Tuorlo, un concept dove il food & beverage è protagonista, un magazine che racconta gli attori della cucina nazionale e non, una squadra di persone appassionate, ha presentato “OroMonferrato” nel suo spazio “House of Mediterraneo“.
Nella grande sala dove la tavola parla, Tuorlo ha messo in scena la nuova scalata comunicativa del Nord Astigiano, un piano di promozione turistica di alto profilo realizzato in collaborazione con VisitPiemonte, Ente Turismo Langhe Monferrato Roero, Fondazione Piemonte dal Vivo promosso dalla Regione Piemonte.
“OroMonferrato” è il racconto delle eccellenze del territorio attraverso eventi culturali, gastronomici, spettacoli e mostre; un’area meravigliosa il Monferrato, della nostra amata terra, dove ben 47 comuni che vanno dal Moncalvese alla Valle Versa, ricca di importanti tracce storiche e culturali del Paleontologico e del Romanico, si apre ai progetti digitali e ai nuovi metodi di comunicazione.
Eccezionalmente per la serata, lo chefTommaso Zoboli premiato come miglior chef under 30 del 2021, ha ideato un menu che valorizzasse i prodotti del territorio, con piccole contaminazioni dal mondo. Per iniziare pani puri croccanti, battuta di Madama Piemontese, bagna cauda fumée, lingua di gatto salata, toma e tartufo nero. Il tartufo, fungo ipogeo che ha colorato d’oro il Nord Astigiano, soprattutto per il tartufo bianco. Carpaccio di tonno rosso e vitello, salsa tamago, capperi e tartufo bianco come antipasto e i plin, un primo tipico piemontese originari della zona del Monferrato, ripieni di tortellino e panna bruciata, e un brodo speziato di manzo, del colore dello spazio, un blu brillante ottenuto da polvere di fiori thailandesi. E’ un viaggio nelPiemondo, il bagaglio gastronomico di una terra ricchissima come il Piemonte, che si lascia accarezzare da altrettante eccellenze culinarie dal mondo. Come secondo un fritto misto alla piemontese composto da cotechino, zucca, mela, animella, salsa chimichurri e tartufo bianco, e il dolce, il “Tra bacio di dama e Bonet”, è il connubio tra i dolci prediletti dallo chef, Bonet e bacio di dama, una bocca golosa di pasta di nocciole, e tartufo nero, “il bacio di ritorno a casa“.
“OroMonferrato” è un viaggio di memoria, atto a rendere indelebile le sue bellezze. Da Albugnano (con la splendida abbazia romanico-gotica di Santa Maria di Vezzolano) a Cocconato (uno dei Borghi piemontesi più belli d’Italia), da Castagnole Monferrato (con le vigne di prezioso Ruchè) a Castelnuovo Don Bosco (luogo natio del celebre santo sociale fondatore dei Salesiani) fino a Penango (sede di un ristorante stella Michelin), quello del Nord Astigiano è un mondo colmo di attrattive, legato al tartufo estivo e al tartufo bianco e immerso in paesaggi di dolci colline e aree boschive, da scoprire con lentezza godendo di un’autenticità rara, preziosa ed elegante.
La direzione strategica e creativa del progetto è di Paolo Iabichino, conosciuto come Iabicus, scrittore pubblicitario, direttore creativo, fondatore dell’Osservatorio Civic Brands con Ipsos, Maestro alla Scuola Holden. «OroMonferrato – spiega Iabichino – racconta la storia di un territorio e di una comunità ancora non toccati dalle grandi rotte del turismo internazionale. Grazie a un intreccio di elementi che hanno saputo coniugare alcune unicità, impossibili da trovare altrove, siamo riusciti ad esprimere una straordinaria alchimia di coordinate narrative. La nostra -prosegue – è una destinazione che non può far leva su coordinate già note, semplicemente perché quel tipo di racconto non appartiene a questi luoghi. Ed è per questo che abbiamo scelto la metafora dell’oro. Elemento raro e prezioso che non si trova facilmente ma che porta con sé un carisma ricco di esclusività e di lenta riscoperta».
Chihuahua Tacos porta in Italia il Taco Tuesday, il martedì a Milano non sarà più lo stesso
Un passato nel settore moda, appassionato viaggiatore, vive per un periodo tra Messico e Africa Orientale, ma decide di lasciare il mondo effimero ed impalpabile della moda, per dedicarsi alla sostanza del food & beverage, Alessandro Longhin, co-fondatore del Botanical Club, Champagne Socialist e Forno Collettivo, intraprende una nuova sfida professionale con Chihuahua Tacos, la taqueria e Mexican Bar di Milano che è già a quota 3 location:
viale Col di Lana, via Sciesa e via Sarpi.
La parola d’ordine è Tacos e tanto divertimento, lo street food più goloso che ci sia sulla tavol…ah no, tra le vostre mani (perché qui ci si deve sporcare per godere di più) con patate novelle schiacciate e fritte servite con mayonese di chili Morita e lime; agnello cotto in marinatura messicana, salsa verde borracha, coriandolo, crema e cipolla rossa sott’aceto; ma quello che vi creerà dipendenza è il Camarones, taco con gamberi alla plancha, mayo al lime, cavolo bianco, pico de gallo, cipolla morada sott’aceto e coriandolo, ne vorrete un chilo! Accompagnatelo ad un Margarita con mezcal e chiudete in dolcezza con i churros con zucchero al lime accompagnati da crema al cioccolato.
E per entrare nella fiesta in perfetto stile messicano, Taco Tuesday, un nuovo imperdibile appuntamento settimanale dedicato a tacos, birra e musica latina, olè. E per ogni ordine di tacos, la birra la offre Chihuahua Tacos.
Ciliegina sulla torta, a ricreare la vera atmosfera dei più autentici Taco Tuesday, le playlist di Dj Guerrero per ballare a ritmo di cumbia, latin hip hop e reggaeton. Ogni settimana una nuova playlist disponibile sui profili Spotify dei tre locali.
Chihuahua Tacos continua a diffondere la cultura dei Tacos Bar moderni, declinazione “contemporary cool” della cucina messicana che vede protagonisti i tacos. Dalla proposta food and drink, al design, passando per una serie di iniziative, alle quali ora si aggiunge il Taco Tuesday, da Chihuahua Tacos si respira la vera cultura dello street food messicano in chiave gastronomica, grazie alla produzione artigianale, all’utilizzo di nuove tecniche di cucina e a una selezione di prodotti freschi e di alta qualità.
Il menù di Chihuahua Tacos è disponibile anche in versione delivery su tutto il territorio milanese; per ordinare www.chihuahuatacos.com.
Nella splendida location milanese “Penelope a casa“, tra chandelier Swarovski, le eleganti sedute in velluto pastello, e un bancone bar dai dettagli gold, si è aperto il sipario su un grande rum, una edizione limitata di sole 460 bottiglie in tutto il mondo, stiamo parlando di Andrés Brugal.
Una presentazione in food pairing per esperti e addetti al settore, con una eccellenza storica della distilleria dominicana, 134 anni di Brugal, che oggi lancia sul mercato un rum ultra-premium realizzato dalla Maestra Ronera di quinta generazione Jassil Villanueva Quintana, come omaggio allo spirito pionieristico di esplorazione del fondatore Andrés Brugal, e alle generazioni di maestri che hanno viaggiato in tutto il mondo per condividere la passione e la gioia dell’arte liquida di Brugal. Ad aprire il tesoro, Matteo Melara, Brand Ambassador Brugal e volto italiano del marchio da circa tre anni.
Questa è la prima release in assoluto di un blend che fa sposare dei rum invecchiati in double aging e una selezione di due botti di primo riempimento, una ex Bourbon e l’altra ex Sherry Oloroso.
“Questo imbottigliamento simboleggia un viaggio iniziato oltre un secolo fa. Andrés Brugal unisce speciali riserve di famiglia single cask e la nostra tecnica di doppio invecchiamento per raccontare la duplice storia dell’eredità della mia famiglia nella produzione di rum, e la mia come Maestra Ronera”, ha dichiarato Jassil Villanueva Quintana.
