della sua vita: dalla bambina povera e affamata di attenzioni, all’attrice di successo “arricchita” ed eccessiva che confessa al pubblico di non sapere rinunciare alle lucine dell’albero di Natale accese in casa tutto l’anno, anche a Ferragosto. 

Una vita al contempo straordinaria ma anche semplice, fatta di recite scolastiche a cui i genitori lavoratori facevano fatica ad assistere, di modeste vacanze sull’Adriatico (“il mare dei poveri” in confronto al più vicino Tirreno) e della sfrenata voglia di una sedicenne di ballare vorticosamente sotto la piramide del Cocoricò di Riccione. Poi gli studi, la carriera da attrice, e la corsa al successo, il cui culmine viene esemplificato in scena ricreando l’emozione genuina per l’invito ricevuto da Amadeus e il debutto scintillante come conduttrice al festival di Sanremo nel 2023. 

Non mancano anche note più amare, soprattutto all’avvicinarsi della fine dello spettacolo, quando Francini svela l’odio violento verso l’uomo “filo-leniniano” che ha provato a privarla della sua libertà, per poi scivolare in una sfacciata critica sociale che, pur sempre con ironia, colpisce un po’ tutti a destra e manca, o, come dice lei, “sinistri e mancini.” Lo spettacolo si chiude con una riflessione intima e sentita sulla maternità: messa da parte, desiderata, mancata, rimpianta, Francini mostra il dilemma che ha vissuto, e che continua a vivere, fra realizzazione personale e desiderio di essere madre – nodo cruciale che sussiste nella vita di tutte le donne.

Bene le musiche che tele-trasportano gli spettatori attraverso anni e luoghi diversi, e che aiutano a tenere alto il ritmo dello spettacolo insieme all’energia travolgente della protagonista.
Per una serata a teatro leggera ma con qualche sorpresa. Brava.

Chiara Francini



La scaletta della terza serata di Sanremo 2024

Questa sera ore 20.45 si terrà la terza serata del Festival di Sanremo. A co-condurre con Amadeus, la comica Teresa Mannino.

Qui i nomi dei 15 cantanti in gara che verranno presentati dai loro colleghi concorrenti, in ordine di esibizione:



Il Tre presentato da Loredana Bertè

Maninni presentato da Alfa

BNKR44 presentati da Fred De Palma

I Santi Francesi presentati da Clara

Mr.Rain presentato da Il Volo

Rose Villain presentata da Gazelle

Alessandra Amoroso presentata da Dargen D’Amico

Ricchi e Poveri presentati da BigMama

Angelina Mango presentato da Irama

Diodato presentato da The Kolors

Ghali presentato da Mahamood

Negramaro presentati da Emma

Fiorella Mannoia presentata da Annalisa

Sangiovanni presentato da Renga-Nek

La Sad presentati da Geolier


Ospite più atteso della terza serata di Sanremo 2024, Russell Crowe, e ancora Sabrina Ferilli, Eros Ramazzottiche celebrerà il 40ennale di «Terra promessa» (canzone con cui ha debuttato al Festival) e Stefano Massini con Paolo Jannacci.

A Silent Conversation

Photographer @zak.bance.photography 
Stylist @sara.behbud
Makeup Artist @estellemordantmakeupartist 
Hair stylist @jerome_fendt 
Video @corentin.bhn 
Editor @james.goli 
Models @kristinagrinkiewicz @marioncuicui 
Credits : Jewellery @khaval.bijoux, white organza dress @elsi_couture, blue metallic jacket and trousers suit @annaritan_official, blue sparkling dress with gloves @themusefashion, top & mikado jacquard skirt with organza touches @L’Arabesque, black dress @elsi_couture

NUOVE ACQUISIZIONI PER IL MUSEO DI PALAZZO PRETORIO E IL PALAZZO COMUNALE, IL COLLEZIONISTA FRANCO BERTINI DONA QUATTRO OPERE AL COMUNE DI PRATO

NUOVE ACQUISIZIONI PER IL MUSEO DI PALAZZO PRETORIO E IL PALAZZO COMUNALE, IL COLLEZIONISTA FRANCO BERTINI DONA QUATTRO OPERE AL COMUNE DI PRATO

Quattro opere donate dal collezionista Franco Bertini al Comune di Prato, di cui due saranno visibili nel percorso espositivo del Museo di Palazzo Pretorio e del Palazzo Comunale:La madre, dipinta da Arrigo Del Rigo e L’abbraccio di Gino Signori; le altre opere sono rappresentate da un’incisione della Testa di San Giuseppe dell’artista inglese Thomas Patch e una rielaborazione fotografica del duo di artisti I Miradebora. Presentata oggi la donazione.

