Universal Jeep

Text Stefano Rusconi
Photography Peppe Tortora

Storia di un marchio diventato leggenda

Jeep è da sempre sinonimo di fuoristrada, sin dalla seconda guerra mondiale, quando l’esercito americano incaricò la casa costruttrice Willys di progettare un veicolo a trazione integrale, in grado di affrontare i sentieri più impervi, per addentrarsi nelle zone di battaglia più estreme.
Nacque così la Jeep, che deriva dall’acronimo del nome “General Purpose Vehicle” (veicolo per uso generale), pronunciato dagli statunitensi “Jeep”. Successivamente, nel 1945, venne messa in produzione la prima vera Jeep, denominata ufficialmente Willys-Overland CJ, dove CJ stava a indicare Civilian Jeep, ovvero Jeep Civile, commercializzandola con lo slogan di “Universal Jeep”.
Essendo stato il primo modello di questo genere, il nome Jeep viene spesso usato per descrivere una vera e propria tipologia di autovetture e non solo il marchio stesso. Per questo motivo, Jeep da sempre è il punto di riferimento del settore, a cui molti si ispirano per creare i loro fuoristrada.

Sono passati più di ottant’anni dalla sua fondazione e Jeep ancora oggi produce diversi modelli di fuoristrada, alcuni dei quali diventati delle vere e proprie icone del settore, basti pensare all’intramontabile Wrangler, alla più spartana e rude Renegade, sino al più lussuoso e imponente Grand Cherokee.
Vetture tutte diverse tra loro ma unite dal solito spirito avventuroso e temerario che caratterizza ogni Jeep, che tanto piace anche ai più giovani.
Oggi il settore delle auto è profondamente cambiato e stiamo andando verso nuove soluzioni di mobilità.
Jeep, sempre al passo coi tempi, da diversi anni ha deciso di elettrificare tutta la propria gamma, abbandonando i motori puramente termici per concentrarsi esclusivamente su vetture ibride o full-electric. Da poco ha lanciato sul mercato europeo la nuova versione dell’ iconica Grand Cherokee, da sempre identificata come la Jeep di lusso, curata in ogni minimo dettaglio, che non rinuncia però alle solite doti fuoristradistiche, tipiche di ogni Jeep che si rispetti.

Nata nel lontano 1992 e giunta alla quinta generazione, cambia radicalmente rispetto alle sue antenate, senza rinunciare al suo DNA, ovvero quello di saper coniugare eleganza, comfort e prestazioni, con delle spiccate doti nell’uso in fuoristrada, nelle condizioni più avverse ed impegnative, grazie ad un sistema di trazione integrale che oggi raggiunge il massimo della tecnologia disponibile sul mercato.
La motorizzazione plug-in ibrida 4xe utilizza un motore turbo quattro cilindri da 2,0 litri, abbinato a due motori elettrici, un pacco batterie da 17.3 Kw e una trasmissione automatica TorqueFlite a otto marce. La potenza complessiva è di 380 CV con 637 Nm di coppia massima. Questo sistema permette delle prestazioni di tutto rispetto, regalando un piacere di guida difficilmente riscontrabile su vetture di questo tipo, risultando agile e dinamico allo stesso tempo e sempre pronto quando viene portato al limite, sia nel misto che nei percorsi autostradali, dove grazie ad un comfort eccellente, permette di affrontare lunghe tratte nell’agio più totale.
La ricarica del motore elettrico può essere effettuato presso qualsiasi stazione a corrente alternata (in circa 2.5 ore) oppure presso la propria abitazione in corrente continua.
Con la carica completa, si possono percorrere fino a 51 km in modalità totalmente elettrica e questo rende estremamente fruibile la vettura anche nei percorsi cittadini, dove la lotta all’inquinamento atmosferico è uno dei principali obbiettivi delle case automobilistiche. Nuovi sono anche la monoscocca, il sistema di trazione Quadra-Trac, le sospensioni pneumatiche Quadra-Lift e il sistema di gestione della trazione Select-Terrain, capace di adattarsi ad ogni tipo di terreno in pochi millesimi di secondo.
Completamente ridisegnata la carrozzeria, con linee più moderne e accattivanti, al passo coi tempi, con la solita calandra a sette feritoie, tipica di ogni Jeep, i passaruota squadrati e i nuovi gruppi ottici full led. La qualità degli interni è curata nei minimi dettagli, dove abbondano l’uso di pelle e materiali pregiati, i sedili hanno una seduta comoda e avvolgente e comprendono la regolazione elettrica e la possibilità di essere riscaldati o rinfrescati, per godersi al meglio ogni stagione al volante della propria Grand Cherokee.

Una novità assoluta per Jeep è la possibilità di avere uno schermo touch-screen per il passeggero, da ben 10,25”, che racchiude una serie di informazioni che possono essere gestite da chi siede nella parte destra della vettura, senza però distrarre il conducente.
Lo spazio a bordo abbonda e tutti gli occupanti possono trovare la posizione preferita per godersi al meglio il proprio viaggio, che a bordo di Grand Cherokee è sempre un’esperienza unica.
L’interno viene poi illuminato dal grande tetto panoramico, che nelle stagioni più calde può essere aperto per godersi al meglio il paesaggio.
Jeep è da sempre rispettosa della natura e del mondo che la circonda e con nuovo Grand Cherokee l’esperienza del fuoristrada, lungo i percorsi più selvaggi e incontaminati, sarà resa ancora più affascina- te dal poterlo fare muovendosi nel silenzio più assoluto, ascoltando soltanto i rumori che la vegetazione intorno a noi saprà regalarci, grazie all’utilizzo della sola unità elettrica, che riesce a muovere la vettura in tutta scioltezza senza emettere il minimo rumore.
Jeep, in un’ottica di sviluppo e crescita futuri, ha già pronti due nuovi modelli che saranno lanciati a breve sul mercato, la Wagoneer S, un Suv Full-Electric dalle linee sportive da ben 600 cv di potenza e la Recon, sorella minore del Wrangler, che manterrà tutte le doti di off-road dello storico fuoristrada, ma con alcune novità tecniche e stilistiche che di sicuro la faranno apprezzare al pubblico europeo e non solo.
Jeep è tradizione e innovazione al tempo stesso, rispetto del passato e delle proprie origini, ma anche voglia di innovarsi e guardare al futuro, perché solo guardando al futuro ci si potrà migliorare ulteriormente.
Jeep non è solo un marchio, ma un vero e proprio stile di vita, un modo di essere, che ci accompagnerà ovunque si decida di andare.

English version

Story of a brand that became a legend

Jeep has always been synonymous with off-roading, since World War II when the US Army tasked the manufacturer Willys to design a four-wheel-drive vehicle capable of tackling the most rugged trails to venture into the most extreme battle zones.
Thus was born the Jeep, deriving from the acronym of the name “General Purpose Vehicle”, pronounced “Jeep” by Americans.
Later, in 1945, the first true Jeep was put into production, officially named Willys-Overland CJ, where CJ stood for Civilian Jeep, marketed with the slogan “Universal Jeep.”
Being the first model of its kind, the name Jeep is often used to describe a specific type of vehicle and not just the brand itself.
For this reason, Jeep has always been the reference point in the sector, inspiring many to create their own off-road vehicles.

More than eighty years have passed since its foundation, and Jeep still produces several off-road models, some of which have become true icons of the industry. Just think of the timeless Wrangler, the more rugged and Spartan Renegade, and the luxurious and imposing Grand Cherokee.
Cars all different from each other but united by the same adventurous and daring spirit that characterizes every Jeep, which is also greatly appreciated by the younger generation.
Today, the automotive sector has undergone profound changes, and we are moving towards new mobility solutions.
Jeep, always keeping up with the times, has decided for several years to electrify its entire range, abandoning purely thermal engines to focus exclusively on hybrid or full-electric vehicles.
Recently, it launched on the European market the new version of the iconic Grand Cherokee, which has always been identified as the luxury Jeep, meticulously crafted in every detail, yet not sacrificing the usual off-road capabilities, typical of every respectable Jeep.