Il liquido ambrato, profondo e caldo di Andrés Brugal vanta note ricche di chicchi di caffè tostati e di cacao, alternate alla dolce fragranza del dulce de leche e alla morbidezza burrosa della torta al rum dominicana. Al palato, un’incantevole combinazione di rovere, baccelli di vaniglia e caramello, è impreziosita da bacche mature, note delicate di pepe nero e chiodi di garofano. Il finale secco e persistente è ricco di spezie calde e legnose. Come osserva Jassil Villanueva Quintana, la prima e la più giovane Master of Rum di Brugal dell’intera Repubblica Dominicana, “i sapori tipicamente dominicani si uniscono per creare un liquido straordinario dal carattere sorprendente. Con un naso ricco e una sensazione in bocca arrotondata e di lunga durata, questo rum corposo è una vera celebrazione dei sapori caratteristici di Puerto Plata”.
Andrés Brugal è insieme un tributo ai tesori di Puerto Plata, sua terra natale, e a tutto ciò che ha imparato dalle generazioni che l’hanno preceduta. Stabilitosi nella Repubblica Dominicana dopo aver viaggiato dalla Spagna e da Cuba, Don Andrés Brugal fondò Brugal nel 1888 con i suoi figli. Dapprima coltivarono la canna da zucchero, e poi iniziarono a distillare il rum, sfruttando il calore del sole tropicale per invecchiare in botte, alla ricerca di complessità e sapore. In seguito Don Andrés partì ancora una volta per condividere il meglio del rum dominicano con il mondo, e da allora ogni generazione successiva di Maestros ha seguito le sue orme, imparando la complessa arte della selezione e invecchiamento delle botti, che ha portato alla tecnica tipica del marchio del doppio invecchiamento, prima in botti ex-Bourbon e poi in ex-Sherry Oloroso.
Questa release esclusiva è stata imbottigliata in edizione limitata in un decanter di cristallo soffiato a mano, e ha un packaging ispirato alle iconiche valigie da viaggio utilizzate dai primi Maestros nei loro viaggi. Realizzata in rovere americano, la superficie esterna è incisa con un iconico motivo a rombi che ricorda la rete che avvolge le bottiglie di Brugal, simbolo della necessità di proteggere il prezioso carico. Due segmenti gemelli si ripiegano poi per rivelare il decanter di cristallo soffiato a mano nascosto all’interno, mentre un mare di superfici a specchio circostanti creano un alone di luce riflessa, che illumina il ricco liquido ambrato del rum. Queste superfici sono sottilmente incise con una mappa del mondo, simbolo del percorso verso l’eccellenza di Brugal, iniziato con il primo viaggio di Don Andrés dalla Spagna ai Caraibi. 134 anni dopo, il legame tra generazioni continua, in perenne ricerca della perfezione. Andrés Brugal è la prima delle numerose release ultra-premium previste dal marchio nei prossimi anni.
ANDRES BRUGAL • 2,800 euro per bottiglia • 460 bottiglie disponibili nel mondo • 41.5% ABV
Dietro un grande progetto, c’è sempre un grande uomo. José Eisenberg fondatore del marchio della cosmesi lusso Eisenberg Paris, nato a Bucarest si trasferisce negli Stati Uniti per approfondire i suoi interessi nel campo della tecnologia avanzata e dell’intelligenza artificiale, al Massachussets Institute of Technology.
Arrivato in Italia nella culla del Rinascimento, Firenze, opera nella moda e coltiva la grande passione per la bellezza, l’estetica, il gusto classico, che decide di trasferire infine nel settore cosmesi. E’ in Svizzera che tutt’oggi il marchio Eisenberg si spinge nella ricerca costante in ambito biotecnologia cellulare, uno studio che ha portato alla scoperta della combinazione di 3 molecole (tra le 30.000 esistenti) che riportano alla pelle memoria cellulare. La Formula Trio-Moleculaire® si compone di:
enzimi, che eliminano le cellule morte citochine, che agiscono sui recettori per attivare reazioni vitali biostimoline, che ossigenano la pelle e favoriscono la sintesi di collagene ed elastina.
Dopo 15 lunghi anni di ricerca, il 2000 è l’anno che vede la concretizzazione di un grande progetto innovativo in ambito cosmetico, dove armonia, bellezza, ricerca scientifica e tecnologia, le grandi passioni del fondatore, si fondono in una linea che non smette mai di guardare al futuro e di regalare l’illusione dell’eterna giovinezza sognata da tutte le donne.
Skincare, profumeria artistica prodotta a Grasse, ed oggi la nuova linea make-careLes Essentiels Le Maquillage, il make up che non scorda di prendersi cura della pelle, ricordandoci che un buon make up si ottiene solo da un’ottima base.
Formule high-tech e ingredienti naturali, estratto di uva, estratto di calendula per combattere i radicali liberi, estratto di melograno dalle proprietà anti-ossidanti e olio di mandorle dolci per lenire e idratare la pelle.
E tra le donne ritratte alle pareti, le eleganti e flessuose statue di Rodin, una preziosa collezione di stilografiche e dei piccoli Picasso, la sede Eisenberg partorisce una linea d’eccezione, dove il make up diventa un piacere ma soprattutto diviene alleato della tua pelle. Con oltre 20 anni di esperienza nel mondo della bellezza e della ricerca scientifica, l’expertise di EISENBERG è pronta a presentare la sua collezione con tutte le novità make-care, formulazioni hight tech al servizio della bellezza.
PERFECTEUR TEINT EXPRESS
Si stende prima del fondotinta e dopo la corretta idratazione, è una base, un’emulsione perfetta che leviga la pelle, nasconde i pori e le piccole imperfezioni donando un effetto velvet.
FOND DE TEINT CORRECTEUR INVISIBLE
Il fondotinta dalla texture ultra leggera che si fonde con l’incarnato senza lasciare macchie; assicura una tenuta impeccabile che dura tutto il giorno, per donne impegnate che non hanno tempo per i ritocchi. Disponibile in diverse tonalità; si possono miscelare tra loro per avere il colorito perfetto.
CORRECTEUR PRECISION
E’ morbido come una crema e si stende perfettamente con l’apposito stick. Il correttore Eisenberg nasconde le occhiaie senza lasciare quei terribili residui sul contorno occhi dei correttori densi. Dona un incarnato fresco, naturale e riposato.
POUDRE LIBRE EFFET FLOUTANT & ULTRA-PERFECTEUR
Una polvere libera ultra sottile per un aspetto impeccabile e matte dal finish naturale.
POUDRE LIBRE EFFET FLOUTANT & ULTRA-PERFECTEUR è formulata con polvere di linfa ricavata dal gambo di Bamboo che trattiene sudore e sebo in eccesso mentre il complesso rivitalizzante idrata, previene la formazione di radicali liberi e rivitalizza la pelle restituendole luminosità
Disponibile in 2 shades.
MASCARA DEìFINITION SOURCILS & BASE POUR LES CILS
Un mascara 2 in 1 che definisce visibilmente e intensifica il volume di ciglia e sopracciglia.
MASCARA DEFINITION SOURCILS & BASE POUR LES CILS è formulato con estratto di Lupino Bianco dalle proprietà rivitalizzanti e fibre di Nylon che aderiscono alle ciglia e sopracciglia per un effetto 3D. Le sopracciglia sono definite e volumizzate. Le ciglia appaiono piuÌ lunghe e folte, pronte per l’applicazione del mascara. Perfetto per un aspetto naturale e una definizione impeccabile.
Disponibile in 3 shades.
J.E.ROUGE
Un rivoluzionario rossetto per labbra sane e dal colore intenso.
J.E. ROUGE® è ricco di proprietà nutritive date dall’estratto di fiori di Orchidea e di proprietà antiossidanti grazie alla Vitamina E che donano alle labbra idratazione e comfort. Dona alle labbra un colore intenso e leggermente brillante, come fosse una seconda pelle.
Leader mondiale dell’automotive, è il brand delle hypercars da sogno. Macchine futuristiche, dai 2 ai 20 milioni di euro, e sono nate dalla mente di un bambino che già a 10 anni le scolpiva nel legno: è il genio di Horacio Pagani, grande appassionato di scienza, design e studioso di Leonardo Da Vinci. Oggi Pagani Automobili produce dalle 40 alle 50 macchine l’anno, e sono destinate a uomini e donne che possono concedersi il lusso del collezionismo d’auto. Sono oggetti totalmente artigianali, il più piccolo bullone è brandizzato e viene lavorato a mano. Pagani non è solo un brand di successo mondiale, è la storia di un grande uomo che partito dalle pampas argentine è arrivato in Italia con una tenda e un grande sogno nel cassetto, è un messaggio universale che ci sprona a pensare in grande e ci aiuta a credere in noi stessi.
