Noto per aver deflorato Minnie (avete capito bene), per aver venduto la madre ad un’asta (con tanto di cartellino al collo), per essersi (falsamente) proclamato Ambasciatore del Ministero della Propaganda Sociale e Culturale della Repubblica Popolare Democratica di Corea, oggi Max Papeschi, artista provocatorio (?), discusso e irriverente, ci stupisce con una mostra differente dai suoi soliti schemi: Extinction, un progetto da lui ideato in collaborazione con Flavia Vago e realizzato in partnership con AIIO e Michele Ronchetti.
Extinction vuole rappresentare ciò che resterà di noi quando ci saremo estinti, ma è (ahinoi) la fotografia del presente, il decadimento culturale che tutto oscura. E nell’oscurità Max Papeschi decide di far marciare dei soldati in terracotta alti 1.80 mt, quello che potrebbe essere l’esercito di Xi’an, ma con il volto dei nani. Un tramonto verde acido ispirato ad “Alien” dove statue fossilizzate raccontano un popolo in guerra perenne, e della cui scelta l’artista si prende gioco, inserendo l’elemento kitsch (la testa dei nani) come simbolo dell’impoverimento culturale.
Da un insieme di formule matematiche e dati mixati di culture occidentali e orientali, nascono invece le 1200 opere d’arte digitali create in partnership con Michele Ronchetti; l’installazione “Snow White overdrive” mostra su 4 schermi la complessa elaborazione dell’intelligenza artificiale dove dna di alieni, umani, antenati, nani, si mescolano formando una nuova razza, ancora ignota.
Com’è nata l’idea di Extinction?
Qualche anno fa Flavia ed io abbiamo visitato il Leeum Samsung Museum of Art di Seoul ed una mostra che aveva come tema l’umanità e ci siamo chiesti “Come potremmo rappresentare un concetto artistico sulla razza umana?“ Nel contempo è scoppiata la pandemia e il primo pensiero comune, che aveva sempre come obiettivo un progetto, è stato proprio l’Estinzione. La ricerca si faceva strada tra il Palazzo di Cnosso a Creta (siamo grandi appassionati di storia e archeologia) e abbiamo scoperto che tutte le installazioni presenti erano solo ipotesi, arbitrarietà, non vi era nulla di certo. Il Minotauro è mai esistito? Certo che no, ma abbiamo bisogno di riferimenti, di miti, di simboli. È stato così che gli errori archeologici ci hanno permesso di fare satira della razza umana.
Perché la scelta del volto è ricaduta sui nani?
Perché è la cosa più stupida e kitsch della cultura europea. Oggi il nano in casa potrebbe essere definito “cool“, ma i nani da giardino rappresentano in sé la cretineria folle, la scelta ignorante, e messi insieme all’esercito di Xi’an, sintetizzano la stupidità della guerra e il decadimento culturale.
Perché sono esseri estinti?
La guerra potrebbe essere una prima ipotesi: si sono uccisi tra di loro. Dall’altra parte più che una distruzione di massa, si può parlare di regressione, di bassa cultura, lo “stato nano” è lo sfascio culturale.
Ha un suo specchio nell’era dei social network? I social network SONO lo specchio della società, il pensiero stupido lo si percepisce proprio da lì.
E qual è la punta di diamante del mondo culturale? La lettura di Yuval Noah Harari ad esempio, grande antropologo e filosofo israeliano, o quella di Jared Diamond, grande divulgatore e geografo che nel saggio “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere“, spiega i motivi che hanno portato nel passato il crollo repentino e la diminuzione drastica della popolazione, spesso attraverso conflitti armati.
Perché è interessante raccontare l’estinzione? Perché è sempre interessante studiare la razza umana, ci aiuta nella comprensione del presente, e il nostro presente oggi conferma una citazione di James Graham Ballard:
“Un diffuso gusto per la pornografia significa che la natura ci sta avvertendo di una certa minaccia di estinzione.”
“Extinction – Chapter One”, quale sarà il secondo appuntamento della trilogia?
Nei prossimi interventi ci muoveremo in giro per l’Italia, insieme a Stefania Morici che è curatrice del progetto. Ogni installazione avrà protagonisti diversi ma sempre legati al tema dell’estinzione, che Karl Kraus ci ricorda con questa frase:
“Quando il sole della cultura è basso all’orizzonte, i nani hanno l’aspetto di giganti”.
EXTINCTION. CHAPTER ONE 20 gennaio – 19 febbraio 2023 Sala del Collezionista, Gallery I martedì – domenica, 10-20 (chiuso il lunedì) ingresso gratuito
Polmone verde dell’Italia, l’Umbria possiede i poetici filari di cipressi, una storia medievale di castelli, una cucina tradizionale storica, ma soprattutto un’eredità potentissima religiosa, che calamita ogni anno fiumi di turisti in cerca di ispirazione ed illuminazione.
Vi basterà passeggiare per il centro di Assisi per capire che qui vive uno spirito diverso dalle altre città turistiche, respirerete un’energia nuova, il cibo si farà più buono, il manto verde che ricopre le piccole montagne vi sembrerà morbido come cotone e accogliente come una coperta, d’altronde lo scrive spesso un grande saggista, Claudio Magris, che viaggiare è un atto di umiltà e insegna a sentirsi stranieri tra gli stranieri, l’unico modo forse per essere veramente fratelli.
Questo è il primo appuntamento di una piccola guida sui luoghi del cuore dell’Umbria, per un week end all’insegna del food e del relax.
PARK HOTEL AI CAPPUCCINI – Gubbio
Nato dalla ristrutturazione di un antico convento del 1600, il Park Hotel Ai Cappuccini è un gioiello del territorio in pietra e racchiude al suo interno altrettanti simboli rappresentanti la sua importanza storica. Nelle sale si possono ritrovare dipinti di Nelli Ottaviano rappresentanti San Cristoforo datati 1420 e provenienti da Palazzo Beni; sculture in cemento e grafite dell’artista statunitense Beverly Pepper; quadri di natura rurale di Emilio Scanavino del 1974; vasi di ceramica Gualdo Tadino e Rometti; oltre ad uno spazio totalmente dedicato all’arte contemporanea dove trovare ben due opere di Arnaldo Pomodoro e di Giuseppe Capogrossi, padre anche del simbolo di Park Hotel Ai Cappuccini.
La Spa
Uno spazio completo dove ritrovare se stessi e il silenzio rigenerante. Il Park Hotel Ai Cappuccini è dotato di una grande zona dedicata al benessere di corpo e mente, dalla Soft Sauna a quella Finlandese, dal Bagno Mediterraneo al Bagno Turco, oltre a vasche thalasso, idrojet e idromassaggio potassio-magnesio. Due ambienti distinti con due percorsi diversi, per incontrarsi nella sala tisaneria e sala relax o finire il trattamento con massaggi viso e corpo o speciali rituali concentrati ai fanghi.
Ristorante Nicolao
Travi a vista, ambiente elegante ed ottimo servizio al ristorante Nicolao del Park Hotel Ai Cappuccini dove ritorna, sui piatti, l’iconico simbolismo colorato di Capogrossi. Dal Menu che abbraccia la tradizione consigliamo il tagliere con selezione di salumi e formaggi umbri; la zuppetta di gamberi, ombrina, spigola e pescatrice in guazzetto di ceci; i ravioli di baccalà con salsa alla puttanesca; il tortino di ricotta con porcini e cialda al parmigiano e la crema al caramello con gelato allo zabajone abbinato ad un Pourriture noble (muffa nobile) Tenuta Decugnano dei Barbi, una tenuta di Orvieto che produce questo vino delizioso, da meditazione, proveniente dai vigneti Grechetto e Procanico 60%, Sauvignon Blanc 35%, Semillon 5%, frutto di una meticolosa vendemmia in più passaggi successivi, pressatura immediata e lunga fermentazione. Degno di nota anche il bianco Monteleto 2021, uno Chardonnay in purezza della Cantina Semente per accompagnare tutto il pranzo.