Quattro opere d’arte, di cui due andranno ad impreziosire il percorso espositivo del Museo di Palazzo Pretorio e del Palazzo Comunale: è il lascito del collezionista pratese Franco Bertini al Comune di Prato, ufficializzato oggi con un evento al Museo di Palazzo Pretorio. Le opere, presentate dal critico d’arte Attilio Maltinti e della direttrice del Museo di Palazzo Pretorio Rita Iacopino, appartengono ad artisti molto diversi tra loro per influenze artistiche e percorso di vita.
La madre, dipinta dal pittore pratese Arrigo Del Rigo nel 1928, sarà collocata all’ultimo piano del Museo di Palazzo Pretorio, nella sezione dedicata all’arte del Ventesimo Secolo, vicino all’Autoritratto (1926) dello stesso pittore. Definita dal critico Attilio Maltinti «un’opera che racchiude la classicità della tradizione toscana, e al tempo stesso la “grandezza” delle piccole cose», questo olio su tavola emana una dignità senza retorica, priva di teatralità, o forzatura, e rappresenta in pieno l’essenza di Del Rigo: un’anima delicata e inquieta, quella di un artista sbocciato precocemente ma anche prematuramente scomparso, a soli ventiquattro anni.
La collezione del Palazzo Comunale accoglierà invece – al primo piano – l’opera di un altro artista pratese, Gino Signori; chiamata originariamente La grande solitudine, (come si evince dal retro dell’opera, dove la prima denominazione è stata cancellata con un frego nero), la tela, dipinta nel 1973, fu poi rinominata L’abbraccio. Come tante opere di Signori, anche questa gli fu ispirata dall’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, e più precisamente dal periodo di internamento presso il campo di concentramento di Sandbostel, nei pressi di Amburgo. Fu proprio a causa degli eventi occorsi durante quel periodo che molti anni dopo, nel 1984, Gino Signori fu designato come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Yashem, per l’eroico salvataggio di una ragazzina ebrea sottratta a morte certa e nascosta tra mille pericoli, che poi per un evento fortuito avrebbe riabbracciato molti anni dopo, nel 1964.Molto diverse tra loro le storie delle altre due opere donate da Franco Bertini al Comune di Prato: una è un’incisione della Testa di San Giuseppe, datata 1771-72, dell’artista ingleseThomas Patch, che visse a Firenze gran parte della vita e realizzò nel capoluogo fiorentino un’ampia serie di stampe e dipinti con vedute, tra cui un volume dedicato a Fra’ Bartolomeo, da cui è tratta l’incisione donata da Bertini. L’altra opera, realizzata nel 2022 da I Miradebora (duo di artisti composto da Massimo Biagi, in arte Miradario, e Debora Di Bella) è una rielaborazione fotografica in bianco e nero denominata Dialogo Franco, omaggio a Bertini e alla sua passione per l’arte.«Franco Bertini è un amico del Museo di Palazzo Pretorio ed è un amico della città. Grande collezionista di arte pratese del Novecento, rinsalda con questa donazione una relazione già forte e riconosciuta», dichiara Simone Mangani, Assessore alla Cultura del Comune di Prato.

Franco Bertini
Nato a Prato il 29 gennaio 1943, fin da ragazzo si è appassionato di arte. Dopo il matrimonio, nel 1967, ha iniziato a collezionare opere di artisti di diversa provenienza, fino al 1991, quando ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla collezione di opere di artisti pratesi. Ha organizzato circa 500 mostre, dal 1997, anno del suo pensionamento, ad oggi, nella provincia di Prato e Firenze.
Nel 1999 ha organizzato una mostra della sua collezione nella cripta della chiesa di San Giorgio a Colonica. Nel 2009 ha donato 120 opere all’Istituto Santa Rita di Prato, che sono state collocate nella chiesa di Santa Chiara e in altri locali.
Nel 2019 è stato dedicato alla memoria di sua figlia Francesca l’affresco dell’artista Gabriella Furlani, dal titolo Angeli custodi, collocato presso l’Istituto santa Rita ai Cappuccini.