Che cosa sognava Horacio Pagani da bambino? Ho avuto fin da ragazzino una passione molto forte per l’arte e una grande curiosità per le materie artistiche e ho trovato nell’automobile, nonostante abitassi in mezzo alla pampa dove non c’era né cultura automobilistica né di design, un oggetto dove queste discipline potessero convivere e stare insieme. È a 13 anni che lessi la mia stessa convinzione su un articolo del mensile Reader’s Digest che citava Leonardo da Vinci; due paginette che raccontavano l’arte e la scienza come due discipline che possono camminare mano nella mano; è stato illuminante e mi ha condotto all’approfondimento di altre arti come il disegno e la musica, spinto anche da mia madre, la vera artista di casa. Iersera, a cena con il CEO di Ferrari, Benedetto Vigna, ricordavo di aver scoperto le supercar in bianco e nero, quelle che un tempo chiamavamo GT, attraverso una rivista argentina e la tv dove ammiravo Maserati, Lamborghini, ma i colori erano solo nella mia immaginazione.
All’interno del Museo Horacio Pagani di San Cesario sul Panaro, sono esposti dei modellini in legno che lei aveva scolpito e lavorato da bambino, a che età? Avevo 10 anni e impressi nella memoria i modelli di macchine modenesi, inglesi, le Jaguar e cercavo di disegnarli sui fogli a quadretti che usavo a scuola e successivamente riprodurli con i materiali che avevo a disposizione, come il legno balsa o una lattina di Nesquik, materiali di un bambino.
Da dove trae ispirazione per i modelli Pagani? Una personalità curiosa osserva tutto e il design è la somma di altre materie, tecniche ed artistiche. La mia era una famiglia umile, papà fornaio e mamma una donna con grande manualità, per noi faceva i vestiti su misura che se non abbinavamo bene per colori erano guai; avevamo due paia di scarpe, uno per fare ginnastica e l’altro in pelle per tutti i giorni; la casa, seppur semplice, era sempre perfetta nei dettagli, per cui l’estetica è dna materno, mentre il rigore, la disciplina, il senso di sacrificio nel lavoro, quello arriva da mio padre.
Facendo un passo avanti negli anni, lei inizia a lavorare per l’azienda Lamborghini, che ruolo ricopriva? Operaio di terzo livello nel reparto carrozzeria. Avrei dovuto essere assunto come designer ma il periodo di grande crisi non permetteva la partenza del progetto, nonostante io in Argentina all’età di 21 anni, avessi già creato un’automobile. Era una grande opportunità e arrivai in Italia con Cristina, mia moglie, che all’epoca aveva solo 19 anni e si mise alla ricerca di qualsiasi lavoro in attesa che io potessi entrare in azienda. Ero sempre il primo ad entrare la mattina e l’ultimo ad uscire la sera, sabato compreso; ho cercato di dare il meglio e sono stato ricambiato.
Appena è arrivato in Italia lei viveva in una tenda, è corretto? Appena arrivati in Italia si, poi quando ho iniziato a lavorare per Lamborghini ci siamo trasferiti in un appartamento.
E’ vero che lei ancora oggi arriva nella sua azienda con la felpa firmata Lamborghini? Vero, ma non solo Lamborghini, anche Ford, Ferrari, io amo le macchine, ma soprattutto ho una forte riconoscenza verso anni meravigliosi a cui mi legano importanti ricordi.
Cosa rappresenta per lei l’automobile? La mia vita. L’automobile possiede un’anima, perché dietro quell’oggetto c’è la passione di chi l’ha creata, gli enormi sacrifici, la tenacia, la perseveranza. Guidare una Ferrari significa capire lo sforzo di Enzo Ferrari e lo stesso vale se si è a bordo di una Lamborghini e del mondo legato alla tauromachia di Ferruccio, il suo fondatore.
In cosa si differenzia nella Motor Valley il brand Pagani, oltre a costruire un’auto totalmente artigianale? Maserati ha più di cent’anni, Ferrari ne ha 75 e produce diecimila auto l’anno, Maserati ne fabbrica di più, sono cresciute nel tempo, noi invece siamo rimasti una ditta artigiana dove l’automobile si crea con le mani, con le persone, il più piccolo bullone viene rivisto e limato da un uomo e la nostra produzione conta una macchina alla settimana. Non siamo più bravi degli altri, semplicemente possiamo dedicare più tempo alla creazione, e seguire ogni singolo cliente perché facciamo numeri piccoli.
Quante auto vengono prodotte in un anno? Secondo la complessità dell’automobile, dalle 40 alle 50 macchine.
E’ vero l’aneddoto (molto divertente) che la vede intento a inscenare una finta impresa con tanti operai, che erano in realtà suoi amici vestiti della divisa Pagani, per cercare di ottenere qualcosa da Mercedes? Un teatrino divertente per convincere Mercedes a darci il motore, due addetti dell’azienda tra cui un esperto in motore e uno in telai e noi quattro gatti in un capannoncino a Sant’Agata, rinforzati da vicini e amici a cui ho dato un camice con logo Pagani, ed eccoci qua.
Chi è il vostro cliente tipo? Venti anni fa poteva avere circa 50 anni, perché una Pagani costava tre volte tanto un’auto; oggi l’età media si è abbassata, ci sono giovani imprenditori, commercianti, industriali, molti di questi partiti da zero, che oggi si coccolano con supercar e velocità.
Sono auto da collezione? Esistono i due estremi, c’è chi le usa tantissimo, quasi ogni giorno in strada, d’altronde sono molto facili da guidare, e c’è chi le tiene come oggetti preziosissimi da collezione. Un cliente di Hong Kong aveva acquistato 4 Pagani e aveva creato una sorta di garage, una serra tutta in vetro così da casa poteva vedere il giardino e le sue auto tutte km 0. Per un’occasione organizzammo un piccolo raduno un weekend e io portai una mia macchina personale, questo signore per partecipare tirò fuori una delle auto e la usò per fare questi 400 km, però dopo la vendette e si comprò un’altra macchina a km 0 perchè le voleva avere tutte intatte. Invece oggi è arrivata una Pagani che avrà 3 anni, per fare il tagliando degli 80.000 Km. Ecco gli estremi.
Un collezionista puro è facile che voglia conservare i propri oggetti intatti, c’è forse una forma di rispetto In garage ho una Porsche che appartiene ad una serie di cui ne esistono solo 76 al mondo, qualche giorno fa l’ho tirata fuori per posizionarla sotto alla finestra e mi sono accorto di non averla mai messa in moto; mi sono seduto e non vedevo neanche fuori dal finestrino perché il sedile era troppo basso, non l’avevo mai guidata, me ne sono accorto facendo quei 20 metri. Però è bello anche questo.
Che cosa legge? Mi piacciono moltissimo le biografie, le autobiografie, la storia. Ora sto leggendo la vita di Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, lo sto divorando, ce l’ho in macchina e credo lo finirò prima del weekend. E poi amo leggere e studiare la vita di Leonardo, figura onnipresente nella mia vita, possiedo una delle collezioni di libri più complete al mondo su Leonardo, divisa in 4 biblioteche.
Avete presentato in anteprima mondiale il terzo modello di Pagani, a Milano presso il Museo della Scienza; quanto anche in questo nuovo progetto è coinvolto il genio di Da Vinci? Leonardo è stato il mio mentore fin da bambino, è presente nella vita di tutti noi, quando passeggiamo per le vie di Milano che anche lui ha vissuto nel suo periodo più florido. La presentazione del terzo modello Pagani, frutto di un lavoro di 7 anni, è avvenuta nella Sala del Cenacolo, per omaggiarlo in qualche modo. Il 2023 festeggeremo i 25 anni di storia e questo terzo modello per noi è un passaggio molto importante.
Il terzo modello Pagani è molto diverso dai primi due? Si, una macchina totalmente nuova a cui abbiamo dedicato 7 anni, un’allure romantica, che richiama un poco i ’60-’70 , ha colori e interni in pelle diversi dalle prime, anche se le linee devono sempre rispettare la natura Pagani.
Che cosa l’ha ispirata? Le ispirazioni sono sempre le belle donne, nella bellezza, nell’eleganza, nello charme; la donna ha molto carattere in questo secolo.
