Cecilia Matteucci, specchio, specchio delle mie brame

Interview: Miriam De Nicolò
Photography: Marco Onofri
Location: Palazzo Boncompagni, Bologna

Milano- Bologna in auto per intervistare la Signora mentre il nostro fotografo sta immortalandola a Palazzo Boncompagni. Una volta giunta presso la sua abitazione, luogo dell’appuntamento, una dimora nel centro storico della città, e atteso la sistemazione degli innumerevoli abiti e accessori, chiedo il permesso di entrare quando vengo fermata sulla soglia: “Ma lei sa che qui non è possibile camminare?“. In effetti ha ragione, mi basta una rapida occhiata per vedere che scatole, manichini e abiti ricoprono sedie e divani, e le riviste i tappeti. Cecilia Matteucci, la Signora in questione, è ripetuta all’infinito su tutte le cover che invadono casa, e che conserva con grande amore a ricordare la gioia e la gloria; come un enorme specchio la sua immagine è riflessa dappertutto in questa stanza dove mi ha posizionato, in un angolo di divano, sulle foto incorniciate con qualche noto artista, tra i quadretti con i politici, nei bellissimi ritratti che anche venti anni fa portavano l’identico trucco a cui è affezionata, delle sopracciglia perlate, un lungo eye-liner fino alle tempie, una bocca scarlatta, e l’iconica acconciatura a onde anni ’20.
Sono troppo stanca per fare l’intervista ora, è tutta la mattina che faccio foto e sto sui tacchi 20“. Anche se sono qui per un motivo, l’intervista, comprendo che per una signora della sua età possa essere stancante posare in un Dior su tacchi vertiginosi, così la tranquillizzo e mi zittisco in quel pezzo di stoffa del divano dove mi ha relegato mentre lei continua a sorridere alla macchina fotografica su quel pezzo di pavimento tra due manichini vestiti, accanto ad una tavola imbandita come da Galateo, i cui piatti portano il volto della Regina Elisabetta.
Mentre mi complimento per la naturalezza con cui posa e per la mise con cui entra in scena ad ogni cambio, perchè i look sono qualcosa di strepitoso, un mix and match così coraggioso che solo chi ha il dono del gusto e dello stile può permettersi, mi chiede “Lei sa chi sono? Ma si è informata su di me?”. Così trovo il fiato solo per rispondere sommessamente che sì, mi sono informata, ma non posso rivelare che tutte le interviste lette sono un copia e incolla di nomi e date, che riferiscono brand di uno o dell’altro abito che colleziona, una lista della spesa che ha dei bellissimi oggetti dal valore inestimabile. Perché Cecilia Matteucci è la più grande collezionista di abiti couture, un mestiere più che una passione, kimono giapponesi, vintage che scova nei mercatini, gli Chanel della madame francese, i Dior da monsieur Christian fino alla Chiuri, i Valentino da Garavani fino a Piccioli, i magnifici Biki indossati dalla Callas e acquistati dal catalogo Sotheby’s. “Ecco allora trova sul web tutte le informazioni“. Insomma me li faccio bastare. E ringrazio dal mio angolo di divano.
Driiiiin. Dopo due giorni ricevo una chiamata, è il fotografo che mi dice: “Cecilia Matteucci chiede di poter venire in treno da te. Ha letto le tue interviste e ti ha trovato strepitosa”.
Non posso accettare che una signora faccia un viaggio in treno per me, non è carino, basterà una chiacchierata telefonica per farle le domande che tanto diligentemente mi ero preparata sulle note del telefono.
E la telefonata inizia così: “Non deve badare a ciò che scrivono di me alcuni giornalisti, sono cose poco carine” – si riferirà alle diverse interviste in cui gli addetti al settore si fanno scappare qualche cosa sul suo spigoloso carattere, penso – “legga questa invece” e mi spedisce via whatsapp un encomio di un’abile penna che fa della Signora una contemporanea Marchesa Casati.

Biki full lenght opera coat late 1960s
Callas wore this coat in New York in 1971
Hat Philip Treacy
Sunglasses Dior
Sandals Miu Miu


Signora Matteucci, leggevo in un’intervista che sua madre, sin da ragazza, l’aveva abituata a regalare gli abiti che non indossava più, ai dipendenti
Le spiego, quando ero ragazzina i Grandi Magazzini Fratelli Lavarini di Montecatini Terme vendevano l’abbigliamento degli anni 50, mia madre siccome avevo la possibilità di prendere tutto quello che volevo delle nuove collezioni, ci teneva regalassi i capi delle vecchie ai dipendenti che non avevano possibilità economiche. Non so se questo è importante da dire, ma è successo fino a poco prima del matrimonio. Di quei pezzi ne ho tenuti solo pochi che avevo portato in viaggio di nozze, gli stessi che oggi sono alla Galleria del Costume.

Credo sia molto interessante da dire, perché lei in un’intervista ha dichiarato “Essere buoni è un duro lavoro”
No non l’ho detto io, l’ha scritto il giornalista. Se è l’intervista di Marrese, ho capito di stargli antipatica, perchè gli avevo chiesto di non dire alcune cose come quella del super sconto che fanno agli outlet e invece l’ha scritta; così come anche quella di Antonio Mancinelli su Il Foglio, che aveva iniziato a chiamarmi Contessa quando non lo sono.
L’impaginazione è bella ma ha scritto delle frasette che non mi sono piaciute; preferisco che si legga Mariuccia Casadio, che mi segue da 30 anni.

Il mestiere del giornalista è quello di riportare i fatti Signora Matteucci, un mestiere in un certo senso coraggioso. Per etica professionale e per rispetto verso se stessi e il lavoro che si è scelto, non si può far altro che riportare la realtà, la verità
Ognuno ci mette del suo, ma di me ha scritto benissimo la Eva Desiderio su Book, che credo non esista più.

Lei è tanto osannata, la chiamano “La nuova Marchesa Casati”, si ricorda invece di aver ricevuto qualche critica?
Senta, sono stata invitata ai concerti dei Maneskin e mi hanno trattata come una regina, mi fermano per la strada e vogliono foto con me. In questo momento non ricordo se sono stata criticata, certamente capisco che non si possa piacere a tutti, ma arrivo da giorni di gloria. Mi fermano e brontolano perché non ho tempo di partecipare ad eventi e rispondere ai messaggi su Instagram.
Se decido di andare a Teatro, lo faccio per rendere omaggio al direttore d’orchestra, alla Compagnia, ai personaggi noti, attraverso i miei abiti.

Lei sta dicendo che veste in maniera eccentrica in onore dei personaggi noti?
Ecco, io non potrei partecipare a certi eventi e vestire in modo semplice, nel mio guardaroba non c’è semplicità e sono sicura si offenderebbero.

Peak Alexander McQueen 2012
Coat Dior by John Galliano 2008
Skirt Dior by Maria Grazia Chiuri 2017


Hanno delle aspettative altissime quando la invitano, certo
Alla prima del teatro comunale ricordo che c’erano dei parigini che partecipavano solo per vedere me, e la cosa mi lascia sempre un po’ sorpresa soprattutto quando si parla di eventi dove sono presenti molti altri personaggi di rilievo.

La sua immensa collezione, che conta circa tremila pezzi tra abiti e accessori, è destinata ad un museo, il suo sogno. Il collezionismo, non ha forse come fine ultimo quello di rendere immortale la sua figura e non gli abiti che ha accumulato?
Certo, se i miei abiti non muoiono, nemmeno io muoio. Il fatto che le mie scelte saranno in un futuro visibili e ammirate è un po’ come non morire.

Il suo rapporto con il tempo?
Ora non rida eh, mio figlio non ha voluto figli e all’inizio ero dispiaciuta, poi ho pensato che i miei figli erano i miei tremila abiti.
Abitualmente frequento amici sotto i 40 anni, non sono molto brava con la tecnologia e molti di loro mi aiutano quotidianamente nello scrivere didascalie su Instagram, come Michela Giorgi che ha 31 anni, o nello sbrigare cose per i viaggi, come fa Fredrick che ne ha 21 anni, e sempre accanto a me c’è la carissima Eva Bonifazi, 41 anni, Visual Merchandising Deputy Director di Dior, l’ho conosciuta quando faceva uno stage al Resto del Carlino e io l’ho sempre seguita nella sua carriera strabiliante.

Biki evening Dress
Maria Callas wore this dress during the 38th Gala de l’Union des artistes at the Cirque d’Hiver (Paris,1971)

Che cosa le dà il collezionismo che lei chiama anche malattia?
Malattia perché io in casa non ci giro più, non è più un’abitazione ma un magazzino. Ho diecimila cose e per ricordarle tutte devo riguardare le foto così poi posso cercare cosa rindossare. La chiamo “malattia” perchè se vedo qualcosa che mi piace me ne innamoro e la devo avere.

È possesso?
No, è amore del bello e del particolare. Io sono sostenitrice sia di ANT che è l’associazione di cure domiciliari dei tumori, sia di Antoniano. Entrambi organizzano due vendite all’anno di vintage dove si trovano sempre delle bellissime cose, all’ultima vendita ho acquistato due abiti a 40 e 50 euro che sono di vecchie sartorie bolognesi che hanno una manifattura meravigliosa e particolare.

Total look Chanel Jacket 1960

A proposito dell’ente che ha citato, ho letto che fa assistenza domiciliare gratuita ai malati di tumore.
Io li sostengo nel senso che loro mettono la mia foto scrivendo “Dovete donare ad ANT” e lo pubblicizzano su Repubblica e Vanity Fair. All’Hotel Majestic Baglioni ho prestato i miei due Morandi in mostra per una notte, e ho chiesto che la compagnia Due Torri desse 500 euro all’associazione, oltre ad una raccolta donazioni tra i partecipanti che è arrivata a 1300 euro. Poi loro fanno le uova di Pasqua e ne ho comprate 10, e a Natale compro i panettoni.