Born in the distant year of 1992 and now in its fifth generation, it undergoes radical changes compared to its predecessors, without renouncing its DNA, namely the ability to combine elegance, comfort, and performance with outstanding off-road capabilities in the most adverse and challenging conditions. This is achieved through an all-wheel-drive system that now reaches the pinnacle of technology available in the market.
The plug-in hybrid 4xe engine utilizes a turbocharged four-cylinder 2.0-liter engine, paired with two electric motors, a 17.3 kWh battery pack, and an eight-speed TorqueFlite automatic transmission. The total power output is 380 horsepower with 637 Nm of maximum torque. This system delivers impressive performance, providing a driving experience that is rarely found in vehicles of this type. It remains agile and dynamic while being responsive when pushed to its limits, whether on mixed terrain or highways. Thanks to its excellent comfort, it allows for tackling long distances with utmost ease and comfort, ensuring a pleasurable journey throughout.
The electric motor can be charged at any alternating current (AC) station, taking approximately 2.5 hours, or at home using direct current (DC).
With a full charge, the vehicle can travel up to 51 kilometers in fully electric mode, making it highly usable for city driving. This aligns with the automotive industry’s focus on combating air pollution, especially in urban areas.
Also new are the unibody construction, the Quadra-Trac traction system, the Quadra-Lift pneumatic suspension, and the Select-Terrain traction management system, capable of adapting to any type of terrain in milliseconds.
The body has been completely redesigned with more modern and captivating lines, keeping up with the times. It retains the iconic seven-slot grille typical of every Jeep, squared-off wheel arches, and new full LED headlights and taillights.
The interior quality is meticulously crafted, abundant with the use of leather and premium materials. The seats offer comfortable and enveloping support, featuring electric adjustment and the option for heating or cooling, allowing drivers to enjoy every season to the fullest behind the wheel of their Grand Cherokee.

A groundbreaking innovation for Jeep is the possibility of having a 10.25-inch touch-screen display for the passenger, which contains a range of information that can be managed by the person seated on the right side of the vehicle without distracting the driver.
There’s ample space on board, and all occupants can find their preferred position to enjoy their journey to the fullest. Traveling aboard the Grand Cherokee is always a unique experience.
The interior is further illuminated by the large panoramic roof, which in warmer seasons can be opened to fully enjoy the scenery.
Jeep has always been respectful of nature and the world around it, and with the new Grand Cherokee, the off-road experience along the wildest and most pristine trails will be even more fascinating. This is because it can be done in complete silence, only listening to the sounds that the vegetation around us will offer, thanks to the use of only the electric unit, which allows the vehicle to move smoothly without emitting the slightest noise.
Jeep, with an eye toward future development and growth, already has two new models ready for launch shortly: the Wagoneer S, a Full-Electric SUV with sporty lines boasting 600 horsepower, and the Recon, a younger sibling of the Wrangler, which will retain all the off-road capabilities of the iconic off-roader but with some technical and stylistic innovations that will surely be appreciated by the European audience and beyond.
Jeep embodies tradition and innovation at the same, respecting the past and its origins while also embracing the desire to innovate and look toward the future. It’s through this forward-looking approach that further improvement can be achieved.
Jeep isn’t just a brand; it’s a true lifestyle, a way of being that accompanies us wherever we decide to go.

Opera Contemporary in una villa di lusso a Doha

Una lussuosa villa nella zona ovest di Doha, in Qatar, un’area giorno arredata con eleganza e raffinatezza con le collezioni di Opera Contemporary

Grazie a un’intuizione, Opera Contemporary, brand nato dalla consolidata esperienza di Angelo Cappellini & C., unisce la storia di un’azienda specializzata nella produzione di arredamenti classici di lusso con un design innovativo e moderno per lo sviluppo di scenografie abitative contemporanee.

Su progetto dello studio S12 Interiors, Opera Contemporary decora la zona soggiorno principale di una sontuosa villa in Quatar, a Doha, nel tradizionale stile “majlis”, con divani e poltrone della collezione Cosmo. Il divano ha una lussuosa struttura in metallo dai bagliori dorati, a sorreggere confortevoli sedute e uno schienale dall’elegante trapunta che riveste lo schienale. Ad esso si abbinano le poltrone della collezione, con un richiamo cromatico che, nella loro tonalità verde acqua, si legano ai profili a contrasto dei divani, con un riferimento nelle loro sfumature ai colori del mare su cui si affaccia la villa. 
La collezione Cosmo si adatta perfettamente a qualsiasi ambiente, dal design minimalista al più elaborato, creando un’atmosfera sobria e sofisticata.

Al centro del salone spiccano tre tavolini Cyrano, che con il loro gioco di linee geometriche e vivaci combinazioni presentano una sorprendente e ricercata alternanza tra marmo pregiato e specchio bronzato, sapientemente lavorati con un elevato livello di dettaglio e precisione. I tavolini Cyrano, con i loro tratti essenziali, illuminano lo spazio e conferiscono un tocco di movimento all’ambiente. 

I tavolini Gabriel e Brian, posizionati ai lati delle sedute, completano l’ambiente. Gabriel si presenta con una base in metallo dalla struttura cilindrica, aperta su un lato per mostrare l’interno cavo. In contrasto, il piano in marmo di alta qualità, con le sue finiture lo rende un complemento d’arredo sempre unico e versatile. 
La collezione di tavolini Brian è il risultato di un’evoluzione della struttura metallica del divano Cosmo, in abbinamento al quale ricreano un ambiente living di grande impatto stilistico. La struttura è un tavolino a tre gambe in metallo e un piano d’appoggio in marmo con bordi smussati. La particolarità è il piedino cilindrico centrale che valica il confine imposto dal marmo e diventa elemento decorativo a forma di sfera sulla superficie. 

Proseguendo nella zona dining, a dominare l’ambiente è il tavolo Oscar, realizzato custom, caratterizzato da un vivace contrasto materico tra la base e il piano in marmo Calacatta, diviso in due parti perfettamente accoppiate al centro. La base è composta da tre coppie di petali in metallo curvati, che ne esalta lo stile unico. 

Perfettamente in armonia sono le sedute Louise che circondano il tavolo, con il loro design pulito e lineare. La struttura in legno di frassino massello completamente ingegnerizzata e rifinita a mano si coniuga con una seduta imbottita e uno schienale sottile e trapuntato a rombi sul retro, che dona un’estetica ancor più elegante. Il rivestimento in tessuto color sabbia richiama le sfumature di quest’ultima. 

L’ingresso della villa è personalizzato dalla consolle Gabriel. Un elemento d’arredo in ottone spazzolato con marmo abbinato al tavolo dà il benvenuto agli ospiti, trasmettendo immediatamente un senso di raffinatezza.

Gli elementi di arredo di Opera Contemporary presentano forme pulite e dettagli che impreziosiscono gli spazi, trasmettendo la sofisticata contemporaneità e il linguaggio stilistico distintivo del brand, creando ambienti avvolgenti e accoglienti in una fluidità e mutevolezza, pulizia ed equilibro, chiarezza di funzione.

Eisenberg celebra l’Amore con J’ose

In occasione di San Valentino, Eisenberg lancia J’ose, il nuovo profumo dal tono indimenticabile, provocante, misterioso e seduttivo

J’ose è un’ode al legame intimo tra Arte e Profumo, essenza che crea emozioni capaci di entrare sinuose nell’inconscio di chi le vive. Un invito al viaggio, la scoperta di un universo olfattivo magico e indimenticabile dalle note floreali, muschiate, esperidate. Eisenberg celebra l’Amore con J’ose, la prima creazione olfattiva nata nel 2000 dal naso e creatore del marchio José Eisenberg. Moderno ed eterno, questo profumo iconico del brand monegasco riflette la personalità del suo creatore: Osare… sempre!