CERAMICHE ROMETTI – Umbertide La bellezza risponde a delle leggi che non sono universali, bensì individuali, segue un bisogno primario, come quello di nutrirsi, e come per il nutrimento necessita di costanza per poter crescere. Chi ha bisogno del “bello”, lo cerca assiduamente come l’aria in ogni angolo di mondo; è la storia di Rometti Ceramiche, di Massimo Monini e Jean-Christophe Clair, rispettivamente proprietario e direttore artistico del brand. Mecenate e grande visione imprenditoriale il primo, poliedrico, creativo e appassionato il secondo, insieme stanno portando una firma enorme del mondo della ceramica dal 1927 quando nacque dalle mani del ceramista Settimio Rometti, al successo internazionale attraverso importanti esposizioni oltralpe e collaborazioni prestigiose con brand e artisti che hanno ideato collezioni uniche come Roche Bobois, Cartier, Borbonese, Fresh, Ambrogio Pozzi, Liliane Lijn, Sergio Fiorentino, Chantal Thomass, Studio MAMO, B&B, Christian Tortu, Ugo La Pietra, Kenzo Takada e Roberto Capucci.
Storie di feticismi e pizzi per la collezione di Chantal Thomass e le iconiche figure parigine con basco, caschetto da flapper e stivaletto stringato per un passo di danza al cabaret. Elegantissima la mano di Kenzo Takada che ci ricorda lo spessore della cultura giapponese con la tecnica del kintsugi, una pratica che evidenzia con dell’oro le linee di rottura dell’oggetto. Il vaso con le “cicatrici” diviene così più prezioso, perché è nelle fragilità che vediamo la vera bellezza. Shogun è una collezione che lascia senza fiato. Ma ciò che più rimane, se avrete la fortuna di visitare la sede Rometti a Umbertide, in provincia di Perugia, è quello che sta dietro la porta dorata dello show-room, il luogo dove gli artigiani lavorano con le mani, dove vive la materia e si trasforma, quei luoghi che sanno un po’ di casa, con i bozzetti appesi e l’atmosfera rilassata di chi sta giocando. Gente che ama ciò che fa, che condivide il bancone con il proprio gatto, che potrebbe creare ad occhi chiusi perché a volte è necessario serrarli, per poter vedere tanta bellezza.
TENUTA SAN MASSEO– Assisi
Boutique Farm Resort & Spa, ex essiccatoio del tabacco, oggi Tenuta San Masseo è un boutique hotel immerso in un parco di 20.000 mq di fronte alla veduta più bella d’Assisi. Proprietà della Famiglia Carloni, la Tenuta è stata ristrutturata mantenendo il gusto accogliente di una casa, e completata di ogni servizio e comodità, compresa la nuova riapertura della Spa con sauna, bagno turco e stanza trattamenti. Finemente arredata, Tenuta San Masseo sceglie di conservare la rusticità della villa con le pietre a vista, regalandole carattere e originalità attraverso la scelta di arredi esotici e di oggetti di design. Le lampade chips in bronzo arrivano da un viaggio della famiglia a Marrakech; alcune sculture sono dell’artista romana Rabarama, come l’opera in bronzo intitolata “In cinta”, datata 2009 ed esaltata da un’illuminazione teatrale; di Lello Esposito l’artigianato napoletano rappresentato da maxi corni in argento che arredano delle nicchie ricavate alle pareti; mentre i guerrieri che proteggono la breakfast room arrivano da un viaggio cambogiano. Le suites sono degli acquari che affacciano sul parco e sulla città di Assisi, per poter godere notte e giorno della vista più bella della città e di un’illuminazione poetica che si sofferma sulle opere a cielo aperto di Giuseppe Carta o sui tavoli in pietra lavica maiolicata dell’artista Domiziani.
TESTONE – Santa Maria degli Angeli
A Santa Maria degli Angeli, in provincia di Perugia, trovate la migliore torta al testo. Dove? Da Testone, una moderna osteria dove si mangia “street food”, quei piatti confortevoli che ti ricordano la nonna, i sapori decisi, l’abbondanza. Qui potete assaggiare la vera torta al testo, la “focaccia” realizzata da un impasto di farina, acqua, bicarbonato e sale, cotta su di una pietra circolare detto testo, infuocato sotto le braci. Piatto di origini antichissime, può essere un’ alternativa non lievitata al pane tradizionale, oppure gustosa se viene farcita; io la consiglio con erba e salsicce, o accompagnata agli altri piatti stagionali del Testone, come una coratella o cotiche, qui non si scherza mica!
FRANTOIO GAUDENZI
Olio plurimpreniato, a Frantoio Gaudenzi permane la storia di nonno Vittorio che nel 1950 rileva un antico frantoio per rinnovarlo completamente; oggi Andrea e Stefano, terza generazione, portano avanti il grande progetto unendo innovazione e tradizione. Gioiello in azienda, un macchinario innovativo, primo passaggio del loro olio pluripremiato, frutto di una raccolta monitorata e studiata dove zero è il minimo comune denominatore: Zero Emissioni, Zero Pesticidi. Una ricerca continua verso un’agricoltura sostenibile volta a valorizzare il massimo livello qualitativo delle varietà tipiche del territorio: Moraiolo, Frantoio, Leccino, San Felice e Dolce Agogia. Sono olii eccellenti, non è un caso se il re dell’olio, lo chef Lorenzo Cantoni sceglie proprio Frantoio Gaudenzi per completare alcuni suoi piatti. L’attuale sede è aperta ad accoglienza, vendita diretta e degustazioni, che vi consiglio di non perdere per imparare qualcosa in più sul frutto orgoglio della nostra Italia che sta alla base della nostra cucina, e sia lodata!
ANTICHE SERE OSTERIA ENOTECA – Bevagna
Succede spesso che il turista in terra straniera sbagli la scelta del ristorante, è capitato a tutti di farsi ingannare dalla posizione, dalle recensioni sul web, ma una cosa poi anche il turista l’impara, e cioè che chiedere a chi è del posto “dove mangiare bene” è cosa buona e giusta. Stra-consigliato, all’Osteria Enoteca Antiche Sere l’ambiente è rustico, caldo, accogliente, arcate in pietra, sedie in paglia, tavolate di legno, sembra d’essere dentro uno di quei quadri di Van Gogh, anche il giallo alle pareti ha la stessa intensità.
Qui non c’è una sola specialità, dovete abbandonarvi a tutto il menu consigliato dal proprietario, un barese in terra umbra: frittata con tartufo, salumi nostrani, coratella, stringozzi col tartufo, spezzatino di cinghiale, tozzetti con sagrantino, ricotta con le visciole, torta di noci e fichi e non vorrete più andarvene, salvo poi per finire col parlare di cruditè ‘nderr a la lanz con Luciano Sabbatini, luogo del cuore di tutti i baresi, patria del pesce crudo, che va benissimo il tartufo di terra, ma anche quello di mare che bontà!
Esposto in 26 paesi del mondo, il progetto fotografico “Followers” di Marco Onofri nasce nel 2016 ma è un sempreverde. Nell’era dei social network, questi luoghi irreali dove a contare sono solo i like, dove un sociopatico si può costruire un’immagine di socialite e dove si possono cambiare i connotati a colpi di clic, sono i followers i veri protagonisti. Persone qualunque di ogni parte del mondo che hanno parola, il cui pensiero può attraversare l’oceano in una frazione di secondo, frustrati scatenati che vomitano il loro livore, donne complessate che aggrediscono gratuitamente, nemici politici pronti a smascherare gli scheletri nell’armadio di quando il competitor frequentava la quinta liceo. Tutti possono parlare, tutti possono urlare, gli unici filtri consentiti sono i robot che leggono cerchi rosei sul petto e li blurizzano perché capezzoli, ma potrebbe trattarsi anche della Venere di Botticelli e la censura si fa alla storia e all’arte. Il fotografo italiano Marco Onofri ha voluto raccontare i “Followers” in un progetto personale, trasformando il mondo social in un set fotografico. Una donna si mostra nuda, ammicca, provoca, mette in primo piano il corpo, come se ne vedono infinite, timbrate e clonate su account diversi eppure così uguali, in attesa di un commento, che arriva prontamente falsato da profili di uomini impegnati, talvolta carichi di insulti e parole volgari, di scherno o spregio – così racconta Marco Onofri.
