La notte sembra essere il momento prediletto per il marchio Elisabetta Franchi, che in questa collezione Spring Summer 2024 mette in passerella long dress sparkling del colore della luna, o dalle infinite paillettes dorate, trasparenze nude con ricami in perle, voile, piume, reggiseni in pizzo e animalier.
Sdrammatizzati con anfibi total black o estremizzati con maxi stivali gold al ginocchio, per Elisabetta Franchi non ci sono mezze misure, come nella vita privata, che spesso ci apre attraverso i social network. La cravatta è morbida e allentata sopra la camicia, come il cravattino slacciato dopo una serata a teatro; insomma la donna per Elisabetta Franchi è libera e indipendente, ma meno rigida rispetto all’uomo, che stringerebbe il nodo à la perfection.
Rock, ma sempre erotica, comoda anche in abito da sera, ma soprattutto sempre al centro dell’attenzione, negli abiti giallo fluo e nella jumpsuit day & night. Sound concerto Depeche Mode, un ritorno ai ’90, al caos composto, alla voglia di cantare insieme, alla sana carica delle donne che attraverso la moda giocano, facendo sul serio.
LIGHTS, CAMERA, ACTION! Antonio Marras, a Spring Summer 2024 movie
“Everything I learned I learned from the movies.
Tutto quello che ho imparato l’ho imparato dai film.”
(Audrey Hepburn)
La prima sfilata che vidi, molti anni fa, era di Antonio Marras, sentivo in lontananza cavalcare, un rombo di cavalli che arrivavano non vedevo da dove, era il suono potente del primo fashion show della mia vita. Piansi per la commozione, d’altronde ero una ragazzina, il mondo della moda era ancora un sogno, così algido e chiuso, poi l’ho conosciuto come addetta ai lavori, e la magia è svanita. Ma quell’emozione, quella polverina che tutto avvolge come in una favola, Antonio Marras continua a regalarmela. Perchè? Perchè non è solo uno stilista, è un poeta, un pittore, un artista, un pensatore, ma soprattutto un uomo che mette in luce i nervi, li scopre senza paura delle conseguenze.
Lights, Camera, Action non sarà un semplice fashion show, lo vedo dall’allestimento, una Porsche Speedster del ’57, rossa brillante, un letto con lenzuola inamidate, un grande sofà azzurro Tiepolo accanto ad un carrellino degli alcolici, preziosi servizi da tè in porcellana, candelabri d’argento, un disco dei The Platters, “My Prayer”, e tutto uno staff pronto a girare un film, cameraman, sceneggiatore, regista, suggeritore, comparse, attori. Manca solo la protagonista: la diva!
Vittoria Marisa Schiaparelli Berenson, nipote della nota stilista surrealista, tra le modelle più pagate di sempre, e attrice cinematografica che iniziò la carriera nel ’70 con “La morte a Venezia” di Luchino Visconti interpretando l’elegantissima signora von Aschenbach, è quella diva.
Sulla passerella va in scena “Boom“, il meraviglioso film interpretato dalla regina dagli occhi purple, Liz Taylor, in quella casa da sogno a picco sul mare, sulla scogliera di Capo Caccia, vicino ad Alghero, luogo di Marras che ricorda:
“Quando, nel 1967, ad Alghero è sbarcata la troupe di Joseph Losey alla ricerca di un set ideale, io avevo sei anni ma mi ricordo, eccome se mi ricordo. E con il tempo il film, le star, gli avvenimenti, le comparse del luogo, i pettegolezzi, i tentativi di rapimento, il mega yacht Kalizma della coppia stellare con cani, bambini, cuochi, capitani e marinai al seguito, i gioielli di Bulgari della Diva, gli abiti realizzati apposta dall’Atelier Tiziano da un giovane Karl Lagerfeld, copricapi di Alexander da Parigi, il cibo fatto arrivare direttamente da Londra con l’aereo ogni giorno, il tanto alcool, le liti fra i due protagonisti, la falesia di 186 metri di Capo Caccia e la villa bianca stratosferica a picco sul mare che, agitato, continua a sbattere sugli scogli e il vento, hanno assunto un’aurea di mito.”