In questo profumo, José Eisenberg ha osato associare note sensualmente provocanti, delicate, vellutate e ipnotiche che si esprimono e si bilanciano sottilmente nelle versioni femminili e maschili. Una vera pozione di seduzione per lei, irresistibilmente sensuale per lui!

J’OSE PER LUI

La fragranza culto di Eisenberg lascia un segno originale e distinto. Indimenticabile e provocante, si apre in testa con il mistero e la seduzione della Menta e dell’Artemisia. Le note calde e potenti del Caffè-Moka nel cuore del profumo tracciano un percorso incandescente su uno fondo di Ambra.

J’OSE PER LEI

Nella declinazione femminile J’Ose si sviluppa con un rotondo bouquet orientale fresco delle note di cuore di Caffè-Moka e fiori di Gelsomino che si aprono generose per abbracciare la misteriosa Artemisia nelle note di testa ed un caldo fondo Ambrato.

Ingredienti:

NOTE DI TESTA: Bergamotto, Limone, Menta e Gelsomino​

NOTE DI CUORE: Lavanda, Artemisia e Caffé Moka​

NOTE DI FONDO: Patchouli, Sandalo, Muschio, Fave di Tonka, Vaniglia e Ambra​

Prezzi:

30ml – 70 euro

50ml – 106 euro

100ml – 153 euro

Miracle in Milan


Interview by Miriam De Nicolò
Photography Marco Onofri

Miracolo a Milano

Se “le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano”, come affermava il grande scrittore Alberto Moravia, questo trio colorato ne è certamente l’esempio. Nina Zilli, Alvin e King Raptuz, sono tre amici che hanno fatto del sentimento più nobile, l’amicizia, un progetto artistico: Miracolo a Milano! Una mostra itinerante che toccherà diverse tappe delle più importanti città italiane dove esporranno le loro opere, così diverse eppure così accomunate dalla passione e dall’entusiasmo per la vita, che il successo popolare della tv non poteva raccontare. E siamo così abituati a collegare l’immagine mondana che lo schermo riflette, da dimenticarci che dietro quella parete si celano esseri umani con paure, fragilità, e sogni! Percepisco immediatamente che in Nina, Alvin e Raptuz, qualcosa di importante li accomuna: l’umiltà. Ah, quale piacere conversare con persone che vestono solo i panni della loro vitalità, i colori che li descrivono, che rispettano le loro radici, abbracciandole, ma soprattutto che conservano quella parte fanciullesca dal fascino esotico. È la scintilla che non muore mai, la si legge dallo sguardo, dal sorriso onesto, dalla bonarietà di concedersi agli altri; è una dote superiore, imparagonabile ad altri talenti.

Nina Zilli, pseudonimo di Maria Chiara Fraschetta, cantautrice dalla voce potente, veejay, conduttrice televisiva, disco di platino con il brano “Per sempre”, è influenzata dalle sonorità dei ‘40, Nina Simone, Etta James; l’immagine di una pin-up che ha sempre qualche dettaglio rock e deliziosamente femminile, la grinta di una vichinga e l’aria di chi guarda solo alla sostanza. Nina Zilli è l’elemento magnetico del trio.

Alvin, pseudonimo di Alberto Bonato, amato dal grande pubblico italiano per aver ricoperto il ruolo di inviato nel noto programma televisivo “L’Isola dei Famosi”, è un presentatore e conduttore radiofonico. Un passato da cantante e compositore, Alvin è di quelle personalità che non possono non piacere, è il perfetto vicino di casa, è il prediletto della maestra, il cocco di mamma, insomma possiede quell’aria da bravo ragazzo a cui non si riesce mai a dire “NO”. Doti innate? Io credo piuttosto che dietro quel sorriso generoso ci sia un lavoro enorme di autodisciplina, che ha alla base educazione e grande senso civico. Scusate se è poco!

King Raptuz, pseudonimo di Luigi Maria Muratore, il più affermato tra i writer italiani, fonda la TDK (The Damage Kids, 1990), il più importante collettivo della disciplina. Più di 30 anni di carriera alle spalle, Raptuz è membro della storica crew di West Hollywood “CBS”; amico dei rapper J-Ax e Space One, fonda il collettivo Spaghetti Funk, con Gemelli Diversi, DJ Enzo e Chief. Espone nelle più importanti gallerie del mondo e collabora con importanti aziende sia in performance live che in qualità di grafico. Il suo stile è diretto e apparentemente caotico, proprio come la sua personalità; gioca sugli accostamenti di colori e grafiche, non mi stupisce abbia scelto il writer come mestiere, la timidezza è forse il lato che prova a celare dietro grandi e scuri occhiali da sole, lavora quando tutti dormono, lascia il segno con bombolette spray, vernici, smalti, è un grande osservatore, parla solo la mattina, la notte gli è sacra. Ah, è un purista dell’arte.

Che cosa vi accomuna, oltre l’amicizia?
A: Le colazioni a casa di Nina. Tutto è partito da lì.
NZ: E Milano, la città delle grandi opportunità, quella che realizza i sogni dei giovani ragazzi come in “Miracolo a Milano”, il film di Vittorio De Sica. “La storia si ripete, ma cambia il contesto”, lo diceva anche Giambattista Vico.

Milano come le Americhe?
NZ: Arriviamo tutti e tre dalla provincia, quella cosa noiosissima, si sa.
A: Una provincia che può schiacciare o lanciare. La capacità è sapersi aggrappare a tutto ciò che luccica in qualche modo. E così Milano diviene il sogno americano di tre ragazzi che hanno la stessa passione per l’arte e per la musica.

E la tua passione per l’arte quando è nata?
A
: Intorno al 2018 ho sentito l’esigenza di circondarmi di colore tra le mura di casa, vivevo un momento molto difficile della mia vita. Quelle tele mi hanno riportato ai 12 anni, i primi pastelli, gli aerografi, la creatività istintiva e naturale.

Difficoltà che possiamo raccontare?
A
: Il Covid che ha intaccato gli equilibri lavorativi, la scomparsa prematura di persone a me care, sono stati anni di grande dolore, ma che hanno portato in seguito anche grande gioia, una personale a Modena e molte collaborazioni, anche se il mio principale lavoro rimane quello del presentatore.

Il rimando delle tue opere è Banksy. Ti ispiri a lui?
A
: Diciamo che lui è il più riconosciuto e facilmente riconoscibile, ma esistono numerosi street artist a cui mi ispiro.
A questo proposito mi è parso d’obbligo creare un quadro che recita così “Assomiglia a Banksy, ma non lo è”.

In una tua serie c’è un cuore che cola…
A
: Il cuore che cola è un po’ il centro di tutta la mia idea dell’arte, richiama il dolore, la passione, è interpretabile a seconda della propria storia, e tutti ne possediamo uno.

Nina, qual è invece il tuo concetto artistico?
NZ: Da bambina disegnavo, scrivevo canzoni, suonavo il pianoforte, fino a quando il rock’n’roll si è impossessato di me, ma quelle passioni non le ho mai perse, pensa che tutte le grafiche dei miei dischi le firmo io. Un bel giorno una giornalista che lavora per la casa Editrice Rizzoli, mi ha detto “Dobbiamo fare un libro di illustrazioni”. Io ho pensato fosse pazza e ho risposto “I miei disegnini?” Ne è nato un volume bellissimo, si chiama “Dream city”, una città con le “distruzioni” per l’uso dove si possono scardinare le leggi della fisica di Einstein, viaggiare nello spazio, acquistare boule de neige nel negozio di una certa Amy Winehouse che le riempie delle sue lacrime.