Sono esattamente questi uomini, queste donne, questi “Followers” che Marco Onofri vorrebbe sul suo set, e li spinge a partecipare ad una sessione fotografica dal vivo, dove le donne colpite dagli insulti, si spogliano dal vero. Cosa succede? Rifiuto. C’è chi si nascondeperché teme la reazione della compagna /moglie /consorte, c’è chi accetta l’invito per curiosità, chi si presta alla recita (ma chi può sapere se si recita più dietro ad una tastiera o davanti ad una fotocamera?). E le donne che si mostrano senza veli? Pudiche come delle monache clarisse, che a mostrarsi a 10 persone reali anziché milioni fittizie e che non sono Mario, Antonio, Pasquale, ma bimbo18 e superman84, si fa peccato. Onofri nonostante le reticenze, ha completato l’originale progetto, volendo così dimostrare come la condizione venga ribaltata dall’occasione. Ha confermato che il “leone da tastiera” altro non è che una pecora impaurita, debole e fragile, e che la “leonessa” tutta pizzi e bocca a cuore, altro non è che un essere bisognoso di attenzioni e conferme. E dove stanno tutti gli altri? A vivere la vita vera, fuori da quel quadrato fatto di pixel e finti cuoricini.
“Possiamo permetterci un Audermars Piguet, eppure ringrazio il Signore che l’unica cosa capace di scaldarmi il cuore è questa” – sono le parole di Annalisa Zorzettig mentre mi mostra una foto di suo padre insieme alla nipotina felici, mentre accarezzano una pecorella.
Ma chi è Annalisa Zorzettig? Me lo sono chiesta in tutti quei giorni in cui ci ha accompagnato durante un tour alla scoperta del Friuli che conosce bene, eppure l’ho compreso solo ora, ora che sono costretta a salutarla, alla fine del viaggio, mentre le vedo gli occhi brillare, finalmente, quando orgogliosa mi mostra il video di Leonie, sua nipote, la stessa a cui ha dedicato un’etichetta.
Donna in un ambiente tradizionalmente maschile, Annalisa Zorzettig è a capo dell’azienda omonima, leader del settore vitivinicolo del friulano dal lontano ’84, quando il Cavalier Giuseppe Zorzettig decise di ristrutturare un vecchio casale a Spessa di Cividale al fine di trasformarlo in una cantina tecnologica e all’avanguardia.
E Annalisa oltre all’impegno nel tenere alto il nome dell’azienda, ci mette qualcosa in più, qualcosa che forse solo noi donne abbiamo il coraggio di concederci, anche in ambito lavorativo: il cuore. Cosa non da poco quando si è a stretto contatto con il pubblico, perché il concetto di accoglienza in cantina, dove salutare gli ospiti e accompagnarli alla scoperta della storia e della passione che guida da oltre 100 anni l’azienda Zorzettig, è la loro firma.
Annalisa Zorzettig
LA TENUTA
Siamo sulle colline di Spessa, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, qui un tempo vivevano due contesse zitelle che avevano un solo pensiero, godersi il panorama ma soprattutto i vini del loro vigneto, visibili dal grande terrazzo oggi adibito al servizio degustazione. Qui il visitatore può provare il vero gusto del relax, assaggiare gli ottimi vini della cantina, godersi la gentilezza di Annalisa, scoprire i segreti dei migliori tra i vini del Collio.
i vigneti
la Tenuta del ‘700
MYÒ LA LINEA RISERVA
MYO è la linea riserva che si basa sulla filosofia di rispetto per l’ambiente e profonda devozione al territorio; si tratta di una selezione particolare che identifica i vitigni più vecchi e maggiormente vocati alla qualità assoluta. Sono vini di grande personalità, grande espressione, sono i più promettenti della Tenuta ed esprimono un grande percorso fatto di scelte e numerose ricerche. A guidarle c’è Saverio di Giacomo, enologo dell’azienda, uomo di principio, fare bonario, amore per la natura.
All’interno della Tenuta, uno spazio che rappresenta una tipica casa friulana, dove far respirare agli ospiti il classico ambiente domestico. E’ qui che per noi di Snob è avvenuta la degustazione dei vini Zorzettig. Alcuni tra questi:
Zorzettig Sauvignon Blanc, 5 mesi in acciaio e 1 mese in bottiglia, un naso profumatissimo, sentori di fiori bianchi, frutta tropicale, sorso cremoso e sapido.
MYÒ Malvasia, piccoli interventi di diradamento dei grappoli per elevare la qualità del vino, vigneto storico, sentori di frutta matura, floreale, tra i miei favoriti dei loro bianchi.
MYÒ Fiori di Leonie – è un blend di uve Pinot Bianco, Sauvignon e Friulano, raccolte a mano da Saverio, l’enologo e team – affinamento in legno, note intense di mele e pesche mature, fiori bianchi e sensazioni agrumate. Molto persistente.
Con grande sorpresa, un assaggio di un Pinot Nero Zorzettig del 1977, 45 anni di vino che ci regala un tannino morbido, sentori di frutta secca, prugna e albicocca disidratata, ciliegia sotto spirito. Una esplosione di sapori e profumi.
MYÒ la linea riserva
E’ stato detto che la semplicità è una forza, e alcuni episodi ci forniscono semplicemente l’occasione per comunicarlo. Per Annalisa Zorzettig il nome, il suo nome, non ha importanza, ciò che conta è l’essere. E il suo metodo ci da la possibilità di peritare, stimare, l’idea di bellezza che ha del suo mondo, il vino, un mondo dove appunto la semplicità è solo un velo elegantissimo che nasconde una grande complessità, di persone e lavoro.
Ed è grazie all’ingrandimento delle cose godute dal vivo, come certi fatti vissuti dopo averli sognati o come una città visitata, dopo averla studiata su di una guida, così i vini Zorzettig assumono al nostro palato il valore che meritano. Maggiorazione formidabile validata dai preziosi collaboratori, Saverio di Giacomo e Alan Gaddi, rispettivamente enologo e commerciale dell’azienda, che con la loro competenza e professionalità e il profondo sentimento della terra che scaturisce dai loro racconti, possiamo esser certi di portare sulle nostre tavole un prodotto nobile.
Ci auguriamo che il mondo del vino si tinga ancora di rosa, se i risultati sono simili a quelli che Annalisa ha regalato a Zorzettig, un capitano che ha già discendenti femminili, come la figlia Veronica, mente innovativa e sempre attenda al concetto di Green.
Assisi è luogo di santità e preghiera, dove anche chi non crede si trova a ricredersi, perché l’energia spirituale invade tutto, le strade, i campanili, le pietre delle case nascoste e dal cielo c’è sempre una luce sottile ma potente, che passa tra le nubi come un segnale. Succede anche da questa altezza, dal ristorante Il Frantoio che affaccia sulla vallata umbra, quella stessa luce passa dalle vetrate e illumina la sala verde, omaggio al frutto adorato dallo chef Lorenzo Cantoni che ha preso a capitanare la squadra: l’olio d’oliva. Tutto rimanda all’indiscusso protagonista, le foglie della pianta messe sotto resina sui tavoli, la piccola macina del frantoio che è un poggiaposate, le immagini fotografiche in bianco e nero sulle pareti, ma soprattutto l’olio quale assenza di grassi animali, burro, per una cucina sostenibile e godibile con costanza nel tempo. La cucina No Porn, ma New Born dello Chef Lorenzo Cantoni.