“Io uso la moda per raccontare e l’ho imparato andando al cinema. Il cinema, fonte inesauribile di storie, di sogni, di mood, di personaggi, di costumi, di set, di racconti di esistenze eccezionali o di straordinaria normalità. Il cinema è indispensabile compagno di vita. E ancora di più per me, per il lavoro che mi sono ritrovato a fare. Io, onnivoro di cinema, ho trascorso la mia adolescenza seduto tra il Selva e il Miramare di Alghero vedendo e rivedendo in loop film che ancora ora fanno parte del mio vissuto.“
Come Liz, la Berenson indossa un copricapo scintillante che le dona regalità, kimono dai disegni Hokusaiani, che solo la maestria di Marras può accostare a pizzi e merletti; hanno le maniche lunghe come si addicono alle donne impegnate del Giappone; lo staff è in trepidante attesa della diva, che cerca di ammansire con complimenti e frasi sdolcinate.
A sfilare, caftani dai rimandi orientali, fiori e broccati, long dress di seta che sembrano impalpabili e pronti a volare con una folata di vento; il macramè, il vichy, il pied de poule, sono quel pot-pourri delicato e così aggraziatamente antico, che anche se pensato per essere indossato oggi, conserva un fascino e una personalità di un capo ricco di storia.
Ape, Cesare! Un progetto nato in un’apecar, guidato e capeggiato ovviamente da un romano, Alessandro Favola, che dalla capitale porta tradizione, gusto e simpatia. Dopo aver attraversato tutte le strade di Milano a bordo della 3 ruote, inizia un percorso nella ristorazione accanto allo stellato Carlo Cracco, come direttore da Carlo e Camilla in Segheria, per poi tuffarsi nel primo bistrot dalle ricette romane de Roma.
E allora la cacio e pepe potrete gustarla in ogni forma, nel supplì, nel panino con carne di manzo da allevamento certificato, fornitore veneto dei ristoranti più èlitari, con broccoletto appena scottato, come la carne che ha un sapore intenso, e la salsa cacio e pepe che protagonista sbaraglia tutti per gusto e persistenza. Anche il supplì consigliamo di assaggiarlo per ultimo, dopo aver gustato il classico pomodoro e mozzarella, e il delicato con coda alla vaccinara.
In cucina una squadra di romani con pluriesperienze nel settore, le cui contaminazioni francesi e spagnole non hanno intaccato la grande cucina tradizionale, rispettandola. Dal ricettario di nonna infatti arriva anche il tiramisu, fatto con savoiardi Vicenzi, un mascarpone fresco fresco dal colore dorato, e una consistenza che ve la ricorderete a vita.
L’ambiente è semplice, un bancone con posti a sedere e dei tavolini esterni dove troverete non solo i compaesani, ma modelle che muoiono di fame dopo le sfilate che invadono questa settimana della moda meneghina.
Qui si viene per un comfort food da asporto, per quella voglia golosa di carbonara (che troverete nel panino!), per quella nostalgia della città più magica d’Italia, dove nelle trattorie ci trovate ancora nonna Pina e zio Mario che servono e accolgono come foste figli suoi. I loro figli sono qui da Ape Cesare, troverete la stessa ospitalità. E quando siete a Milano, serve eccome.
SOULGREEN PRESENTA ‘ANYTIME GREEN’, LA NUOVA DRINK LIST FIRMATA FARMILY GROUP
Alcuni matrimoni nascono per caso, spesso il destino ci mette al momento giusto con le persone giuste, talvolta più di frequente per lanciarci dei segnali, com’è capitato tra Soulgreen e Flavio Angiolillo, founder di Farmily Group. Cosa ne è nato? Un bellissimo progetto chiamato “Anytime Green”, la nuova drink list del nuovo place to be di Milano, Soulgreen, non un semplice ristorante, non un semplice cocktail bar.
Soulgreen apre nel 2017 con un concept tutto verde, plants based, che prevede una scelta eccellente di materie prime, elaborate internamente, evitando quindi lavorazioni industriali. Non troverete carne nel menu, né latticini, ma pesce che arriva da pesca sostenibile e una carta vini biodinamici e naturali.