“Dream city”, ma tu hai un sogno non realizzato che hai impresso in questo libro?
NZ: Ho volato per la prima volta all’età di cinque anni, da quel momento ho sempre sognato di mangiare le nuvole, quelle che potevo guardare dal minuscolo finestrino senza poterle toccare. In “Dream City” quindi esiste una gelateria, e il gusto più delizioso è ovviamente quello alla nuvola!

C’è una parte fanciullesca fortissima in te.
NZ
: Io credo in tutti noi.
A: La difficoltà sta nel mantenerla viva.
NZ: La vita talvolta ti tira bastonate. Sta a noi metabolizzarle e trasformarle in qualcosa di buono e sano. La noia è qualcosa di sano.
A: Non ci si annoia più oggi, si entra direttamente in depressione.
NZ: Mi chiedo spesso: ”Avrei studiato così tante ore pianoforte a otto anni se avessi avuto a disposizione la Pay tv, Internet, un cellulare?” All’epoca era una conquista andare a cercare il film che volevi vedere, lo daranno al cinema? Me lo presterà un amico? C’era il piacere dell’attesa.
A: Il mio sogno di dj era invece avere tutta la musica con me, senza trasportare scatole di dischi pesantissimi.

Un sogno realizzato con l’avvento del digitale. In merito a questo, ha ancora senso l’arte oggi?
KR: Lo ha sempre, anche se è cambiato il modo di fruirne e le gallerie d’arte si sono dovute adattare.

Oggi anche le opere d’arte sono divenute digitali.
KR: Gli NFT, hanno cambiato il mercato dell’arte, ma non la spinta e la passione di chi la crea, di chi vuol dipingere a colori la propria vita.

Raptuz, qual è il messaggio delle tue opere?
KR: Dipingo da che ho memoria, ma il grafit artist un tempo era considerato solo un vandalo, non un professionista, era un mestiere non ancora riconosciuto.

Perché hai iniziato dalla strada?
KR: Perché i muri delle città sono i fogli bianchi più grandi dove far conoscere velocemente la tua arte, condividendola con chiunque. È per tutti. Poi lo ammetto, ero un po’ scapestrato; ci si nascondeva, si faceva arte sui treni, nelle metropolitane; con il tempo sono arrivate le prime commissioni, le prime mostre, le illustrazioni, i lavori per la Disney con i titoli di Topolino, e i lettering che adoravo, perché oltre alla Scuola del fumetto ho frequentato l’Accademia Disney con il maestro Giovan Battista Scarpa. Oggi invece vedo solo marchette tra street artist. Dov’è finita quella forza vitale che ci spingeva per le strade la notte? Dove, la voglia di comunicare e farsi sentire? È deludente.

Come vuoi essere definito?
KR: Artista urbano, pittore, imbianchino, ma non street artist. Ho vissuto tutte le varie fasi di questa evoluzione, e so riconoscere chi lo fa per vocazione e chi per business.
A: È questa la nostra fortuna, sceglierci per passione, non per dovere.

La vostra prima mostra “Miracolo a Milano” nella bellissima location “Cittadella degli Archivi”. In quali case sperate arrivino le vostre opere?
A: In quella di Bill Gates. Sempre puntare in alto (ride).
KR: Io spero sempre tra le mura di chi apprezza veramente quello che facciamo, non destinato a chi manda il proprio architetto che vuole tappezzare i muri perché “fa figo”.
A: Io in casa di chiunque. Anche se uno manda l’architetto va bene. (risate)
NZ: Un amico durante il vernissage ha nascosto un mio quadro e mi ha detto “Ue’ Nina, va che ti hanno rubato il quadro” e io non ho sclerato, ho subito pensato “Eh, che buon gustaio”. Voleva farmi uno scherzo e mi dice: “Ma non sei impazzita? Guarda che gli artisti perdono la ragione per molto meno”.

Raptuz, c’è un’opera a cui sei particolarmente legato?
KR: “Just Love”. Rappresenta il mio cane, è l’unico quadro della mostra non in vendita. Sulla tela c’è sempre la mia vita, i miei sentimenti, le mie città, Los Angeles e Milano, perché alla fine faccio giri immensi ma torno sempre qui.

Perché torni sempre a Milano?
KR: C’è l’ho dentro, Milano. I miei sono di zona Loreto, via Popoli Uniti, Greco, quando sono nato hanno deciso di trasferirsi a Pioltello, vissuta fino alle superiori, poi sono passato in una zona migliore, via Padova (ride), e ci sono rimasto per quindici anni, da un ghetto all’altro, me li sono fatti tutti. Ma Milano è Milano, ogni volta mi ripromettevo “stavolta non torno più” e invece eccomi qua. È questo il vero Miracolo di Milano, una nostalgia che ti si attacca dentro.


Thanks to “Cittadella degli Archivi di Milano”,
PA Boutique Communication Agency

English version

Miracle in Milan

As the great writer Alberto Moravia once claimed, ‘friendships are not chosen by chance, but according to the passions that rule us.’ And this colorful trio, comprising Nina Zilli, Alvin, and King Raptuz, undoubtedly exemplifies this sentence. They have transformed the noble feeling of friendship into an artistic project: Miracle in Milan! This itinerant exhibition will stop in Italy’s major cities, showcasing their diverse works bound by passion, something that transcends the limits of popular television success. We’re so used to associating the glamorous image reflected on screens, that we often forget the humanity behind that appearance, with fears, vulnerabilities and dreams! It’s immediately evident that Nina, Alvin and Raptuz are tied together by something deep: humility. Oh, what a pleasure speaking to people who wear only the cloths of their vitality, the colors of their personalities, who respect their roots, embracing them, and, above all, retaining that childlike essence with an exotic allure. It’s the spark that never dies, visible in their gaze, their sincere smiles, their generosity towards others; it’s a far superior quality, incomparable to other talents.

Nina Zilli, alias Maria Chiara Fraschetta, a powerful-voiced singer-songwriter, deejay, and television presenter, with a platinum record for the song “Per sempre”, is influenced by the sounds of the ‘40s, Nina Simone, and Etta James. She represents the image of a pin-up adorned with rock and delightfully feminine details, exuding the fortitude of a Viking, and the attitude of one who values substance above all. Nina Zilli is the trio’s magnetic element.

Alvin, known as Alberto Bonato, beloved by the italian public for his role as a correspondent on the popular TV show “L’Isola dei Famosi”, is a presenter and radio host. With a past as singer and composer, Alvin has a charm that’s impossible to resist: he’s the perfect neighbor, teacher’s pet, mama’s favorite; in substance he has the good-guy vibe you can never say ‘NO’. Natural talents? I believe it’s the result of the enormous self-discipline, rooted in education and a profound sens of civic duty. Sorry if that’s not enough!

King Raptuz, the alias of Luigi Maria Muratore, the most acclaimed among italian writers, founded TDK (The Dama- ge Kids, 1990) the most important collective in the discipline. With over 30 years of experience, Raptuz is a member of the esteemed Wes Hollywood crew ‘CBS’; friend of rappers J-Ax and Space One, he co-founded the Spaghetti Funk collective, with Gemelli Diversi, DJ Enzo, and Chief. He exhibits in the most renowed galleries worldwide and collaborates with major companies, both in live performance and as a graphic designer. His style is direct and apparently chaotic, just like his personality; playing with color compositions and graphics, it’s no surprise he chose writing as his profession. Maybe he tries to conceal shyness behind big, dark sunglasses; he’s a nocturnal worker, leaving his mark with spray cans, paints, varnishes. An astute observer, he reserves his words for the morning, the night is sacred to him. Ah, he’s an art purist.

What do you share besides friendship?
A: Breakfast at Nina’s place. That’s where all began.
NZ: And Milan, the city of great opportunities, the city where the dreams of young guys come true, just like in Miracolo a Milano, the film by Vittorio De Sica. “History repeats itself, but the context changes” as Giambattista Vico said.