Chi è Horacio Pagani nella vita privata? Un lavoratore, un sognatore, cerco di fare quello che mi piace, cerco di gestire una ditta che ha 180 dipendenti e la responsabilità di 180 famiglie. Mi alzo la mattina con tanta voglia di fare, ma ho le stesse paure che hanno tutti gli esseri umani, e quando ci sono dei momenti brutti la notte diventa infinita, ma per fortuna riesco sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno. Sono un’ottimista, figlio di un fornaio e partito tre piani sotto terra.
Che cos’è la felicità? Un percorso, come la sofferenza o la tristezza. La vita è un grande esperimento, non c’è niente di certo, per esempio questo tetto ci potrebbe cadere in testa anche fra 5 minuti, per questo siamo vicini alla porta d’emergenza e in questo esperimento che è la vita, il tuo dovere è cercare di essere più felice possibile, per onorarla. E la nostra vita segue i ritmi della natura, dove convivono il giorno e la notte, e la seconda è fatta di paure e incertezze, si cammina nel buio, però fortunatamente arriva sempre il giorno e con lui la luce. Per cui anche la sofferenza, la tristezza, il dolore, sono necessari per dare valore al giorno, alla gioia, alla felicità.
La sua paura più grande? Mah vedi alla mia alla mia età la paura più grande è che i miei dipendenti rimangano senza lavoro; l’età media in azienda è 33 anni e il mercato dell’automotive più di una volta ci ha fatto tremare e temere per questi ragazzi, i loro bambini e le rispettive famiglie. La morte non mi spaventa.Personalmente ho tutto quello che mi serve, mi basta davvero poco, se ho una bicicletta e delle scarpe comode per venire al lavoro per me è sufficiente e anche la mia famiglia in questo è simile a me.
Domanda di rito,quanto è Snob Horacio Pagani? Io non credo di essere tanto Snob, ho scelto questo lavoro e questo prodotto perchè mi appassionava. Se al passaggio delle nostre macchine tutti si girano per guardarle, perchè sentono il rombo del motore o vedono una linea speciale, è come se mi voltassi per guardare una bella donna, ma quella donna posso definirla Snob? No, è solo bella.
La nostra video intervista a Horacio Pagani
Intervista del direttore: Miriam De Nicolò Regia: Giovanni Piscaglia Dop: Giuseppe Campo
SNOB (Non per tutti) nasce dall’esigenza di un ritorno al bello e alla verità; SNOB è il nuovo progetto editoriale, frutto di quattro professionisti del settore che credono nell’importanza della cultura come equilibrio tra immagine e parola. Ma chi è lo SNOB che spesso sfugge alle etichette? Il professore di Oxford Jasper Griffin, uno dei massimi filologi classici viventi, ne ha raccolti alcuni nel libro che porta il nome del nostro giornale, da Virginia Woolf a P. G. Wodehouse, da Elsa Maxwell a Marcel Proust, ça va sans dire. E questi personaggi hanno certamente qualcosa di unico, identitario, riconoscibile e magnetico. È a loro che ci ispiriamo ed è dalla società anestetizzante dei social network che fuggiamo, questa piaga sociale del brutto, dell’identico, del copia e incolla. Non siamo un tutto materialmente costruito, per questo è fondamentale prendere coscienza e conoscenza di ciò che ci circonda, delle cose del mondo e scrivere il nostro testamento sociale, creare la nostra personalità distinta dagli altri. L’intenzione di SNOB è certamente quella di ridurre la banalità sostituendola con l’arte, la musica, la psicologia, la fotografia, le storie di successo di grandi imprenditori che spronano a fare meglio e producono sano entusiasmo, la verità delle persone dietro ai personaggi. SNOB cerca di dare spessore agli argomenti trattati, per esercitare sullo spirito di tutti i lettori un influsso benefico rendendo democratici concetti che possono apparire astrusi e lasciando la parola agli esperti in materia, che possano raccontare un argomento con parole semplici. SNOB Non per tutti vuole essere per tutti.
SNOB crede nella potenza del sapere e nella forza della parola, riporta al piacere della lettura, certi che ne gioverete nella conversazione e che possiate appropriarvi di questo mezzo di carta per farlo vostro, usarlo, e sfruttarlo.
SNOB è digital e printed, vuole essere neutro, per questo tratta sempre argomenti contrapposti, che in questo numero saranno EROS ed ETHOS. Abbiamo intervistato Asia Argento che racconterà la sua nuova rinascita; siamo stati con Maurizio Lombardi che ci ha svelato passioni, emozioni e paure; abbiamo conosciuto Don Daniele, un giovane sacerdote che ha svelato un passato da erotomane e si è riscoperto votato al Signore; abbiamo raccolto le storie dei più grandi imprenditori italiani nel mondo, tra cui Horacio Pagani, creatore di supercar da collezione, pezzi unici totalmente artigianali, che ha riportato le difficoltà incontrate all’inizio dell’attività imprenditoriale.
Swann, un personaggio de “La Recherche”, diceva: “Quel che rimprovero ai giornali è di farci prestare attenzione ogni giorno a cose insignificanti, mentre non leggiamo che tre o quattro volte in tutta la vita i libri dove ci sono cose essenziali”, ecco noi vorremmo regalarvi con questi numeri da collezione, che avranno cadenza semestrale, quei libri che lasciano il segno; c’è chi troverà le risposte dentro un’intervista, chi tra le parole di un musicologo, chi tra le pieghe di un abito di seta, noi promettiamo di fare sempre del nostro meglio e regalarvi argomenti e persone interessanti, provando ad entrare un poco nelle loro vite per imparare qualcosa, perché sposiamo ciò che diceva Michelangelo: “Io sto ancora imparando”.
E’ sul set, si muove leggera, leggerissima, le mani sottili, il corpo che si flette come attraversato da un soffio di vento, si capisce subito l’impostazione della ballerina classica, il capello disciplinato, un intervallo di eleganza nello spazio che occupa, la consapevolezza precisa del corpo, quasi davanti a sé avesse uno specchio. Carica di una sorta di individualità gli abiti che indossa, li anima, li fa vivi. Anche i più apparenti fronzoli diventano necessari, un’arte che può apprendere solo chi posa da molto tempo ed è il caso di Laura Morino, ex musa del grande fotografo italiano Giovanni Gastel, nota socialitè oltre che pr milanese.
Inizia la carriera come modella per poi fondare la sua agenzia di comunicazione ed eventi, un lavoro dove la città si fa corpo, contiene l’essenza delle sue infinite personalità, gli eventi di una Milano che tanto ama, la corsa contro la sedentarietà e le corse di un luogo che non si ferma mai.
A pranzo insieme al team di redazione, Laura non si risparmia, è schietta come uno spaghetto al pomodoro, come una nuova conoscenza che vuol piacere ma che mette subito le carte in tavola, piaccia o non piaccia.
INTERVIEW: MIRIAM DE NICOLÒ PHOTO: ALBERTO ALAGGIO STYLING: VALERIA ALAGGIO ART DIRECTOR: ROBERTO DA POZZO MAKEUP AND HAIR: FRANCESCA BECHI STUDIO: MENOUNO
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Laura quanto la bellezza ti ha aiutato e quanto invece ti ha ostacolato? Da modella mi ha certamente agevolato, anche se non mi ritengo bella ma una persona normalissima solo un poco più alta della media. Nei rapporti, soprattutto con le donne, è stato un percorso a ostacoli perché si sa, l’invidia è femminile. Le pseudoamiche, come le chiamo io, vengono dapprima attratte dalla popolarità, dagli ambienti che frequento, ma se un fotografo ad una festa immortala me e non loro, scatta la competizione e i rapporti si sgretolano. L’invidia è un modus vivendi degli eterni insoddisfatti.
Che rapporto hai con queste donne? L’immagine della nostra persona è talmente impreziosita dall’aura dello spettacolo che ciascuno si figura qualcuno che noi non siamo. Per cui credono di conoscerci, alcune ci compiacciono, vedono solo l’oro, ciò che luccica, ma l’autenticità è qualcosa che va scoperto guardando oltre, va approfondito. Anni fa, quando questi rapporti terminavano, ci rimanevo male, fortunatamente il tempo porta anche saggezza e mi sono allontanata da un sentimento che non mi appartiene, l’invidia. Per le cattiverie invece non sono riuscita ancora riuscita a farmi la pellaccia.
