Alice Carli, il cambiamento che porta al progresso

EIC/ Interview Miriam De Nicolò
Photography Marco Onofri
Art Director Roberto Da Pozzo

Vintage Necklace Coppola e Toppo



Tulipani bianchi, mandarini, post-it a forma di cuore, come il piccolo portagioie rosso, una brocca di cristallo per l’acqua, una fila di evidenziatori perfettamente distanziati tra loro, un piccolo mazzetto di biglietti da visita con degli appunti lasciati a penna, un cahier in velluto fucsia con la scritta “obsession”, dei bellissimi posaceneri in argento dove stanno delle sigarette sfuse, questi gli oggetti parlanti che ricordo dal tavolo di Alice Carli. 

CEO e general manager di fashion, lifestyle e luxury goods, Alice Carli è una globetrotter e sceglie la sua dimora nel centro di Milano, in un elegante appartamento che parla molto di sé e delle sue radici; i lampadari hanno la “r” moscia, heritage parigino della nonna paterna, stessi rimandi per i soffitti a cassettoni e il parquet a quadri; nel grande salone in cui la luce è protagonista, la libreria Libelle Baxter in montanti laccato nero e rafia, separa la zona living dal lungo tavolo studio in marmo. Sul tavolo in vetro Gae Aulenti per Fontana Arte, il libro “Sirene” di Marco Glaviano, un Ginori con ortensia verde-lilla, un piatto in porcellana firmato Fornasetti e delle piccole scatole patisserie di Marchesi, azzurro Tiepolo. 

Il colore pare essere il comune denominatore delle stanze in casa Carli, che mentre posa per il nostro servizio fotografico indossa una imponente collana Dior Vintage e mi racconta della nonna centoduenne che chiede di fare la manicure, il giorno prima di andarsene. Disciplina e rispetto, più che semplice vanità, sono quindi nel dna di questa donna che, nella sua manìa del controllo (rimette al loro posto gli oggetti che il fotografo muove per scattare le immagini) ci lascia scoprire le sue passioni. E il suo brillante sorriso, come nell’immagine in bianco e nero che la ritrae nella foto di Nikola Borisov, o la sottoveste in raso nero di Rossella Jardini che ci accoglie all’entrata, lasciata cadere da un faretto dello stesso colore. 

Ma è nella dedica che le scrivono dietro ad una sua foto, che comprendiamo quel lato di Alice che invano e purtroppo nasconde: 

T’insegneranno a non splendere. E tu splendi invece“.

Quali sono i fondamenti di un manager d’azienda?  

Sono un direttore d’azienda da ormai 25 anni, i fondamentali sono la parte più strategica e dalla mia, un driver enorme sull’innovazione e sulla progettualità. 

Il tema dell’ innovazione che mi segue con la curiosita da quando ero bambina, è quello che nell’arco degli anni mi ha permesso di rimettermi in gioco, ho ripreso a studiare a 39 anni ad Harvard specializzandomi nel settore della strategia e dei trend post Pandemia, sono tematiche importanti oggi, che necessitano di approfondimenti e ricerche. E’ avvenuto durante il lockdown, un momento di grande chiusura di mercati e non avevo la minima intenzione di stare ferma a guardare, avevo l’esigenza di studiare e capire dove stava dirigendosi il mercato.

E sostenibilità è oggi un’altra key-word importante, perché se il digitale aveva soverchiato i canoni geografico/commerciali, la pandemia ha soverchiato i canoni di qualunque dimensione, l’etica per esempio, che è diventata importante per fortuna, superando la sola estetica. 

Un esempio di azienda che risponde a questi canoni? 

Diverse. Certamente quelle con cui collaboro, perchè guidate da grandi leader visionari da cui ho modo di imparare ogni giorno. Sono Advisor per la Sostenibilità per il SCR500 da Kaufmann & Partners di Francesco De Leo Faufmann; Direttore Generale di  GAIT-TECH Srl, la neonata ma già premiatissima a livello internazionale start up in cui la biomeccanica è al servizio della salute delle donne che stanno sui tacchi;  Advisory Board Member per la digitalizzazione d’azienda e lo shift verso un posizionamento Rigenerativo per Image Regenerative Clinic, dove il Professor Carlo Tremolada, PhD, ha brevettato Lipogems, un lavoro sulle cellule staminali, una bellezza che accompagna e non distrugge.

Quante ore ha un giorno? 
Dipende. 24, ma se mi alleno la mattina anche di più.

Come approcci per la prima volta all’interno di un brand già avviato per lanciare nuove strategie di marketing?
Ascoltando tantissimo, intervistando tutta la prima linea, leggendo i numeri e se esiste una proprietà, sicuramente ascoltando loro in primis, se esiste un management, ascoltando loro e se esiste un archivio o una storia, studiandola approfonditamente. Una visione nasce dagli studi di tendenze e dal matrimonio con l’heritage del marchio. 

Era il tuo sogno sin da bambina o avresti scelto anche un altro mestiere? 
Forse avrei scelto la ricerca scientifica in ambito medico. Me ne sono resa conto durante l’intervento molto serio che ha subìto mio padre, ho pensato che l’innovazione in ambito medico non è un plus ma una conditio sine qua non. 

L’innovazione è sempre progresso? 
 Spesso, non sempre. La verità sta nel mezzo, come spesso accade. E peraltro il progresso fa spesso paura, è un elemento dirompente, non ben accetto. Quanto meno da tutti.

Dall’analisi di numeri e statistiche, che cosa vuole il mercato?
Verità e trasparenza. Davvero la pandemia ha cambiato il modo di comunicare delle aziende. Se oggi una società dichiara di essere sostenibile, deve dimostrarlo anche attraverso lo stile di vita dei propri dipendenti. Il consumatore è sempre più pretenzioso e sempre più curioso, se un tempo esisteva il customer service, ora il servizio clienti sono i social media, sono la linea WhatsApp, avere una persona dietro quel numero di telefono e non più un robot, è un servizio più inclusivo finalmente. 

Hai dichiarato diverse volte di aver accantonato la tua vita privata per dedicarti totalmente al tuo lavoro .
Dopo i 30 anni è evidente che il mio lavoro sia anche parte di me. Quando si lavora con amore e passione, le rinunce si alleggeriscono. Oggi ciò che è cambiato è il mio privato, che rimane per l’appunto una questione intima, non alla luce del sole. 

Amore e Odio 
Amo mia madre, mia nonna, i miei amici, il mio lavoro, la mia coach, anzi le mie coach e me stessa. 
L’odio è una perdita di tempo, l’ho sentito su di me molte volte, ma dobbiamo già lottare contro le malattie, le violenze, le ingiustizie… io non ce l’ho mica la voglia di odiare. 

Quando hai sentito d’esser stata “odiata”? 
Quando sei una persona con dualismi molto forti, seppur rimanendo coerente, ce lo si aspetta. 
Sono molto forte ma nell’intimo fragile, molto dolce, ma anche molto decisa, tenera ma tenace, una resiliente. Come la disciplina del Garuda infatti.

La tua coach Sorbellini ti ha descritto come una donna testarda.
Direi disciplinata. Però lei di me può dire quel che vuole, è da anni la mia guida.

E tu come ti descriveresti?  
Determinata, dolcissima e protettiva. 

Domanda di rito, quanto sei Snob? 
Sembro molto snob e non ho ancora capito perché. Eppure mi dicono tutti di essere empatica. Probabilmente la mia immagine trasmette un distacco totale, ma in realtà sono una persona estremamente aperta. Anzi, non potrei essere così change maker, così proiettata. E la parola snob oggi dovrebbe essere antesignana, non una colpa. 
Non a caso voi lo fate in modo ironico, provocatorio. 

Per noi infatti ha un’accezione molto positiva rispetto a quella popolare. Per noi snob è colui che sceglie l’eccellenza. 
Se per Snob si intende la capacità di discernere qualità ed eccellenza, allora io vivo di quello, sempre nella speranza di poter vivere un mondo diverso, dove ci sia una capacità e una possibilità di espressione totale. 

Maison Pani, le migliori proposte gastronomiche della Riviera di Ponente



LOCANDA MARINAI

Esiste un luogo, un po’ sospeso nel tempo, dove delle grandi arcate aprono sul mare, un paese che vive nel chiacchiericcio continuo che esce dalle porte sempre aperte, quelle dei locali su strada, dei ristoranti di pesce, dove le case sembrano disegnate da un artista del pastello. Quel luogo è Bordighera, ed è qui che Diego Pani gestisce uno dei suoi quattro ristoranti, Locanda Marinai.

Accanto alla storica chiesa di Bordighera Alta, dove poter cenare a lume di candela, Locanda Marinai accoglie con un grande bancone che ha i colori del mare; le sale, progettate dall’interior designer Giacomo Cassarale, sono minimal, calde, accoglienti, circondate da una bellissima boiserie in legno noce canaletto, con l’idea di riprendere una perlinatura vintage ma dal tocco moderno. Sobrio ed elegante lo è anche nello stile il ristorante Locanda Marinai, che impreziosisce le pareti con piccole cornici al cui interno troviamo dei bijoux d’artista, come alcune opere di Domenico Pagnini, pittore bordigotto, o di Marie Serruya, artista concettuale parigina; ma più preziosa è la firma di Eugenio Morlotti, che vive il suo periodo artistico più prolifico proprio a Bordighera, un’aria che lo cambia, nello spirito e in pittura:

Il nudo nel paesaggio è un chiodo che ho sempre avuto. Finalmente l’ho afferrato. Non c’è eros ma tanta calma…tanta calma. C’è il piacere, ma una pittura di piacere, la sensazione che dà il vivere in un mondo di armonia. Guardando quei quadri li ho visti quasi come fossi contento di vivere”.