Veil Maison Michel Paris
Coat SiSSi’s artist
Dress Bottega Veneta 2019


Ah, quindi non fa assistenza domiciliare come era stato scritto
No, li sostengo economicamente. Anni fa con Sotheby’s ho fatto una promozione sulla mostra di Chanel e loro hanno inviato mille euro, e quando devo chiedere qualcosa lo chiedo per darlo ad ANT.

Questo le fa molto onore Signora Matteucci. Ha in famiglia esperienza di malati oncologici?
No, il mio aiuto è per dare loro un servizio fondamentale che alcuni non possono sostenere.

La sua giornata tipo?
Il mio problema è che purtroppo dormo poco, la mattina mi sveglio presto e avendo molti abiti in casa li devo curare, annaffiare le piante di agrumi e occuparmi anche della casa.

È un impegno non indifferente, è un enorme museo.
Sì, bisogna spolverare gli abiti appesi dentro le buste di plastica, dare l’antitarme, mettere via tutte le pellicce.

C’è una passione che la trasporta tanto quanto quella della moda?
Io di passioni ne ho tante, il direttore più bravo al mondo è Teodor Currentzis e vado a Salisburgo per lui, Muti non mi apprezzerà ma pazienza. Se devo nominare una cantante bravissima Carmela Remigio.

Total look Gucci di Alessandro Michele


Mi sta dicendo che è un’amante dell’opera? Quella che più la rappresenta?
La Traviata mi piace da morire, Tosca è bellissima, La regina della notte di Mozart, non posso sceglierne una sola.

Le faccio l’ultima domanda di rito, quanto è Snob Cecilia Matteucci?
Se è Non Per Tutti, moltissimo.

Driiiiin, squilla il telefono, alla Signora Matteucci non sono arrivate le prove di copertina.
Ricevuta adesso ma è la prima che ricevo, prima non l’ho mai ricevuta quindi datevi una mossa e non dite balle” così cita il quadratino bianco su whatsapp seguito da giudizi e critiche all’operato altrui.
E subito penso che non possiamo scegliere se nascere con i capelli biondi o mori, se nascere in Africa o in Italia, se avere la pelle bianca o nera, ma le buone maniere sì, quelle le possiamo scegliere. E in questi momenti mi tornano alcuni pensieri che Proust ha messo sulle labbra di alcuni suoi protagonisti de “La Recherche”, come su quanta totale assenza di gusto si basino i giudizi artistici della gente di mondo, impegnati più a vestire l’abito buono che a studiare l’opera che stanno ascoltando, o che esiste una odiosa e diffusissima vendetta di persone per le quali si direbbe che la maleducazione verso altra gente sia il naturale complemento di un abito da cerimonia.

 

Giorgia

Interview: Miriam De Nicolò
Photography: Alessandra Rosati
Art Direction: Roberto Da Pozzo
Styling: Valentina Davoli
Hair Stylist: Luigi Alesi
Makeup Artist: Luciano Squeo
Photography Assistant: Mauro Poliziani
Location: Nero Studio

Quando si incontrano persone così carine, così gentili e per cui l’educazione e l’affabilità paiono essere delle vere e proprie missioni, quel senso di dolcezza e tepore che avvolgono realmente come un abbraccio, lo si porta con sé i giorni a seguire.
Sapevo poco della vita privata di Giorgia prima di incontrarla, pur essendo un personaggio pubblico non si lascia invischiare nel gossip e nel pettegolezzo, anche se delle tragedie che hanno toccato la sua vita, se n’è parlato in ogni dove, come della morte del suo ex compagno, il cantante Alex Baroni. Ma anche se Giorgia si confida ai media con grande sincerità e apertura, pare non regalarsi mai, mantenendo sempre quel pudore e quella riservatezza che invitano al rispetto.
L’incontro per la prima volta sul set, in uno studio fotografico di Roma, e subito penso che la televisione non le renda giustizia perché diamine, è bellissima. Ironica ed autoironica, come chi non vuole dare l’impressione di prendersi troppo sul serio e che vuol risultare simpatica a prima vista, Giorgia ammalia tutto il team, posa come una modella e sorride alla macchina fotografica con una sensualità che mi pareva molto lontana dalla figura casta e disciplinata che la sua immagine in tv riflette. Appartiene a quella categoria di persone che avvinghiano a sé in presenza, le devi vedere, sentire parlare, trasporta con la sua energia positiva, quella che rivelo ai colleghi augurandomi di incontrare personaggi più simili a lei da poter raccontare.
Parlare, concedere una intervista per un artista significa sponsorizzarsi, e invece Giorgia non spinge a monetizzare il suo tour “Giorgia Blu Live”, così lo dico io che ha scelto dei luoghi meravigliosi come i teatri lirici italiani tra cui Il San Carlo di Napoli e il Teatro dell’Opera di Roma per cantare; posti che parlano di arte e cultura, nobili luoghi per un nobile cuore. Qui porterà “Parole dette male” dall’album “Blu” dopo il grande successo al Festival di Sanremo, una canzone che non può non farti sfuggire una lacrimuccia tanto è intensa, tanto è immensa. Non può non portarti dentro le nostalgie che ciascuno di noi vive in questa vita a volte ingiusta, non può non far pensare alla perdita di qualcuno che hai amato, sia un amore filiale, sia esso sentimentale.
Ogni tanto ti vedo in giro
Ma poi non sei tu
E quante macchine come la tua
Dello stesso blu

Certo ce ne sono di cantanti che hanno il dono di trasportarti nel loro mondo attraverso l’immedesimazione, ma sono tutti di origine meno poetica della sua.
Probabilmente anche questo mio incontro sarà un altro di quelli furtivi e passeggeri del mio lavoro di giornalista, a cui dico “che peccato“, e mi viene in mente un passaggio di quel libro immenso che è diventato la mia Bibbia, La Recherche, dove il Signor Charlus, ne “La parte di Guermantes”, si rivolge al narratore dicendo:
Chiediamo dal fondo della nostra botte, come Diogene, un uomo. Coltiviamo begonie o tagliamo siepi in mancanza di meglio, perché siepi e begonie si lasciano fare, ma preferiremmo dedicare il nostro tempo a un arbusto umano, se avessimo la certezza che ne valga la pena“.
Giorgia, che pare coltivare la gentilezza, questa strana e potente pianta che fa crescere esponenzialmente chi la cura, potrebbe essere quell’arbusto umano che tutti vorremmo, nel nostro giardino di persone.

Total Look N.21

Noi musiciste donne dobbiamo sudarci la parità delle condizioni“, la tua frase durante una conversazione a tavola
Dagli anni ’90 la realtà è migliorata, perchè le donne si sono fatte spazio in più settori.
Patty Pravo suona il pianoforte, lo sapevi? Probabilmente no perché alle donne non era concesso di esprimere ogni talento, banalmente cantare e suonare allo stesso tempo, anche se Patty Pravo è anche un ottimo produttore.
Per ottenere credibilità dobbiamo fare più fatica, dobbiamo guadagnarci la fiducia dei collaboratori; ricordo che in studio per parlare con il fonico dovevo farlo in punta di piedi, è un comportamento inconscio che spinge l’uomo a dire “vediamo cosa sai fare”, ma se gli chiedo di abbassare un rullante, lo faccio con cognizione di causa.


Credi sia una questione di cultura, la storia del Papato in casa?
Non credo, temo invece sia sedimentata in millenni e che non possa essere circoscritta. La caccia alla streghe lo racconta molto bene, donne-dottori la cui intelligenza divenne un problema. La storia rivela che nei secoli il sesso forte ha sempre cercato di prevalere sull’altro, è capitato anche a me di lavorare con uomini che mi facessero sentire sciocca, una forma di protezione, secondo loro.


Hai anche dichiarato “il mio posto è il passato”, sei una nostalgica?
Il mio posto è dentro di me. Sono piuttosto una malinconica, amo i ricordi, quel viaggio sensoriale che ti permette di tornare in un posto amato; la musica regala la stessa percezione e attraverso di essa mi piace crogiolarmi nella malinconia. Ma non si vive di malinconie né di ricordi, la vita è un soffio, e bisogna sforzarsi di non sprecarla.


A proposito di melanconia ho letto in una intervista che quando lasci tuo figlio per lavoro, il pensiero della perdita, della mancanza, ti accompagna. Sei una madre ansiosa?

Ma chi le ha scritte ste stronzate? A mio figlio non manco per nulla. Chiunque viva un poco a lungo, impara che la perdita è un passaggio della vita con cui dobbiamo fare i conti. Con l’arrivo dei figli, arrivano tutte le paure mai provate. I primi anni, quando partivo per un tour, non vivevo bene il momento della separazione, poi ho scoperto, come ogni mamma, che dopo i primi cinque minuti già giocava spensierato. Mi manca certo, ma mi hanno insegnato che è anche un buon esempio mostrare ai proprio figli che la vita va vissuta a pieno, dare loro l’esempio dell’indipendenza, della costruzione di un lavoro.
Oggi mio figlio ha raggiunto quell’età in cui se gli dico che mi manca mi risponde “che schifo”, è nell’età in cui fa il duro.
La mancanza poi nella vita è una condizione che non si risolve mai, passiamo un’esistenza a creare legami che lasceremo; se ci pensi ti prende un attacco di panico.