Viviamo davvero in un paese patriarcale e maschilista? Per quanto si dica il nostro è un paese ancora patriarcale e maschilista. Fortunatamente ho incontrato sempre persone che hanno capito il mio lavoro, ma che soprattutto hanno rispettato la mia indipendenza, da buon Sagittario mi regala la sensibilità. Sono molto fedele anche in ambito lavorativo, creativa ma radicata nelle mie scelte. Il mio ascendente mi regala la sensibilità acuta che ha caratterizzato tutto il dualismo della mia vita, da un lato la voglia di viaggiare, di scoprire, di essere libera, dall’altro l’appartenenza alla famiglia e la voglia di ritornare dagli affetti.
Sei così anche nella vita sentimentale? Adriano è il mio attuale compagno, una relazione che dura da 25 anni e che considero come un matrimonio. Il mio prima è durato dieci anni, dai 22 ai 32, facevo ancora la modella, ma evidentemente le divergenze caratteriali erano troppo forti.
Perchè Adriano ti ha scelta? Ci siamo conosciuti da adulti, io avevo 34 anni, lui 52, una cena combinata da due coppie di amici. Alle mie spalle una storia di due anni molto problematica, per cui non ne volevo sapere di uomini, ma è evidente che il destino ha prevalso perché da quella sera Adriano ed io non ci siamo più separati: è venuto a vivere da me il giorno dopo! La mattina dopo il primo appuntamento mi fece recapitare a casa un fascio enorme di rose, 19 per l’esattezza, un numero assolutamente insolito da regalare, ed è da sempre il mio numero fortunato.
E tu cosa cerca in un rapporto di coppia? Io sono una coccolona, anche se tengo a mantenere sempre la mia indipendenza, ma non è indispensabile per me avere accanto un uomo se il rapporto non si basa su valori e legami fortissimi. Sposo sempre il detto “meglio sola che male accompagnata”.
Cappello in paglia MONTEGALLO ALICE CATENA Camicia MAISON ALBINO Gonna nera lucida GILBERTO CALZOLARI Anello MESSIKA
Il segreto di un rapporto duraturo? Il rispetto reciproco, il saper accettare l’altro in tutte le sue sfaccettature vincendo le generali leggi dell’abitudine. E poi il piacere sta nel viaggio.
Dovessi descriverti con tre aggettivi? Sensibile, solare, seria.
La scelta di non avere figli è stata motivata dal lavoro? Lo è stata nella prima parte della mia vita, facendo la modella non potevo nemmeno prenderlo in considerazione. A 32 anni, un matrimonio finito, i figli non arrivavano ed oggi è il mio compagno a non volerne, lui che è già padre di una figlia avuta da una relazione precedente. C’è stato un periodo in cui mi dispiaceva un poco, vedendo le mie amiche madri, ma un figlio si fa in due ed è poco corretto andare contro le volontà di Adriano. Complice il fatto che non ho mai avuto un forte spirito materno, oggi mi dico che forse è stato meglio così, perchè il mondo attuale non garantisce un livello di serenità che i giovani meriterebbero.
Che cosa sogni? Non li ricordo mai al mio risveglio, ma da bambina sognavo spesso di volare.
Di cosa hai paura? Non della morte, ma della malattia e della sofferenza.
Che cosa ti piace leggere? Il lavoro mi tiene spesso incollata al maledetto computer, mattina e sera, ma non mi sono mai convertita agli ebook, mi piace ancora sfogliare la carta e sentirne l’odore.
La tua giornata tipo? Mi alzo verso le 9, che per molti è tardi ma per me è presto, passo in ufficio che è un’estensione di casa mia e mi metto al lavoro. Facendo principalmente pubbliche relazioni mi trovo ad essere spesso fuori, io poi sono un animale notturno, adoro la notte, la luna, le stelle e quindi faccio molto tardi la sera, orari veramente improponibili, dormo pochissimo.
Affianchi da tempo la Lega Nazionale per la difesa del cane,questo legame con gli animali da dove deriva? Gli animali sono i mei bambini, io sono figlia unica e a 5 anni volevo un cane con tutta me stessa, ma sono riuscita ad averlo solo a 36. I mei erano troppo impegnati ed io troppo piccola per prendermene cura, così oggi con una casa grande, un cortile e tanto amore, non sono mai soli. La Vicepresidenza della Lega per il cane, sezione di Milano, che ricopro oggi, è un mezzo per applicare le mie competenze e raccogliere fondi a favore di questi esseri meravigliosi. I miei due cagnolini sono dei trovatelli, arrivano da Altamura e fanno parte della famiglia, un amore incondizionato il loro, che non chiede niente in cambio.
Pro o contro la chirurgia plastica? Siamo rimaste in poche ad essere come mamma ci ha fatte; io sono agofobica per cui sono talmente terrorizzata che non faccio nemmeno iniezioni e non potrei minimamente modificare il mio aspetto anche per questo motivo.
Domanda di rito Laura, quanto sei SNOB? Se mi baso sul concept del vostro magazine, sono terribilmente Snob; se intendi “una con la puzza sotto il naso”, per nulla.
Se penso ad una delle scene più erotiche del cinema, vedo un uomo e una donna che si scambiano un tuorlo intero, crudo, di un arancio acceso di bocca in bocca, in piedi in una stanza d’albergo, attenti a non romperlo fino a quando il piacere esplode e il tuorlo scivola ambiguamente sul mento di lei, ça va sans dire. La pellicola in questione è “Tampopo” del regista giapponese Jûzô Itami che, come molti autori del Sol Levante, utilizza l’ossessione per il cibo come metafora del piacere.
Il cinema ha regalato molti film erotici sottovalutati, forse per l’uso di un linguaggio apparentemente semplicistico, e altrettanti sopravvalutati, per il numero di pubblico interessato, di cui molto probabilmente l’erotomane non fa parte.
Qui vorremmo sintetizzare davvero una piccolissima parte dove l’Eros appare nel cinema, descrivendone scene, feticci del regista, dove l’erotismo può trovarsi nell’andamento felino di un’attrice, nel fare peccatore di aspirare una sigaretta, o in dettagli che a qualche spettatore potrebbero essere sfuggiti, ricordando a chi dice: “le scene da film sono finzione”, che esiste una nicchia di esseri umani per cui l’Eros rappresenta una forma d’arte, quella componente indispensabile non solo dell’amore ma della vita stessa, che porta a leggere erotica una brillante conversazione, e indispensabile il flirting anche nelle coppie datate. Quel genere di persone per cui il sesso è energia vitale, nelle sue svariate forme; le si riconosce perché sono fantasiose, creative, e cariche di travolgente voglia di vivere che mettono nell’atto dell’amore, come fosse il loro ultimo regalo, nel loro ultimo giorno sulla Terra.
Lola, 1961 di Jacques Demi
Cècile, in arte Lola, è una ragazza madre che non riesce a dimenticare il suo primo amore; lavora come ballerina al Cabaret dove marinai americani le ronzano intorno; corre tutto il giorno tra la scuola e il lavoro, dorme poco la notte e ama truccarsi perché “essere attraente” è un dovere, ma anche un piacere.
Anouk Aimée regala al personaggio di Lola quella civetteria francese che la rende irresistibile, flirta quando sorride, mentre cammina o si ravviva i capelli. Ma Lola è convinta di “non essere nulla di speciale”, e sta perdendo la speranza sul ritorno del suo primo grande amore, che attende da 7 anni. Una vena malinconica la cattura e il film risponde a tutte le sfumature della Nouvelle Vague e del cinema aggraziato di Jacques Demy. Finale scontato, ma questi sono gusti. D’altronde io amo la tragedia.
Solo chi cade può risorgere, 1947 di John Cromwell
La storia è quella che è, un noir come tanti, un reduce di guerra che tenta di far luce sulla scomparsa di un ex commilitone, piccoli salti nei bassifondi, apparizioni di volti loschi e gente immanicata in giochi d’intrighi, misteri e bugie. Night club dalla sordida reputazione, bicchieri colmi di whisky avvelenati e Royal Gin Fizz accompagnati da sigarette fino all’ultimo respiro; John Cromwell deve tutto ai suoi due protagonisti, che hanno regalato infinite sfumature di colore a questo bianco e nero del ’47.