Let me taste the Dolce Vita” è il motto della carta, piatti semplici e gustosi, piatti della tradizione italiana, come le linguine alla burrata, alici e pangrattato alle renette; frittelle di baccalà e salsa tartara; spaghetti fatti in casa alla polpa di granchio; un grande e intramontabile classico, il crudo di gamberetti in salsa rosa con pisellini verdi; rombo in panatura e salsa al caramello; alici bergounioux impanate alle nocciole; tarteletta al limone e meringa italiana, e una deliziosissima insalata di foie gras affumicato, ricetta che torna dal menu del padre, Marco Pani.


MARCO POLO 1960

Il suo interno sembra una grande nave abitata, calde pareti in legno perlinate, alte credenze e servizi in argento, le foto di famiglia, il ritratto che domina la sala, del proprietario Marco Pani, padre di Diego, in veste Marco Polo.
Dalle finestre, la spiaggia di Ventimiglia, e le sue barchette a remi, ma quello che vi farà ritornare, a parte la fortissima energia che quest’angolo di terra trasmette, è la cucina. Ricette segrete tramandate dalla nonna a Ines Maria Biancheri, custode del risotto alla marinara, e l’esperienza di Diego Pani, chef ed erede del ristorante Marco Polo 1960, la punta di diamante di un grande progetto chiamato Maison Pani.

Diego Pani porta alla carta l’eleganza e la tecnica della cucina francese, lui che è stato allievo del leggendario Alain Ducasse, mentre con il cuore fa risplendere quella che un tempo era una semplice palafitta che il nonno Oreste acquisì nel lontano ’60 e che il padre Marco fece diventare un luogo di riferimento della città.
Si torna per il risotto che ha il misto delle 10 erbe segreto di famiglia, l’aneddoto vuole che durante la preparazione la nonna Maria facesse uscire tutti dalla cucina, e che la sua mano fosse stata pesata, prima di andarsene, per calcolare perfettamente le proporzioni. Il segreto si tramanda di persona in persona, e solo uno della famiglia può custodirlo. E per la frittura, fatta in olio extra vergine di oliva, leggera, gustosa. Ma il giovane chef Diego Pani, stupisce con il cundigiun con testa di tonno alla brace; il ragù di lenticchie e frutti di mare in salsa al foie gras; le linguine al fondo bruno di mare, pescatrice, prezzemolo e limone; il galletto disossato, crema di fagioli al cocco, menta e rosmarino; e i taglioni ai 30 tuorli con una zuppa di pesce estratta dalla presse à canard, uno strumento scenico che estrae il succo di mare, pressando tutti gli ingredienti al suo interno. Perchè qui la cucina è una linea invisibile che unisce occhi, testa e cuore.

Ma i sogni di Diego Pani non finiscono qui, prossimo all’apertura il ristorante Venti, vista panoramica della città, un design moderno ed elegante con dettagli specchiati e gold, una terrazza all’aperto, un pavimento in marmo bianco per un prodotto totalmente diverso dai precedenti. Venti è il prossimo place to be ideato insieme a Paolo Boeri Roi,
dirigente dell’omonima azienda olearia di Badalucco.
Ad majora!

Manuela Zero, il problema dell’amore

EIC/ Interview by Miriam De Nicolò
Photography Peppe Tortora
Styling Diletta Pecchia

Make up/Hair Giuseppe Lorusso @Blend Agency
Location Studio Compass 4

Il capello corto da ragazzino, biondo platino sopra due occhi grandi, ma grandi, tanto grandi che sono protagonisti
in quel viso piccolo su un corpo alto e snello, allenato e parlante. Quando la vedo per la prima volta è già sul set, posa con disinvoltura, cambia l’abito come un trasformista e le piace, glielo si legge in quello sguardo malandrino, di chi oggi si presenta come Margot e il giorno dopo stringe la mano come Lupin. Ma la sua carta è certamente
il sorriso. birbante, furbo, vero come quello di un bambino, perché Manuela Zero, attrice, cantante, ballerina, produttrice, da l’impressione di non voler mentire, di quelle personalità-libro, aperte alla pagina del Bignami.
Le si legge tutto, in quel sorriso. “Sono una buona amica” mi confida durante l’intervista, pronunciando la frase con
una differente consistenza. “Sono una donna complessa ma sono una buona amica“, e questa frase mi torna
alla mente quando m’invita a vedere il suo spettacolo “400 euro 2 ore di nudo” a Roma, con una naturalezza
che apprezzo come la bontà, con un messaggio spontaneo che chissà quante altre volte mi ricapiterà, in quei
taciti e (in)naturali distacchi intervistato-intervistatore.

“Attack” è il tuo ultimo lavoro di cantante e regista, ci racconti come nasce?
Attack è la storia di un amore che finisce e parla della difficoltà che abbiamo nell’accettare la caducità delle cose. Un racconto tragicomico dove una ragazza lasciata, decide di incollarsi con l’attack al suo compagno per allontanare il dolore della solitudine. Nasce anzitutto dalla mia esigenza di convogliare tutte le mie passioni in un unica opera, qui infatti canto, recito e scrivo; Attack è una canzone, un’idea, un cortometraggio in bianco e nero che
ha il sapore di un’epoca che forse non c’è più.

Jumpsuit Ciccone World
Headset 404 Suite
Shoes Giuseppe Zanotti


Chi e che cosa ama Manuela Zero?
Chi e che cosa odia?

Che bella domanda, mi riporta indietro nel tempo. Amo le mie radici, le mie origini, la mia terra di cui vado fiera. Sono cresciuta a Marina Grande di Sorrento su un mare dove mio padre pescava la notte e in quelle notti c’ero io a fargli compagnia. Odio l’ipocrisia, le ingiustizie, sopratutto nei confronti delle donne, tematiche che cerco di combattere affrontandole in spazi artistici.

Nata a Piano di Sorrento, vivi a Roma, una donna del Sud, che cosa porti delle tue radici?
La mia personalità porta quei colori, quel folklore, e anche quella malinconia che ti accompagna quando da quei luoghi ci si allontana.

Dici del teatro: “E’ un po’ come dare amore a degli sconosciuti, che dopo un po’ diventano meno sconosciuti”.
Il teatro è la più grande forma artistica d’amore, ogni sera io porto in quello spettacolo tutto l’amore che ho.

Potessi reincarnarti in un personaggio, in un’attrice che non c’è più, quale vita vorresti vivere?
Mariangela Melato.

Jewelry Natalia Criado

Perché?
Fu la protagonista del primo spettacolo che vidi da bambina, ricordo una donna incredibile, coraggiosa, ricca di sfumature. O Monica Vitti, donne forti che si concedono anche d’essere fragili, donne che hanno lasciato il segno.

E tu che donna sei?
Complicata. Inquieta.
Una buona amica con problemi sentimentali che ancora cerco di risolvere. Il mio obiettivo oggi è quello di riuscire a concedermi un amore importante.

Dress Lanvin
Jewelry Natalia Criado
Shoes Giuseppe Zanotti

Che cosa ti blocca?
Ad un certo punto del rapporto arriva sempre una specie di noia che mi porta ansia e non mi fa più stare bene, ma ci sto lavorando.

Apri a caso una pagina del questionario Proustiano, leggi una domanda e dai una risposta.
I miei eroi nella finzione. L’unico eroe che riconosco è mio padre.

Domanda di rito Manuela, quanto sei Snob?
Mi affibbiano questo termine con un’accezione che non riconosco; ma se per “Snob” intendiamo vivere una vita ricercata, allora sono proprio io.

Eduardo Scarpetta, l’erede

Interview by Miriam De Nicolò
Photography Gianluigi Di Napoli
Styling Sara Castelli Gattinari Di Zubiena
Grooming Sofia Innocenti
Stylist’s assistant Bianca Giampieri

Ci sono nomi che ti porti addosso che provocano danni esiziali, altri invece che allietano e aprono porte. 
Quella di Eduardo Scarpetta è la storia di un frutto che dall’albero genealogico dei notissimi Scarpetta- De Filippo, porta fiori.
La paternità utilitaristica non è il suo caso dice, ma il dna non mente. Erede del più grande e acclamato Eduardo Scarpetta, commediografo e attore napoletano (12 marzo 1853), lui che porta il suo stesso nome e cognome, segue il sogno dei suoi avi, il teatro eterno. Perchè se oggi il giovane Eduardo sceglie il cinema, lo fa nell’ottica di calcare in un futuro prossimo i teatri “a modo suo”, per riportare quella genuinità che ha evidentemente ereditato. 
Vive il cinema come una grande gavetta necessaria, e il teatro come la Promessa, la visione che una volta pronto, potrà rimaneggiare i successi che la famiglia Scarpetta- De Filippo portò tempi addietro su quella piccola grande cornice che è il palco. 
Nel mentre, il cinema e la tv sono la sua scuola, e lo vedono vincitore del David di Donatello nel 2022 come “Miglior attore non protagonista” del film “Qui rido io” di Mario Martone, la storia della sua eredità dove interpreta il ruolo di Vincenzo Scarpetta. In verità l’attitudine del protagonista Eduardo Scarpetta la recita a fagiuolo, sigaretta sempre alla bocca, che rolla con minuzia certosina e con tabacco profumatissimo, un sorriso contagioso che centellina perchè a trent’anni l’uomo deve ancora comprendere che la naturalezza è l’arma più seduttiva per noi donne, un portamento e dei connotati maschi, e la veracità della sua terra, che regala a piccole dosi, al momento dei saluti, ma che sono la sua arma più potente. Questo, forse, ancora non lo sa.