Is Milan like America?
NZ
: All the three of us come from the suburbs, those boring things, you know.
A: Those suburbs that can either crush you or propel you forward. The key is to grasp anything that shines somehow. So Milan becomes the American dream for three kids who share the same passion for art and music.

When did your passion for art arise?
A: Around 2018, I felt the need to surround myself with color within the walls of my home; I was going through a very difficult period of my life. Those canvases took me back to when I was 12, with the firsts crayons, airbrushes, instinctive and natural creativity.

Difficulties we can talk about?
A: The Covid pandemic, which affected work balances, the premature loss of loved ones, those were years of great pain, but also led me to great joy: a personal art exhibition in Modena and many collaborations, even though my main job remains that of a presenter.

The reference in your artworks seems to be Bansky. Are you inspired by him?
A: Let’s say he is the most famous and recognizable, but there are numerous street artists who inspire me. Indeed it seemed to me obligatory to create a painting that says “Looks like Bansky, but isn’t”.

In one of your artwork series there’s a dripping heart…
A: The dripping art is somewhat the centre of my intere idea of art; it evokes pain, passion, it’s interpretable according to one’s own story, and we all have one.

Nina, which is your artistic concept?
NZ: When I was a child I drew, wrote songs, played the piano, until rock n roll took over me, but I never lost those passions. Did you know I sign all the graphics for my albums? One day a journalist who worked for Rizzoli Publishing House told me “We should make an illustration book”. I thought she was crazy and replied, “My little drawings?”. It produced the beautiful volume called “Dream City”, a city with the ‘destructions for use’ where you can break Einstein’s laws of physic, travel in space, buy snow globes in a shop owned by a certain Amy Winehouse who fills them with her tears.

“Dream City”, but do you have an unrealized dream which can be find in this book?
NZ: I flew for the first time at the age of five, and since then, I’ve always dreamed of eating clouds, the ones I could gaze at from the tiny airplane window but couldn’t touch. For this reason in “Dream City”, there’s an ice scream parlor, and the most delicious flavour is obviously cloud!

There’s a strong childlike part in you.
NZ: I believe in all of us.
A: The challenge is to keep it alive.
NZ: Life sometimes throws punches at you. It’s up to us to metabolize them and turn them into something good and healthy. Boredom is something healthy.
A: People don’t get bored anymore today; they go straight into depression.
NZ: I often wonder, “Would I have spent so many hours studying piano at eight if I had access to Pay TV, Internet, a cell phone?” Back then, it was an achievement to go looking for the movie you wanted to see; will they show it at the cinema? Will a friend lend it to me? There was the pleasure of waiting.
A: My dream as a DJ, on the other hand, was to have all the music with me without carrying heavy boxes of records.

A dream fulfilled with the advent of digital. So, does art still make sense today?
KR: It always has, even though how we experience it has changed, and art galleries have to adapt.

Nowadays, even artworks have become digital.
KR: NFTs have changed the art market, but not the passion of those who create, those who want to paint their lives in colors.

Raptuz, what’s the message behind your works?
KR: I’ve been painting for as long as I can remember, but graffiti artists were once considered vandals, not professionals, a job not yet recognized.

Why did you start on the streets?
KR: Because the city walls are the biggest blank canvases where you can quickly showcase your art, sharing it with everyone. It’s for all. I admit, I was a bit of a rebel; we hid, made art on trains, in subways; over time came the first commissions, exhibitions, illustrations, works for Disney with Mickey Mouse titles, and the lettering I loved, because besides the Comic School, I attended the Disney Academy with master Giovan Battista Scarpa. But now all I see among street artists are marketing strategies. Where did that vital force that pushed us through the streets at night go? Where’s the desire to communicate and be heard? It’s disappointing, and when they call me a “street artist” today, it pisses me off.

How do you want to be defined?
KR: Urban artist, painter, whitewasher, but not a street artist. I’ve lived through all the various stages of this evolution, and I can tell who does it because of passion and who does it for business.
A: That’s our luck, choosing each other because of our passion, not duty.

Your first show, “Miracle in Milan,” at the beautiful location “Cittadella degli Archivi.” Where do you hope your works end up?
A: In Bill Gates’s house. Always aim high (laughs).
KR: I always hope they end up within the walls of those who truly appreciate what we do, not for those who send their architect to cover the walls because “it looks cool.”
A: I’m good with anyone’s house. Even if someone sends their architect, it’s fine. (laughs)
NZ: During the vernissage, a friend hid one of my paintings and told me, “Hey Nina, looks like your painting got stolen,” and I didn’t freak out; I immediately thought, “Ah, what good taste.” He wanted to prank me and said, “Are you crazy? Look, artists lose their minds for much less.”

Raptuz, is there a piece you’re particularly attached to?
KR: “Just Love.” It portrays my dog; it’s the only painting in the show not for sale. On the canvas, there’s always my life, my feelings, my cities, Los Angeles and Milan, because in the end, I make huge circles but always come back here.

Why do you always come back to Milan?
KR: It’s in me, Milan. My parents are from the Loreto area, via Popoli Uniti, Greco; when I was born, they decided to move to Pioltello, lived there until high school, then I moved to a better area, via Padova (laughs), and stayed there for fifteen years, from one ghetto to another, I’ve seen them all. But Milan is Milan; every time I promised myself “I won’t come back this time” and yet here I am. That’s the real Miracle of Milan, a nostalgia that sticks in you.

Finzione o Realtà

Quale sarà mai la linea sottile che separa il mondo fittizio da quello reale?
È forse l’aura nebulosa che ricopre un sogno ad occhi aperti, onirico ma al tempo stesso vivido. Sarà l’impulso che spinge l’occhio a desiderare di più, la pupilla a “guardare oltre”. Nessuno ne ha certezza, ma “chi sa tacerà e chi non sa parlerà“.

Comics made by Valerio Olivieri (Wally)

Elixir Love di Elie Saab, il regalo perfetto per San Valentino

ELIE SAAB venera San Valentino con Elixir, una nuova pozione d’amore

Quest’anno, Elie Saab celebra l’amore con Elixir Love, la nuova fragranza che incarna il potere travolgente dei sentimenti più veri. Una Eau de Parfum sensuale concepita come una silhouette, unica e femminile. Brillante e vibrante, il colore rosso è la fonte di tutte le ispirazioni. Elixir Love è un manifesto per l’amore. La formula magica di una pozione seducente.

IL NUOVO POTERE DELL’ATTRAZIONE

Candice Swanepoel incarna questa donna incantevole e carismatica. Indossa l’abito Elixir, una creazione di alta moda impreziosita da ricami e cristalli scintillanti. Dietro di lei, risplende l’emblema di Elie Saab. L’irresistibile musa si inebria del suo profumo intensamente sofisticato mentre si prepara a diffondere la sua pozione d’amore in tutto il mondo.

L’INTENSA RAFFINATEZZA DEI FIORI

Per questa nuova Eau de Parfum, Elie Saab si è affidato al duo di profumieri Aurélien Guichard e Leonardo Lucheze di Takasago.

Elixir Love ha una fragranza intensa e luminosa, con un bouquet floreale di rose rosse, neroli e gelsomino, arricchito da un sorprendente accordo di ciliegia. Le calde note di muschio di quercia, patchouli e ambroxan intensificano la composizione. Il tocco finale è il “Love Accord“, una creazione esclusiva che combina neuroscienza e profumeria per amplificare il piacere sensoriale, rendendola una vera pozione d’amore.

UN FLACONE DI UN ROSSO INCANDESCENTE

Il flacone di Elixir è adornato da intense tonalità di melograno. La sua forma sferica si adatta perfettamente al palmo della mano e riflette la luce. Il nome Elixir Love è delicatamente inciso in oro. La confezione è vestita dello stesso rosso melograno, con tocchi di avorio e oro. Inoltre, sul packaging è impresso l’iconico monogramma del marchio.