Humphrey Bogart interpreta Rip Murdock, capitano paracadutista ed ex detective che indaga sulla scomparsa dell’amico: il carisma, la presenza scenica, il fascino dell’uomo cui nulla scalfisce e nulla può turbare, accompagnato dalle brevi frasi a due “Il pericolo più grande è la tua bocca”, riescono a rendere intenso anche il più banale dei corteggiamenti.
Ma la vera regina è lei, Lisabeth Scott, la bionda di ghiaccio dagli occhi cerbiatto, la figura ambigua e ammaliatrice, la pungente vedova che può trasformarsi in un docile capretto impaurito, è lei a riempire la scena, lei con i suoi languidi gesti, lei che ha personalità anche sulla punta delle dita mentre tese raccolgono una sigaretta dall’accessorio d’argento e lentamente la portano alla bocca; lei che recita come se respirasse, lei, la Coral Chandler che riesce a catturare ogni uomo col suo profumo di gelsomino.
Coral è quel genere di donna che piace tanto ad Hitchcock, di quelle che fanno male ma che vengono giustificate per i traumi subìti, la donna sirena che riesce a rendere vera la più perfida delle bugie. Le braccia avvolte da lunghi guanti neri, i capelli arrotolati da morbide onde che le incorniciano il viso, le sopracciglia perfettamente disegnate che si increspano quando le spire si fanno più strette intorno alla vittima; Lisabeth Scott non poteva essere più perfetta per interpretare l’immorale fanciulla ferita. Basta lei per questi 100 minuti.
Nelly e Monsieur Arnaud, 1995 di Claude Sautet
Nelly vende baguette, è di una bellezza dolce e sensuale, di quelle bellezze che vestono chi non sa d’esserne portatrice; come molte donne inconsapevoli ha sposato un fannullone, un uomo che passa le giornate sul divano a guardare la tv, in attesa che la mogliettina torni a casa per adempiere agli obblighi da coniugata.
Presto riceve da un conoscente di una sua cara amica la somma di denaro che coprirà tutti i suoi debiti, come dono; il gentiluomo è un ex magistrato che ha avuto fortuna negli affari immobiliari, le proporrà di fargli da dattilografa, offrendole una fissa retribuzione per avere l’opportunità di starle accanto ogni giorno. Troverà il tempo di sedurla con lo sfoggio del potere, le parole, le cene sontuose, l’eleganza di un uomo d’altri tempi.
La bella Emmanuelle Béart recita un copione bianco con moltissimi “OUI” e “NO”, detti a labbra serrate, alla francese, ma forse a lei basta presenziare in questa pellicola di Claude Sautet, che lascia alla donna il ruolo misterioso e magnetico, persuasivo e sfuggente.
Piuttosto noioso se non fosse per il magnetismo della Béart che ci attacca allo schermo a seguire ogni suo movimento, e per una scena rivelatrice che Sautet descrive in maniera eccellente:
Una sera Nelly e Monsieur Arnaud cenano insieme in un ristorante stellato, l’età media della clientela è molto alta e la ragazza non passa certo inosservata accanto all’anziano signore, che tutti conoscono per fama. Lei indossa un tubino nero, degli orecchini di perle e un disinvolto chignon; l’alcool, uno Chateau d’Yquem del ’61, fa il suo gioco, e i due si ritrovano a flirtare scherzosamente per le insistenti occhiate dai tavoli vicini: tutti pensano che lei sia una prostituta e questo la diverte. Salutato Monsieur Arnaud, Nelly chiama in piena notte l’editore di Arnaud che da tempo la corteggia e a cui, fino a quella sera, non si era mai concessa, e si lascia andare ad un gioco che era già stato iniziato da un altro. Questa scena descrive perfettamente la donna dal punto di vista della donna, le bugie, le contraddizioni, i capricci, i desideri. Nelly sa che può trovare un corteggiamento antico, maturo ed elegante da Mr Arnaud e sa che può rivelare il suo lato istintivo con Vincent, l’editore, che l’accoglierà con l’ardore di un giovanotto. Nelly, dopo aver lasciato il marito, prende tutto, ma dovrà fare i conti con i sentimenti, quelli che fanno radici con lo stesso silenzio con cui lei si burla degli altri, per poi fare rumore quando sta per perderli.
8 donne e un mistero, 2002 di François Ozon
Una villa della Francia bene anni ’50, 8 donne, una più bella dell’altra, un uomo morto, un assassino da trovare. François Ozon racconta i misteri, le sfumature, le bugie e i caratteri di otto donne diverse tra loro attraverso un film che non ha genere. Perché potrebbe essere teatro, un giallo, un thriller, un poliziesco, che il regista ha deciso di far recitare a delle “statue” del cinema francese.
Farà storia l’azzuffata a terra della Deneuve e di Fanny Ardant, mentre si dimenano e si intrecciano come due serpenti finendo per baciarsi safficamente; impossibile dimenticare l’erotismo di Emmanuelle Béart – la cameriera perversa il cui unico divertimento è irretire e rovinare i padroni; in scena anche un’acerba Ludivine Seigner, la biondina dal sopracciglio alzato che Chabrol farà crescere tra i bordelli, in compagnia di anziani scrittori.
Le protagoniste sono le donne, l’uomo si intravede solo di spalle – ed è già morto. Ozon, dopo Truffaut, è il regista che ama le donne e le racconta attraverso i loro stessi occhi, dando voce a invidie, gelosie, battibecchi, frasi avvelenate, piccoli momenti di solidarietà. È Truffaut che omaggia: “Averti accanto a me è una gioia e una sofferenza”, e attraverso una Ardant munita di pistola nella borsetta, in memoria di “La femme d’à cote”.
La triade di Shangai, 1995 di Zhang Yimou
Bellissima e crudele, capricciosa e avida, lei è la “donna del boss”, un Padrino cinese assetato di potere. Canta in un club come tante altre puttane, tradisce il suo padrone ignara di essere seguìta. Sono i suoi gesti ad essere protagonisti, l’andamento lento e calcolato, le risa perfide e recitate, perfino il fumo che le esce dalla bocca è misurato, ed è lei a risultare la meno prevedibile nel film di Zhang Yimou, lo stesso di “Lanterne rosse” che ha come feticcio l’attrice Gong Li (e come dargli torto!).
Dalla rumorosa Shanghai dove viene ricoperta di gioielli e pellicce, sarà costretta a trasferirsi su un’isola deserta con il padrone e i suoi uomini per proteggersi da attacchi politici. È nella solitudine di questo luogo che la donna ricorderà le sue origini contadine, i sogni di bambina, è nelle passeggiate notturne che avrà nostalgia di chi era ed è nella semplicità della natura che riscoprirà la bontà sepolta.
Il resto è solo contorno, dal bambino orfano che la serve, all’amante sepolto vivo. È il capovolgimento della sua indole a interessare.
Il rumore della città ci distrae, un paesaggio desolato ci mette in contatto con la parte più vera e profonda di noi stessi.
Gli amanti criminali, 1999 di Francois Ozon
Due adolescenti, lei, un’Alice che avrebbe dovuto chiamarsi Eva, manipolatrice, avida, curiosa con tendenze sadiche, lui, il fidanzatino accomodante, insicuro, devoto, impotente quando i due si ritrovano a fare giochetti sessuali su iniziativa di lei.
Alice spinge Luc ad ammazzare un loro compagno, solo perché ha mostrato un interesse sessuale nei suoi confronti. Luc trova la forza di un gesto così macabro dopo aver guardato i due in intimità, spinto forse dalla rabbia, dalla frustrazione, dall’impossibilità di far godere la propria amante, a differenza dell’aitante compagno di scuola, un giovane bello e virile.
I due fuggitivi si ritrovano nel bosco dove vengono rapiti da un orco, un passaggio da un inizio alla “Natural born killers” fino alla storia di “Hansel e Gretel”, con uno svolgimento nettamente diverso: è con il suo giustiziere, l’orco, che finalmente Luc prova piacere. Amplessi omosessuali rubati da cui Luc non si ritrae, nasce in lui una qualche forma di sentimento-riconoscenza. Tutto questo tra scene morbose e voyeuristiche, con un finale inaspettato: può la vittima amare il proprio carnefice?
Quando c’è di mezzo il SESSO, può.