Total look Emporio Armani

Eduardo Scarpetta, porti un nome e cognome importantissimi, hai mai sentito il peso di questa responsabilità?
Mi sono sempre comportato come se mi chiamassi Mario Rossi, ho studiato, mi sono staccato dalla realtà napoletana, e ho seguito il consiglio di mia madre, entrare nel mondo del teatro passando per la porta principale, ovvero partendo dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
 
Che cosa porti della tua napoletanità nel ruolo di attore?
La pancia. L’istinto.

Total look Salvatore Ferragamo

In una tua intervista pre- Covid hai dichiarato “Ho paura che il teatro morirà”. Hai intenzione di fare qualcosa in prima persona per sponsorizzare il bellissimo mondo del teatro?
Mi sono staccato dal teatro 5 anni fa nell’ottica di tornarci padrone. Sarà esattamente come l’ho immaginato, senza imposizioni. Oggi sono stato rapito dalla macchina da presa, e nel cinema si instaura un processo per cui lavori oggi, ma sei impegnato fino all’anno prossimo. 

Hai anche detto “Tra 20 anni rifarò sicuramente tutte le commedie Scarpetta- De Filippo”.
Esatto, dovrà attendere per una questione di età.

Total look Salvatore Ferragamo

Hai interpretato Vincenzo, il figlio di Eduardo Scarpetta, nel film “Qui rido io” di Mario Martone, che ti è valso il Premio come “Miglior attore non protagonista” ai David di Donatello del 2022. Com’ è stato fare un tuffo nel passato dentro la spirale del tuo dna?
Interessante. Immedesimarsi in quella che era l’oppressione di Eduardo Scarpetta nei confronti di Vincenzo
e riconoscere, in fatti a me ovviamente già noti, l’occhio di un grande regista, Mario Martone. 


Da bambino hai vissuto tra i tour della compagnia teatrale dei tuoi genitori, ci vuoi raccontare un aneddoto?
Non esistevano i navigatori satellitari, si viaggiava con in mano una cartina in un van carico di persone. Mio padre stava sempre alla guida ed era perennemente in anticipo sulla tabella di marcia, non si sa mai…
Oltre agli attori, dei modellini di Ferrari e sidecar stavano perfettamente in equilibrio in una teca che si portava appresso, cascasse il mondo. Era questa l’atmosfera del teatro, sono cresciuto così, come la mascotte del gruppo. 

Hai perso il tuo papà e sei cresciuto con una madre che ha fatto anche da padre, una cosa che abbiamo in comune. Come si cresce senza una figura così importante e come cambia il rapporto con il genitore che rimane?
Io non so come si cresce con.

Total look Malo

Anche tuo padre ti voleva calciatore?
Era lui ad accompagnarmi al campo, e poi ero bravo, diciamolo. 
Quando se n’è andato, la cosa è sfumata, avrei voluto riprendere a 15 anni, esausto del Liceo Classico, ma mia madre me lo ha impedito, consigliandomi di rifiutare anche alcune proposte di lavoro. Teneva terminassi prima gli studi. 
 
Siamo contenti che tua madre ti abbia rimesso sulla retta via.
Senza mia madre, non sarei la persona e l’attore che sono. 

Total look Dsquared2

Amore-Odio.
Che cosa ami follemente e che cosa non tolleri?

Amo la libertà, l’essere liberi di fare ciò che più si vuole senza danneggiare nessuno.
Odio certe libertà che si prendono alcune persone senza considerare il male che possono fare agli altri.

Total look Emporio Armani

Cecilia Matteucci, specchio, specchio delle mie brame

Interview: Miriam De Nicolò
Photography: Marco Onofri
Location: Palazzo Boncompagni, Bologna

Milano- Bologna in auto per intervistare la Signora mentre il nostro fotografo sta immortalandola a Palazzo Boncompagni. Una volta giunta presso la sua abitazione, luogo dell’appuntamento, una dimora nel centro storico della città, e atteso la sistemazione degli innumerevoli abiti e accessori, chiedo il permesso di entrare quando vengo fermata sulla soglia: “Ma lei sa che qui non è possibile camminare?“. In effetti ha ragione, mi basta una rapida occhiata per vedere che scatole, manichini e abiti ricoprono sedie e divani, e le riviste i tappeti. Cecilia Matteucci, la Signora in questione, è ripetuta all’infinito su tutte le cover che invadono casa, e che conserva con grande amore a ricordare la gioia e la gloria; come un enorme specchio la sua immagine è riflessa dappertutto in questa stanza dove mi ha posizionato, in un angolo di divano, sulle foto incorniciate con qualche noto artista, tra i quadretti con i politici, nei bellissimi ritratti che anche venti anni fa portavano l’identico trucco a cui è affezionata, delle sopracciglia perlate, un lungo eye-liner fino alle tempie, una bocca scarlatta, e l’iconica acconciatura a onde anni ’20.
Sono troppo stanca per fare l’intervista ora, è tutta la mattina che faccio foto e sto sui tacchi 20“. Anche se sono qui per un motivo, l’intervista, comprendo che per una signora della sua età possa essere stancante posare in un Dior su tacchi vertiginosi, così la tranquillizzo e mi zittisco in quel pezzo di stoffa del divano dove mi ha relegato mentre lei continua a sorridere alla macchina fotografica su quel pezzo di pavimento tra due manichini vestiti, accanto ad una tavola imbandita come da Galateo, i cui piatti portano il volto della Regina Elisabetta.
Mentre mi complimento per la naturalezza con cui posa e per la mise con cui entra in scena ad ogni cambio, perchè i look sono qualcosa di strepitoso, un mix and match così coraggioso che solo chi ha il dono del gusto e dello stile può permettersi, mi chiede “Lei sa chi sono? Ma si è informata su di me?”. Così trovo il fiato solo per rispondere sommessamente che sì, mi sono informata, ma non posso rivelare che tutte le interviste lette sono un copia e incolla di nomi e date, che riferiscono brand di uno o dell’altro abito che colleziona, una lista della spesa che ha dei bellissimi oggetti dal valore inestimabile. Perché Cecilia Matteucci è la più grande collezionista di abiti couture, un mestiere più che una passione, kimono giapponesi, vintage che scova nei mercatini, gli Chanel della madame francese, i Dior da monsieur Christian fino alla Chiuri, i Valentino da Garavani fino a Piccioli, i magnifici Biki indossati dalla Callas e acquistati dal catalogo Sotheby’s. “Ecco allora trova sul web tutte le informazioni“. Insomma me li faccio bastare. E ringrazio dal mio angolo di divano.
Driiiiin. Dopo due giorni ricevo una chiamata, è il fotografo che mi dice: “Cecilia Matteucci chiede di poter venire in treno da te. Ha letto le tue interviste e ti ha trovato strepitosa”.
Non posso accettare che una signora faccia un viaggio in treno per me, non è carino, basterà una chiacchierata telefonica per farle le domande che tanto diligentemente mi ero preparata sulle note del telefono.
E la telefonata inizia così: “Non deve badare a ciò che scrivono di me alcuni giornalisti, sono cose poco carine” – si riferirà alle diverse interviste in cui gli addetti al settore si fanno scappare qualche cosa sul suo spigoloso carattere, penso – “legga questa invece” e mi spedisce via whatsapp un encomio di un’abile penna che fa della Signora una contemporanea Marchesa Casati.

Biki full lenght opera coat late 1960s
Callas wore this coat in New York in 1971
Hat Philip Treacy
Sunglasses Dior
Sandals Miu Miu


Signora Matteucci, leggevo in un’intervista che sua madre, sin da ragazza, l’aveva abituata a regalare gli abiti che non indossava più, ai dipendenti
Le spiego, quando ero ragazzina i Grandi Magazzini Fratelli Lavarini di Montecatini Terme vendevano l’abbigliamento degli anni 50, mia madre siccome avevo la possibilità di prendere tutto quello che volevo delle nuove collezioni, ci teneva regalassi i capi delle vecchie ai dipendenti che non avevano possibilità economiche. Non so se questo è importante da dire, ma è successo fino a poco prima del matrimonio. Di quei pezzi ne ho tenuti solo pochi che avevo portato in viaggio di nozze, gli stessi che oggi sono alla Galleria del Costume.

Credo sia molto interessante da dire, perché lei in un’intervista ha dichiarato “Essere buoni è un duro lavoro”
No non l’ho detto io, l’ha scritto il giornalista. Se è l’intervista di Marrese, ho capito di stargli antipatica, perchè gli avevo chiesto di non dire alcune cose come quella del super sconto che fanno agli outlet e invece l’ha scritta; così come anche quella di Antonio Mancinelli su Il Foglio, che aveva iniziato a chiamarmi Contessa quando non lo sono.
L’impaginazione è bella ma ha scritto delle frasette che non mi sono piaciute; preferisco che si legga Mariuccia Casadio, che mi segue da 30 anni.

Il mestiere del giornalista è quello di riportare i fatti Signora Matteucci, un mestiere in un certo senso coraggioso. Per etica professionale e per rispetto verso se stessi e il lavoro che si è scelto, non si può far altro che riportare la realtà, la verità
Ognuno ci mette del suo, ma di me ha scritto benissimo la Eva Desiderio su Book, che credo non esista più.