LA GAMMA
Elie Saab, Elixir Love Eau De Parfum, 30ml – 77€

Elie Saab, Elixir Love Eau De Parfum, 50ml – 107€

Elie Saab, Elixir Love Eau De Parfum, 100ml – 138€

Burnt out stars

Text and photography by Guido Gazzilli

Mi sono sempre chiesto se abiterò nel visibile o nell’invisibile, tra i miei incontri e nella ricerca disperata di una casa ho raccolto bufere, tempeste, sogni e venti leggeri e a volte anche freddissimi. Nella mia visione delle cose c’è il corpo, la nebbia, la solitudine. Così, alla ricerca di un tempo perduto, non riuscendo a stare fermo in una realtà circostante che reprime la mia istintualità ho avuto il bisogno di entrare in contatto profondo con l’altro e di trovare il mio posto.
La mancanza di senso del limite mi ha esposto totalmente a un silenzioso e profondo logorìo che è lo stesso che rivedo negli occhi e nei movimenti dei miei soggetti in quei luoghi in cui mi ritrovo con loro. Questi luoghi, spesso fughe da me stesso, hanno addolcito alcuni momenti di disperazione di un uomo che si confronta con la sua esistenza e con il suo smarrimento di fronte all’incertezza dell’esistenza stessa. Questa raccolta di immagini parla della ricerca di una definizione dell’identità, e dell’ineluttabilità della presa di coscienza che come essere umani si è fondamentalmente soli.

English version

I have always asked to myself if i will live in the visible or the invisible, among my encounters and in my desperate search for a home I have gathered blizzards, storms, dreams and light and sometimes very cold winds.
In my vision of things there is the body, the fog, the loneliness. Thus, in search of a lost time, unable to stand still in a surrounding reality that represses my instinctuality I had the need to get in deep contact with the other and find my place.
The lack of a sense of limitation has totally exposed me to a silent and deep attrition that is the same as I see in the eyes and movements of my subjects in those places where I find myself with them. These places, often escapes from myself, have softened some moments of despair of a man confronting his existence and his bewilderment in the face of the uncertainty of existence itself. This collection of images speaks of the search for a definition of identity, and the inevitability of the realization that as a human being one is fundamentally alone.

Nasce la nuova scuola di Cinema firmata IED

L’Istituto Europeo di Design presenta IED Cinema, la nuova facoltà incentrata sullo studio del Cinema a 360°: scrittura, regia, montaggio e fotografia.

IED Cinema diventa la sesta scuola ad aggiungersi allo storico panorama formativo IED, comprendente Design, Moda, Arti Visive, Comunicazione, Arte e Restauro. Per la sua apertura nell’anno accademico 2025/26, l’Istituto Europeo di Design ha progettato il Corso di laurea triennale in Cinema e il Corso di laurea magistrale con due indirizzi in Scrittura e Regia Cinematografica e in Produzione Cinematografica.

“IED vuole contribuire al rilancio dell’industria nel nostro Paese partendo dall’inizio: la formazione.” dichiara Francesco Gori, Amministratore Delegato del Gruppo IED. Da quest’idea nasce IED Cinema, “che darà l’opportunità agli studenti di un confronto con l’intera filiera cinematografica, per rispondere in maniera adeguata alle richieste professionali e artistiche del settore”.

La nuova Scuola di Cinema, ereditiera del successo di OffiCine, progetto culturale e benefit di IED, conta su un’importante collaborazione con Indiana Production grazie alla presenza di Fabrizio Donvito, che all’interno del Comitato Scientifico sarà affiancato da professionisti di valore e fama internazionale come Paolo Sorrentino, Pierfrancesco Favino e Valeria Golino.

IED Cinema si pone come obiettivo insegnare l’Arte del Cinema come arte collettiva, “non un insieme di corsi tecnici ma un gruppo di persone e professionisti che si misurano su un progetto artistico collettivo, in cui le molteplici professionalità contribuiscono alla creazione e al successo del prodotto artistico“, come afferma Riccardo Balbo, Direttore Accademico Gruppo IED.

The Macallan Horizon, limited edition

Storia di un marchio diventato leggenda

Nel mondo dei brand di lusso, l’eredità rappresenta le fondamenta su cui si basa la loro stimata reputazione e il loro fascino magnetico. È una narrazione intrecciata con i fili di una storia ricca di tradizioni familiari, l’artigianato senza pari e i valori immutabili, tramandati attraverso le generazioni.
Tuttavia, nell’incessante marcia del progresso tecnologico, dove la realtà virtuale e le esperienze generate dall’IA ridefiniscono il panorama dei consumatori, i marchi di lusso si trovano di fronte a un dilemma toccante: come conciliare il proprio passato con le esigenze di un presente in continua evoluzione?
Sebbene l’immaginario romantico degli artigiani locali che creano con cura le loro opere in affascinanti laboratori possa sembrare in contrasto con la continua marcia dell’innovazione, la realtà è molto più frammentata. L’innovazione non è nemica della tradizione; piuttosto, è il nutrimento che tiene i brand vitali e rilevanti in un mondo che cambia rapidamente.
L’innovazione ha il potere di diventare la tradizione di domani, purché rimanga radicata e rispettosa del DNA del brand. Navigando con abilità tra l’onorare l’eredità e abbracciare il progresso, i brand di lusso possono soddisfare con destrezza le esigenze del loro pubblico, catturando al contempo le nuove generazioni di consumatori.
The Macallan è un esempio di un marchio che sta cambiando le regole nel settore degli spirits. Con la presentazione della sua futuristica nuova distilleria nel 2018 – un progetto acclamato come uno degli sforzi più audaci del whisky scozzese – il marchio si è saldamente posizionato come la destinazione per eccellenza all’interno del settore.

Con un prezzo stupefacente di €160 milioni, la distilleria visionaria di The Macallan rappresenta un balzo audace nel futuro, mentre rende omaggio al suo illustre passato.
Inoltre, le collaborazioni fungono da potente strumento per l’innovazione del brand, offrendo una piattaforma per amplificare il proprio messaggio e raggiungere nuovi orizzonti. La partnership di The Macallan con Bentley Motors rappresenta questo messaggio, mostrandosi in maniera concreta nella release di una edizione limitata altamente ambita che unisce i mondi del whisky single malt di qualità eccezionale e del design automobilistico straordinario.


The Macallan Horizon spinge i confini del possibile presentando la prima bottiglia orizzontale, un involucro orizzontale visionario con un’unica curvatura di design di 180 gradi, dimostrando un approccio senza pari all’innovazione del prodotto e al design, e che riflette la traiettoria orizzontale del mondo automobilistico.
Al cuore di questo pionieristico impegno si trovano la tecnologia all’avanguardia di Bentley e gli sforzi collaborativi dei team di design. Racchiusi all’interno di The Macallan Horizon ci sono sei materiali essenziali per entrambi i marchi – whisky, legno, rame, alluminio, pelle e vetro – rendendo omaggio ai valori condivisi di artigianato, creatività e innovazione. Jaume Ferras, direttore creativo di The Macallan, ha detto: “The Macallan Horizon è il progetto di whisky più complesso e visionario a cui The Macallan si sia mai dedicato, e ha richiesto uno scambio profondo e continuo d’idee con il team di Bentley Motors. The Macallan Horizon è una testimonianza dell’incomparabile artigianalità, innovazione e creatività per cui sono rinomati The Macallan e Bentley”. Per Chris Cooke, capo delle collaborazioni di design di Bentley Motors: “Il contenitore Horizon è un progetto collaborativo che spinge il DNA di Bentley e l’artigianalità del whisky di The Macallan”. Kirsteen Campbell, Master Whisky Maker di The Macallan, si è imbarcata in un viaggio straordinario presso la fabbrica Bentley a Crewe, immergendosi in un’esperienza sensoriale impareggiabile. Lì, ha avuto il privilegio, attraverso la vista, l’olfatto e il tatto, di comprendere appieno i materiali straordinari che definiscono le auto Bentley. Ispirata da questa esperienza sensoriale, Kirsteen si è dedicata alla creazione di un whisky unico ed eccezionale.
In sostanza, The Macallan Horizon si presenta come una testimonianza delle possibilità illimitate che emergono quando tradizione e innovazione si fondono – un simbolo dell’impegno incrollabile del marchio nel superare i confini del lusso pur rimanendo fedele alla propria tradizione.