Il benvenuto ce lo da un pane lievitato 48 ore e servito con Elly & Ello, un olio di loro produzione, a seguire un tondo croccante aromatizzato con fegatini di pollo, erbe sinergiche e aceto, crème brûlée di porri, crackers di maialino con mortadella senza conservanti, foglia croccante di patate e spinaci, e la prima lacrimuccia di gioia che avrete a tavola, così, senza preavviso, senza avere ancora il tempo di ambientarvi e capire chi è Lorenzo Cantoni: una finta oliva con nocciolo di mandorla e un liquido di salamoia (ricreato dall’olio d’oliva ça va sans dire) che esplode in bocca come un trompe-l’œil per l’occhio. È questa fake oliva che vi farà capire quale luna park di sapori vi attende alla tavola de Il Frantoio.
Il tiramisù fatto con olio d’oliva, pane croccante, tartufo ed erbe sinergiche, ci viene servito in una lattina di tonno; UNO è il carciofo sbollentato con ripieno di purea di gambi, senape fredda, salsa garum, ricoperto da un agrodolce di caramello, accompagnato da un’altra grande scoperta qui a Il Frantoio, un vino bianco le cui note richiamano i fiori di sambuco, la polpa bianca e matura della pesca e un sapore minerale, sapido, che si sposa perfettamente ai piatto; è Donna Elena, una delle tre interessantissime etichette prodotte dalla proprietà. Fatene scorpacciata, è un consiglio.
Sul fondo di un piatto blu oltremare, sembra galleggiare la pizza alla Perugina, una base bianca di pizza fritta sopra cui posa un disco di panna cotta al patè di fegatini di pollo, punta di burrata, fiori di peperone e senape Red frills.
Leggero dripping rosato nel piatto di friggitello arrosto farcito di pecorino di Norcia, punte di fagioli cannellini, wasabi ed erba Red frills, e un velo d’olio dorato Batta per il risotto cotto in acqua di verza con patate arrosto ed erba Oxalis, un’acetosa che arriva dall’orto La Clarice di Diego e Davide Narcisi, passione per le piante, eredità del nonno che lascia loro un pezzo di terreno dove durate il lockdown sono nati i frutti che troviamo in questi piatti, una forte sinergia di erbe sinergiche che nella loro piccolezza fanno una grande differenza. Non poteva mancare in menu il tanto chiacchierato foie gras etico, dove la parte dell’ingrassamento viene fatta da un’emulsione di olio evo, crema di mele, punta di nocciole, prugna e passito sagrantino.
Rosso sangue la salsa ai frutti rossi al centro del piatto con piccione cotto una notte su barbecue con carbone di ulivi; per pulire il palato una gelèe di olio d’oliva e tagete filifolia, un’erba spontanea che ricorda la liquirizia, un sorso con estratto di lime, basilico e menta. Altro gioco d’inganni il dolce non dolce, ravioli di rapa rossa, mix di formaggi umbri, aceto di lampone addensato, polvere di frutta secca, yogurt bianco e acido.
Cosa si comprende dal concept del Miglior Chef dell’Olio AIRO 2021 Lorenzo Cantoni? Amore per il proprio territorio, profondo rispetto per la tradizione ma grande ironia, sinonimo di estrema intelligenza, spirito collaborativo (e chi fa squadra va lontano), impegno costante nella ricerca (ah io vorrei dire ciò che ha scoperto ma devo mantenere ancora per poco il segreto), voglia di sperimentare e giocare (menti creative arrivano talvolta dove solo lo studio non vede), e la serietà della buona tavola, del concetto di cucina sana nel senso etico del termine ma soprattutto onesto, dove il burro e i grassi animali vengono banditi, dove l’elemento cardine della tradizione italiana, l’olio extra vergine di oliva, assume il ruolo protagonista e il rispetto che giustamente merita. E lo merita anche questo giovane chef che ci regala non solo prelibatezze per il palato, ma un grande esempio da seguire.
Il Frantoio Via Fontebella 25 Assisi (Pg) info@ristoranteilfrantoioassisi.it 075812242
Inusuale per un ristorante, eppure Daniel Canzian, chef del ristorante omonimo, stupisce ancora, questa volta con la creazione di un profumo che non arriva dai suoi piatti bensì da una fragranza creata ad hoc per Daniel Canzian Ristorante nel cuore di Brera.
Trattasi di “Serra San Marco“, note liquide passate dai nasi di Integra Fragrances, azienda leader nella creazione di identità olfattive per marchi del lusso, musei, prodotti, strutture ricettive. Anche per la società la sfida è stata ardua, ideare un profumo dedicato che accompagnasse gli ospiti verso la sala ristorante, portando necessariamente con sé delicatezza, leggerezza, note lievi e non persistenti, non invasive, un benvenuto fresco.
E’ all’entrata che avvolge gli ospiti di Canzian Ristorante, nella piccola area tra la porta d’ingresso e la sala pranzo, la fragranza “Serra San Marco”, a cui lo chef ha voluto omaggiare un lunch ispirato:
“Il connubio tra le note agrumate di testa, il calore degli aromi di cuore e la profondità di quelli di fondo nascono da un racconto che parla di passione, creatività e determinazione. Serra San Marco è l’identità olfattiva che Integra Fragrances ha realizzato per lo Chef Daniel Canzian, le cui note sensoriali possono essere ritrovate nel menu in degustazione“.
Un calice di rosè Brut Millesimato 2020 Montelvini, ci accoglie insieme al pane sfogliato diventato ormai icona del ristorante, e oggetto di desiderio per quanto crei dipendenza. Trattasi di un pane sfogliato al burro a cui viene aggiunta della farina di mais, tipica della cultura del Nord Italia.
A seguire dei piccoli nidi su cui poggia un guscio aperto a metà, con all’interno un tuorlo d’uovo servito crudo, dentro cui viene versato brodo, un filo d’olio, pepe, sale. Il calore del liquido lo cuoce leggermente.
Antipasto vegetariano con carciofi ripieni, spinaci e mentuccia e grande creatività per il primo piatto, “Divisionismo in cucina” un risotto “Expo-nenziale“, un piatto che cita l’opera divisionista del Boccioni (La città che sale), e pensato in occasione dell’Expo di Milano. Per questa ricetta Villeroy ha creato un piatto apposito che riprende il gioco velato di spezie servito sul risotto, tre macchie di colore arancio (paprika), color senape (curry) e black (tè nero affumicato).
A terminare in dolcezza, una charlotte milanese, mele e cannella e il rito tipicamente italiano del caffè bollente. Tra questi piatti si nascondono le note di “Serra San Marco“, che altro non è che questo luogo di peccato dove gode la gola ma non solo. A voi scoprirle, basta varcare la soglia, chiudere gli occhi, attraversare la porta e…ritrovarle nei deliziosi piatti di Canzian.
Da erotomane a sacerdote. Il fascino sensuale delle donne trasformato in amore per la comunità.
INTERVIEW: MIRIAM DE NICOLÒ PHOTO: GIOVANNI PISCAGLIA
Don Daniele quando hai avuto questa vocazione. Cosa è successo? È merito della mia “ultima fidanzata” che un giorno mi disse “Sei sprecato per una sola donna”. In quell’atto di amore e di grande generosità ho compreso davvero la mia strada, un nuovo percorso di amore verso la comunità. Mi ha molto colpito quel momento, perché era evidente che il suo intuito era forte, mentre io invece mi sentivo molto confuso ed in crisi, ma una titubanza che dipendeva solo da me perché lei era splendida. Ecco allora che ho scelto di dedicarmi agli altri, di esserci per chiunque bussi alla mia porta, anche se dedicarsi ad una sola donna per creare una famiglia è un atto altrettanto nobile. Terminate le superiori a 19 anni, sono un perito meccanico, ho quindi intrapreso questo cammino, e 7 anni dopo sono stato consacrato sacerdote.
Prima dei tuoi 19 anni, come vivevi la tua vita? Ho la fortuna di essere cresciuto in una famiglia credente, mio papà fa il catechista in parrocchia da 40 anni, mia mamma canta nei cori cristiani; la fede mi accompagna fin da quando sono bambino, e ho sempre frequentato la comunità parrocchiale di Charvensod, il paese di Aosta. Ma la vocazione arriva dalla relazione con le donne.