La tua prima poesia, scritta a cinque anni, aveva come tema la perdita
Trattava esattamente il tema della morte. Sarà un retaggio di mie vite precedenti, perché sono nata angosciata.
Mia madre mi ha raccontato che ha avuto una minaccia di aborto, forse avrò provato qualcosa mentre ero nell’utero, una sensazione di paura, una memoria cellulare. La poesia in questione parlava di amore per la vita, una vita che poi se ne va, insomma a 18 anni ho scritto “E poi sarà come morire”, ho fatto un percorso al contrario e mi sono dovuta rallegrare…partivo un po’ male.

Amore e Odio. Sentimentale e materno.
Sono convinta che l’amore e l’odio siano due facce della stessa medaglia; l’odio è l’amore andato a male.
Nella coppia l’amore è un lavoro a tempo pieno, va coltivato ogni giorno e con passione, che deve essere nutrita in qualche modo.
L’amore materno accompagna tutte le donne, anche chi non è madre, perché la nostra natura ci porta spesso all’accudire, al prenderci cura dell’altro. E’ un amore incondizionato, si ama un figlio a prescindere da quello che farà.
Ma è anche vero che l’amore si impara, per qualcuno è coprire dei vuoti, la vita insegna.

Apro una pagina a caso del questionario Proustiano, “qual è la tua occupazione preferita”?
Divano, film e mangiare la cioccolata. E ascoltare musica, cercare quella che non conosco, un momento di studio estremamente piacevole.

Quante ore passi a fare questo tipo di ricerca?
Troppo poco, ho poco tempo come tutte le donne che hanno una famiglia. Me lo devo ritagliare, ci vuole disciplina, a volte l’ascolto mentre faccio sport, e quando scrivo, circa un’ora al giorno.

A proposito di musica, Big Fish, il tuo produttore, ti ha proposto un reggae durante la creazione dell’album, che hai accettato felicemente, senza cercare più perfezione ma verità. Quanto è importante riconoscere chi siamo? E’ un lavoro che dura tutta la vita, ed è fondamentale. Conoscere se stessi, i propri limiti, i punti deboli, è trovare la giusta via per stare meglio con gli altri. Noi viviamo un momento storico in cui non c’è tempo per questo, siamo sempre di corsa e all’ultimo posto della tabella di marcia quotidiana c’è il momento da dedicare alla cura di noi stessi.

Total Look Dior


Quale messaggio vuoi lasciare attraverso la musica?
Non ho l’ambizione di lasciare messaggi, ho scelto questo mestiere per condividere la mia passione, sperando che arrivi al pubblico, rispettando sempre le mie emozioni. Cerco di elevare questo cammino a qualcosa di più ampio, più nobile, non a caso ho chiamato l’album “Blu”, la cui cover ha una donna vitruviana al centro, per elevare lo sguardo al cielo, perché siamo spirito e quello è il luogo che va coltivato per cogliere segnali importanti.

Perchè hai scelto i teatri lirici per il tuo tour “Giorgia Blu Live”?
Era un desiderio che avevo da tanto, ma che vedevo irraggiungibile perchè questi teatri difficilmente si concedono al pop. Io ho tentato e l’idea di cantare in un posto raccolto dove posso vedere i volti delle persone, dove il suono è vissuto in maniera intima, dove c’è evidentemente un desiderio di vicinanza con l’altro, mi faceva felice. Inoltre sono teatri di grande bellezza, di cui è necessario nutrirsi.

Ti leggo un’altra domanda dal questionario di Proust – “Le colpe che ti ispirano maggiore indulgenza”?
Le colpe commesse per amore, perché mosse dall’istinto del cuore.

Se fossi una canzone quale saresti?
Calling you di Jevetta Steele, la colonna sonora del film Bagdad Café, una canzone struggente che ha una speranza di fondo, ma anche un lamento continuo, che sono io.

Total Look Dior

Sergio Rubini, quegl’occhi a mezzaluna

Interview: Miriam De Nicolò
Photography: Peppe Tortora
Art Direction: Roberto da Pozzo
Fashion Editor: Tommaso Basilio


Su un treno diretto a Roma, accanto a me il regista che ha scritto un cortometraggio per il suo personaggio, mi mostra una foto di quello che andremo a intervistare, un grande attore, un mostro del cinema, giovanissimo, quando posò per Richard Avedon in una campagna di Romeo Gigli. Quegl’occhi, li avevo già visti da qualche parte, erano dentro di me custoditi in un cassetto vicino al cuore, uno spazio di ricordi che abbracciavo gelosamente; quegl’occhi, somigliavano tanto agli occhi di mio padre nel suo ultimo ritratto. Un sorriso appena accennato, sempre composto, elegantissimo, e quello sguardo all’ingiù, come una bocca malinconica. Sergio Rubini è il soggetto di questa fotografia, eppure quello sguardo a mezzaluna mi ricordava il mio stesso sangue.
Il set è in movimento, e il Sig. Rubini sta in un angolo della stanza a ripassare il copione, a mezza voce, accompagna le parole gesticolando, ogni tanto Saverio Ferragina (il suo press agent), lo stuzzica con una battuta, lo fa ridere, e penso a quei bambini timidi che devono essere “protetti e scaldati” costantemente dal genitore, per evitare l’isolamento. Un atteggiamento che qualcun altro al posto mio avrebbe inteso come freddo e distaccato, ma che il mio istinto legge come un “sono qui“. Decido di avvicinarmi con una tazza di tè caldo, è inverno e la sala deve ancora prendere temperatura, cerco un modo per entrare in sintonia parlando dei suoi film che ho amato, quelli da regista, “Dobbiamo parlare”, “L’uomo nero”, gli domando di quella Puglia intima che spesso racconta, una terra che è anche un po’ mia, che ho vissuto da bambina quando mio padre era ancora in vita; le sue risposte sembrano portare lenimento, forse più a me che vorrei addolcire l’estraneità del mio mestiere, costretta ad entrare nelle vite altrui, da perfetta sconosciuta.
Dopo la registrazione lo saluto con un petit cadeau, un libro che mi ha cambiato la vita, e Sergio Rubini ricambia con un abbraccio affettuoso e sincero. Non ci si abitua mai a tali slanci di tenerezza, sono gesti che commuovono, così pieni di dignità e gratitudine che l’idea di non rivedersi più, un poco strugge.

Sergio Rubini, attore, sceneggiatore e regista, ha lavorato con i grandi del cinema tra Fellini, Polanski, Salvatores, Tornatore, Genovese, Scola, e da diversi anni condivide la vita lavorativa con la sua compagna sceneggiatrice Carla Cavalluzzi. Come ama Sergio Rubini?
Ho avuto una vita sentimentale, prima di Carla Cavalluzzi, molto complessa, e con le attrici, abbastanza disastrosa. Forse in realtà con Carla ciò che è avvenuto di speciale è l’aver cominciato a scrivere insieme e la scrittura in qualche modo ha rafforzato il nostro rapporto. Quando amo, amo molto, e se amo, stimo, stimo la scrittrice che è in lei, e i dieci film che abbiamo partorito insieme, “i nostri figli”. Ma la scrittura è una faccenda seria, perché oltre ad unire, separa, litighiamo, ci togliamo il saluto, scrivere insieme è Paradiso e Inferno.

In uno dei suoi film, “Dobbiamo parlare”  lei fa dire questa frase a uno dei protagonisti “Non lasciarla perché la puoi presentare agli amici e parenti, perchè tu la stimi”.
Sergio Rubini cosa cerca in una donna?”
Non sarei mai in grado di amare disistimando, non sarei mai in grado di amare un corpo, un volto, di amare ossessivamente per ragioni estetiche, non mi basterebbe mai. Ho bisogno di fondamenta autentiche, che non possono prescindere dalla stima. 

È vero che in passato aveva il mito delle donne “straniere”
?
Si, è un aspetto introiettato da mio padre, che aveva avuto una fidanzata tedesca. Io la cercai ad Oslo. Ma è anche vero che da ragazzino sognavo di viaggiare, di evadere e quindi di avere tutte le cose che fossero il più lontano possibile da me, dalla mia città natale. Poi ho fatto come Ulisse, percorrendo un lungo viaggio e ritornando dopo tanti anni proprio in terra natia. Carla è del mio paese, nata ad appena 100 metri dall’appartamento dei miei genitori, e solo a quel punto non ho più cercato la diversità, non ho più cercato le suddivisioni.
Carla ha una laurea con tesi sull’etica nel cinema, mi ha molto colpito il fatto che fosse una vera cinefila. Solo con lei ho cominciato a parlare di cinema, quando con le attrici con le quali ero stato fidanzato precedentemente, si parlava di agenti, di contratti, di chi fosse più fortunato di noi in ambito lavorativo. 

È tornato nella sua terra natale, come si spiega l’amore per le proprie radici?
L’amore per le proprie radici è un amore illusorio, le radici diventano un luogo mentale, astratto.
La Puglia che io vi porto nei miei film, come fosse un teatro di posa, è una terra astratta che non corrisponde alla realtà. Io non compro più il pane in Puglia, non prendo gli autobus e non vivo lì. Rimane uno spazio della mente con cui mi confronto, e quando ci torno, un poco mi accompagna la sofferenza. Penso a Leopardi, che detestava profondamente Recanati, eppure quando andava a Pisa o a Firenze parlava di mancanza, di nostalgia; aveva poi trovato una strada a Pisa, via delle Ricordanze, che percorreva per sentirsi a Recanati, ma non appena rientrava a Recanati, la detestava. Ecco io ho lo stesso tipo di rapporto con la Puglia.