Lei è tanto osannata, la chiamano “La nuova Marchesa Casati”, si ricorda invece di aver ricevuto qualche critica?
Senta, sono stata invitata ai concerti dei Maneskin e mi hanno trattata come una regina, mi fermano per la strada e vogliono foto con me. In questo momento non ricordo se sono stata criticata, certamente capisco che non si possa piacere a tutti, ma arrivo da giorni di gloria. Mi fermano e brontolano perché non ho tempo di partecipare ad eventi e rispondere ai messaggi su Instagram.
Se decido di andare a Teatro, lo faccio per rendere omaggio al direttore d’orchestra, alla Compagnia, ai personaggi noti, attraverso i miei abiti.

Lei sta dicendo che veste in maniera eccentrica in onore dei personaggi noti?
Ecco, io non potrei partecipare a certi eventi e vestire in modo semplice, nel mio guardaroba non c’è semplicità e sono sicura si offenderebbero.

Peak Alexander McQueen 2012
Coat Dior by John Galliano 2008
Skirt Dior by Maria Grazia Chiuri 2017


Hanno delle aspettative altissime quando la invitano, certo
Alla prima del teatro comunale ricordo che c’erano dei parigini che partecipavano solo per vedere me, e la cosa mi lascia sempre un po’ sorpresa soprattutto quando si parla di eventi dove sono presenti molti altri personaggi di rilievo.

La sua immensa collezione, che conta circa tremila pezzi tra abiti e accessori, è destinata ad un museo, il suo sogno. Il collezionismo, non ha forse come fine ultimo quello di rendere immortale la sua figura e non gli abiti che ha accumulato?
Certo, se i miei abiti non muoiono, nemmeno io muoio. Il fatto che le mie scelte saranno in un futuro visibili e ammirate è un po’ come non morire.

Il suo rapporto con il tempo?
Ora non rida eh, mio figlio non ha voluto figli e all’inizio ero dispiaciuta, poi ho pensato che i miei figli erano i miei tremila abiti.
Abitualmente frequento amici sotto i 40 anni, non sono molto brava con la tecnologia e molti di loro mi aiutano quotidianamente nello scrivere didascalie su Instagram, come Michela Giorgi che ha 31 anni, o nello sbrigare cose per i viaggi, come fa Fredrick che ne ha 21 anni, e sempre accanto a me c’è la carissima Eva Bonifazi, 41 anni, Visual Merchandising Deputy Director di Dior, l’ho conosciuta quando faceva uno stage al Resto del Carlino e io l’ho sempre seguita nella sua carriera strabiliante.

Biki evening Dress
Maria Callas wore this dress during the 38th Gala de l’Union des artistes at the Cirque d’Hiver (Paris,1971)

Che cosa le dà il collezionismo che lei chiama anche malattia?
Malattia perché io in casa non ci giro più, non è più un’abitazione ma un magazzino. Ho diecimila cose e per ricordarle tutte devo riguardare le foto così poi posso cercare cosa rindossare. La chiamo “malattia” perchè se vedo qualcosa che mi piace me ne innamoro e la devo avere.

È possesso?
No, è amore del bello e del particolare. Io sono sostenitrice sia di ANT che è l’associazione di cure domiciliari dei tumori, sia di Antoniano. Entrambi organizzano due vendite all’anno di vintage dove si trovano sempre delle bellissime cose, all’ultima vendita ho acquistato due abiti a 40 e 50 euro che sono di vecchie sartorie bolognesi che hanno una manifattura meravigliosa e particolare.

Total look Chanel Jacket 1960

A proposito dell’ente che ha citato, ho letto che fa assistenza domiciliare gratuita ai malati di tumore.
Io li sostengo nel senso che loro mettono la mia foto scrivendo “Dovete donare ad ANT” e lo pubblicizzano su Repubblica e Vanity Fair. All’Hotel Majestic Baglioni ho prestato i miei due Morandi in mostra per una notte, e ho chiesto che la compagnia Due Torri desse 500 euro all’associazione, oltre ad una raccolta donazioni tra i partecipanti che è arrivata a 1300 euro. Poi loro fanno le uova di Pasqua e ne ho comprate 10, e a Natale compro i panettoni.

Veil Maison Michel Paris
Coat SiSSi’s artist
Dress Bottega Veneta 2019


Ah, quindi non fa assistenza domiciliare come era stato scritto
No, li sostengo economicamente. Anni fa con Sotheby’s ho fatto una promozione sulla mostra di Chanel e loro hanno inviato mille euro, e quando devo chiedere qualcosa lo chiedo per darlo ad ANT.

Questo le fa molto onore Signora Matteucci. Ha in famiglia esperienza di malati oncologici?
No, il mio aiuto è per dare loro un servizio fondamentale che alcuni non possono sostenere.

La sua giornata tipo?
Il mio problema è che purtroppo dormo poco, la mattina mi sveglio presto e avendo molti abiti in casa li devo curare, annaffiare le piante di agrumi e occuparmi anche della casa.

È un impegno non indifferente, è un enorme museo.
Sì, bisogna spolverare gli abiti appesi dentro le buste di plastica, dare l’antitarme, mettere via tutte le pellicce.

C’è una passione che la trasporta tanto quanto quella della moda?
Io di passioni ne ho tante, il direttore più bravo al mondo è Teodor Currentzis e vado a Salisburgo per lui, Muti non mi apprezzerà ma pazienza. Se devo nominare una cantante bravissima Carmela Remigio.

Total look Gucci di Alessandro Michele


Mi sta dicendo che è un’amante dell’opera? Quella che più la rappresenta?
La Traviata mi piace da morire, Tosca è bellissima, La regina della notte di Mozart, non posso sceglierne una sola.

Le faccio l’ultima domanda di rito, quanto è Snob Cecilia Matteucci?
Se è Non Per Tutti, moltissimo.

Driiiiin, squilla il telefono, alla Signora Matteucci non sono arrivate le prove di copertina.
Ricevuta adesso ma è la prima che ricevo, prima non l’ho mai ricevuta quindi datevi una mossa e non dite balle” così cita il quadratino bianco su whatsapp seguito da giudizi e critiche all’operato altrui.
E subito penso che non possiamo scegliere se nascere con i capelli biondi o mori, se nascere in Africa o in Italia, se avere la pelle bianca o nera, ma le buone maniere sì, quelle le possiamo scegliere. E in questi momenti mi tornano alcuni pensieri che Proust ha messo sulle labbra di alcuni suoi protagonisti de “La Recherche”, come su quanta totale assenza di gusto si basino i giudizi artistici della gente di mondo, impegnati più a vestire l’abito buono che a studiare l’opera che stanno ascoltando, o che esiste una odiosa e diffusissima vendetta di persone per le quali si direbbe che la maleducazione verso altra gente sia il naturale complemento di un abito da cerimonia.

 

Giorgia

Interview: Miriam De Nicolò
Photography: Alessandra Rosati
Art Direction: Roberto Da Pozzo
Styling: Valentina Davoli
Hair Stylist: Luigi Alesi
Makeup Artist: Luciano Squeo
Photography Assistant: Mauro Poliziani
Location: Nero Studio

Quando si incontrano persone così carine, così gentili e per cui l’educazione e l’affabilità paiono essere delle vere e proprie missioni, quel senso di dolcezza e tepore che avvolgono realmente come un abbraccio, lo si porta con sé i giorni a seguire.
Sapevo poco della vita privata di Giorgia prima di incontrarla, pur essendo un personaggio pubblico non si lascia invischiare nel gossip e nel pettegolezzo, anche se delle tragedie che hanno toccato la sua vita, se n’è parlato in ogni dove, come della morte del suo ex compagno, il cantante Alex Baroni. Ma anche se Giorgia si confida ai media con grande sincerità e apertura, pare non regalarsi mai, mantenendo sempre quel pudore e quella riservatezza che invitano al rispetto.
L’incontro per la prima volta sul set, in uno studio fotografico di Roma, e subito penso che la televisione non le renda giustizia perché diamine, è bellissima. Ironica ed autoironica, come chi non vuole dare l’impressione di prendersi troppo sul serio e che vuol risultare simpatica a prima vista, Giorgia ammalia tutto il team, posa come una modella e sorride alla macchina fotografica con una sensualità che mi pareva molto lontana dalla figura casta e disciplinata che la sua immagine in tv riflette. Appartiene a quella categoria di persone che avvinghiano a sé in presenza, le devi vedere, sentire parlare, trasporta con la sua energia positiva, quella che rivelo ai colleghi augurandomi di incontrare personaggi più simili a lei da poter raccontare.
Parlare, concedere una intervista per un artista significa sponsorizzarsi, e invece Giorgia non spinge a monetizzare il suo tour “Giorgia Blu Live”, così lo dico io che ha scelto dei luoghi meravigliosi come i teatri lirici italiani tra cui Il San Carlo di Napoli e il Teatro dell’Opera di Roma per cantare; posti che parlano di arte e cultura, nobili luoghi per un nobile cuore. Qui porterà “Parole dette male” dall’album “Blu” dopo il grande successo al Festival di Sanremo, una canzone che non può non farti sfuggire una lacrimuccia tanto è intensa, tanto è immensa. Non può non portarti dentro le nostalgie che ciascuno di noi vive in questa vita a volte ingiusta, non può non far pensare alla perdita di qualcuno che hai amato, sia un amore filiale, sia esso sentimentale.
Ogni tanto ti vedo in giro
Ma poi non sei tu
E quante macchine come la tua
Dello stesso blu

Certo ce ne sono di cantanti che hanno il dono di trasportarti nel loro mondo attraverso l’immedesimazione, ma sono tutti di origine meno poetica della sua.
Probabilmente anche questo mio incontro sarà un altro di quelli furtivi e passeggeri del mio lavoro di giornalista, a cui dico “che peccato“, e mi viene in mente un passaggio di quel libro immenso che è diventato la mia Bibbia, La Recherche, dove il Signor Charlus, ne “La parte di Guermantes”, si rivolge al narratore dicendo:
Chiediamo dal fondo della nostra botte, come Diogene, un uomo. Coltiviamo begonie o tagliamo siepi in mancanza di meglio, perché siepi e begonie si lasciano fare, ma preferiremmo dedicare il nostro tempo a un arbusto umano, se avessimo la certezza che ne valga la pena“.
Giorgia, che pare coltivare la gentilezza, questa strana e potente pianta che fa crescere esponenzialmente chi la cura, potrebbe essere quell’arbusto umano che tutti vorremmo, nel nostro giardino di persone.