GLI ARTISTI

Arrigo del Rigo (Prato, 14 giugno 1908 – Prato, 26 febbraio 1932). Nacque a Prato il 14 giugno 1908. Nel 1920 la famiglia si trasferì a Corfù, dove rimase sicuramente fino al 1921. Sono di questo periodo le sue prime pitture di paesaggio che rivelano un’acerba sensibilità e una precoce passione per l’arte. Al rientro in Toscana, dopo aver soggiornato brevemente a Venezia, si iscrisse all’Istituto d’Arte di Firenze, dove fu allievo del pittore Giovanni Costetti.
Gli anni dal 1922 al 1925 sono quelli di rigorosa formazione, insieme a compagni di talento come Giorgio Romani e più tardi Bruno Becchi e Mario Maestrelli. In questo periodo si cimentò in paesaggi, dall’accento quasi sognante, avvolti in una luce ovattata e intima. L’attenzione verso la figura umana diventa sempre più presente nella sua opera; comincia a emergere in alcuni ritratti un forte coinvolgimento psicologico, risolto all’interno di un autentico realismo toscano.
Sarà l’amicizia con Ardengo Soffici, che Del Rigo conobbe nel 1927 insieme agli altri giovani artisti della “Scuola di Prato” (Gino Brogi, Oscar Gallo, Quinto Martini, Giulio Pierucci, Leonetto Tintori), a rinforzare l’insegnamento artistico e a segnarne la nascita come pittore. Secondo Alessandro Parronchi, Soffici gli avrebbe aperto la strada verso la “monumentalità” dei ritratti dei familiari e la “infinitesima costruttività” delle nature morte. A questo periodo appartiene il ritratto de La Madre, donato da Franco Bertini, che si aggiunge al nucleo di uguale soggetto conservato nelle collezioni Comunali. Alcuni sono disegni preparatori, altri schizzi veloci per catturare un’espressione o un’ombra dello sguardo, altri ancora sono dipinti che mostrano la madre sempre intenta ai lavori manuali. Sono uno diverso dall’altro, eppure simili e – se accostati – evidenziano cambiamenti nella figura dovuti al passare del tempo oppure a mutamenti stilistici.
Il 1927 segnò la collaborazione di Del Rigo con “Il Selvaggio” di Mino Maccari con un disegno, seguito nel 1928 da cinque disegni e incisioni: da quel momento saranno molteplici le occasioni d’ispirazione artistica per Del Rigo, che rivela un interesse non del tutto scontato per episodi di vita quotidiana, esaltata attraverso la ritualità dei piccoli gesti e la narrazione bonaria. In alcune opere affiora l’attenzione verso l’esistenza umana, che egli valuta con accenti di tenerezza e partecipazione, senza malignità o risentimento, filtrata attraverso gli occhi di un poeta.
Dall’aprile del 1929 il pittore prestò servizio militare nel I Reggimento Granatieri di base a Roma, Riofreddo e Parma: un periodo sereno, in cui non mancarono le soddisfazioni anche sul lavoro. Al suo ritorno a Prato trovò invece un clima di contrarietà e ostilità politica. Nel marzo del 1931 venne accusato di attività sovversiva e incarcerato per pochi mesi. Insieme a lui alcuni amici – Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Dino Fiorelli – che si ritrovavano, insieme ad altri, dal sarto Zola Settesoldi per parlare d’arte e di politica.Da quando venne liberato fino alla morte non fu più sereno come un tempo: i sospetti del regime e la preoccupazione per un futuro instabile e incerto logorarono intimamente il giovane pittore, che continuò a lavorare forse con una consapevolezza maggiore, sfociando persino nell’inquietudine. La fine, inaspettata, giunse il 26 febbraio del 1932.
Il Museo di Palazzo Pretorio di Prato conserva la collezione più importante delle opere di Arrigo del Rigo che si è formata attraverso acquisizioni e donazioni: l’ultima in ordine di tempo risale al 2016 e proviene dalla Provincia di Prato. Si tratta del fondo Arrigo del Rigo, donato da Giovacchino, padre del pittore, all’Azienda Autonoma di Turismo alla fine degli anni Settanta e passato alla Provincia di Prato nel 2011. Questo nucleo di dipinti è esposto nel Palazzo Comunale di Prato; i disegni sono conservati nei depositi e si aggiungono a più di 200 tra disegni, acquerelli, litografie e xilografie che il Comune di Prato ha acquistato nel 1963 dalla famiglia. Nel 1991 lo stesso Comune ha acquisito con legato testamentario di Gino Brogi un dipinto e un disegno. Nel 1996 l’Università popolare di Prato ha donato
l’Autoritratto del 1926, esposto al terzo piano del Pretorio, a cui da oggi si affianca La madre, che presentiamo. 