Ne “L’uomo nero”, uno dei suoi film da regista ambientato in Puglia, una bambina dall’aria maliziosa che indossa degli occhiali da sole da adulta, gioca con una bambola, e viene avvicinata da un bambino che vorrebbe vederle le mutandine, cercando di irretirla con una manciata di caramelle.
È il suo incontro ravvicinato ed autobiografico con il gentil sesso?
Ricordo da bambino nel corso di un compleanno di aver contrattato questa alzata di gonna e ho scelto di raccontarlo in quel film per ricordare mio zio, un commerciante proprietario di una drogheria da cui avevo forse ereditato quel tratto. Zio Peppino mi teneva parcheggiato sopra i sacchi di caramelle, dove c’erano dolciumi, coca cola, il paese di Bengodi poter accedere gratuitamente a tutte quelle prelibatezze. Un rapporto molto diverso da quello che avevo con mio padre, che mi portava in giro nei musei, mi faceva sostare davanti ai quadri, poteva rimanere in adorazione davanti ad un Cézanne per ore, descrivendomi sfumature, colori, tratti. Era un sognatore.
Ho amato perdutamente di più mio zio Peppino, ma il tempo mi ha poi fatto comprendere quanto sia stato fondamentale mio padre nella mia formazione.

Lei ha dichiarato di avere iniziato un percorso di psicanalisi vent’anni fa, qual è stato il pensiero scatenante?
Non riuscivo ad innamorarmi perchè fuggivo dall’amore. Amore equivaleva per me ad abbandono, innamorarsi era un rischio troppo grande, un vero pericolo.
Quando dicevo “ti amo” ad una donna, mi giravo sistematicamente e facevo una smorfia, sempre, un rito per mantenere le distanze, era un gesto puerile che ho mantenuto fino ai 39 anni.
Mi rendevo conto che questo atteggiamento mi stava creando un problema, mi teneva lontano da sentimenti profondi, e mi portava a fidanzarmi a ripetizione, più volte durante la stessa giornata, il che mi consumava e mi distraeva dal lavoro. L’analisi mi ha aiutato, ad accettare l’amore, a non vederlo come un ostacolo.

Siamo nati per essere in due, oppure cerchiamo attraverso l’altro di alleviare la nostra insita solitudine?
Penso che siamo nati drammaticamente soli, ma fortunatamente esistono gli altri con cui possiamo relazionarci e avere la possibilità di definire il perimetro di ciò che siamo, perché la dimensione di ciò che siamo per davvero non avviene attraverso uno studio interiore, ma attraverso il dialogo che riusciamo a instaurare con gli altri. 

Sergio Rubini wears clothes from from Romeo Gigli AD campaign 1998 by Richard Avedon

Nel film “Dobbiamo parlare” il personaggio cinico di Costanza irrompe con una sentenza e dice ai due protagonisti “Ma crescete, imparate a dire qualche bugia”. Le bugie nel rapporto di coppia sono una necessità?
Penso che siano una grande responsabilità. Penso che dire sempre la verità in fondo sia un modo per deresponsabilizzarsi tipica degli adulti. Io ti racconto tutto di me e in qualche modo non mi impegno mai. Mentire delle volte equivale a responsabilizzarsi. Poi, certo, la menzogna è una specie di spiraglio, di pertugio che può diventare una consuetudine e quindi è bene starle lontano affinché non lo diventi. 
L’eccezione vuole che la menzogna possa servire anche a scopi alti. Non parlo di tradimenti, parlo di rapporti d’amore in generale, come quello padre-figlio, dove delle volte non dire tutto significa anche impegnarsi affinché quella realtà non venga contaminata mai dalla bugia.

Ma lei da grande attore ha imparato anche a dire grandi bugie?
Gli attori non sanno mentire, è un luogo comune che gli attori sappiano mentire. L’immagine della valigia dell’attore con dentro tanti abiti pronti a trasformarsi è una cazzata. Gli attori hanno come professione quella di mettersi a nudo, dentro la valigia non c’è nulla, gli attori dicono la verità.

Domanda di rito, Sergio Rubini quanto è Snob?
Dipende molto da che cosa si intende, io non penso di essere snob. Cerco di immedesimarmi con gli altri, di non staccarmene, spesso cerco di confondermi con gli altri. Per questa ragione non credo di essere snob, ma mi rendo conto che questo tipo di affermazione mi rende molto Snob. 

SNOB diventa internazionale. Il grande Party di lancio il 25 maggio 2023

Un grande passo per SNOB che porta sul mercato un nuovo progetto editoriale, fatto di storie vere, nuovi approfondimenti culturali, e che da questo secondo numero conferma la distribuzione internazionale. Europa, Italia, Usa, Asia, i paesi a cui SNOB vuole rivolgersi, e che troverete nei migliori bookstores selezionati, oltre alla presenza nell’hotellerie stellata di tutto il mondo.

Per festeggiare questo traguardo, il giorno 25 maggio 2023 alle ore 19.00 si terrà un grande evento presso l’esclusivo membership club Lucid, sito in Palazzo Bagatti Valsecchi a Milano, un’Exclusive Party a numero chiuso con la partecipazione dei protagonisti del numero, tra cui il grande attore Sergio Rubini, e poi talents, stampa, socialitè, top client, Ezio Tavasani, armatore della New Zealand Endeavor, la barca vincitrice della Whitbread Round the World, regata intorno al mondo, e il suo skipper Mauro Magarotto.

Il secondo numero di SNOB sceglie quale macro temi HATE – LOVE, due facce della stessa medaglia, raccontate dai massimi esperti del settore; abbiamo l’approfondimento sul tema dell’odio del profiler Roberta Bruzzone, massima esperta criminologa e psicologa forense; uno sguardo sul passato e sul presente della musica neomelodica dalla penna di Federico Vacalebre, il primo critico musicale ad avere coniato il termine “neomelodico” passato oltre oceano; il mondo dell’arte fotografica espressa dall’art sharer Maria Vittoria Baravelli, e le visioni intime di personaggi noti come la cantante Giorgia, il rapporto con l’amore sfuggente di Sergio Rubini, l’impronta ereditaria del teatro napoletano nell’attore Eduardo Scarpetta, i cambiamenti di Tommaso Ragno, i mille volti di Manuela Zero, i ritratti scattati dal grande maestro Oliviero Toscani.
Un numero da collezione dove immagine e parola hanno uguale peso.

Tantissimi gli sponsor della serata tra cui Bentley, con cui SNOB ha definito una partnership ufficiale. Una Bentley Bentayga EWB brandizzata SNOB accompagnerà gli ospiti in location, il lussuoso e potente SUV del marchio d’auto diventato esclusivo simbolo di trasporto della casa reale inglese.

Sui maxi schermi del locale, verranno proiettati durante la serata i materiali esclusivi del numero printed di SNOB, e verrò regalato agli ospiti il numero in anteprima. L’uscita nei bookstores è prevista la settimana successiva.

A coccolare il palato, il Miglior Chef dell’olio A.i.r.o. 2021, Lorenzo Cantoni de “Il Frantoio”, Assisi, un riconoscimento internazionale che premia gli utilizzi dell’olio extravergine d’oliva in cucina, uno chef di tecnica e creatività che delizierà gli ospiti con le sue 11 portate gourmet.

Nella splendida terrazza vista Duomo, degustazione di vini dall’azienda Zorzettig, una storia nata più di cento anni fa sulle colline di Spessa di Cividale nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, luogo ideale per la viticoltura grazie a un terroir e un microclima unici.
Un’opera d’arte interattiva attende gli ospiti per scoprire… come nasce un’idea!

Due le drink list per ogni gusto e palato, con Brugal Rum, maestri della produzione del rum pregiato dal 1888 ed Elit Luxury Vodka, medaglia di platino per gli spirits bianchi più apprezzati al mondo. Uomini e donne di ogni età potranno divertirsi a degustare i differenti cocktails creati dal brand ambassador Brugal, Matteo Melara, e scoprire il nostro signature cocktail, SNOB, composto da ingredienti provenienti da ogni parte del mondo.

Nella cigar room del Lucid Club, locale intimo per chi desidera fare conversazione, ci saranno due esperti whisky e sigari, che vi condurranno nella degustazione di whiskies 25 anni della storica distilleria Glenrothes accompagnati da sigari Premium eco en Nicaragua. Ci sarà anche la possibilità di potersi iscrivere direttamente al CLUB SNOB, il membership Club che ha come obiettivo il network e la creazione di partnership al fine di sviluppare progetti culturali e business.

Dalle più importanti scene musicali milanesi, Christian Croce dj set della serata con musica di ricerca che da sottofondo toccherà le note house nel proseguo della notte.








Mosche Giganti

INTERVIEW: MIRIAM DE NICOLÒ

PHOTO: MARCO ONOFRI

Alcuni sembrano delle giganti mosche kafkiane, altri grandi insetti colorati che spostano campi di grano, sono gli elicotteri, questi oggetti volanti che trasportano vite umane da salvare o che sorvolano il tran tran delle strade a capriccio dei più ricchi. Una realtà solida per sicurezza e manutenzione, tra le poche società ad avere le licenze per l’acquisto di macchine governative. È ad Eurotech che si rivolgono i più esperti e appassionati, anche personaggi noti del mondo dello sport e spettacolo. Eurotech è il punto di riferimento di chi cerca qualità, esperienza, professionalità.
Eurotech è la società leader nel settore degli elicotteri, capitanata da Roberto Grazioli, tecnico e pilota di elicotteri conosciuto in Italia e nel mondo.

Roberto Grazioli, fondatore, è un uomo di poche parole, non ne spreca mai, sembra sempre concentrato su qualcosa di più importante, quasi assente sulla terraferma e concentrato in volo. 
Roberto dirige Eurotech, si occupa dell’import-export di elicotteri inserendoli in massima sicurezza per spedizione in container e insegna alla Scuola di Volo che ha sede presso la struttura di Caiolo in via Valeriana 8, un ambiente confortevole per studenti fuorisede con tutte le comodità di un appartamento. 