Total Look N.21

Noi musiciste donne dobbiamo sudarci la parità delle condizioni“, la tua frase durante una conversazione a tavola
Dagli anni ’90 la realtà è migliorata, perchè le donne si sono fatte spazio in più settori.
Patty Pravo suona il pianoforte, lo sapevi? Probabilmente no perché alle donne non era concesso di esprimere ogni talento, banalmente cantare e suonare allo stesso tempo, anche se Patty Pravo è anche un ottimo produttore.
Per ottenere credibilità dobbiamo fare più fatica, dobbiamo guadagnarci la fiducia dei collaboratori; ricordo che in studio per parlare con il fonico dovevo farlo in punta di piedi, è un comportamento inconscio che spinge l’uomo a dire “vediamo cosa sai fare”, ma se gli chiedo di abbassare un rullante, lo faccio con cognizione di causa.


Credi sia una questione di cultura, la storia del Papato in casa?
Non credo, temo invece sia sedimentata in millenni e che non possa essere circoscritta. La caccia alla streghe lo racconta molto bene, donne-dottori la cui intelligenza divenne un problema. La storia rivela che nei secoli il sesso forte ha sempre cercato di prevalere sull’altro, è capitato anche a me di lavorare con uomini che mi facessero sentire sciocca, una forma di protezione, secondo loro.


Hai anche dichiarato “il mio posto è il passato”, sei una nostalgica?
Il mio posto è dentro di me. Sono piuttosto una malinconica, amo i ricordi, quel viaggio sensoriale che ti permette di tornare in un posto amato; la musica regala la stessa percezione e attraverso di essa mi piace crogiolarmi nella malinconia. Ma non si vive di malinconie né di ricordi, la vita è un soffio, e bisogna sforzarsi di non sprecarla.


A proposito di melanconia ho letto in una intervista che quando lasci tuo figlio per lavoro, il pensiero della perdita, della mancanza, ti accompagna. Sei una madre ansiosa?

Ma chi le ha scritte ste stronzate? A mio figlio non manco per nulla. Chiunque viva un poco a lungo, impara che la perdita è un passaggio della vita con cui dobbiamo fare i conti. Con l’arrivo dei figli, arrivano tutte le paure mai provate. I primi anni, quando partivo per un tour, non vivevo bene il momento della separazione, poi ho scoperto, come ogni mamma, che dopo i primi cinque minuti già giocava spensierato. Mi manca certo, ma mi hanno insegnato che è anche un buon esempio mostrare ai proprio figli che la vita va vissuta a pieno, dare loro l’esempio dell’indipendenza, della costruzione di un lavoro.
Oggi mio figlio ha raggiunto quell’età in cui se gli dico che mi manca mi risponde “che schifo”, è nell’età in cui fa il duro.
La mancanza poi nella vita è una condizione che non si risolve mai, passiamo un’esistenza a creare legami che lasceremo; se ci pensi ti prende un attacco di panico.


La tua prima poesia, scritta a cinque anni, aveva come tema la perdita
Trattava esattamente il tema della morte. Sarà un retaggio di mie vite precedenti, perché sono nata angosciata.
Mia madre mi ha raccontato che ha avuto una minaccia di aborto, forse avrò provato qualcosa mentre ero nell’utero, una sensazione di paura, una memoria cellulare. La poesia in questione parlava di amore per la vita, una vita che poi se ne va, insomma a 18 anni ho scritto “E poi sarà come morire”, ho fatto un percorso al contrario e mi sono dovuta rallegrare…partivo un po’ male.

Amore e Odio. Sentimentale e materno.
Sono convinta che l’amore e l’odio siano due facce della stessa medaglia; l’odio è l’amore andato a male.
Nella coppia l’amore è un lavoro a tempo pieno, va coltivato ogni giorno e con passione, che deve essere nutrita in qualche modo.
L’amore materno accompagna tutte le donne, anche chi non è madre, perché la nostra natura ci porta spesso all’accudire, al prenderci cura dell’altro. E’ un amore incondizionato, si ama un figlio a prescindere da quello che farà.
Ma è anche vero che l’amore si impara, per qualcuno è coprire dei vuoti, la vita insegna.

Apro una pagina a caso del questionario Proustiano, “qual è la tua occupazione preferita”?
Divano, film e mangiare la cioccolata. E ascoltare musica, cercare quella che non conosco, un momento di studio estremamente piacevole.

Quante ore passi a fare questo tipo di ricerca?
Troppo poco, ho poco tempo come tutte le donne che hanno una famiglia. Me lo devo ritagliare, ci vuole disciplina, a volte l’ascolto mentre faccio sport, e quando scrivo, circa un’ora al giorno.

A proposito di musica, Big Fish, il tuo produttore, ti ha proposto un reggae durante la creazione dell’album, che hai accettato felicemente, senza cercare più perfezione ma verità. Quanto è importante riconoscere chi siamo? E’ un lavoro che dura tutta la vita, ed è fondamentale. Conoscere se stessi, i propri limiti, i punti deboli, è trovare la giusta via per stare meglio con gli altri. Noi viviamo un momento storico in cui non c’è tempo per questo, siamo sempre di corsa e all’ultimo posto della tabella di marcia quotidiana c’è il momento da dedicare alla cura di noi stessi.

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Quale messaggio vuoi lasciare attraverso la musica?
Non ho l’ambizione di lasciare messaggi, ho scelto questo mestiere per condividere la mia passione, sperando che arrivi al pubblico, rispettando sempre le mie emozioni. Cerco di elevare questo cammino a qualcosa di più ampio, più nobile, non a caso ho chiamato l’album “Blu”, la cui cover ha una donna vitruviana al centro, per elevare lo sguardo al cielo, perché siamo spirito e quello è il luogo che va coltivato per cogliere segnali importanti.

Perchè hai scelto i teatri lirici per il tuo tour “Giorgia Blu Live”?
Era un desiderio che avevo da tanto, ma che vedevo irraggiungibile perchè questi teatri difficilmente si concedono al pop. Io ho tentato e l’idea di cantare in un posto raccolto dove posso vedere i volti delle persone, dove il suono è vissuto in maniera intima, dove c’è evidentemente un desiderio di vicinanza con l’altro, mi faceva felice. Inoltre sono teatri di grande bellezza, di cui è necessario nutrirsi.

Ti leggo un’altra domanda dal questionario di Proust – “Le colpe che ti ispirano maggiore indulgenza”?
Le colpe commesse per amore, perché mosse dall’istinto del cuore.

Se fossi una canzone quale saresti?
Calling you di Jevetta Steele, la colonna sonora del film Bagdad Café, una canzone struggente che ha una speranza di fondo, ma anche un lamento continuo, che sono io.

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Sergio Rubini, quegl’occhi a mezzaluna

Interview: Miriam De Nicolò
Photography: Peppe Tortora
Art Direction: Roberto da Pozzo
Fashion Editor: Tommaso Basilio


Su un treno diretto a Roma, accanto a me il regista che ha scritto un cortometraggio per il suo personaggio, mi mostra una foto di quello che andremo a intervistare, un grande attore, un mostro del cinema, giovanissimo, quando posò per Richard Avedon in una campagna di Romeo Gigli. Quegl’occhi, li avevo già visti da qualche parte, erano dentro di me custoditi in un cassetto vicino al cuore, uno spazio di ricordi che abbracciavo gelosamente; quegl’occhi, somigliavano tanto agli occhi di mio padre nel suo ultimo ritratto. Un sorriso appena accennato, sempre composto, elegantissimo, e quello sguardo all’ingiù, come una bocca malinconica. Sergio Rubini è il soggetto di questa fotografia, eppure quello sguardo a mezzaluna mi ricordava il mio stesso sangue.
Il set è in movimento, e il Sig. Rubini sta in un angolo della stanza a ripassare il copione, a mezza voce, accompagna le parole gesticolando, ogni tanto Saverio Ferragina (il suo press agent), lo stuzzica con una battuta, lo fa ridere, e penso a quei bambini timidi che devono essere “protetti e scaldati” costantemente dal genitore, per evitare l’isolamento. Un atteggiamento che qualcun altro al posto mio avrebbe inteso come freddo e distaccato, ma che il mio istinto legge come un “sono qui“. Decido di avvicinarmi con una tazza di tè caldo, è inverno e la sala deve ancora prendere temperatura, cerco un modo per entrare in sintonia parlando dei suoi film che ho amato, quelli da regista, “Dobbiamo parlare”, “L’uomo nero”, gli domando di quella Puglia intima che spesso racconta, una terra che è anche un po’ mia, che ho vissuto da bambina quando mio padre era ancora in vita; le sue risposte sembrano portare lenimento, forse più a me che vorrei addolcire l’estraneità del mio mestiere, costretta ad entrare nelle vite altrui, da perfetta sconosciuta.
Dopo la registrazione lo saluto con un petit cadeau, un libro che mi ha cambiato la vita, e Sergio Rubini ricambia con un abbraccio affettuoso e sincero. Non ci si abitua mai a tali slanci di tenerezza, sono gesti che commuovono, così pieni di dignità e gratitudine che l’idea di non rivedersi più, un poco strugge.