English version

Blending Tradition and Innovation in Luxury Crafting

In the realm of luxury brands, heritage serves as the bedrock upon which their esteemed reputation and magnetic allure are firmly established. It’s a narrative woven with the threads of rich history, family legacies, unparalleled craftsmanship, and unwavering values, passed down through generations.
Yet, within the ever-accelerating march of technological progress, where virtual reality and AI-generated experiences redefine the consumer landscape, luxury brands face a poignant dilemma: How do they reconcile their past with the demands of an ever-evolving present?
While the romanticized imagery of local artisans meticulously crafting their wares in quaint workshops may seem at odds with the relentless march of innovation, the reality is far more nuanced. Innovation isn’t the enemy of tradition; rather, it’s the lifeblood that keeps brands vital and relevant in a rapidly changing world.
However innovation has the power to become tomorrow’s tradition, provided it remains rooted in and reverent of the brand’s DNA. By navigating the delicate balance between honouring legacy and embracing progress, luxury brands can deftly fulfill the demands of their core audience while captivating new generations of consumers.
The Macallan is one example of a brand that is changing the game in the spirit industry. With the unveiling of its futuristic new distillery in 2018—a project hailed as one of Scotch whisky’s most audacious endeavours—the brand firmly positioned itself as the preeminent destination within the industry.

With a staggering price tag of €160 million, The Macallan’s visionary distillery represents a bold leap into the future while paying homage to its illustrious past.
Furthermore, collaborations serve as a potent instrument for brand innovation, allowing brands to enhance each other capabilities and reach new audiences. The Macallan’s partnership with Bentley Motors exemplifies this ethos, culminating in the release of a highly coveted limited edition that marries the worlds of exceptional single malt whisky and extraordinary automotive design.
The Macallan Horizon pushes the art of the possible presenting the first horizontal bottle, a visionary horizontal vessel featuring a unique 180-degree twist detail, demonstrating an unparalleled approach to product innovation and design, and that reflects the horizontal trajectory of the automotive world.
At the heart of this pioneering endeavour lies Bentley’s cutting-edge technology and the collaborative efforts of design teams. Encased within The Macallan Horizon are six materials integral to both brands— whisky, wood, copper, aluminium, leather, and glass—paying homage to the shared values of craftsmanship, creativity, and innovation. Jaume Ferras, Creative Director, The Macallan, said: “The Macallan Horizon is the most complex and visionary whisky project that The Macallan has embarked upon, and has required a profound and ongoing exchange of expertise with the team at Bentley Motors. The Macallan Horizon is a testament to the incomparable craftsmanship, innovation and creativity for which The Macallan and Bentley are renowned.”
For Chris Cooke, Head of Design Collaborations Bentley Motors “The Horizon vessel is a truly collaborative project pushing Bentley DNA and The Macallan whisky craft”.
Kirsteen Campbell, The Macallan Master Whisky Maker, embarked on a remarkable journey to the Bentley factory in Crewe, immersing herself in an unparalleled sensory experience.
Inspired by this sensory exploration, Kirsteen carefully selected 6 unique first filled sherry casks to create a truly exceptional whisky. In essence, The Macallan Horizon stands as a testament to the unlimited possibilities that emerge when tradition and innovation converge—a symbol of the brand’s unwavering commitment to pushing the boundaries of luxury while staying true to its heritage.

Ms Woodman

Text by MARIA VITTORIA BARAVELLI

È la fine degli anni Settanta, anni tumultuosi per la politica, l’arte, la vita, e una giovanissima ragazza americana trascorre un anno a Roma per frequentare un corso avanzato di fotografia. Francesca Woodman studia e sperimenta le regole del ritratto e dell’autoritratto, inquadra e rappresenta il proprio corpo come soggetto e oggetto, facendo sua tutta l’eredità del surrealismo, della politica di quegli anni e della giovinezza, che ogni cosa esige e brama.

Nella capitale italiana trova la vita, la bellezza e la decadenza, ingredienti di un materiale magmatico, incandescente e chiaroscurale che si unisce in un flusso torbido e misterioso, fatto di nebbia e di spettri.

La finitezza del corpo e l’eternità dell’aura, il corpo che diventa una soglia aperta verso i misteri celesti. Una ricerca profonda come l’oceano e inconoscibile come lo spazio, arte concettuale e sensibilità poetica che saranno davvero la matrice del suo lavoro, breve, ma fondamentale per fotografi contemporanei e successivi.

È il gennaio del 1981 quando, appena rientrata in America, a soli 23 anni, decide di lasciarsi cadere nel vuoto dal ventiduesimo piano di un palazzo di Manhattan. Leggera, inesorabile, come un albatro candido e sensualissimo che nessuno è riuscito a salvare.

Ci lascia un corpus fatto quasi esclusivamente di fotografie auto-rappresentative, per la maggior parte in bianco e nero, scatti in cui Francesca Woodman si è ritratta nuda, vestita, mezza morta, strisciante, torbida e cristallina. Con una unica eccezione. Prima di tornare in America, a Roma, conosce un professore, a cui per un breve periodo lascia persino il suo appartamento in Via Dei Coronari. Non sappiamo esattamente il perché, ma Francesca con lui si sente a suo agio, al punto da decidere di lasciarsi fotografare. Da quell’esperienza nasce un ritratto sobrio, dolce, dall’acconciatura antica e uno sguardo da Maddalena, con un piatto in mano che mi piace pensare sia uno scudo involontario con cui forse voleva proteggersi.

Nulla dovrebbe essere più fedele di un autoritratto, un soggetto che si mostra e per noi diventa oggetto, ma quel professore, fotografo e amico di Francesca, che l’ha fotografata in un modo apparentemente semplice ma più visibile, Stephan Brigidi, ci ricorda una profonda verità. Forse di fronte agli altri siamo molto più nudi di quando ci guardiamo da soli. E allora forse è vero che la verità e la rappresentazione, la verità e la finzione hanno confini labili e confusi, ed esistiamo soprattutto attraverso gli occhi degli altri.

Nel tentativo di indagare, riscoprire e, anche solo per poco, riportare in vita questa figura di donna così inafferrabile, a marzo 2024 esce in libreria Francesca Woodman di Bertrand Schefer, edito da Joha & Levi.

“Woman With Large Plate” Roma 1978 photography Stephan Brigidi

English version

It’s the late seventies, tumultuous years for politics, art, life, and a very young American girl spends a year in Rome attending an advanced photography course. Francesca Woodman studies and experiments with the rules of portraiture and self-portraiture, frames and represents her own body as both subject and object, embracing the entire legacy of surrealism, the politics of those years, and youth, which demands and craves everything.


In the Italian capital, she finds life, beauty, and decay, ingredients of a magmatic, incandescent, chiaroscural material that merges into a turbid and mysterious flow, made of fog and specters.

The finiteness of the body and the eternity of the aura, the body becoming an open threshold to celestial mysteries. A search as deep as the ocean and unknowable as space, conceptual art and poetic sensibility that will indeed be the matrix of her work, brief but fundamental for contemporary and subsequent photographers.