Se dovessi raccontare il tuo mestiere a un bambino, cosa diresti?
Non faccio un mestiere, mi diverto.

La tua giornata tipo?
La cosa bella è che non ho una giornata tipo, ogni giorno è diverso, a volte c’è più lavoro da ufficio come la preparazione di report e preventivi, la divulgazione di materiale audiovisivo e bollettini, altre le passo in officina per fare manutenzione o mantengo rapporti con clienti.

Qual è il tuo cliente tipo?
Privati e aziende o società che lavorano con gli elicotteri, anche nel settore istituzionale come il trasporto pubblico (ambulanze, polizia, vigili del fuoco, carabinieri). 
Un’attività assolutamente unica che facciamo solo noi è che trattiamo l’usato dei governativi, compriamo elicotteri usati, facciamo manutenzione, li verniciamo in sede, gli ridiamo una seconda vita e li rivendiamo. Siamo gli unici in Italia autorizzati a farlo da circa 15-20 anni; avremo compra-venduto più di 500 elicotteri. I privati sono molteplici, sportivi, industriali principalmente. 



Quanto costa un elicottero?
Vai dai 100.000 euro per i più piccoli a svariati milioni di euro per i più grandi.
I piccoli li usiamo per le lezioni di scuola guida o per i privati che vogliono spostarsi.
Abbiamo costruito questa base a Caiolo, dove abbiamo vari capannoni e un’accademia completa di servizi per ospitare i nostri allievi, così possono dormire qui.
Abbiamo altre 3 scuole di volo tra Milano e Roma, quindi sono in continuo spostamento, ovviamente in elicottero. 

Come è nata la tua passione per gli elicotteri?
Un po’ per caso, ero a Milano e studiavo all’Istituto Tecnico Industriale Statale G.Feltrinelli, appena diciannovenne decisi di lasciare per iniziare un nuovo percorso da tecnico pulendo 
gli hangar. Mi sono poi trasferito negli Stati Uniti dove ho conseguito i primi brevetti da pilota, e a trentacinque anni ho deciso di mettermi in proprio, il primo hangar in affitto in provincia di Como e il primo elicottero. Successivamente ho comprato un terreno e ho costruito il mio hangar, i clienti mi hanno seguito e così è iniziato il mio percorso con gli elicotteri. I miei clienti sono i miei amici, questo rende il mio lavoro una vera gioia. 

Perchè ci si rivolge a te? Che cosa offri come plus?
È il cliente a decidere e lo fa perché si instaura un rapporto di totale fiducia, oltre alla professionalità e all’esperienza che offri. Ma soprattutto apprezza la velocità nella risoluzione del problema, perché io sono sempre reperibile e intervengo anche di sabato e domenica.
Gli imprevisti non hanno orari da ufficio! 

È un buon investimento l’acquisto di un elicottero?
L’elicottero non perde di valore, chi volesse rivenderlo dopo uno o due anni recupererebbe lo stesso importo dell’acquisto. Il valore dell’elicottero è dato dalla vita residua dei componenti che ha installato.

In accademia di pilotaggio sono più uomini o donne?
Uomini, le donne in percentuale sono poche, è difficile trovare donne che abbiano una buona manualità nel pilotaggio, ma quando le scopri sono veramente brave. 

Quanto costa fare un brevetto di guida?
All’incirca 20 mila euro, 400 euro ogni ora di volo.

Oggi hai 60 dipendenti, quali sono i loro compiti?
Si dividono tra officina e ufficio tecnico, ogni pezzo dell’elicottero è tracciato e ogni modifica e sostituzione deve essere documentata, quindi il lavoro da fare è immenso tutti i giorni.

Cosa significa per te volare?
È una passione fortissima di cui sento la mancanza quando non posso volare, come in tempo di Covid. 

Se dovessi rivolgerti a chi non ha mai volato in che modo gli consiglieresti di iniziare questa nuova avventura?
Consiglierei di accogliere tutte le emozioni che regala. Io sono caduto 4 volte, una volta a causa del maltempo ho preso le cime di alcune piante, un’altra facendo gancio è subentrato un problema meccanico che mi ha fatto perdere il controllo del veicolo, stavamo trasportando i formaggi dalle montagne e sono stato costretto ad un atterraggio improvvisato un po’ duro. Una vertebra schiacciata e un’operazione che mi ha lasciato in corpo delle viti e una piccola placca. Ma appena lasciato il tempo al fisico di recuperare, sono risalitoa bordo. Gli elicotteri sono mezzi davvero sicuri, è molto più pericolosa la strada che il cielo. 

Nella vita privata usi l’elicottero o l’automobile?
L’elicottero, risparmio molto tempo; l’auto la utilizzo pochissimo.

Sei un appassionato di motori?
Si, le macchine mi piacciono. Ho anche un paio di auto d’epoca 500 Topolino. La moto invece credo sia uno dei mezzi più pericolosi in assoluto.

Tuo figlio segue le tue orme ma tua figlia ha scelto un’altra strada, sei dispiaciuto?
Beh mi piacerebbe che anche lei venisse a lavorare per noi, per il suo percorso di studi sarebbe fondamentale in azienda.

Tua moglie ha paura del tuo lavoro?
A volte si lamenta, ma poi mi segue nei progetti. Anche lei lavora in azienda la mattina.

Obiettivi futuri?
Abbiamo iniziato questo grande progetto di acquisto di elicotteri usati governativi, siamo i primi a farlo e sono davvero curioso di vedere a che cosa porterà perché promette numerosi sviluppi. 



Ossessione carta da parati, cartadaparati.it leader italiano

Milano brulica di interior designers e architetti alla ricerca delle meraviglie che il Salone del Mobile offre agli amanti del gusto e dell’estetica d’ambiente. Arredi di design, giochi di luce, installazioni che ribaltano la logica ma regalano alla casa un’atmosfera moderna, originale e in grado di stupire.
Tra le ricerche ossessive degli ultimi tempi, la carta da parati è certamente la scelta d’arredo che va per la maggiore, sempre più particolari, in qualsiasi stanza della casa e soprattutto personalizzabili, le carte da parati stanno ritornando di moda e dettano tendenza.
Tra i primi in Italia a creare carte da parati custom made c’è l’azienda Eko Design Srl che attraverso il sito www.cartadaparati.it offre collezioni per ogni gusto e tipologia, dalle fantasie tropical ai paesaggi naturali, per chi anche nell’ambiente domestico vuole sentirsi immerso nella natura, oppure decorazioni astratte e geometriche per gli amanti delle linee e dello stile moderno. Inoltre, per i clienti più esigenti, è possibile selezionare la tipologia di materiale Premium, che si differenzia sostanzialmente per tipo di composizione, resistenza al graffio ed alla pulizia. Le carte Premium non sbiadiscono al sole, sono a base acqua per cui ecologiche ed inodore, sono più compatte ed è possibile sceglierle anche adesive e calpestabili, una valida alternativa per coprire pavimenti vecchi o piastrelle del bagno ormai demodè.
Ma per avere un pezzo davvero originale, cartadaparati.it offre un servizio di carte custom made, che è possibile disegnare insieme ai loro grafici, passo passo modificandole in base alle vostre esigenze; si può partire da un disegno già esistente e cambiare colori e dettagli, oppure potete dare libero sfogo alla vostra fantasia ed arredare la casa dei vostri sogni.

Abbiamo intervistato il Fondatore di Eko Design Srl, Piero Cianci, che ci ha raccontato l’evoluzione di un progetto in continua crescita:


Quando è nato il progetto cartadaparati.it?
Nel 2001 il mio studio grafico si occupava già di elaborazioni e concept grafici per industrie, nel 2010 eravamo già in possesso di macchinari in grado di stampare carta da parati le cui richieste erano sempre maggiori e che oggi ci occupano il 50% del lavoro.
Solo un anno e mezzo fa abbiamo acquistato il dominio cartadaparati.it che ogni giorno si implementa di nuove scelte per accontentare i gusti di privati e professionisti del settore.

Qual è la ragione per cui sono tornate di tendenza le carte da parati?
C’è un nuovo modo di concepire la casa e l’ambiente che si vive, come anche il luogo di lavoro; dopo il declino degli anni ’90 c’è stato un cambio di rotta e oggi la si sceglie per arricchire gli spazi, creare ambienti interessanti, giocare con le prospettive.

Per quale ambiente della casa è più richiesta?
Sicuramente la zona notte, a seguire il salotto.
Ma la vera rivoluzione la fa la nuovissima carta da parati in fibra di vetro, una carta ultra-strong che può essere posata anche in cucina, tendenzialmente ambiente umido a causa dei vapori di cottura, e nella cabina doccia, grazie ad un trattamento extra davvero super resistente.

Perchè le vostre carte da parati sono Green?
Le nostre carte da parati non contengono componenti chimici, sono interamente di cellulosa e tutte certificate; abbiamo da subito deciso di investire su un macchinario HP che consente di stampare senza solventi grazie a una tecnologia che si chiama Latex.
L’inchiostro di questo macchinario è certificato ed ecologico, non hanno un cattivo odore (come le carte chimiche) e non contengono solventi; oltre a questo per la categoria PLUS, abbiamo aggiunto una sostanza che protegge la carta dal graffio e dall’usura del sole.

Si può quantificare la vita di una carta da parati?
Dipende dal contesto in cui viene montata, quanto è soggetta al graffio e alla pulizia.
Una buona manutenzione potrebbe farla durare anche 20 anni.