1928, olio su tavola

Gino Signori (Barga-Lucca, 19 aprile del 1912- Figline di Prato, 1 gennaio del 1992)
Nacque nel 1912 a Barga; il padre Luigi, pratese di Tobbiana, lavorava nelle cave di marmo.
In seguito al trasferimento della famiglia a Prato, Signori, da giovanissimo, cominciò a lavorare nei cantieri per la costruzione della linea ferroviaria “direttissima” tra Prato e Bologna e poi al lanificio Cangioli. Richiamato sotto le armi nel 1941, poco dopo essere divenuto padre della figlia Marilena (1939) fu inviato al fronte jugoslavo-albanese – dove fu ferito – e poi all’isola d’Elba: fu in questo periodo che ottenne la qualifica di infermiere specializzato. Da qui venne trasferito all’isola di Capraia e poi di nuovo all’Elba, dove lo colse l’annuncio dell’armistizio. Dopo un lungo combattimento, i soldati dell’esercito italiano, tra i quali Signori, tra il 17 e il 22 settembre furono catturati e trasferiti a Piombino. Per sottrarli al controllo della Croce Rossa e alle garanzie della convenzione di Ginevra, i soldati italiani catturati furono classificati come “internati militari” e Signori e i suoi commilitoni furono reclusi nel campo di Sandbostel, vicino ad Amburgo. Proprio ad Amburgo, dove prestava la sua opera come infermiere specializzato, una sera, nelle vicinanze di un ospedale si imbatté in una colonna di ragazze ebree. Una di queste fu minacciata di morte da un militare delle SS armato di mitra. Gino Signori, sfidando il destino, intervenne con forza chiedendo al soldato di risparmiare la donna in cambio di qualche sigaretta. Dopo quell’episodio nascose la ragazza in un anfratto della stanza che era adibita a infermeria dove lavorava. Quando poi fu costretto a trasferirsi altrove, fece travestire la ragazza da uomo e continuò a nasconderla fino alla fine della guerra.
Questa storia rimase per lungo tempo sconosciuta, viva solo nei ricordi di Gino Signori, che dal ritorno a Prato aveva ripreso il lavoro al Lanificio Cangioli e aveva cominciato a dipingere, divenendo piuttosto conosciuto con mostre in Italia e all’estero. Fino a che nel 1964 ricevette una visita inattesa, quella di un camionista fiorentino: in Cecoslovacchia questi aveva raccolto la richiesta della donna ebrea da lui salvata, Hana Tomesova, di rintracciare il suo salvatore del quale non si era dimenticata. Nel giugno del 1964 Hana e Gino si rincontrarono e ripresero quell’amicizia che, iniziata vent’anni prima in Germania nei campi col filo spinato, durò fino alla morte giunta per Signori nel 1992.
La storia dell’eroico salvataggio fu oggetto di ricerca che portò nel 1984 da parte dell’istituto commemorativo dell’Olocausto, lo Yad Vashem, a conferire a Gino Signori la medaglia di Giusto tra le Nazioni, il titolo che viene riconosciuto ai non ebrei che si sono resi protagonisti di atti di amicizia nei confronti del popolo di Israele. La medaglia gli venne consegnata a Prato il 6 marzo del 1985 in una cerimonia solenne alla presenza del sindaco e del rabbino di Firenze e in cui fu anche letta una missiva inviata da Primo Levi. La medaglia e altri oggetti di Signori sono stati donati dalla famiglia nel 2006 al Museo della Deportazione di Prato, che si trova a proprio a Figline. Il 6 marzo 2020 è stata apposta una targa per ricordare Signori nel giardino dei Giusti della Scuola pratese Pier Cironi. In occasione delle celebrazioni dei 110 anni dalla nascita del pittore, nella piazza Tintori di Figline è stata collocata una panchina dipinta, apposta una targa ed è stato piantato un giovane ulivo.Signori ha lasciato un gran numero di opere, che spesso lui stesso regalava agli amici e ai suoi compaesani. Trascorse quasi tutta la vita a Figline di Prato, dove solo in pochi conoscevano la storia di Hana e della guerra, ma dove tutti sapevano che egli era un pittore. Schivo e poco propenso a parlare di sé, si raccontava con le sue opere, nelle quali riusciva ad esprimere liberamente l’amore per la natura, il bello della vita e il dolore delle ingiustizie e della guerra. Colori forti, stesi quasi sempre senza pennelli con le mani o con gli stracci, composizioni spesso fatte di pochi tratti di materia raggrumata e spessa, soggetti semplici, immagini romantiche come quella del nostro Abbraccio, in cui un vascello in balia delle onde trova la forza di lasciarsi andare, di farsi trascinare da un mare avvolgente, amico, in un abbraccio riparatorio.