E a proposito di donne, noi abbiamo una cara amica in comune, la tua prima fidanzata, Francesca che, facendo del pettegolezzo, mi raccontava del tuo saltare da una donna all’altra anche volentieri, per cui possiamo dire da don Giovanni a don Daniele? Ho sempre avuto grande empatia e delicatezza nei confronti delle donne; quando mi si è aperto il mondo femminile non ho resistito al fascino e sono entrato in un circolo vizioso, che nei primi anni di superiori è stato abbastanza impegnativo, le donne erano degli oggetti e volevo provare ogni sorta di esperienza. Solo all’interno di relazioni più mature e più stabili ho intuito che cos’era l’amore con la A maiuscola, perché si fondavano non solo sull’attrazione fisica ma sul rispetto, sulla conoscenza e accettazione reciproca, ma soprattutto testavo per la prima volta qualcosa di anomalo, la fedeltà. Quando ho capito che anche quel genere di amore, per quanto sano, non mi bastava più, ho buttato il mazzo per aria e ho cambiato completamente partita. Oggi direi che la partita è buona, ecco la nuova partita per ora sta andando bene.
Possiamo affermare che le figure religiose femminili le senti più vicine? Si assolutamente, posso dire che a Maria e alle sante sono certamente più devoto rispetto alle figure maschili.
Come si diventa sacerdote? Ci si affida ad un padre spirituale, qualcuno che ti accompagni. La nostra chiesa valdostana è un po’ povera di sacerdoti, ce ne sono molti anziani e non molto entusiasti di ciò che fanno, mi sono rivolto ad una decina di loro ma non ho trovato aiuto, fino a quando ho bussato le porte del Monastero Regina Pacis Saint Oyen, dove ci sono delle monache di clausura. La Priora del Monastero mi ha accolto e accompagnato fino alle porte del seminario in un anno e mezzo; come vedi un’altra donna, ecco perché per me sono davvero preziose. Il percorso di studio consiste in una laurea in teologia di 5 anni dove si fanno esperimenti di vita comunitaria con altri aspiranti sacerdoti, e un periodo di tirocinio nelle parrocchie, ospedali, carceri.
Credo ci sia ancora un po’ di confusione tra le promesse di una vita sacerdotale e i voti che invece spettano alla vita vescovile. Puoi spiegarci le differenze? Prima della celebrazione dell’ordinazione sacerdotale, quando il vescovo impone le mani sul sacerdote, quest’ultimo fa una preghiera di consacrazione. Quelle sacerdotali sono promesse di territorio, preghiera, celibato. La promessa di territorio indica fedeltà ad una chiesa precisa, in questo caso per me si tratta della Valle d’Aosta, siamo legati a dei luoghi, in gergo veniamo incardinati in un posto e promettiamo fedeltà e obbedienza al vescovo di Aosta e ai suoi successori, mentre i frati sono legati ad un carisma, si dedicano ai poveri, ai ragazzi, ad esempio e vengono spostati in diverse comunità, mentre il nostro territorio sarà uno solo per tutta la vita. La promessa di preghiera è forse la più interessante perché ci impegniamo attraverso la preghiera della liturgia delle ore, mattino, mezzogiorno, sera prima di andare a dormire, a pregare per il mondo intero, preghiamo per chi non prega, preghiamo per le persone che ci sono affidate, attraverso la celebrazione della messa nell’Eucaristia. L’ultima promessa, quella che scandalizza di più il mondo, è una promessa di celibato, che non è la castità a cui nella Chiesa sono chiamati anche gli sposi, un modo di vivere la propria sessualità, ma anche i propri affetti, mettendo l’altro/a prima di noi. La promessa di celibato indica la rinuncia a esercitare la nostra sessualità ma non i nostri affetti e il nostro amore, perché andrebbe in contraddizione con quello che abbiamo scelto di fare. Attraverso la rinuncia alla sessualità si sceglie di essere di tutti, la profezia della mia fidanzata, oggi lo capisco profondamente, anche se viviamo un mondo che non è casto e dove essere di tutti è difficile perché si è di tutti e di nessuno. Noi invece apparteniamo al Signore.
Come riesci a rinunciare alla sessualità avendo avuto esperienze con molte donne? All’inizio è stato molto difficile, fisicamente, perché il corpo si può educare, la mente è più ribelle. Quando parlo con i ragazzi cerco di far capire loro che gli istinti sessuali sono quelli animali, noi invece differenziamo dalle bestie perché capaci di controllarci. Per me è stato difficile rispettare la donna ed educare il mio sguardo, che era finalizzato ad ottenere, ci sono voluti anni per approcciare in maniera diversa con le donne, lasciarle libere senza tirarle a me pensando che fossi il centro del mondo. Ho imparato a mettere l’altro al centro, a rispettare i suoi tempi, è un cammino molto difficile e al contempo affascinante, perché qui risiede la vera bellezza. In questo è maestro l’unico santo uomo a cui sono molto affezionato, San Giovanni Paolo II. Oggi per me stare insieme ad una donna significa elevarla in tutta la sua bellezza emotiva, mentale, fisica, spirituale, psicologica senza possederla, è una sensazione bellissima su cui bisogna sempre vigilare.
Hai avuto tentazioni nel corso degli anni? Le pulsioni vengono un po’ a mancare quando non si esercitano più, anche se ho 30 anni; difficile è lasciar andare l’adrenalina del possesso, dell’avere una donna lì per te, e questo si ripercuote su altri tipi di attività, per chi magari come me ha forte empatia o carisma e riesce ad ottenere ciò che vuole; succede anche in parrocchia nel ricevere favori o servizi. Il sacerdote che ancora adesso mi accompagna mi aiuta a fare un po’ di luce su questo atteggiamento, una sorta di perversione, che parte come un sassolino ma può diventare valanga, un atteggiamento che nuoce noi e le persone che ci sono accanto.
Questa tua vanità non è letta come un peccato? Io sono un egocentrico e nel cammino esiste un momento di accettazione del proprio lato umano. L’amore che vivo oggi e ricevo dal Signore è l’esperienza di amore più vero, perché si è amati per quel che si è e non per quel che si fa. Per una natura prestazionale come la mia, e lo sono tutt’ora nelle attività pastorali, è molto liberante sapere di essere amati perché esisto, mi commuove. Entrare in una tradizione di 2000 anni all’interno della Chiesa e accompagnare le persone che mi sono state affidate mi aiuta nell’esercizio della carità, perché ci sono per loro ma non sono la loro salvezza, così com’ero convinto di essere la salvezza di tutte le donne con cui sono stato. La fisicità si educa, anche se ci sono giornate meno facili.
E cosa succede in quel momento?Tu sei a contatto con tantissime donne La grande scelta è stata tra il monastero e il sacerdozio, dovevo scegliere se mettermi in un ambiente più protetto per non fare casini o se scegliere di vivere nel mondo e di mettere questo “dono” (ho iniziato a chiamarlo così molto tardi nel percorso, era un peso inizialmente perché procuravo dolore intenzionalmente) a servizio degli altri. In seconda superiore ho frequentato per sei mesi due donne contemporaneamente, per me era normale perché non mi sentivo “spaccato” e non avevo intenzione di ferirle, fino a quando sono stato messo all’ordine rendendomi conto che forse avevo bisogno di un ambiente ritirato. Chissà un giorno mi trasferirò in qualche eremo o monastero, con l’età o per stanchezza, perché gestire tante relazioni, come oggi, non è semplice, soprattutto quando si è molto empatici, affettuosi, è un gran dispendio di energie.
Ci sono delle donne che ti hanno fatto delle avance, delle proposte? Si è capitato negli anni, soprattutto all’inizio del percorso; in questi casi il nostro padre spirituale ci allerta che se qualcuno intralcia il nostro cammino, abbandonarsi non ha alcun senso
Ti è mai capitato di cedere? Mai. Anzi cavalcando l’onda dell’entusiasmo ci si imbatte in situazioni in qualche modo cercate, per dimostrare a te stesso che ce la puoi fare. Il nostro percorso di formazione è molto protetto perché si vive in seminario tra giovani che stanno facendo quel tipo di cammino, si studia in facoltà teologica e siamo esposti solo quando veniamo catapultati nella vita di parrocchia, nel servizio, ed è il motivo per cui ho chiesto fin dall’inizio al vescovo di andare a far esperienza di vita comunitaria insieme ad altri preti.