Quali sono gli accorgimenti per la posa?
Le nostre carte hanno il retro in TNT, questo permette di far aderire la carta alla parete senza far posare prima la colla, ma stendendola direttamente sul muro. Questo è un altro grande vantaggio rispetto agli altri tipi in cui è necessario prima stendere la carta di base, passare la colla e poi stendere la carta da parati sopra la colla.

Sono lavabili le vostre carte?
Sì, sono tutte lavabili e abbiamo anche una versione calpestatile, con un fondo adesivo da applicare direttamente sul pavimento. Questo nuovo e particolare tipo di carta ha un film protettivo in pvt e può essere lavata anche con solventi.

Ha costi molto più alti rispetto alle altre?
No, costa solo 3-4 euro in più rispetto alla tradizionale, ma questa in fibra di vetro è più resistente e fornisce anche un minimo isolamento termico. Molte persone dopo la posa stendono una mano di vernice resinata trasparente che la rende totalmente idrorepellente.

E’ un trend recente?
Sì, l’abbiamo introdotta 6 mesi fa e in media ogni sei ordini, uno è di carta in fibra di vetro.

Come si ovvia allo spazio tra una piastrella e l’altra?
L’ideale sarebbe stuccare le piastrelle/mattonelle, non è necessario rimuoverle, ma stuccarle e riempirle. In questo modo si ottiene un effetto completamente liscio; in alternativa si può usare fibra di vetro o carta Canvas che sono più spesse e riescono a mascherare bene le fessure.

Qual è il vostro cliente tipo?
Architetti e addetti al settore che fanno ordini per clienti, e molti privati che acquistano in autonomia spesso per la propria camera da letto.

Le grafiche più richieste quali sono?
Due ordini su tre sono a tema jungle.
Lo stesso trend si è spostato su questo tipo di motivo ma in versione retrò, con cigni, animali mistici, surreali, con effetto intonaco consumato ed effetto vintage.

La customizzazione quanto tempo richiede?
Una media di un’ora a cliente, cercando di ottenere il massimo delle informazioni e le specifiche richieste. Insieme al cliente andiamo poi a sviluppare quelli che sono i dettagli e le piccole modifiche richieste.
La bozza viene inviata tendenzialmente entro 24 ore dall’ordine.

Siete stati tra i primi in Italia ad utilizzare un certo tipo di macchinario di produzione, si prospetta un’innovazione in materia?
Stiamo pensando di acquistare un macchinario che ci consente di velocizzare i processi di produzione tagliando le bobine in automatico direttamente post stampa in un unico processo. Il secondo step potrebbe essere l’inserimento in azienda di un nuovo macchinario HP entro fine anno, R1000, Latex, per incrementare il volume di produzione.

Lei a casa ha delle carte da parati?
Certamente, è un modo per rinnovare l’ambiente e dargli un tocco di personalità, di carattere. Ho appena cambiato un motivo bianco su bianco con cerchi che stava in corridoio da 8 anni, per fare spazio ad una composizione astratta colorata e animali preistorici stilizzati su un fondo intonaco.
Il prossimo mese sul nostro sito www.cartadaparati.it faremo un upload di altre mille carte circa, tutte customizzate da noi, per non avere motivi simili a quelli della concorrenza.




Memorie di un baro, il romanzo di Sacha Guitry

Pressoché sconosciuto in Italia, Sacha Guitry fu un fervido autore, attore, regista, commediografo, scultore e appassionato collezionista d’arte, un dandy che esaltava con grande eleganza l’importanza della leggerezza.
Lo descrivono come megalomane e centrocentrico, quelle personalità bizzarre la cui eccentricità cela qualche guizzo di genio; si sposò ben cinque volte, beveva tre litri di vino al giorno, senza contare la birra e il resto, la sua firma era la rapidità, scriveva commedie in tre, quattro giorni, e aveva il vizio sfrenato per il gioco d’azzardo, che racconta in questo piccolo capolavoro “Memorie di un baro“, edito da Adelphi con traduzione di Davide Tortorella e una bellissima postfazione di Edgardo Franzosini.

Protagonista del romanzo è il caso, a cui viene dedicata l’intera opera, unico e solo a decidere anche per il “baro”, che inizialmente crede di poter decifrare la sorte con numeri e calcoli minuziosi.
L’eroe del libro, baro lo diventa per ironia della sorte, che lo ha reso orfano per intossicazione fungina, uccidendo tutti i componenti della famiglia che lo avevano punito lasciandolo a letto senza cena. Sarà quindi il solo sopravvissuto e girerà per la Francia in cerca di fortuna. Prima e grande certezza di questi viaggi repentini, è che “essere ricchi non è avere soldi, ma spenderli”.

Parigi? Non gli piacerà. Non eccellente, no, troppe ragazze sui marciapiedi, troppa grandezza, troppa miseria, un misto indefinibile di spirito, gusto, snobismo, balordaggine, spericolatezza e amoralità. E’ invece Monte-Carlo a ispirarlo, città dove ogni straniero può sentirsi a casa propria; qui si insedia dapprima come croupier e poi come baro, troverà una moglie che diventerà anche sua complice al gioco e incontrerà il suo destino.

Memorie di un baro” si fa leggere d’un fiato, inizia come un noir, si apre come romanzo d’avventura, si completa di preziosi bozzetti dove compaiono in piccoli tratti le figure che il narratore incontra nella storia, e si chiude con una morale:

“Il gioco è immorale?
E allora perché si incoraggiano le corse dei cavalli, si tollera la Borsa valori- guai a chiamarli giochi d’azzardo-, si chiude un occhio sulle lotterie, che si fregiano perfino dell’appellativo di nazionali?”



AZUL, Stefano Accorsi al Teatro Franco Parenti di Milano

“AZUL – Gioia, Furia, Fede y Eterno Amor”, Stefano Accorsi a teatro, in uno spettacolo che parla di amicizia, sogni e passione per il pallone

C’è nel teatro, in quello spazio magico dove l’attore non solo si muove ma danza, una sorta di fantasmagoria, di romanticismo, dove le parole assumono forme nuove e i personaggi si arricchiscono di una sensualità antica.

Ogni volta che siedo su quelle poltroncine rosse, mi riprometto di tornarci più spesso, perché il teatro guarda in faccia la vita vera, con persone vere, con musicisti veri, e in “AZUL – Gioia, Furia, Fede y Eterno Amor“, Daniele Finzi Pasca, scrittore e direttore dello spettacolo, ha voluto rappresentare l’amicizia con un linguaggio universale.

Quattro amici condividono una grande passione, quella per il calcio, la storia di ogni casa vista da ogni finestra nel mondo; Pinocchio, Golem, Frankenstein e Adamo, sono personaggi di fantasia e un po’ fantastici lo sono, nelle perfette caratterizzazioni. Pinocchio, detto Pino, interpretato da Stefano Accorsi, ha una fobia per il verde e per i grilli, nessuno di loro ha avuto la fortuna di essere amato da una madre, ma tutti amano la stessa squadra, Azul.

E in questa squadra riversano tutta la loro foga calcistica, gli abbracci dissennati, l’euforia per un gol, anche la rabbia e il disprezzo, verso gli avversari scorretti, ogni sentimento viene condiviso come se tutti i tifosi, tante piccole particelle, diventassero una cosa sola.

Su una poltrona che fa da coscienza, Stefano Accorsi che abbraccia pienamente tutto lo spazio, tenendo la scena, il ritmo, l’attenzione del pubblico, si lascia andare ai ricordi, sotto le note di un pianoforte a muro, in una sorta di fenomeno della memoria involontaria. I pensieri che ne scaturiscono, sono sempre metafore e raccomandazioni che fa a se stesso e a noi tutti:

La felicità quando arriva, bisogna godersela tutta, spremerla tutta. Non approfittare della felicità è una delle cose più stupide che si possano fare nella vita. Di felicità ne abbiamo a disposizione un tot. Io lo dico sempre, raccoglietele tutte le briciole della torta, di giorni di festa ce ne sono un numero limitato nella vita, di torte fatte con amore, burro, di felicità non c’è stomaco che possa fare indigestione.

E nel mezzo dell’opera, ci rimanda a un quesito, che forse pochi si sono mai chiesti: “In quale giorno e dove siamo stati concepiti”? Uno spaccato esilarante e divertente che Accorsi tiene con una naturale ironia, con equilibrio e con una scioltezza accolta dal pubblico con grandi applausi e coinvolgimenti.

foto di Lorenzo Burlando – Viviana Cangialosi – Jarno Iotti – Filippo Manzini

“AZUL – Gioia, Furia, Fede y Eterno Amor” è uno spettacolo fatto di consigli sussurrati, di umanità, un teatro leggero che accompagna a riflessioni profonde, ma che soprattutto, nel raccontare la follia del tifo, nella semplicità di un’amicizia, reinventa la poetica di un intero mondo:

Sono cresciuto nel mondo del teatro e poi sono stato rapito dai grandi eventi: spettacoli monumentali per il Cirque du Soleil, Cerimonie Olimpiche. Però, ogni volta che ritrovo l’odore e il sapore della scena, mi sembra di tornare a casa e di riscoprire le mie radici. Credo siano clown i personaggi che popolano le mie storie dato che sussurrano, inciampano, ridono e si commuovono. Sono fatti di cristallo, di burro e di zucchero e con un colpo di vento si trasformano in giganti. Ho avuto la fortuna di incontrare Stefano Accorsi, Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo e Luigi Sigillo attori carichi di umanità, mestiere e passione. Con loro è stato facile dare vita a questa piccola rapsodia dedicata a quanti non si danno mai per vinti.” Daniele Finzi Pasca

foto di Lorenzo Burlando – Viviana Cangialosi – Jarno Iotti – Filippo Manzini





Mercedes Dream Passion

INTERVIEW: MIRIAM DE NICOLÒ 
PHOTO: MARCO ONOFRI

Lo sguardo duro, fiero, di quelli che credono nelle gerarchie, che obbligano al rispetto e alla distanza, quelli che in paese chiamerebbero “un uomo tutto d’un pezzo” o i più sensibili “ne ha viste tante e la vita lo ha indurito”.