Lussuria – Seduzione e tradimento, 2007 di Ang Lee
Il Mahjong è un gioco da tavolo cinese, come la nostra scala 40 occidentale dove si creano coppie, tris e scale. Si gioca in 4, nel film “Lust, caution” (Lussuria, seduzione e tradimento – nella traduzione italiana) c’è una camera che si posa a lungo sul tavolo da gioco, ma la cosa più interessante sono quelle otto mani ingioiellate e con le lunghe unghie laccate di rosso che mescolano le tessere; poi sale sui castissimi abiti orientali e sulla braccia sottili e trasparenti, sulle acconciature composte e raccolte dietro la nuca, e su quelle piccole bocche sporcate di cocciniglia che si muovono appena, per dire solo frasi convenienti, mai esposte, sempre perfettamente incipriate di buona educazione.
Basterebbe questa scena a meritare la visione del film ambientato nella Shanghai dei ’40 in piena occupazione giapponese.
Rien ne va plus, 1997 di Claude Chabrol
Eccola un’altra bella da morire, la Isabelle Huppert nei panni di una ladra dal cuore tenero.
Fredda e dalla sessualità complessa in “La pianista”, qui si ritrova “perversa giocatrice”, così la definiscono gli uomini che credono di conoscerla. Mille i suoi volti per fuggire alla legge, dall’algida russa biondo platino, all’appassionata direttrice di una società d’assicurazioni, intenta a raggirare un pollo, in giacca rossa e unghie laccate, all’interno di un casinò.
Ha un complice in questi diabolici piani, il “paparino”, così sicuro di lei fino a quando i soldi in gioco diventano troppi per le loro piccole truffarelle che più somigliano a dei giochetti erotici di una coppia annoiata.
Alla fine della storia le maschere si confonderanno e forse Chabrol vuole dirci che, anche quando inganna, la donna, lo fa sempre con il cuore.
Un uomo, una donna 1966 di Claude Lelouch
“Non è molto originale come incontro”.
“Nemmeno il matrimonio e un figlio sono originali, sono cose che succedono a tutti, al massimo la persona lo è, originale”.
Questo l’inizio della conversazione tra Anne e Jean-Louis, due vedovi incontratisi al collegio dove portano i rispettivi figli. L’inizio del film è un lungo corteggiamento, l’invito a cena, la mano di lui poggiata sullo schienale mentre le sfiora la schiena, i complimenti velati, i primi silenzi, i sorrisi carichi di desiderio, quei momenti che non tornano più, che spingono le coppie al tradimento, per cercare di riviverli, di reiterare quelle sensazioni.
Jean-Louis conosce bene le donne, calibra le parole, è galante, sa attendere, lei lo intuisce subito: “Non ha l’aria di un uomo sposato”.
Chiave del film una citazione a metà tempo, quando lui la interroga sulla massima di Giacometti: “In un incendio tra un Rembrandt e un gatto, io scelgo il gatto, e poi lo lascio andare”, che sta a significare “tra l’arte e la vita, io scelgo la vita”, sottolinea Jean-Louise che tra i due ha imparato a lasciarsi andare, a vivere il momento.
Anne, dopo vari tentennamenti, la si vede amoreggiare tra le lenzuola, 7 minuti di bianco e nero (il regista passa dal colore al b&n) dove nell’intensità di quell’amore sente tutto il dolore del passato, la presenza del marito (morto) e si rinchiude nella tristezza tornando a casa sola, in treno.
“Lui poteva diventare un vecchio bacucco fossero ancora insieme, invece è morto e sarà sempre un uomo eccezionale” il pensiero di Jean-Louise che nella tragedia precoce vede la conservazione del mistero.
L’attenderà all’ultima fermata e riprenderà il corteggiamento come da manuale, struggente, tra i pianti e melodrammi, proprio come piace alla donna. Non si può dire non si sia impegnato!
Sliver, 1993 di Philip Noyce
Zeke è il proprietario di uno Sliver, un grattacielo nel centro di Manhattan; segretamente ha
Zeke è il proprietario di uno Sliver, un grattacielo nel centro di Manhattan; segretamente ha costruito degli impianti video a circuito chiuso che gli permettono di spiare tutto quello che succede in ogni stanza del palazzo, compresi i momenti di intimità della solitaria Carla Norris, quel ghiaccio bollente di Sharon Stone.
Tra i due scatta un’attrazione pericolosa, Zeke adora sbalordire tanto che una notte, trasmesso l’invito alla bella bionda, lascia che entri nel suo appartamento buio per sorprenderla di spalle, completamente nudo, e prenderla contro la colonna, lei, vestita di un tubino nero, un sottile filo di perle, e la paura che le piace tanto.
Sembra uscita da un quadro preraffaellita, una musa di Dante Gabriel Rossetti, forse fu Alexa Wilding se si crede alle vite reincarnate, la sua prediletta, presente nel maggior numero dei dipinti. La pelle diafana, le gote appena tinte dal rosa di un pennello e una femminilità che ancora certe donne non vogliono spiegarsi, perché innata, ce l’hai o non ce l’hai. Yvonne Sciò, modella, attrice e regista italiana, le donne invece le ama e le supporta, le elogia, ne fa documentari, come la sua ultima opera da regista “Seven Woman”.
Modella, attrice, regista, parlaci del tuo ultimo cortometraggio“Seven Woman”. Seven Woman è il mio secondo documentario disponibile su Rai Play per l’Italia e Netflix per il mondo, a parte l’America, la Cina e il Giappone, ho coperto il globo e ne sono felice, è la storia di sette donne che hanno culture e religioni diverse, mi piace raccontare i contrasti.
Sei molto legata al femminile Avrei sempre voluto raccontare le donne, ma il coraggio è arrivato con l’età; il primo è un documentario dedicato alla mia amica Roxanne Lowit, la prima fotografa di backstage delle sfilate di moda, soprattutto molto legata ad YSL ed Armani, solo per citarne qualcuno.
Modella e attrice davanti, e regista dietro la macchina da presa, come è avvenuto questo passaggio? Mi ero stufata di aspettare, fai provini, ti cali nella parte e non ti prendono, studi ma sei troppo vecchia o troppo magra o hai troppi capelli. È stato un modo per crescere e non essere in balìa di risposte che arrivano sempre da qualcun altro.
Sei stata educata in una scuola di suore, che ricordi hai? Mia madre mi ci ha mandato per imparare il francese. Io non sono una cattolica praticante perfetta, vado in Chiesa spesso, è vero, ma per ammirare le opere d’arte antica; mi piace raccogliere le bottigliette di acqua benedetta perché credo aiutino la mia spiritualità; proprio ieri, ascoltavo Deepak Chopra, scrittore e medico indiano, che raccontava come la spiritualità e l’immaginazione diventino un tutt’uno.
Il tuo rapporto con l’Eros? Ha molto a che fare con l’educazione ricevuta, dove Eros porta a galla il peccato, il senso di colpa. Per me è fondamentale, se in un rapporto non c’è anche questo equilibrio, si cambia. Altrimenti cos’è la felicità?
Sei mamma di una bellissima ragazza di 13 anni, che rapporto hai con la maternità? Ho un rapporto fighissimo con la maternità, ero molto presa dalla carriera e da me stessa, quando poi sono rimasta incinta, peccato troppo tardi perchè ne avrei voluti quattro di bambini, sono stata travolta da una forza indescrivibile, da un senso di coraggio immenso, soprattutto quando si cresce un figlio da sole senza la figura del padre; ed ecco che si ripresenta il senso di colpa.
Hai dichiarato di Alberto Cantarini, il tuo compagno, “è il vero uomo”, cosa intendi? Vero uomo per me significa essere forte ma gentile, presente ma concedere spazi; Alberto sa sorprendermi, sa apprezzarmi e soprattutto mi fa ridere, fino a perdere completamente la cognizione del tempo. Amiamo ritagliarci dei momenti tutti per noi, siamo una famiglia allargata, viviamo insieme a suo figlio e mia figlia, per cui il rito del caffè la mattina è sacro, le cose semplici sono sempre le più preziose.
Cosa non tolleri negli altri? Non amo la gente che parla a sproposito, nella vita ci sono tante cose belle da fare, luoghi da scoprire, podcast da ascoltare, perdere il tempo dietro pettegolezzi inutili proprio non lo sopporto.