E’ una scelta anomala perchédi solito ogni prete ha il suo appartamento, corretto? Esatto, di solito il prete è mandato in una parrocchia e ha la sua casa abbinata, vive solo. Ma la settimana prima di essere ordinato sacerdote è stato fatto l’incontro di tutti i preti della valle e il vescovo ha chiesto ai sacerdoti valdostani se ci fosse la volontà di qualcuno di loro disponibile per fare un’esperienza di vita comunitaria. Oggi vivo con 3 preti, nello stesso alloggio, mangiamo insieme, condividiamo gli stessi spazi e ci aiutiamo a vivere in fedeltà il nostro ministero, non tanto sull’aspetto delle relazioni perché la nostra casa è un porto di mare, tutti sanno dov’è la chiave per entrare, ma per centrarci continuamente sul motivo per cui noi siamo qui, quando uno di noi si siede e inizia a farsi gli affari suoi e a vivere per sé stesso e non per gli altri, ecco che il compagno punzecchia e ci riporta all’ordine.
In appartamento non avete il televisore, leggi il giornale per informarti sui fatti quotidiani? Non sono mai stato un appassionato della tv perchè vivendo una realtà contadina stavo spesso a contatto con la natura. Nella nostra abitazione e negli appartamenti dedicati all’ospitalità, abbiamo deciso di eliminarla per dedicarci a chi abbiamo di fronte. Nelle nostre stanze poi ciascuno decide cosa leggere o magari scrive o medita. Non siamo totalmente fuori dal mondo, io ad esempio sono su Instagram.
E Instagram non è un mezzo di distrazione? Sono stati i ragazzi che seguo a chiedermi di entrare in questo mondo perché è utile ai fini pastorali; abbiamo la pagina del nostro oratorio, l’account della pastorale giovanile diocesana e poi da un anno anche il mio personale, che gestisco insieme a loro. Mi interessa per lanciare sul web anche qualcosa di bello.
Può permettersi di coltivare dei vizi un prete? Sono un appassionato di LEGO e di Star Wars fin da bambino, così i miei amici per festeggiare i miei 30 anni mi hanno regalato un LEGO da collezione, il Millennium Falcon, esposto in casa come un trofeo. Do spazio al mio orgoglio, così per la musica, altro vizio che mi costringe a spendere soldi per un mega impianto auto ma anche per casa. Ascolto musica da discoteca, la stessa di quando frequentavo le superiori. Se mi limitassi a questo non sarebbe un problema, il vero cruccio non è lo sperpero di denaro, è che purtroppo finisce in fretta.
Un prete percepisce una retribuzione? A quanto ammonta? Abbiamo un piccolo stipendio che ci viene dato dalla Chiesa e il buon Dio è il nostro datore di lavoro. Percepiamo più o meno 900 euro al mese, legge stabilita negli anni ‘80 per omologare in Italia le disparità che c’erano tra Nord e Sud, quando se una parrocchia era molto ricca, il sacerdote percepiva un compenso alto, se invece si viveva da noi in Valle d’Aosta, in una valle sperduta, si faceva la fame. Inoltre, come per altri mestieri, si maturano gli scatti di anzianità, ogni tre anni; io sarò sempre don, modello base.
E come gestisci questo denaro? La differenza rispetto ai religiosi che fanno voti di povertà, castità e obbedienza, che non possono possedere nulla di loro proprietà e sono costretti a mettere tutto a disposizione del convento, è che noi possiamo spendere il denaro per bisogni personali, come fare la spesa, perché la casa ci viene invece fornita dalla diocesi. L’auto che possiedo è un dono dei miei genitori, da quando sono sacerdote faccio più o meno 30000 km all’anno nelle nostre valli e metà dello stipendio in realtà lo spendo in gasolio.
Hai anche una bella collezione di vini rossi Regali, la gente sa che i sacerdoti apprezzano il vino e noi possiamo sempre dire come vanto che il nostro è uno di quei pochi mestieri dove si “deve” bere!
Immagino che all’interno della coppa che usate durante la Messa non ci siano dei vini pregiati In realtà è un vino marsalato, un passito alto di gradazione, almeno 14-15 gradi perché la bottiglia rimane aperta un mese circa e si evita vada a male. C’è chi utilizza il vino rosso chi il bianco, si può scegliere, l’importante è che non sia estremamente trattato. Alcune diocesi producono il vino che usano per la messa secondo le indicazioni precise date dalla Chiesa.
Insegni religione ai bambini e segui il percorso spirituale di ragazzi universitari, oltre a fare Messa in sette parrocchie; qual è l’ attività che ti dà più gioia? Ti cito San Giovanni Paolo II che diceva: “Stando con i giovani si rimane giovani”. È una grande verità, sicuramente quella voglia di vivere che sprigionano da ogni poro è contagiosa ed arricchente, ed è per questo che da due anni e mezzo coordino tutte le attività dei ragazzi nella nostra valle. Ma anche la liturgia mi appassiona e per la maggior parte del tempo io sto in dialogo con le persone.
Cosa ti piace delle persone? Mi piace aiutarle a cogliere le bellezze che hanno dentro, far loro capire quanto si è preziosi e spiegare loro che non siamo qui per caso, esiste un disegno di amore dentro di noi, dentro quello che facciamo, anche nelle fasi difficili della nostra vita. Io sono solo uno strumento, mi sono ritrovato delle volte a non sapere cosa dire, come al funerale di un quarantenne, una giovane vita spezzata, o quando uno dei miei ragazzi di 12 anni ha perso la mamma. Cosa vuoi dire? Provo solo a portare un po’ di speranza in un mondo dove ce n’è estremo bisogno.
La cosa più brutta che ti potrebbe capitare? Vivere con tristezza le mie giornate, e in maniera triste le relazioni, non sapere perché alzarsi al mattino e non sapere per chi vivere, ecco quello mi spaventa, quindi faccio di tutto per cercare di rimanere vivo.
Che cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere il tuo percorso? Di essere veri e circondarsi di persone che ti mettano di fronte alla verità come ad uno specchio, anche se scomoda. Vale lo stesso nelle coppie, essere sinceri e rispettosi è la ciliegina sulla torta delle relazioni, ma non è tutto, se quello diventa il tutto significa che non c’è altro da condividere.
Che cosa è il tutto? È stare uno di fronte all’altra, guardarsi con affetto, con tenerezza, con rispetto e quando uno si allontana, l’altra sceglie di andargli incontro, con la possibilità di “tenersi”, “riscoprirsi” ma mai possedersi. È un bellissimo gioco di equilibri.
A proposito di verità, cosa pensi delle polemiche a sfondo sessuale all’interno della Chiesa che molto spesso vengono taciute? Durante il pontificato di Benedetto XVI è esploso tutto, l’attuale Papa Francesco ha chiesto in tutte le diocesi del mondo di istituire un Ente per la tutela dei minori contro le violenze sessuali; i membri della comunità ecclesiale e i membri esterni aiutano il vescovo sia a gestire i casi e le situazioni problematiche sia a prevenire nella formazione. Ad esempio noi al centro estivo formiamo i maggiorenni sul sistema di comunicazione con i minorenni, quali sono gli atteggiamenti da evitare, comportamenti atti ad educare; evitiamo che nelle gite si dorma ragazzi e adulti insieme. Ci scandalizzano certe notizie, ma quello che vediamo e sentiamo è solo la punta dell’iceberg, il problema è la patologia di chi commette certi atti, e che purtroppo tira giù con sé, nel livello più basso dell’essere umano, persone innocenti, bambini, donne, gente fragile e in difficoltà. Grazie alle direttive di Papa Francesco oggi mettiamo tutto alla luce per permettere a chi ha commesso lo scandalo di capire.