Davide Spartaco Penitenti, A.D. Si.Se, azienda nota ed apprezzata in Italia e nel mondo che si occupa di sistemi segnaletici e della loro sicurezza, è un appassionato collezionista di cose belle, e tra queste rientrano le auto d’epoca, una vera e propria ossessione che racchiude in un parco macchine di oltre 20 esemplari.
Insieme al figlio Matteo, Penitenti partecipa alla prima edizione del Grand-Road Venezia-Montecarlo, la gara riservata alle supercar moderne costruite dal 1982 al 2019 organizzata dalla Scuderia Mantova Corse. Padre e figlio al volante di una Mercedes Benz AMG GRT (640 hp) vincono la gara, e con lo spirito competitivo di Penitenti non poteva essere diversamente.
Dice, guardando la sua Mercedes 6oo V100, “Io sono un collezionista di auto-mobili e non di auto-statiche”.

“Ha tutti gli optional: telefono, frigobar, televisione, tendine, porta profumi, ed è a comando idraulico perché non facesse rumore. Testimonianze vogliono che su questi sedili ci siano stati il direttore d’orchestra Herbert von Karajan e l’attrice Ursula Andress, amici dell’ex proprietario, fino a quando l’auto non è diventata mia! Questa fa parte di una serie realizzate in scala dal verde scuro al verde oliva ed è totalmente restaurata in ogni sua parte, dagli interni in pelle ai legni, dalla carrozzeria al motore.”

Oggi chi costruisce delle auto che possiedono questa eleganza?
Nessuno. Forse la Bentley, ma è comunque più classica, non ha le stesse forme della Mercedes. Questa Continental T, ad esempio, riprende i canoni estetici della Bentley fine anni ’20 nel cruscotto, quella dei Bentley Boys; è una delle poche uscite con questa combinazione, ha la configurazione particolare in alluminio infiorettato, sembra spazzolato, veniva realizzato e poi lucidato per evitare che si ossidasse. Una versione sportiva con prestazione da Ferrari, anche se non sembra è un gigante della strada. Nel mio parco auto possiedo anche due Ferrari, una 400 I, serie iniziata nel ’73 e finita nell’ ’89 nelle varie versioni 365, 400, 400 I e 412, era a suo tempo la macchina “degli importanti”, la possedevano Gianni Agnelli, Pininfarina; questa era di Manuel Fangio, noto campione del mondo di Formula 1; e una Ferrari 599 relativamente moderna, era la macchina di Paolo Barilla, un caro amico.
Il grigio ferro l’hanno pensato per questa 560 SL, comprata a Cape Code nella villa accanto a quella dei Kennedy, importata nel 2011 e realizzata appositamente per il mercato americano; io l’ho voluta rossa con gli interni color dattero, perchè quando ero più giovane c’era la serie televisiva Dallas di cui ero appassionato e questa era proprio la macchina che usavano nelle scene principali. La 420 SL Mercedes, europea, viene da Montecarlo, l’ho comperata da un amico, è una serie prodotta in poche unità rispetto al totale, ne hanno fatte 2000.
Sono auto la cui differenza sostanziale da quelle di oggi sta nella qualità dei materiali e degli assemblaggi, linee e forme, e un’eleganza che appunto non esiste più.

Per questo ha la passione per le Mercedes?
Si, ma le amo tutte!
La Mercedes Coupé con cui ho corso è azzurro pastello con il tetto panna e la si riconosce dai bolli che sono rimasti!
Ma possiedo anche una Fiat 125 con cui ho partecipato al Rallye Monte-carlo Historique; a breve invece arriva Unimog, un camion speciale prodotto dalla Mercedes Benz che si adatta a ogni tipo di terreno, 1980 mimetico.
15 giorni fa ero a Stoccarda all’interno di una bellissima fiera di auto, per la maggior parte Porche e Mercedes, mi si avvicina un tizio scatenato, allo stand Unimog che si trovava accanto a quello delle G-class Mercedes e mi dice: “Chi possiede una G- class è al top, chi ha una Unimog è over the top”.

Suo figlio ha la tua stessa passione?
Il primo regalo che gli ho fatto è stata una bellissima G-class del 1984 una prima serie, color sabbia del deserto con il tetto bianco, il tetto si chiama Sahara, Mercedes produceva il doppio tetto ma vista la grande qualità dei materiali ne produceva una su mille con il doppio tetto e la mia ce l’ha, è stata trovata con le targhe italiane con tutti i libretti uso manutenzione. L’abbiamo restaurata completamente ed oggi è la sua felicità ma la mia rovina, perché in ossessione mi sta superando.

Qual è la sua preferita?
La Mercedes 600 che è destinata alla grandi riunioni di famiglia, alle occasioni importanti come Natale, Pasqua, cerimonie; facciamo un giro in 600, andiamo al ristorante, ci godiamo una passeggiata d’altri tempi a bordo di una culla in velluto.

Quando nasce questa grande passione per le automobili?
Sin da marino, quando al bar di Castel d’Ario i grandi mi offrivano il gelato e io colavo dai loro racconti sul grande Tazio Nuvolari, era il 1968 e tutti volevano dire la loro su un eroe che aveva i nostri stessi natali. Sembrava quasi di sentire l’odore dell’asfalto durante le corse; erano così fervidi i racconti e così carichi di pathos che è impossibile a Castel d’Ario ci sia qualcuno interessato ad altro che non al motore.

Cosa è la velocità?
La velocità per chi prende coscienza del momento è la massima espressione della libertà.
Ogni auto possiede personalità diverse e hanno bisogno di linguaggi diversi; una Mercedes 600 si guida diversamente da una Land Rover Defender, un bolide può essere portato agli eccessi perché nasce con una certa natura ribelle.

Il collezionismo cosa rappresenta?
Il sogno di quand’ero bambino.
Sperare di diventare grande e avere dei solidi in tasca e realizzarlo. Non a caso i veri appassionati posseggono ancora in garage le prime auto acquistate da ragazzi.
Per questo dico sempre che l’immaginazione è tutto, e parte dall’infanzia.

Se dovesse paragonare l’auto ad un oggetto o a una sensazione, quale sarebbe?
L’auto è il mezzo attraverso il quale esprimo un concetto estetico trasmessomi da mia madre, donna che apprezzava molto le cose belle. Quel che per me è importante è il valore intrinseco, non monetario, perché l’oggetto in sé rappresenta la passione; ci si lascia sedurre da un bell’abito, un trucco fatto ad arte su un sorriso smagliante.
Ciò che muove il nostro desiderio è il piacere, piacere di possedere e curare, piacere di gioirne e far sorridere, e la bellezza in qualche modo condiziona il nostro umore, per questo quando vediamo qualcosa di brutto e dozzinale siamo tristi ed è vero il contrario.

La sua attività in azienda SI.SE è legata in qualche modo alla sua passione?
La mia azienda si occupa di segnaletica stradale e servizi annessi e connessi in Italia e nel mondo, sono a contatto con gli enti che gestiscono questa forma di sicurezza, l’interlocutore naturale è il governo nelle sue forme che può passare dal Ministero dell’Interno perché è sempre un pacchetto sicurezza fino agli uffici tecnici comunali o autostradali o delle province delle Ferrovie dello Stato.
L’attività è certamente legata alla mia passione, che è determinante, è un momento di gioia strettamente correlato al pericolo occasionale, l’adrenalina che una persona ha modo di provare nell’ambito della passione è una sorta di refugium peccatorum, una valvola di sfogo, come quando lanci la tua auto a velocità importante e stai rischiando la tua vita: un mix terrificante ma allo stesso tempo eccitante.

La situazione più pericolosa che ha vissuto?
La parte più pericolosa non riguarda l’attività precisamente espressa ma il modo in cui io sono arrivato a proporre il mio lavoro nel lontano 2005 al governo iracheno, era ancora un periodo legato al momento Saddam Hussein molto pericoloso, c’erano ancora varie attività militari sul luogo e ricordo come fosse adesso il momento in cui ho attraversato il confine turco iracheno quando il militare preposto alla mia sicurezza mi disse “Signore, benvenuto all’inferno!”

Avesse la possibilità di scrivere una frase sulla cartellonista in tutti i paesi del mondo, che cosa scriverebbe?
“La vita è una questione di stile e di onore”.

Chi è Davide Spartaco Penitenti?
Il nipote di Spartaco, mio nonno era un vero gentleman, un uomo di gran cuore che ha aiutato molte famiglie, poi si è ammalato gravemente. Il figlio di un padre di famiglia modesta, appassionato di motori e meccanico motorista della pattuglia acrobatica italiana che poi ha cominciato a lavorare con i camion diventando imprenditore nel mondo dei trasporti, ma rimanendo un uomo semplice. Io amo la gente semplice, posso parlare con uno Sceicco e trovarmi a mio agio nel dialogo, o essere costretto a confrontarmi con un pinco pallino ricco che è un coglione e sentirmi disturbato.
Io amo le persone vere, il resto non mi interessa.
Silvio Peruzzi, professore alla Bocconi, mi ha detto che alla Bocconi insegnano che il management non è quello di andare in azienda a comprendere i meccanismi di produzione, di vendita, ma è quello di andare a sparare menate sulle teorie del management anglosassone quando l’Italia è basata sulla produzione.
Ecco, il mio responsabile del personale ha l’ordine categorico di cassare tutte le richieste di lavoro che provengono dalla Bocconi. Questo sono io!