Sergio Rubini, attore, sceneggiatore e regista, ha lavorato con i grandi del cinema tra Fellini, Polanski, Salvatores, Tornatore, Genovese, Scola, e da diversi anni condivide la vita lavorativa con la sua compagna sceneggiatrice Carla Cavalluzzi. Come ama Sergio Rubini?
Ho avuto una vita sentimentale, prima di Carla Cavalluzzi, molto complessa, e con le attrici, abbastanza disastrosa. Forse in realtà con Carla ciò che è avvenuto di speciale è l’aver cominciato a scrivere insieme e la scrittura in qualche modo ha rafforzato il nostro rapporto. Quando amo, amo molto, e se amo, stimo, stimo la scrittrice che è in lei, e i dieci film che abbiamo partorito insieme, “i nostri figli”. Ma la scrittura è una faccenda seria, perché oltre ad unire, separa, litighiamo, ci togliamo il saluto, scrivere insieme è Paradiso e Inferno.

In uno dei suoi film, “Dobbiamo parlare”  lei fa dire questa frase a uno dei protagonisti “Non lasciarla perché la puoi presentare agli amici e parenti, perchè tu la stimi”.
Sergio Rubini cosa cerca in una donna?”
Non sarei mai in grado di amare disistimando, non sarei mai in grado di amare un corpo, un volto, di amare ossessivamente per ragioni estetiche, non mi basterebbe mai. Ho bisogno di fondamenta autentiche, che non possono prescindere dalla stima. 

È vero che in passato aveva il mito delle donne “straniere”
?
Si, è un aspetto introiettato da mio padre, che aveva avuto una fidanzata tedesca. Io la cercai ad Oslo. Ma è anche vero che da ragazzino sognavo di viaggiare, di evadere e quindi di avere tutte le cose che fossero il più lontano possibile da me, dalla mia città natale. Poi ho fatto come Ulisse, percorrendo un lungo viaggio e ritornando dopo tanti anni proprio in terra natia. Carla è del mio paese, nata ad appena 100 metri dall’appartamento dei miei genitori, e solo a quel punto non ho più cercato la diversità, non ho più cercato le suddivisioni.
Carla ha una laurea con tesi sull’etica nel cinema, mi ha molto colpito il fatto che fosse una vera cinefila. Solo con lei ho cominciato a parlare di cinema, quando con le attrici con le quali ero stato fidanzato precedentemente, si parlava di agenti, di contratti, di chi fosse più fortunato di noi in ambito lavorativo. 

È tornato nella sua terra natale, come si spiega l’amore per le proprie radici?
L’amore per le proprie radici è un amore illusorio, le radici diventano un luogo mentale, astratto.
La Puglia che io vi porto nei miei film, come fosse un teatro di posa, è una terra astratta che non corrisponde alla realtà. Io non compro più il pane in Puglia, non prendo gli autobus e non vivo lì. Rimane uno spazio della mente con cui mi confronto, e quando ci torno, un poco mi accompagna la sofferenza. Penso a Leopardi, che detestava profondamente Recanati, eppure quando andava a Pisa o a Firenze parlava di mancanza, di nostalgia; aveva poi trovato una strada a Pisa, via delle Ricordanze, che percorreva per sentirsi a Recanati, ma non appena rientrava a Recanati, la detestava. Ecco io ho lo stesso tipo di rapporto con la Puglia.

Ne “L’uomo nero”, uno dei suoi film da regista ambientato in Puglia, una bambina dall’aria maliziosa che indossa degli occhiali da sole da adulta, gioca con una bambola, e viene avvicinata da un bambino che vorrebbe vederle le mutandine, cercando di irretirla con una manciata di caramelle.
È il suo incontro ravvicinato ed autobiografico con il gentil sesso?
Ricordo da bambino nel corso di un compleanno di aver contrattato questa alzata di gonna e ho scelto di raccontarlo in quel film per ricordare mio zio, un commerciante proprietario di una drogheria da cui avevo forse ereditato quel tratto. Zio Peppino mi teneva parcheggiato sopra i sacchi di caramelle, dove c’erano dolciumi, coca cola, il paese di Bengodi poter accedere gratuitamente a tutte quelle prelibatezze. Un rapporto molto diverso da quello che avevo con mio padre, che mi portava in giro nei musei, mi faceva sostare davanti ai quadri, poteva rimanere in adorazione davanti ad un Cézanne per ore, descrivendomi sfumature, colori, tratti. Era un sognatore.
Ho amato perdutamente di più mio zio Peppino, ma il tempo mi ha poi fatto comprendere quanto sia stato fondamentale mio padre nella mia formazione.

Lei ha dichiarato di avere iniziato un percorso di psicanalisi vent’anni fa, qual è stato il pensiero scatenante?
Non riuscivo ad innamorarmi perchè fuggivo dall’amore. Amore equivaleva per me ad abbandono, innamorarsi era un rischio troppo grande, un vero pericolo.
Quando dicevo “ti amo” ad una donna, mi giravo sistematicamente e facevo una smorfia, sempre, un rito per mantenere le distanze, era un gesto puerile che ho mantenuto fino ai 39 anni.
Mi rendevo conto che questo atteggiamento mi stava creando un problema, mi teneva lontano da sentimenti profondi, e mi portava a fidanzarmi a ripetizione, più volte durante la stessa giornata, il che mi consumava e mi distraeva dal lavoro. L’analisi mi ha aiutato, ad accettare l’amore, a non vederlo come un ostacolo.

Siamo nati per essere in due, oppure cerchiamo attraverso l’altro di alleviare la nostra insita solitudine?
Penso che siamo nati drammaticamente soli, ma fortunatamente esistono gli altri con cui possiamo relazionarci e avere la possibilità di definire il perimetro di ciò che siamo, perché la dimensione di ciò che siamo per davvero non avviene attraverso uno studio interiore, ma attraverso il dialogo che riusciamo a instaurare con gli altri. 

Sergio Rubini wears clothes from from Romeo Gigli AD campaign 1998 by Richard Avedon

Nel film “Dobbiamo parlare” il personaggio cinico di Costanza irrompe con una sentenza e dice ai due protagonisti “Ma crescete, imparate a dire qualche bugia”. Le bugie nel rapporto di coppia sono una necessità?
Penso che siano una grande responsabilità. Penso che dire sempre la verità in fondo sia un modo per deresponsabilizzarsi tipica degli adulti. Io ti racconto tutto di me e in qualche modo non mi impegno mai. Mentire delle volte equivale a responsabilizzarsi. Poi, certo, la menzogna è una specie di spiraglio, di pertugio che può diventare una consuetudine e quindi è bene starle lontano affinché non lo diventi. 
L’eccezione vuole che la menzogna possa servire anche a scopi alti. Non parlo di tradimenti, parlo di rapporti d’amore in generale, come quello padre-figlio, dove delle volte non dire tutto significa anche impegnarsi affinché quella realtà non venga contaminata mai dalla bugia.

Ma lei da grande attore ha imparato anche a dire grandi bugie?
Gli attori non sanno mentire, è un luogo comune che gli attori sappiano mentire. L’immagine della valigia dell’attore con dentro tanti abiti pronti a trasformarsi è una cazzata. Gli attori hanno come professione quella di mettersi a nudo, dentro la valigia non c’è nulla, gli attori dicono la verità.

Domanda di rito, Sergio Rubini quanto è Snob?
Dipende molto da che cosa si intende, io non penso di essere snob. Cerco di immedesimarmi con gli altri, di non staccarmene, spesso cerco di confondermi con gli altri. Per questa ragione non credo di essere snob, ma mi rendo conto che questo tipo di affermazione mi rende molto Snob. 

SNOB diventa internazionale. Il grande Party di lancio il 25 maggio 2023

Un grande passo per SNOB che porta sul mercato un nuovo progetto editoriale, fatto di storie vere, nuovi approfondimenti culturali, e che da questo secondo numero conferma la distribuzione internazionale. Europa, Italia, Usa, Asia, i paesi a cui SNOB vuole rivolgersi, e che troverete nei migliori bookstores selezionati, oltre alla presenza nell’hotellerie stellata di tutto il mondo.

Per festeggiare questo traguardo, il giorno 25 maggio 2023 alle ore 19.00 si terrà un grande evento presso l’esclusivo membership club Lucid, sito in Palazzo Bagatti Valsecchi a Milano, un’Exclusive Party a numero chiuso con la partecipazione dei protagonisti del numero, tra cui il grande attore Sergio Rubini, e poi talents, stampa, socialitè, top client, Ezio Tavasani, armatore della New Zealand Endeavor, la barca vincitrice della Whitbread Round the World, regata intorno al mondo, e il suo skipper Mauro Magarotto.

Il secondo numero di SNOB sceglie quale macro temi HATE – LOVE, due facce della stessa medaglia, raccontate dai massimi esperti del settore; abbiamo l’approfondimento sul tema dell’odio del profiler Roberta Bruzzone, massima esperta criminologa e psicologa forense; uno sguardo sul passato e sul presente della musica neomelodica dalla penna di Federico Vacalebre, il primo critico musicale ad avere coniato il termine “neomelodico” passato oltre oceano; il mondo dell’arte fotografica espressa dall’art sharer Maria Vittoria Baravelli, e le visioni intime di personaggi noti come la cantante Giorgia, il rapporto con l’amore sfuggente di Sergio Rubini, l’impronta ereditaria del teatro napoletano nell’attore Eduardo Scarpetta, i cambiamenti di Tommaso Ragno, i mille volti di Manuela Zero, i ritratti scattati dal grande maestro Oliviero Toscani.
Un numero da collezione dove immagine e parola hanno uguale peso.