E’ corretto dire che all’interno della Chiesa ci si sente in qualche modo un po’ protetti, motivo per cui i casi di abusi sono frequenti? In realtà l’ambito ecclesiale non è quello col maggior numero di casi, è solo quello che fa più rumore, perché è più scandaloso che il colpevole sia un sacerdote consacrato rispetto ad uno qualunque. Gli ambiti più a rischio sono invece le scuole, il mondo dello sport e le mura domestiche.
Cosa leggi? J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis, Gilbert Keith Chesterton, la scuola che cerca di trasmettere un messaggio esplicitamente cristiano; J.K. Rowling perché sono un grande fan di Harry Potter. Avendo una formazione tecnica ho avuto qualche difficoltà nello studio della filosofia e della teologia, anche se sono risultate subito affascinanti.
Quindi tu sei perito meccanico, ti aiuta questo? Moltissimo, soprattutto nei lavori manuali casa, faccio tutto.
E gli altri cosa fanno, perchè so che tu cucini… Gli altri mi sopportano, che è già tanto.
Descriviti con tre aggettivi Sensibile, egocentrico, empatico
L’egocentrismo non è parte della vanità? Dipende da come lo usi, il buon Dio elargisce doni e sta a ciascuno di noi sfruttarli al meglio, per cose buone. Io ne sono la testimonianza vivente, se non avessi fatto le esperienze che ho fatto, non sarei quello che sono, non riuscirei a essere accanto alle persone e alle donne con estrema empatia e trasporto.
Una curiosità, tra tutte le confessioni e i segreti che ascoltate, fate mai del pettegolezzo tra di voi? Una delle regole ecclesiali molto ferrea dice che non posso più esercitare il mio ministero e si è quindi scomunicati e sollevati da tutti gli incarichi quando si riesce a risalire alla persona vittima del pettegolezzo. In media confesso tre persone al giorno e una delle gioie più grandi dell’essere prete è quella di accogliere e poter alleviare le ferite. Noi abbiamo l’obbligo di confessione una volta all’anno, anche se io lo faccio una volta al mese, mi è utilissimo per mettere un punto, incontrare le mie miserie e combattere l’egocentrismo. Sbaglio come tutti, ma vengo perdonato, esperienza bellissima perché ci si sente amati a prescindere da ciò che si fa. Se non sbagliassimo anche noi preti, diventeremmo dei moralisti, il che non rientra affatto in quello che Gesù cerca di trasmettere.
Pensi mai alla morte? Si con serenità, e sperando di morire giovane, perché bisogna finire quando si è in crescita non come quei cori guidati da direttori che a 80 anni non sentono più e lasciano che la musica diventi deprimente e stonata. Vorrei lasciare all’apice, vorrei un finale col botto, però vedremo, tanto è il Signore che decide.
In Paradiso, è li che troverai la tua serenità? C’è un passo del Vangelo che dice che quando si fanno tanti gesti di amore, si coprono tanti dei propri peccati, uno dei modi che abbiamo per cercare di tappare i buchi delle nostre mancanze, cercando di amare tanto. Io ho provato questa strada.
Tuorlo, un concept dove il food & beverage è protagonista, un magazine che racconta gli attori della cucina nazionale e non, una squadra di persone appassionate, ha presentato “OroMonferrato” nel suo spazio “House of Mediterraneo“.
Nella grande sala dove la tavola parla, Tuorlo ha messo in scena la nuova scalata comunicativa del Nord Astigiano, un piano di promozione turistica di alto profilo realizzato in collaborazione con VisitPiemonte, Ente Turismo Langhe Monferrato Roero, Fondazione Piemonte dal Vivo promosso dalla Regione Piemonte.
“OroMonferrato” è il racconto delle eccellenze del territorio attraverso eventi culturali, gastronomici, spettacoli e mostre; un’area meravigliosa il Monferrato, della nostra amata terra, dove ben 47 comuni che vanno dal Moncalvese alla Valle Versa, ricca di importanti tracce storiche e culturali del Paleontologico e del Romanico, si apre ai progetti digitali e ai nuovi metodi di comunicazione.
Eccezionalmente per la serata, lo chefTommaso Zoboli premiato come miglior chef under 30 del 2021, ha ideato un menu che valorizzasse i prodotti del territorio, con piccole contaminazioni dal mondo. Per iniziare pani puri croccanti, battuta di Madama Piemontese, bagna cauda fumée, lingua di gatto salata, toma e tartufo nero. Il tartufo, fungo ipogeo che ha colorato d’oro il Nord Astigiano, soprattutto per il tartufo bianco. Carpaccio di tonno rosso e vitello, salsa tamago, capperi e tartufo bianco come antipasto e i plin, un primo tipico piemontese originari della zona del Monferrato, ripieni di tortellino e panna bruciata, e un brodo speziato di manzo, del colore dello spazio, un blu brillante ottenuto da polvere di fiori thailandesi. E’ un viaggio nelPiemondo, il bagaglio gastronomico di una terra ricchissima come il Piemonte, che si lascia accarezzare da altrettante eccellenze culinarie dal mondo. Come secondo un fritto misto alla piemontese composto da cotechino, zucca, mela, animella, salsa chimichurri e tartufo bianco, e il dolce, il “Tra bacio di dama e Bonet”, è il connubio tra i dolci prediletti dallo chef, Bonet e bacio di dama, una bocca golosa di pasta di nocciole, e tartufo nero, “il bacio di ritorno a casa“.
“OroMonferrato” è un viaggio di memoria, atto a rendere indelebile le sue bellezze. Da Albugnano (con la splendida abbazia romanico-gotica di Santa Maria di Vezzolano) a Cocconato (uno dei Borghi piemontesi più belli d’Italia), da Castagnole Monferrato (con le vigne di prezioso Ruchè) a Castelnuovo Don Bosco (luogo natio del celebre santo sociale fondatore dei Salesiani) fino a Penango (sede di un ristorante stella Michelin), quello del Nord Astigiano è un mondo colmo di attrattive, legato al tartufo estivo e al tartufo bianco e immerso in paesaggi di dolci colline e aree boschive, da scoprire con lentezza godendo di un’autenticità rara, preziosa ed elegante.
La direzione strategica e creativa del progetto è di Paolo Iabichino, conosciuto come Iabicus, scrittore pubblicitario, direttore creativo, fondatore dell’Osservatorio Civic Brands con Ipsos, Maestro alla Scuola Holden. «OroMonferrato – spiega Iabichino – racconta la storia di un territorio e di una comunità ancora non toccati dalle grandi rotte del turismo internazionale. Grazie a un intreccio di elementi che hanno saputo coniugare alcune unicità, impossibili da trovare altrove, siamo riusciti ad esprimere una straordinaria alchimia di coordinate narrative. La nostra -prosegue – è una destinazione che non può far leva su coordinate già note, semplicemente perché quel tipo di racconto non appartiene a questi luoghi. Ed è per questo che abbiamo scelto la metafora dell’oro. Elemento raro e prezioso che non si trova facilmente ma che porta con sé un carisma ricco di esclusività e di lenta riscoperta».
Chihuahua Tacos porta in Italia il Taco Tuesday, il martedì a Milano non sarà più lo stesso
Un passato nel settore moda, appassionato viaggiatore, vive per un periodo tra Messico e Africa Orientale, ma decide di lasciare il mondo effimero ed impalpabile della moda, per dedicarsi alla sostanza del food & beverage, Alessandro Longhin, co-fondatore del Botanical Club, Champagne Socialist e Forno Collettivo, intraprende una nuova sfida professionale con Chihuahua Tacos, la taqueria e Mexican Bar di Milano che è già a quota 3 location:
viale Col di Lana, via Sciesa e via Sarpi.