1973, olio su tela

I Miradebora
Massimo Biagi (Miradario
) (Marliana/Pistoia, 1949).  Inizia la sua attività artistica negli Anni Sessanta. Nel 2005 scrive il testo MIRADARIO, pubblicato dagli Ori Editori. Nel 2007 firma il Manifesto del Figuratismo. È presente con i libri d’artista al Moma di New York, alla Galleria Maeght di Parigi, alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Nel 2017 in occasione di Pistoia capitale della cultura, con il coordinamento di Stefano Veloci, partecipa alla realizzazione di Munus, di Emanuele Bartolomei. Nello stesso anno a Villa di Celle realizza I guardiani del ponte. Attualmente si dedica al Nuovo Archivio del Graficismo e del Figuratismo insieme a Debora Di Bella.
Debora Di Bella (Vinci, 1977). Studia all’Istituto d’arte di Pistoia. Fa esperienze teatrali e lavora con “Il teatro dei Garzoni” diretto da Orlando Forioso. Dal 2016 inizia il sodalizio con Massimo Biagi, in arte Miradario, con il quale realizza pièce teatrali e dà voce al testo del video Munus di Emanuele Bartolomei, inserito nel progetto di San

Desiderio per Pistoia Capitale italiana della cultura 2017.  Dà voce anche al primo video Figuratista dal titolo ABITANTI, di e con Massimo Biagi in collaborazione con Maurizio Pini. Svolge attività artistica fotografica.
Nel 2020 Miradario e Debora Di Bella diventano I Miradebora e realizzano pièce, opere e mostre.
L’opera foto-grafica donata nasce da un “dialogo” con lo stesso Franco Bertini ed è stata realizzata a Ferrara presso il Castello Estense durante un recente viaggio. La luce “assoluta” di quel momento e di quel luogo ha suggerito il tema del doppio ritratto, dove il volto del collezionista si staglia su di un assoluto appena velato in alto da grigiore, che alchemicamente avvolge anche l’iscrizione “Dialogo Franco i Miradebora per Franco Bertini”.

2022, opera fotografica

Thomas Patch ( Exter UK 13 marzo 1725 – Firenze, 30 aprile April 1782)
Thomas Patch è stato un pittore e incisore inglese, la cui carriera artistica si sviluppò in Italia, dove si trasferì nel 1747. Si guadagnava da vivere dipingendo vedute e realizzando un gran numero di caricature che poi avrebbe venduto ai giovani britannici che viaggiavano durante il Grand Tour. La più grande collezione di suoi dipinti e stampe si trova nella Biblioteca Lewis Walpole a Farmington, nel Connecticut.
Patch nacque a Exeter nel 1725. Era figlio di un illustre medico e sarebbe dovuto diventare farmacista. Non aveva ancora completato i suoi studi di medicina quando si recò a Roma nel 1747, dove condusse il suo apprendistato artistico nello studio di Joseph Vernet, noto paesaggista, con cui collaborò creando anche copie delle sue di vedute di Tivoli. A Roma incontrò inoltre il pittore Joshua Reynolds, che alternava il suo studio delle opere d’arte italiane con la realizzazione di caricature dei turisti irlandesi e britannici in viaggio in Italia: ciò ispirò senz’altro la vena satirica di Patch.
Nel 1755 questi fu espulso da Roma sia per accuse di spionaggio antigiacobita, sia per lo scandalo causato dal suo orientamento sessuale. Fuggì nella più aperta Firenze, dove rimase per il resto della sua vita. Strinse amicizia con Sir Horace Mann, importante diplomatico britannico a Firenze e punto di contatto con i turisti della stessa nazionalità che arrivavano in città. Patch produsse qui un’ampia serie di stampe e dipinti con vedute e, come molti altri artisti espatriati, integrava le sue entrate vendendo le proprie creazioni comesouvenir agli stranieri impegnati nel Grand Tour di passaggio a Firenze – ivi comprese le caricature. Morì a causa di un colpo apoplettico nel 1782.Fu tra i primi artisti a studiare approfonditamente l’arte fiorentina dal Medioevo al Rinascimento, pubblicando incisioni che riproducono opere di Giotto, Masaccio, Ghiberti e Fra’ Bartolomeo. Il volume dedicato a Fra’ Bartolomeo, del 1772, fu finanziato dal suo connazionale committente Sir Horace Walpole ed era corredato da 45 stampe. L’incisione donata da Franco Bertini raffigurante una testa di San Giuseppe è una delle tavole suddette.

1771-72, acquaforte su carta