(Frames tratti dal video diretto da Peppe Tortora)
Quali sono i tuoi luoghi del cuore? Il terrazzo di casa mia, la mia area verde dove tengo la menta, l’erba cipollina, l’insalata, il sedano, tutto il buono per la mia cucina; è lo stesso luogo dove faccio meditazione, quando sono vicina alla mia parte spirituale nella vita, sento di stare meglio.
La tua idea di felicità? Ho sempre paura di dire che sono felice, ci penso spesso quando sono in macchina, ma sono anche fatalista, potresti essere felice e poi un attimo dopo può cambiare tutto in una frazione di secondo. La felicità è una condizione che determini tu,non dipende dagli altri.
La cosa per cui vale la pena battersi nella vita? Odio le ingiustizie, detesto la maleducazione, mi batto per il rispetto verso il prossimo.
“Profonda lacerazione al labbro superiore ed ecchimosi su tutto il corpo”, cito il tuo referto medico in seguito alla rissa con Naomi Campbell. Io le ho prese in quell’occasione, ha avuto una reazione che non mi sarei mai aspettata. Nel mondo accadono cose talmente brutte, bambini e donne stuprate, la guerra in corso, una cosa così frivola di una che ha male a un’unghia, ci passo sopra.
Quale fu la motivazione? Scrivono avessi un abito come il suo. Ma quale abito uguale al suo? Lei è bellissima, alta due metri, figurati se avevo un abito come il suo. La motivazione fu veramente frivola, avrò detto qualcosa che l’ha infastidita, oggi credo che Naomi sia molto più tranquilla anche se ha un carattere particolare, ma certe cose si superano, io sono andata avanti, le persone poco intelligenti rimangono sempre nello stesso punto.
Domanda di rito, quanto sei Snob? Sono contenta mi abbiate spiegato il vostro concetto di “Snob”, che trovo davvero molto interessante; sai le persone che non mi conoscono mi dicono “Ah che snob!”, in senso dispregiativo, io in quel senso non mi sento affatto snob, mi piace il bello e lo cerco in ogni cosa. Sono una Snob? Non lo so, ma forse si.
Yvonne Scio interpreta “La Temperanza”, un video scritto e diretto da Peppe Tortora.
Maurizio Lombardi interpreta “L’Empatia“, un video scritto e diretto da Peppe Tortora.
E’ in corso il Festival del Cinema di Roma 2022, e con questo video vorremmo omaggiare il mondo del cinema e dei suoi protagonisti, che ci regalano emozioni, ci raccontano storie e ci fanno sognare.
E’ il primo di una serie in cui il nostro regista Peppe Tortora, cucirà su misura, come un sarto per un abito taylor-made, su ciascun attore che verrà intervistato per le cover di SNOB, una storia.
Lasciandosi ispirare dalle caratteristiche di ciascun talent, Tortora racconta la sua visione del cinema e ci lascia, sempre, attraverso metafore e citazioni, una morale.
Buona visione.
L’empatia
Un uomo nel giorno del suo matrimonio, cercando un oggetto di sua madre da portare con sé, decide di provare le emozioni che prova la donna che ama in uno dei momenti più importanti della sua vita. Come fosse un regalo di nozze per lei, provare la sua stessa meraviglia.
Credits:
Regia e sceneggiatura: Peppe Tortora Protagonista: Maurizio Lombardi Attrice: Martina Scala Costumi: Paola Ragosta Supervisione costumi: Gianni Addante Aiuto Regia: Jacopo Ciufoli Assistenti regia: Annalisa Nuvelli, Valeria D’Elia Make-up/Hair: Mariella Padula Editor in Chief: Miriam De Nicolò Prodotto da: SNOB Ufficio Stampa: Lorella di Carlo Musica: “She used” New Normal* *Voce e basso: Blue Redman Voce e chitarra: Gabriele La Duca Voce e batteria: Gabriele Fragapane Registrato e composto da New Normal Mix e master: Blue Redman
Lasciate ogni ricordo del mondo reale voi che entrate, e perdetevi in quello parallelo dove il Giappone sta in centro a Milano, nel quartiere Chinatown.
Un po’ come il binario 9 e 3/4 di Harry Potter o la tana del Bianconiglio di “Alice nel paese delle meraviglie“, una volta varcata la porta del Ronin, ci si trova immersi nelle fantasie dei fondatori del gruppo Salva tu Alma, Guillaume Desforges, Jacopo e Leonardo Signani, tra atmosfere Japan e luci rosse, tante.
La scelta di questo “quartiere”, è d’obbligo chiamarlo così anche se è un palazzo, è una struttura in stile neo-liberty diviso in quattro livelli, quasi pensati come ad un gioco in cui conquistarsi il più alto.
IZAYAKA Per iniziare ad assaporare l’idea che si cela dietro l’experience Ronin, l’IZAYAKA del Piccolo Ronin si trova al piano terra, il primo step, l’assaggio, un’osteria dove “bere e divertirsi” (questa la traduzione letterale), dove ascoltare sonorità di ricerca, ma dove potrete trovare ottimi piatti della cultura giapponese, una collezione di LP ed ottimi cocktail, tra cui consigliamo Amaterasu, dedicato alla dea del Sole, la dea degli dei.
ROBATAYAKI Salendo le scale, tra maxi schermi interattivi dalle grafiche surreali e psichedeliche, troviamo il RONIN ROBATA, un ristorante che raccoglie le caratteristiche iconiche di una casa in stile Japan: fusuma alle pareti, che in architettura rappresentano dei pannelli verticali rettangolari realizzati tipicamente in carta di riso per permettere alla luce di filtrare ma che assicurano un’ottima privacy perché non trasparenti. Anche le case di piacere erano strutturate alla stessa stregua; non vorrei azzardare ma l’enorme specchio posizionato sul soffitto, lascia molto intendere al carattere erotico di questo luogo, dove il cibo, forse, è metafora di un preludio amoroso. Da provare gli huramaki di tonno e foie gras accompagnati da Heavensake Junmai Ginjo (un sorso prima del boccone), considerato lo champagne dei sake; il piccione con cipollotto, arancia e zenzero, sapori orientali che incontrano diverse culture in un viaggio culinario ideato dallo chef Gigi Nastri, romano e diverse esperienze in terra francese.
MADAME CHENG’S Se amate Wong Kar-wai, non può non venirvi in mente attraversando queste sale, un set cinematografico degno del maestro cinese che coltiva una vera e propria ossessione per il colore. Qui, nel cocktail & sake bar dove trovare i massimi esperti della mixology, la luce che permea tutto è (ovviamente) rossa, ma i lampi fluorescenti arrivano dalle verdi lampade appese al soffitto, le tipiche andon reticolate, dalle luci blu che attraversano la stanza e dalle abat-jour posizionate sopra il lungo divano angolare. Si trova al secondo piano del Ronin, un tuffo per le strade di Shinjuku nella Tokyo notturna, quelle che ospitano divertenti nightclub e karaoke illuminati. A tema, anche il cocktail menu, il migliore? Macau’s whorehouse, un nome, un programma. Il bar manager è Riccardo Speranza, la mente creativa di queste ambigue e succulente metafore. Sullo stesso piano di 200 mq, 4 stanze karaoke private con servizio late night di bento box, bottiglie, snack e finest mixology, luogo di culto per i giapponesi di tutte le età.
ARCADE Riccardo Speranza studia una drink list taylor-made anche per questo spazio members club, prende ispirazione per il concept della drink list da una parola, amae, nella traduzione giapponese “il comportamento di chi che vuole essere amato e coccolato”, come fa un bambino nei confronti dei genitori, la ricerca di benevolenza e accoglienza, i modi civettuoli di una donna che vuole attirare attenzioni. Atteggiamento insito nella cultura giapponese, che vede nella figura della geisha la rispondenza dei propri bisogni. Regno dei migliori distillati, qui non potete perdervi un Gokudo, miscelato con uno Starward Two-fold Double Grain, un whisky australiano invecchiato in botti di vino.
Siete nel mondo dei Ronin, i samurai senza padrone, i combattenti erranti, qui tutto è concesso, potete vivere l’illusione d’essere nei locali giapponesi, assaporare i gusti del Sol Levante, lasciarvi trasportare in uno spazio che vi coccola e risponde ai vostri bisogni. La vera ricchezza del Ronin sta nell’accoglienza, quella che i giapponesi chiamano omotenashi, che si racchiude in un pensiero: “Il cliente è come Buddha“.