Tantissimi gli sponsor della serata tra cui Bentley, con cui SNOB ha definito una partnership ufficiale. Una Bentley Bentayga EWB brandizzata SNOB accompagnerà gli ospiti in location, il lussuoso e potente SUV del marchio d’auto diventato esclusivo simbolo di trasporto della casa reale inglese.

Sui maxi schermi del locale, verranno proiettati durante la serata i materiali esclusivi del numero printed di SNOB, e verrò regalato agli ospiti il numero in anteprima. L’uscita nei bookstores è prevista la settimana successiva.

A coccolare il palato, il Miglior Chef dell’olio A.i.r.o. 2021, Lorenzo Cantoni de “Il Frantoio”, Assisi, un riconoscimento internazionale che premia gli utilizzi dell’olio extravergine d’oliva in cucina, uno chef di tecnica e creatività che delizierà gli ospiti con le sue 11 portate gourmet.

Nella splendida terrazza vista Duomo, degustazione di vini dall’azienda Zorzettig, una storia nata più di cento anni fa sulle colline di Spessa di Cividale nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, luogo ideale per la viticoltura grazie a un terroir e un microclima unici.
Un’opera d’arte interattiva attende gli ospiti per scoprire… come nasce un’idea!

Due le drink list per ogni gusto e palato, con Brugal Rum, maestri della produzione del rum pregiato dal 1888 ed Elit Luxury Vodka, medaglia di platino per gli spirits bianchi più apprezzati al mondo. Uomini e donne di ogni età potranno divertirsi a degustare i differenti cocktails creati dal brand ambassador Brugal, Matteo Melara, e scoprire il nostro signature cocktail, SNOB, composto da ingredienti provenienti da ogni parte del mondo.

Nella cigar room del Lucid Club, locale intimo per chi desidera fare conversazione, ci saranno due esperti whisky e sigari, che vi condurranno nella degustazione di whiskies 25 anni della storica distilleria Glenrothes accompagnati da sigari Premium eco en Nicaragua. Ci sarà anche la possibilità di potersi iscrivere direttamente al CLUB SNOB, il membership Club che ha come obiettivo il network e la creazione di partnership al fine di sviluppare progetti culturali e business.

Dalle più importanti scene musicali milanesi, Christian Croce dj set della serata con musica di ricerca che da sottofondo toccherà le note house nel proseguo della notte.








Mosche Giganti

INTERVIEW: MIRIAM DE NICOLÒ

PHOTO: MARCO ONOFRI

Alcuni sembrano delle giganti mosche kafkiane, altri grandi insetti colorati che spostano campi di grano, sono gli elicotteri, questi oggetti volanti che trasportano vite umane da salvare o che sorvolano il tran tran delle strade a capriccio dei più ricchi. Una realtà solida per sicurezza e manutenzione, tra le poche società ad avere le licenze per l’acquisto di macchine governative. È ad Eurotech che si rivolgono i più esperti e appassionati, anche personaggi noti del mondo dello sport e spettacolo. Eurotech è il punto di riferimento di chi cerca qualità, esperienza, professionalità.
Eurotech è la società leader nel settore degli elicotteri, capitanata da Roberto Grazioli, tecnico e pilota di elicotteri conosciuto in Italia e nel mondo.

Roberto Grazioli, fondatore, è un uomo di poche parole, non ne spreca mai, sembra sempre concentrato su qualcosa di più importante, quasi assente sulla terraferma e concentrato in volo. 
Roberto dirige Eurotech, si occupa dell’import-export di elicotteri inserendoli in massima sicurezza per spedizione in container e insegna alla Scuola di Volo che ha sede presso la struttura di Caiolo in via Valeriana 8, un ambiente confortevole per studenti fuorisede con tutte le comodità di un appartamento. 

Se dovessi raccontare il tuo mestiere a un bambino, cosa diresti?
Non faccio un mestiere, mi diverto.

La tua giornata tipo?
La cosa bella è che non ho una giornata tipo, ogni giorno è diverso, a volte c’è più lavoro da ufficio come la preparazione di report e preventivi, la divulgazione di materiale audiovisivo e bollettini, altre le passo in officina per fare manutenzione o mantengo rapporti con clienti.

Qual è il tuo cliente tipo?
Privati e aziende o società che lavorano con gli elicotteri, anche nel settore istituzionale come il trasporto pubblico (ambulanze, polizia, vigili del fuoco, carabinieri). 
Un’attività assolutamente unica che facciamo solo noi è che trattiamo l’usato dei governativi, compriamo elicotteri usati, facciamo manutenzione, li verniciamo in sede, gli ridiamo una seconda vita e li rivendiamo. Siamo gli unici in Italia autorizzati a farlo da circa 15-20 anni; avremo compra-venduto più di 500 elicotteri. I privati sono molteplici, sportivi, industriali principalmente. 



Quanto costa un elicottero?
Vai dai 100.000 euro per i più piccoli a svariati milioni di euro per i più grandi.
I piccoli li usiamo per le lezioni di scuola guida o per i privati che vogliono spostarsi.
Abbiamo costruito questa base a Caiolo, dove abbiamo vari capannoni e un’accademia completa di servizi per ospitare i nostri allievi, così possono dormire qui.
Abbiamo altre 3 scuole di volo tra Milano e Roma, quindi sono in continuo spostamento, ovviamente in elicottero. 

Come è nata la tua passione per gli elicotteri?
Un po’ per caso, ero a Milano e studiavo all’Istituto Tecnico Industriale Statale G.Feltrinelli, appena diciannovenne decisi di lasciare per iniziare un nuovo percorso da tecnico pulendo 
gli hangar. Mi sono poi trasferito negli Stati Uniti dove ho conseguito i primi brevetti da pilota, e a trentacinque anni ho deciso di mettermi in proprio, il primo hangar in affitto in provincia di Como e il primo elicottero. Successivamente ho comprato un terreno e ho costruito il mio hangar, i clienti mi hanno seguito e così è iniziato il mio percorso con gli elicotteri. I miei clienti sono i miei amici, questo rende il mio lavoro una vera gioia. 

Perchè ci si rivolge a te? Che cosa offri come plus?
È il cliente a decidere e lo fa perché si instaura un rapporto di totale fiducia, oltre alla professionalità e all’esperienza che offri. Ma soprattutto apprezza la velocità nella risoluzione del problema, perché io sono sempre reperibile e intervengo anche di sabato e domenica.
Gli imprevisti non hanno orari da ufficio! 

È un buon investimento l’acquisto di un elicottero?
L’elicottero non perde di valore, chi volesse rivenderlo dopo uno o due anni recupererebbe lo stesso importo dell’acquisto. Il valore dell’elicottero è dato dalla vita residua dei componenti che ha installato.

In accademia di pilotaggio sono più uomini o donne?
Uomini, le donne in percentuale sono poche, è difficile trovare donne che abbiano una buona manualità nel pilotaggio, ma quando le scopri sono veramente brave. 

Quanto costa fare un brevetto di guida?
All’incirca 20 mila euro, 400 euro ogni ora di volo.

Oggi hai 60 dipendenti, quali sono i loro compiti?
Si dividono tra officina e ufficio tecnico, ogni pezzo dell’elicottero è tracciato e ogni modifica e sostituzione deve essere documentata, quindi il lavoro da fare è immenso tutti i giorni.

Cosa significa per te volare?
È una passione fortissima di cui sento la mancanza quando non posso volare, come in tempo di Covid. 

Se dovessi rivolgerti a chi non ha mai volato in che modo gli consiglieresti di iniziare questa nuova avventura?
Consiglierei di accogliere tutte le emozioni che regala. Io sono caduto 4 volte, una volta a causa del maltempo ho preso le cime di alcune piante, un’altra facendo gancio è subentrato un problema meccanico che mi ha fatto perdere il controllo del veicolo, stavamo trasportando i formaggi dalle montagne e sono stato costretto ad un atterraggio improvvisato un po’ duro. Una vertebra schiacciata e un’operazione che mi ha lasciato in corpo delle viti e una piccola placca. Ma appena lasciato il tempo al fisico di recuperare, sono risalitoa bordo. Gli elicotteri sono mezzi davvero sicuri, è molto più pericolosa la strada che il cielo. 

Nella vita privata usi l’elicottero o l’automobile?
L’elicottero, risparmio molto tempo; l’auto la utilizzo pochissimo.

Sei un appassionato di motori?
Si, le macchine mi piacciono. Ho anche un paio di auto d’epoca 500 Topolino. La moto invece credo sia uno dei mezzi più pericolosi in assoluto.

Tuo figlio segue le tue orme ma tua figlia ha scelto un’altra strada, sei dispiaciuto?
Beh mi piacerebbe che anche lei venisse a lavorare per noi, per il suo percorso di studi sarebbe fondamentale in azienda.

Tua moglie ha paura del tuo lavoro?
A volte si lamenta, ma poi mi segue nei progetti. Anche lei lavora in azienda la mattina.

Obiettivi futuri?
Abbiamo iniziato questo grande progetto di acquisto di elicotteri usati governativi, siamo i primi a farlo e sono davvero curioso di vedere a che cosa porterà perché promette numerosi sviluppi. 