“L’incontro con Flavio Angiolillo è stato casuale, ma abbiamo capito subito fosse la persona giusta per curare una drink list che rispecchiasse l’etica di Soulgreen. La carta cocktail cambierà stagionalmente, a seconda della disponibilità dei prodotti, per assicurarne la freschezza e rispettare il corso della natura”.
– Federica Grasso, General Manager Soulgreen
“Anytime green e tutti i cocktails della drink list firmata Farmily Group, hanno un comune denominatore, sono low alcol. Anzitutto perchè perfetti per pasteggiare ad ogni ora della giornata, pranzo o cena; inoltre sono pensati per essere come una ciliegia: uno tira l’altro. Sono bevute morbide, fresche e poco zuccherine, con un grado alcolico che non supera i 5 gradi, una nuova generazione di drink allungati con acqua di cocco o acqua tonica.“ – Flavio Angiolillo, founder Farmily Group
La divisione food & beverage del grande gruppo Percassi, di cui Soulgreen fa parte, continua a posizionarsi sul mercato con idee innovative e di qualità, scommettendo sempre più nel made in Italy, ma posizionandosi anche sui nuovi mercati, come quello di Dubai dove ha sede il fratellino di Soulgreen. La figura di Flavio Angiolillo, leader sul territorio milanese con all’attivo 6 locali di successo, punto di riferimento della movida meneghina ma anche di chi sceglie qualità ed eccellenza del bere bene, è certamente una scelta ponderata e mirata a raggiungere un pubblico consapevole ed esigente. Ma il matrimonio tra le due realtà ha in serbo nuove sorprese, per il momento top secret.
Lirismo del divismo, “Grand Hotel” illumina nonostante l’età. è il ’32 quando il regista Edmund Goulding raccoglie i più grandi divi del cinema Hollywoodiano e li piazza davanti ad una camera per girare quello che sarà premiato agli Oscar nello stesso anno, come miglior film a MGM, e pellicola scelta per essere conservata nel Nation Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Teatro di scena è il Grand Hotel di Berlino, non cercatelo perché non esiste, il set è stato interamente ricreato negli Studios purtroppo, peccato per gli appassionati di cinema che si sarebbero fiondati nelle sontuose stanze dei protagonisti.
Gente che va gente che viene, un tram tram di clienti che fa da sottofondo alle storie che si intrecciano tra i personaggi di diverso ceto sociale. Abbiamo il barone Felix von Geigern ( John Barrymore) che si rivelerà essere un ladro gentiluomo, molto amato per i suoi modi e il suo buon cuore, la ballerina russa, madame Grusinskaya (Greta Garbo), una diva viziata caduta in depressione al calar della carriera, il contabile Kringelein, un uomo dai giorni contati perchè malato di cuore, che decide di vivere i suoi ultimi momenti nello sfarzo totale, l’industriale Preysing, un arrogante panzone e la sua dattilografa, Flaemmchen, la grande Joan Crawford che ruba la scena alla bella Garbo forse a tratti troppo drammatica e teatrale per uno spettatore del 2023.
Wallace Beery e Joan Crawford in una foto pubblicitaria del film
La missione del ladro barone sembra andare in fumo, entrato nella stanza della ballerina per rubarle i collier di perle, assiste di nascosto alle angosce della povera donna in procinto di suicidarsi. Colto da compassione sbuca fuori dalle tende e la implora di fermarsi, confessandole di essere entrato furtivamente nella stanza perchè innamorato perdutamente di lei. E nella trappola dell’amore ci finirà sul serio, rischiando così di essere ammazzato dalla malavita che pretende quelle perle promesse. Ma il barone è troppo debole nei confronti del gentil sesso, e cercherà di ottenere quel denaro altrove. Si imbatterà nel povero Kringelein a cui ha regalato la sua amicizia, quell’uomo così solo e così desideroso di vivere; ruberà il cuore alla dattilografa che non ricambia, ormai pronto a scappare segretamente in Russia con la bella ballerina, che miracolosamente ha ripreso a brillare come i vecchi tempi e che vede il Sole in ogni angolo della stanza in bianco e nero.