Domanda di rito, quanto è Snob Davide Penitenti?
Davide Penitenti è molto Snob, non per tutti, ma Snob per sé stesso.

Intervista a Sofia Bertolli Balestra, nuovo direttore creativo di Balestra

Sofia Bertolli Balestra riporta in alto la bandiera BLU

COLLEZIONE FALL WINTER ‘23-24

Lo sapevate che non è il rosso ma il blu il punto più caldo della fiamma? Il blu Balestra per l’esattezza, quello che scalda la Collezione Fall Winter ’23-’24 di questa storica maison, oggi sotto la direzione artistica di Sofia Bertolli Balestra, terza generazione che introduce il prêt-à-porter contemporaneo.

Una collezione materica, con tessuti seconda pelle come il lamè, ricami daily, il blu colore dell’energia,
tessuti nuovi e nuove sperimentazioni per un mercato veloce ma attento ai dettagli e alla qualità.

Ai trench tecnici sono collegate delle mantelline, il velluto cattura luce e calore, e l’effetto rettile dato dalle paillettes ci riporta nelle terre selvagge dentro cui sono stati inseriti i disegni delle ginestre, l’unico fiore che cresce in territori ostili come quelli vulcanici. E’ il fuoco il filo conduttore della collezione Autunno Inverno ’23/’24, che scioglie metalli argentati come il jersey effetto pelle e che prende vita nei long dress di raso cinzato.

Abbiamo incontrato Sofia Bertolli Balestra che ci ha raccontato così la collezione:

Sofia Bertolli Balestra, terza generazione della grande maison, lei è cresciuta tra bozzetti, creatività, e abiti couture, questo è anche il futuro che desiderava?

Mi sono diplomata prestissimo, a 17 anni, e a quell’età sognavo di fare la giornalista, ma da sempre ho avuto la passione per l’arte, ciò che mi ha accomunato a Renato, mio nonno, per cui ho scelto, dopo la critica, di diplomarmi anche in Storia dell’Arte Contemporanea. Solo successivamente sono entrata in azienda con lo scopo di andare a ritroso nell’archivio Balestra, e di creare un puzzle importantissimo della storia della moda italiana.
In questo bellissimo viaggio sono gli anni ’60 /’70 ad avermi affascinato maggiormente, e quel coraggio avventuriero di nonno Renato, che aveva di prendere la valigia da Trieste e cercar fortuna altrove, da Milano a Roma per poi arrivare al successo che tutti conosciamo.

Sofia Bertolli Balestra

Quali sono le grandi novità all’interno della collezione FW ’23/’24?

Dall’haute couture siamo passati ad una collezione prêt-à-porter contemporanea, mantenendo il grande bagaglio sartoriale della maison, tutto quello che passa dall’ideazione alla costruzione di un abito d’alta moda, background che ci ha permesso di essere sempre molto attenti al dettaglio, alla qualità del prodotto, fondamenta imprescindibili.

Abbiamo però inserito tessuti del tutto nuovi e stiamo lavorando al fine di ottenere un prodotto che sia competitivo anche rispetto al prezzo, che risponda ad un mercato totalmente diverso dal passato, più veloce.
Oggi la moda è democratica, un tempo era privilegio di pochi.

I cambiamenti sono quindi prettamente scelte di mercato?

Si tratta delle scelta di voler e poter vestire tutte le donne e in tutte le occasioni. Mentre prima le scelta di un abito importante ricadeva sull’occasione speciale, oggi vorrei offrire al pubblico dei capi che possano durare nel tempo ed essere indossati nel corso degli anni e delle proprie giornate, magari inserendo dei pezzi contemporanei per alleggerire un abito da sera.

I capi Balestra sono totalmente made in Italy?

Assolutamente, ho impiegato un anno nella ricerca perfezionistica delle giuste aziende ed ho trovato una filiera di realtà umbre, toscane, laziali, romagnole, per la scelta della lavorazione dei pellami più pregiati fino alle rifiniture e ai drappeggi sartoriali.

Il capo di questa collezione a cui è più legata?

Forse il chiodo in pelle, a cui dovevo però regalare la personalità e il carattere Balestra, per cui è un insieme di tessuti tra cui pelle laminata, resine colate e ovviamente l’iconico colore blu.

Ma anche l’abito che chiamo “metallo fuso”, una second skin con spacco, l’idea è nata pensando al metallo che si scioglie sul corpo e su cui il materiale viene lavorato con drappeggi per ottenere tridimensionalità e bellissimi giochi di luce. Sembra davvero argento colato.

Progetti futuri?

Una collezione scarpe probabilmente nella prossima Primavera, vorrei dare alle donne un total look Balestra, e raccontare una sartorialità italiana e tutte quelle che sono le grandi eccellenze del settore.

Ci può raccontare un aneddoto di lei bambina?

Mi divertivo come una pazza a provare gli abiti nella stanza al piano superiore quando non c’era nessuno, ci andavo di nascosto, avevo dodici anni e mi infilavo il tacco 12 davanti a questi grandi specchi dorati, ed io piccina piccina dentro queste meraviglie che mi stavano enormi. Una collezione couture con quell’immagine di me sdoppiata per il riverbero degli specchi, era un momento magico, un sogno, e la cosa più piacevole per me non era immaginare di essere una modella, ma capire cosa si provava ad indossare un abito così speciale e avere la fortuna di sentire il tessuto, avvicinarlo alla pelle, farlo mio.

E un’altra immagine che conservo è quella delle disegnatrici con tutte le mani piene di brillantini. Anche quello “sporcarsi” fa parte del processo creativo; io dipingo ancora e sentire la materia mi aiuta ad avvicinarmi al colore e a capirlo nel profondo.

Cosa rappresenta per lei la moda?

Un modo di espressione. Io sento la necessità dell’atto creativo, è una forma d’arte, un racconto. 

Com’ è cambiata dal passato ad oggi?

È più show che prodotto, si è più attenti a chi presenzia ad una sfilata rispetto al lavoro che c’è dietro.

E cosa c’è dietro il suo marchio?

Forza e passione. C’è la voglia di raccontare una storia che non si è fermata ma è stata dimenticata; c’è la voglia di creare un marchio internazionale, e di portare il made in Italy in giro per il mondo.

Macro Micro Eros, la fotografia di Michele Gastl

Un servizio esclusivo per SNOB a cura di Michele Gastl, noto fotografo di still life che fa della perfezione tecnica il diktat del suo lavoro.

Ha immaginato un mondo Micro e lo ha rappresentato con una fotografia Macro.
Questo è l’Eros, uomini e donne si muovono in mondi fatti di oggetti d’uso quotidiano; prendono il sole tra la pasta, si spogliano accanto ad una tazza di tè, un vojeur sbircia una donna in lontananza mentre si slaccia il reggiseno, regista, microfonista e tutta la troupe riprendono delle donne nude, cosa staranno facendo? Ce lo racconta l’autore in questa intervista:

– Che mondo hai immaginato sul tema dell’Eros qui rappresentato?

Un mondo parallelo al nostro. Un mondo a noi invisibile che però rispecchia i nostri sentimenti, ha le nostre stesse passioni e desideri.

– Esibizionismo, vojerismo, quale di questi aspetti sono più interessanti da raccontare?

Sicuramente voyerismo. Personalmente intendo quello di tutti i giorni, una curiosità della vita altrui, più che della ricerca dell’eccitazione. Se conoscessi questa persona cambierebbe la mia vita?

– Nelle immagini ci sono oggetti di uso quotidiano, rossetti, tazze da tè, penne, piante, pasta, quali caratteristiche deve possere un oggetto per ispirarti?

Deve essere un oggetto di uso quotidiano immerso in una situazione che noi viviamo tutti i giorni e non osserviamo più con attenzione. Se lo facessimo scopriremmo i personaggi che la popolano.

– Dove hai trovato le miniature di questi personaggi e come li scegli?

Per caso, cercando modellini per ricostruire un paesaggio in miniatura, ho scoperto che il mondo del modellismo offre anche personaggi e oggetti inaspettati. I tedeschi sono molto bravi nel modellismo per i trenini e offrono un catalogo sconfinato. Li ho scelti anche in base all’eleganza, non volevo delle situazioni volgari.

– E’ più interessante un mondo micro o un mondo macro?

Il mondo macro è più interessante perché sfugge a prima vista, necessita di più attenzione più concentrazione in un mondo molto distratto e superficiale.

– Eros e Fotografia, è un matrimonio felice?

Inizialmente le foto dei nudi erano vendute come “aiuto per pittori”, tuttavia il realismo della fotografia contrasta l’idealismo del dipinto facendone così opere erotiche. Dalla sua invenzione la fotografia è stato un mezzo per portare nel taschino l’eros come nelle cartoline erotiche inizio secolo. Personalmente preferisco fotografare gli oggetti, sono più silenziosi e pazienti.

– Quali strumenti usi per questo genere fotografico? 

In questo caso ho usato delle vecchie luci ad incandescenza, mi sembravano più calde, avvolgenti, sensuali. La macchina fotografica digitale, moderna. La pellicola l’ho abbandonata da parecchio tempo, è un processo troppo lento.

– Quanto tempo di lavorazione è necessaria per costruire un mini set? 

Non è stato tanto lungo il tempo di ripresa quanto la ricerca e la preparazione. Le sei foto le ho scattata in tre diverse sessioni perchè ad ogni scenetta sentivo che mi mancava un prop.

– Se fossi il protagonista di queste scenette, quale saresti? 

Sicuramente il cameraman nascosto dietro alla sua cinepresa.