Ossessione carta da parati, cartadaparati.it leader italiano

Milano brulica di interior designers e architetti alla ricerca delle meraviglie che il Salone del Mobile offre agli amanti del gusto e dell’estetica d’ambiente. Arredi di design, giochi di luce, installazioni che ribaltano la logica ma regalano alla casa un’atmosfera moderna, originale e in grado di stupire.
Tra le ricerche ossessive degli ultimi tempi, la carta da parati è certamente la scelta d’arredo che va per la maggiore, sempre più particolari, in qualsiasi stanza della casa e soprattutto personalizzabili, le carte da parati stanno ritornando di moda e dettano tendenza.
Tra i primi in Italia a creare carte da parati custom made c’è l’azienda Eko Design Srl che attraverso il sito www.cartadaparati.it offre collezioni per ogni gusto e tipologia, dalle fantasie tropical ai paesaggi naturali, per chi anche nell’ambiente domestico vuole sentirsi immerso nella natura, oppure decorazioni astratte e geometriche per gli amanti delle linee e dello stile moderno. Inoltre, per i clienti più esigenti, è possibile selezionare la tipologia di materiale Premium, che si differenzia sostanzialmente per tipo di composizione, resistenza al graffio ed alla pulizia. Le carte Premium non sbiadiscono al sole, sono a base acqua per cui ecologiche ed inodore, sono più compatte ed è possibile sceglierle anche adesive e calpestabili, una valida alternativa per coprire pavimenti vecchi o piastrelle del bagno ormai demodè.
Ma per avere un pezzo davvero originale, cartadaparati.it offre un servizio di carte custom made, che è possibile disegnare insieme ai loro grafici, passo passo modificandole in base alle vostre esigenze; si può partire da un disegno già esistente e cambiare colori e dettagli, oppure potete dare libero sfogo alla vostra fantasia ed arredare la casa dei vostri sogni.

Abbiamo intervistato il Fondatore di Eko Design Srl, Piero Cianci, che ci ha raccontato l’evoluzione di un progetto in continua crescita:


Quando è nato il progetto cartadaparati.it?
Nel 2001 il mio studio grafico si occupava già di elaborazioni e concept grafici per industrie, nel 2010 eravamo già in possesso di macchinari in grado di stampare carta da parati le cui richieste erano sempre maggiori e che oggi ci occupano il 50% del lavoro.
Solo un anno e mezzo fa abbiamo acquistato il dominio cartadaparati.it che ogni giorno si implementa di nuove scelte per accontentare i gusti di privati e professionisti del settore.

Qual è la ragione per cui sono tornate di tendenza le carte da parati?
C’è un nuovo modo di concepire la casa e l’ambiente che si vive, come anche il luogo di lavoro; dopo il declino degli anni ’90 c’è stato un cambio di rotta e oggi la si sceglie per arricchire gli spazi, creare ambienti interessanti, giocare con le prospettive.

Per quale ambiente della casa è più richiesta?
Sicuramente la zona notte, a seguire il salotto.
Ma la vera rivoluzione la fa la nuovissima carta da parati in fibra di vetro, una carta ultra-strong che può essere posata anche in cucina, tendenzialmente ambiente umido a causa dei vapori di cottura, e nella cabina doccia, grazie ad un trattamento extra davvero super resistente.

Perchè le vostre carte da parati sono Green?
Le nostre carte da parati non contengono componenti chimici, sono interamente di cellulosa e tutte certificate; abbiamo da subito deciso di investire su un macchinario HP che consente di stampare senza solventi grazie a una tecnologia che si chiama Latex.
L’inchiostro di questo macchinario è certificato ed ecologico, non hanno un cattivo odore (come le carte chimiche) e non contengono solventi; oltre a questo per la categoria PLUS, abbiamo aggiunto una sostanza che protegge la carta dal graffio e dall’usura del sole.

Si può quantificare la vita di una carta da parati?
Dipende dal contesto in cui viene montata, quanto è soggetta al graffio e alla pulizia.
Una buona manutenzione potrebbe farla durare anche 20 anni.

Quali sono gli accorgimenti per la posa?
Le nostre carte hanno il retro in TNT, questo permette di far aderire la carta alla parete senza far posare prima la colla, ma stendendola direttamente sul muro. Questo è un altro grande vantaggio rispetto agli altri tipi in cui è necessario prima stendere la carta di base, passare la colla e poi stendere la carta da parati sopra la colla.

Sono lavabili le vostre carte?
Sì, sono tutte lavabili e abbiamo anche una versione calpestatile, con un fondo adesivo da applicare direttamente sul pavimento. Questo nuovo e particolare tipo di carta ha un film protettivo in pvt e può essere lavata anche con solventi.

Ha costi molto più alti rispetto alle altre?
No, costa solo 3-4 euro in più rispetto alla tradizionale, ma questa in fibra di vetro è più resistente e fornisce anche un minimo isolamento termico. Molte persone dopo la posa stendono una mano di vernice resinata trasparente che la rende totalmente idrorepellente.

E’ un trend recente?
Sì, l’abbiamo introdotta 6 mesi fa e in media ogni sei ordini, uno è di carta in fibra di vetro.

Come si ovvia allo spazio tra una piastrella e l’altra?
L’ideale sarebbe stuccare le piastrelle/mattonelle, non è necessario rimuoverle, ma stuccarle e riempirle. In questo modo si ottiene un effetto completamente liscio; in alternativa si può usare fibra di vetro o carta Canvas che sono più spesse e riescono a mascherare bene le fessure.

Qual è il vostro cliente tipo?
Architetti e addetti al settore che fanno ordini per clienti, e molti privati che acquistano in autonomia spesso per la propria camera da letto.

Le grafiche più richieste quali sono?
Due ordini su tre sono a tema jungle.
Lo stesso trend si è spostato su questo tipo di motivo ma in versione retrò, con cigni, animali mistici, surreali, con effetto intonaco consumato ed effetto vintage.

La customizzazione quanto tempo richiede?
Una media di un’ora a cliente, cercando di ottenere il massimo delle informazioni e le specifiche richieste. Insieme al cliente andiamo poi a sviluppare quelli che sono i dettagli e le piccole modifiche richieste.
La bozza viene inviata tendenzialmente entro 24 ore dall’ordine.

Siete stati tra i primi in Italia ad utilizzare un certo tipo di macchinario di produzione, si prospetta un’innovazione in materia?
Stiamo pensando di acquistare un macchinario che ci consente di velocizzare i processi di produzione tagliando le bobine in automatico direttamente post stampa in un unico processo. Il secondo step potrebbe essere l’inserimento in azienda di un nuovo macchinario HP entro fine anno, R1000, Latex, per incrementare il volume di produzione.

Lei a casa ha delle carte da parati?
Certamente, è un modo per rinnovare l’ambiente e dargli un tocco di personalità, di carattere. Ho appena cambiato un motivo bianco su bianco con cerchi che stava in corridoio da 8 anni, per fare spazio ad una composizione astratta colorata e animali preistorici stilizzati su un fondo intonaco.
Il prossimo mese sul nostro sito www.cartadaparati.it faremo un upload di altre mille carte circa, tutte customizzate da noi, per non avere motivi simili a quelli della concorrenza.




Memorie di un baro, il romanzo di Sacha Guitry

Pressoché sconosciuto in Italia, Sacha Guitry fu un fervido autore, attore, regista, commediografo, scultore e appassionato collezionista d’arte, un dandy che esaltava con grande eleganza l’importanza della leggerezza.
Lo descrivono come megalomane e centrocentrico, quelle personalità bizzarre la cui eccentricità cela qualche guizzo di genio; si sposò ben cinque volte, beveva tre litri di vino al giorno, senza contare la birra e il resto, la sua firma era la rapidità, scriveva commedie in tre, quattro giorni, e aveva il vizio sfrenato per il gioco d’azzardo, che racconta in questo piccolo capolavoro “Memorie di un baro“, edito da Adelphi con traduzione di Davide Tortorella e una bellissima postfazione di Edgardo Franzosini.

Protagonista del romanzo è il caso, a cui viene dedicata l’intera opera, unico e solo a decidere anche per il “baro”, che inizialmente crede di poter decifrare la sorte con numeri e calcoli minuziosi.
L’eroe del libro, baro lo diventa per ironia della sorte, che lo ha reso orfano per intossicazione fungina, uccidendo tutti i componenti della famiglia che lo avevano punito lasciandolo a letto senza cena. Sarà quindi il solo sopravvissuto e girerà per la Francia in cerca di fortuna. Prima e grande certezza di questi viaggi repentini, è che “essere ricchi non è avere soldi, ma spenderli”.

Parigi? Non gli piacerà. Non eccellente, no, troppe ragazze sui marciapiedi, troppa grandezza, troppa miseria, un misto indefinibile di spirito, gusto, snobismo, balordaggine, spericolatezza e amoralità. E’ invece Monte-Carlo a ispirarlo, città dove ogni straniero può sentirsi a casa propria; qui si insedia dapprima come croupier e poi come baro, troverà una moglie che diventerà anche sua complice al gioco e incontrerà il suo destino.

Memorie di un baro” si fa leggere d’un fiato, inizia come un noir, si apre come romanzo d’avventura, si completa di preziosi bozzetti dove compaiono in piccoli tratti le figure che il narratore incontra nella storia, e si chiude con una morale:

“Il gioco è immorale?
E allora perché si incoraggiano le corse dei cavalli, si tollera la Borsa valori- guai a chiamarli giochi d’azzardo-, si chiude un occhio sulle lotterie, che si fregiano perfino dell’appellativo di nazionali?”