Grand Hotel è un film romantico che ci ricorda quanto l’amore sia il vero salvatore, un film che denuncia i comportamenti degli anni ’30 nei confronti dei differenti ceti sociali, un film che apre gli occhi sulle vere identità delle persone (la timida dattilografa si scoprirà essere una calcolatrice pronta a vendersi al suo datore di lavoro per soldi, ma presa da compassione accompagnerà il signor Kringelein a Parigi, per gli ultimi suoi giorni di vita e di gloria.
Greta Garbo e John Barrymore (Photo by MGM Studios/Courtesy of Getty Images)
Edmund Goulding ci fa amare il buon ladro, così galante, di rara eleganza e calma, e così prodigo a salvare la vita di una star a fine carriera, ci conduce nelle stanze 170, 164, 168 sbirciando dalle fessure le storie segrete dei clienti d’albergo, ci appassiona con le telefonate d’amore e ci attanaglia trasformando il dramma in un thriller, perchè alla fine, qualcuno muore. Chi?
Della sua vita privata si sa poco, noi lo conosciamo perchè recita accanto a Sara Jessica Parker, in una delle serie tv più seguite di sempre, “And just like that”, il sequel di “Sex and the city“, ma nella vita reale Sebastiano Pigazzi è un timido, così si racconta, un bambino che scriveva poesie un poco drammatiche, e che oggi ha il cassetto pieno di sogni…nel mondo del cinema.
Buon sangue non mente, perchè Sebastiano Pigazzi è il nipote di Bud Spencer, il nonno forzuto e buono che tutti avremmo voluto, una vita vissuta in America, e il cuore che lo riporta spesso a Roma, la città che ogni tanto fa sentire nostalgia dell’Italia.
Photographer Claudia Pasanisi
EIC/Interview Miriam De Nicolò
Stylist Diletta Pecchia
Grooming Barbara Bonazza
Press Office Agent Matteo Cassanelli – Mpunto
Stylist Assistant Giada Turconi
Press Office Assistant Laura Marazzi
Location Studiocane – Milan
Gilet e pantalone AGARW-UD, camicia ANTONIO MARRAS
Nel sequel di “Sex and the city, “And just like that”, interpreti il fidanzato di Anthony Marentino.Puoi svelarci qualcosa della storia? Sarà una relazione omosessuale, che nasce come un gioco e diventa un amore romantico.
Com’è stato lavorave in un cast così affiattato, di una serie di così tanto successo? Molto divertente, loro sono davvero accoglienti e gentili, mi hanno fatto sentire a casa, pensavo ci sarebbe stata tanta tensione e invece non avuto problemi ad integrarmi.
Hai portato nel tuo ruolo qualche carratteristica della tua italianità? Beh si, il personaggio è italiano, non ho avuto scelta. Lui vorrebbe fare il poeta, scrive testi d’amore in un negozio di New York per un dollaro.
Anche tu ho letto che scrivi poesie… Beh scrivevo di più quando ero piccolo, ma non d’amore, ero un pessimista. Poi ho smesso altrimenti si sarebbe potuto pensare che fossi un Leopardi 2.0 un po’ troppo drammatico con tendenze suicide.
Da piccoli abbiamo un po’ tutti un lato drammatico. Ma io avevo la tendenza ad andare sempre più verso il fondo. Ricordo che mia nonna a un certo punto mi disse: “Guarda che qualche volta puoi scrivere anche una poesia felice!“.
Perchè sei una persona sensibile. Si forse sono un sensibilone.
Tendenzialmente si cerca di coprire questo lato forse perchè qualcuno potrebbe leggerlo come debolezza, quando in realtà è un grande pregio e una grande forza. Sicuramente rende la vita più difficile. Anche se nell’arte può essere un’arma a tuo favore.
sx camicia ANTONIO MARRAS, pantalone ANGELO FRENTZOS dx giacca e pantaloni ANTONIO MARRAS
Attore con il sogno nel cassetto di regia e sceneggiatura. Il mio mondo ideale, ma sai certe cose uno vorrebbe tanto farle, ma richiedono tempo.
Hai qualche progettoavviato? La volontà non manca.
Quali sono i temi che vorresti sviluppare? Sicuramente mi piacerebbe trattare il tema della moralità, mette sempre in discussione il giusto e lo sbagliato, vorrei spingere il pubblico a pensare, metterli in difficoltà, credo sia la cosa più interessante che possa regalare il cinema.