It’s January 1981 when, just returned to America at the age of 23, she decides to let herself fall into the void from the twenty-second floor of a building in Manhattan. Light, relentless, like a candid and highly sensual albatross that no one managed to save.

She leaves behind a corpus consisting almost exclusively of self-representative photographs, mostly in black and white, shots in which Francesca Woodman portrayed herself naked, dressed, half-dead, crawling, turbid, and crystalline. With one exception. Before returning to America, in Rome, she meets a professor, to whom she even temporarily leaves her apartment on Via Dei Coronari. We don’t know exactly why, but Francesca feels comfortable with him, to the point of deciding to let herself be photographed. From that experience comes a sober, sweet portrait, with an ancient hairstyle and a gaze reminiscent of Mary Magdalene, holding a plate in her hand, which I like to think of as an involuntary shield with which she perhaps wanted to protect herself.

Nothing should be more faithful than a self-portrait, a subject that reveals itself and becomes an object for us, but that professor, photographer, and friend of Francesca, who photographed her in an apparently simple but more visible way, Stephan Brigidi, reminds us of a profound truth. Perhaps in front of others, we are much more naked than when we look at ourselves alone. And so perhaps it is true that truth and representation, truth and fiction, have blurred and confused boundaries, and we exist primarily through the eyes of others.

In an attempt to investigate, rediscover, and even just for a little while, bring back to life this elusive figure of a woman, in March 2024, “Francesca Woodman” by Bertrand Schefer was released in bookstores, published by Johan & Levi.

Nine Leaves: storia e sapori di un rum giapponese

Dopo dieci anni di storia, la distilleria Nine Leaves termina il suo importante viaggio in Giappone per ritornare a vivere nelle mani de La Maison & Velier.

Fondata nel 2013 da Yoshiharu Takeuchi, la distilleria Nine Leaves (dalle nove foglie di bambù disegnate nel logo) è stata un capitolo importantissimo nella storia del rum giapponese. Un’odissea condotta da un singolo uomo, Takeuchi, che ha portato questo vero e proprio Single man rum a rappresentare l’essenza della tradizione, dell’artigianato e della tensione verso l’eccellenza.
Con la chiusura definitiva della distilleria nel 2023, tocca ora a La Maison & Velier portare avanti il lavoro di Yoshiharu per dare la possibilità ai rum lover di assaggiare la loro evoluzione nei nuovi imbottigliamenti risultato della profonda amicizia tra Luca Gargano, patron di Velier, e Yoshiharu.

“Ho incontrato Yoshiharu intorno al 2014 durante un rum festival, quando era agli inizi, e ho capito subito che era il giapponese meno giapponese e insieme più giapponese che avessi mai conosciuto, ho visitato tre volte il suo stand, incuriosito e colpito dai suoi rum. Ho avuto una vera e propria intuizione mediterranea perché sentivo che quest’uomo era speciale”, racconta Luca Gargano. “Ogni anno gli chiedevo quante botti avesse prodotto, e lui mi dava sempre questi numeri bassi, un anno diceva 60, quello dopo 84. Poi, nel 2019, quando sono andato a vedere la distilleria, ho capito: Nine Leaves è davvero un Single Man Rum”.

Dopo dieci anni di attività, Yoshiharu Takeuchi ha deciso di chiudere la distilleria e pochi mesi dopo, ha venduto l’intero stock di rum da invecchiamento e l’ultimo lotto di rum bianchi a La Maison & Velier.

“Ho chiamato Luca e gli ho chiesto ‘conosci qualcuno che potrebbe comprare il mio rum?’”, ricorda Yoshiharu. “E lui mi ha risposto: ‘Nessuno, tranne me’”.

La collezione Unsun Karuta: la seconda vita di Nine Leaves

La Maison & Velier ha selezionato i primi cinque imbottigliamenti del marchio giapponese, le cui etichette sono ispirate a un gioco di carte tradizionale giapponese: Unsun Karuta. Nei prossimi anni sono previste nuove espressioni di Single Cask in Small Batch, e ogni etichetta svelerà una nuova carta della collezione.

“Scegliere il packaging giusto per questa serie è stato estremamente complesso, abbiamo provato molte idee, alcune strane e scartate immediatamente”, dice Luca. “Poi ho pensato alla Card Series di Hanyu, una distilleria chiusa diventata oggetto di culto tra i collezionisti arrivando a quotazioni a 5 zeri sulle aste. Per quegli imbottigliamenti hanno utilizzato le carte da gioco portoghesi, che sono state introdotte in Giappone dai commercianti. Volevo onorare questo rum così interamente giapponese in tutto e mi sono chiesto se ci fossero delle carte giapponesi, per l’appunto. E c’erano”

Le cinque espressioni

Nine Leaves White – Last Drops 
È l’ultimo distillato imbottigliato prima della chiusura definitiva della distilleria. Una deliziosa combinazione di potenza e delicatezza, questa espressione è al naso ricca e densa, rivelando sentori di miele, zucchero di canna, rosa e albicocca con uno strato di liquirizia sul finale. Il palato è si fa più cremoso man mano che rivela note di succo di canna fresco, limone e mash di fermentazione, con sfumature medicinali e di senape.

Nine Leaves 2017 ex-Bourbon Cask Small Batch e Nine Leaves 2017 ex-Russian Cask Small Batch
Sono nate da una microselezione e conseguente blending di barili: la prima invecchiata in quattro botti ex-Bourbon, mentre la seconda è un blend di rum maturati in quattro botti di rovere russo.

Al naso, la versione ex-Bourbon si presenta fine ed eterea con legno di sandalo, eucalipto e una tavolozza aromatica che spazia tra frutti tropicali, sfumature tostate, praline, aromi floreali, zucchero di canna e marshmallow. Al palato emergono note di cocco, mandarino, albicocca e caramella mou, evolvendo verso toni vegetali di canna da zucchero matura e accenti pepati. Il finale raffinato combina miele di canna con tocchi più piccanti di limone, arancia e albicocca. L’olfatto retro-nasale mescola vaniglia, liquirizia e delicate sfumature vegetali di tabacco.

La release invecchiata nel rovere russo ha al naso sentori di frutta e miele, e toni medicinali ed empireumatici, che evolvono in sfumature più vinose e fibrose. Il palato è ricco di note erbacee di fieno tagliato ed erba medica, che sfuma gradualmente in vaniglia cremosa e sale. Il finale è morbido e persistente, con un sottofondo di cioccolato amaro che esplode negli aromi dello zucchero di canna. L’olfatto retro-nasale rivela la vaniglia e la radice di ginseng.

Nine Leaves 2016 ex-American Oak Single Cask #7 e Nine Leaves 2014 ex-American Oak Single Cask #5 
Sono entrambi dei Single Cask, distillati rispettivamente nel 2016 e nel 2014, invecchiati in botti di rovere americano di secondo riempimento.

Il Single Cask #7 è al naso inebriante, con sentori di iris, pompelmo, noce e vaniglia, che si fanno più fruttati e freschi. Il palato è deciso con note di limone e miele, lo zucchero di canna che copre la lingua e la rende fresca grazie alle sfumature di piante aromatiche. Il finale è tropicale dal lime, kiwi giallo, della banana e del cocco. L’olfatto retro-nasale, deliziosamente vanigliato, è spolverato di spezie dolci.

Il Single Cask #5 è fresco al naso da sentori di pepe, frutta tropicale, yogurt, fibra di canna da zucchero, zenzero e cocco in polvere. Lasciato respirare, libera sapori di arnica, canfora, lardo affumicato e curry. Il palato rispecchia la qualità di un bourbon superiore, fatto di note di scorza d’arancia, zucca e miele di canna. Il finale è si sposta dal miele a spezie e cioccolato. All’olfatto retro-nasale, il succo fermentato di canna compare accanto alla radice di genziana e al caramello salato.

Foto di Velier Explorer