La parola d’ordine è Tacos e tanto divertimento, lo street food più goloso che ci sia sulla tavol…ah no, tra le vostre mani (perché qui ci si deve sporcare per godere di più) con patate novelle schiacciate e fritte servite con mayonese di chili Morita e lime; agnello cotto in marinatura messicana, salsa verde borracha, coriandolo, crema e cipolla rossa sott’aceto; ma quello che vi creerà dipendenza è il Camarones, taco con gamberi alla plancha, mayo al lime, cavolo bianco, pico de gallo, cipolla morada sott’aceto e coriandolo, ne vorrete un chilo! Accompagnatelo ad un Margarita con mezcal e chiudete in dolcezza con i churros con zucchero al lime accompagnati da crema al cioccolato.
E per entrare nella fiesta in perfetto stile messicano, Taco Tuesday, un nuovo imperdibile appuntamento settimanale dedicato a tacos, birra e musica latina, olè. E per ogni ordine di tacos, la birra la offre Chihuahua Tacos.
Ciliegina sulla torta, a ricreare la vera atmosfera dei più autentici Taco Tuesday, le playlist di Dj Guerrero per ballare a ritmo di cumbia, latin hip hop e reggaeton. Ogni settimana una nuova playlist disponibile sui profili Spotify dei tre locali.
Chihuahua Tacos continua a diffondere la cultura dei Tacos Bar moderni, declinazione “contemporary cool” della cucina messicana che vede protagonisti i tacos. Dalla proposta food and drink, al design, passando per una serie di iniziative, alle quali ora si aggiunge il Taco Tuesday, da Chihuahua Tacos si respira la vera cultura dello street food messicano in chiave gastronomica, grazie alla produzione artigianale, all’utilizzo di nuove tecniche di cucina e a una selezione di prodotti freschi e di alta qualità.
Il menù di Chihuahua Tacos è disponibile anche in versione delivery su tutto il territorio milanese; per ordinare www.chihuahuatacos.com.
Nella splendida location milanese “Penelope a casa“, tra chandelier Swarovski, le eleganti sedute in velluto pastello, e un bancone bar dai dettagli gold, si è aperto il sipario su un grande rum, una edizione limitata di sole 460 bottiglie in tutto il mondo, stiamo parlando di Andrés Brugal.
Una presentazione in food pairing per esperti e addetti al settore, con una eccellenza storica della distilleria dominicana, 134 anni di Brugal, che oggi lancia sul mercato un rum ultra-premium realizzato dalla Maestra Ronera di quinta generazione Jassil Villanueva Quintana, come omaggio allo spirito pionieristico di esplorazione del fondatore Andrés Brugal, e alle generazioni di maestri che hanno viaggiato in tutto il mondo per condividere la passione e la gioia dell’arte liquida di Brugal. Ad aprire il tesoro, Matteo Melara, Brand Ambassador Brugal e volto italiano del marchio da circa tre anni.
Questa è la prima release in assoluto di un blend che fa sposare dei rum invecchiati in double aging e una selezione di due botti di primo riempimento, una ex Bourbon e l’altra ex Sherry Oloroso.
“Questo imbottigliamento simboleggia un viaggio iniziato oltre un secolo fa. Andrés Brugal unisce speciali riserve di famiglia single cask e la nostra tecnica di doppio invecchiamento per raccontare la duplice storia dell’eredità della mia famiglia nella produzione di rum, e la mia come Maestra Ronera”, ha dichiarato Jassil Villanueva Quintana.
Il liquido ambrato, profondo e caldo di Andrés Brugal vanta note ricche di chicchi di caffè tostati e di cacao, alternate alla dolce fragranza del dulce de leche e alla morbidezza burrosa della torta al rum dominicana. Al palato, un’incantevole combinazione di rovere, baccelli di vaniglia e caramello, è impreziosita da bacche mature, note delicate di pepe nero e chiodi di garofano. Il finale secco e persistente è ricco di spezie calde e legnose. Come osserva Jassil Villanueva Quintana, la prima e la più giovane Master of Rum di Brugal dell’intera Repubblica Dominicana, “i sapori tipicamente dominicani si uniscono per creare un liquido straordinario dal carattere sorprendente. Con un naso ricco e una sensazione in bocca arrotondata e di lunga durata, questo rum corposo è una vera celebrazione dei sapori caratteristici di Puerto Plata”.
Andrés Brugal è insieme un tributo ai tesori di Puerto Plata, sua terra natale, e a tutto ciò che ha imparato dalle generazioni che l’hanno preceduta. Stabilitosi nella Repubblica Dominicana dopo aver viaggiato dalla Spagna e da Cuba, Don Andrés Brugal fondò Brugal nel 1888 con i suoi figli. Dapprima coltivarono la canna da zucchero, e poi iniziarono a distillare il rum, sfruttando il calore del sole tropicale per invecchiare in botte, alla ricerca di complessità e sapore. In seguito Don Andrés partì ancora una volta per condividere il meglio del rum dominicano con il mondo, e da allora ogni generazione successiva di Maestros ha seguito le sue orme, imparando la complessa arte della selezione e invecchiamento delle botti, che ha portato alla tecnica tipica del marchio del doppio invecchiamento, prima in botti ex-Bourbon e poi in ex-Sherry Oloroso.
Questa release esclusiva è stata imbottigliata in edizione limitata in un decanter di cristallo soffiato a mano, e ha un packaging ispirato alle iconiche valigie da viaggio utilizzate dai primi Maestros nei loro viaggi. Realizzata in rovere americano, la superficie esterna è incisa con un iconico motivo a rombi che ricorda la rete che avvolge le bottiglie di Brugal, simbolo della necessità di proteggere il prezioso carico. Due segmenti gemelli si ripiegano poi per rivelare il decanter di cristallo soffiato a mano nascosto all’interno, mentre un mare di superfici a specchio circostanti creano un alone di luce riflessa, che illumina il ricco liquido ambrato del rum. Queste superfici sono sottilmente incise con una mappa del mondo, simbolo del percorso verso l’eccellenza di Brugal, iniziato con il primo viaggio di Don Andrés dalla Spagna ai Caraibi. 134 anni dopo, il legame tra generazioni continua, in perenne ricerca della perfezione. Andrés Brugal è la prima delle numerose release ultra-premium previste dal marchio nei prossimi anni.
ANDRES BRUGAL • 2,800 euro per bottiglia • 460 bottiglie disponibili nel mondo • 41.5% ABV
Dietro un grande progetto, c’è sempre un grande uomo. José Eisenberg fondatore del marchio della cosmesi lusso Eisenberg Paris, nato a Bucarest si trasferisce negli Stati Uniti per approfondire i suoi interessi nel campo della tecnologia avanzata e dell’intelligenza artificiale, al Massachussets Institute of Technology.
Arrivato in Italia nella culla del Rinascimento, Firenze, opera nella moda e coltiva la grande passione per la bellezza, l’estetica, il gusto classico, che decide di trasferire infine nel settore cosmesi. E’ in Svizzera che tutt’oggi il marchio Eisenberg si spinge nella ricerca costante in ambito biotecnologia cellulare, uno studio che ha portato alla scoperta della combinazione di 3 molecole (tra le 30.000 esistenti) che riportano alla pelle memoria cellulare. La Formula Trio-Moleculaire® si compone di:
enzimi, che eliminano le cellule morte citochine, che agiscono sui recettori per attivare reazioni vitali biostimoline, che ossigenano la pelle e favoriscono la sintesi di collagene ed elastina.
Dopo 15 lunghi anni di ricerca, il 2000 è l’anno che vede la concretizzazione di un grande progetto innovativo in ambito cosmetico, dove armonia, bellezza, ricerca scientifica e tecnologia, le grandi passioni del fondatore, si fondono in una linea che non smette mai di guardare al futuro e di regalare l’illusione dell’eterna giovinezza sognata da tutte le donne.
Skincare, profumeria artistica prodotta a Grasse, ed oggi la nuova linea make-careLes Essentiels Le Maquillage, il make up che non scorda di prendersi cura della pelle, ricordandoci che un buon make up si ottiene solo da un’ottima base.
Formule high-tech e ingredienti naturali, estratto di uva, estratto di calendula per combattere i radicali liberi, estratto di melograno dalle proprietà anti-ossidanti e olio di mandorle dolci per lenire e idratare la pelle.
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