Moralità che si è un po persa in questo periodo storico. Si forse si è un po persa. Non sarò io a dire cosa è giusto o sbagliato, ma vorrei mettere in scena personaggi ambigui e lasciare al pubblico l’ultima parola. Un modo per giocare con il cinema, riflettendo.
E tu da che parte stai? Ti senti più buono o cattivo? Come tutti gli altri, qualche momento buono e qualcuno cattivo, direi umano. Troppo spesso nel cinema vediamo separate le due metà, quando nella realtà siamo tutti entrambi i lati della medaglia.
Cè chi ammette di avere una parte piu preponderante rispetto l’altra. Tutti hanno qualche motivazione, nessuno nasce cattivo.
Ti senti un ragazzo fortunato? Molto fortunato, ovviamente tutti hanno vissuto qualche trauma, fa parte della vita, rende tutto più vivo.
E i tuoi traumi li puoi raccontare? I traumi sono intimi, forse sono sempre stato un pò rabbioso, insoddisfatto.
Potrebbe essere il paragone con qualcuno del tuo grado di parentela? No nessuno, non posso paragonarmi a mio nonno.
Hai un anneddoto carino da raccontare legato a tuo nonno Bud Spencer? Ero piccolissimo, e mi ero attaccato ad una bottiglia d’acqua, ingollando senza sosta. Mamma e nonna hanno provato a fermarmi, ma solo il vocione del nonno è riuscito nell’intento, facendomi piangere. Era così imponente.
sx total look ANGELO FRENTZOS, dx total look DSQUARED, bracciale FERSERA
Perchè a tuo parere “Sex and The City” ha un seguito così grande? Perchè parla di quattro donne che vivono la vita in modo un pò provocatorio e ha la capacità di raccogliere ogni tipo di personalità femminile, per cui è facile immedesimarsi. La scelta di girare in una città meravigliosa come New York, che ti sembra di vivere lì con loro, e soprattutto in chiave ironica.
La tua più grande passione oltre al cinema? Stare con amici e persone a cui voglio bene.
Dove ti senti più a casa? A Santa Monica, dove sono cresciuto.
Un luogo dell’italia che un pochino ti manca? Dopo qualche tempo si sente sempre la mancanza di Roma.
Roma o i romani? I romani no, ah ah.
Dovessi scegliere un periodo in cui vivere? Per un giorno? Forse andrei a vedere l’antica Roma.
A fare il gladiatore? No a vederli.
Avessi scelto un mestiere diverso? Il politico.
Sei legato a qualche partito? No, ma trovo sia un’altra forma d’arte che può cambiare la vita a molte persone. Utopico, ma se ben gestita potrebbe aiutare realmente.
Tra le prime roccaforti turistiche dell’impero asburgico, Merano ha ospitato nel passato diverse personalità illustri come la Principessa Sissi, che ancora oggi è amata e omaggiata, e lo scrittore Franz Kafka. Patria di Castelli, Giardini imperiali, e di infiniti svaghi e sport da praticare a cielo aperto, come il trekking, nordic walking, meditazione nei grandi parchi, yoga nei bambuseti ed e-bike, Merano è l’elegante città dove recuperare energia tra le montagne. Per una sosta a Merano, i luoghi più caratteristici sono quelli ricchi di storia e tradizione, assolutamente da visitare e vivere per una vacanza all’insegna del relax.
Hotel Adria
Un elegantissimo palazzo della Belle Époque, conserva tutto il fascino e il gusto di inizio ‘900, nell’architettura e negli arredi, concedendosi una piccola rimodernizzazione laddove necessario. Gli chandelier nel salone appartenuti all’ultimo doge di Venezia, gli stucchi oro dei soffitti, romantiche nature morte racchiuse in cornici ovali, così come i ritratti di nobildonne, le vetrerie in legno antico che espongono preziose teiere in porcellana cinese, tutto parla al passato all’Hotel Adria, il gioiello architettonico in stile Liberty nel quartiere di Maia Alta a Merano.
Nel grande salone del palazzo, tra i dipinti e le applique originali, è possibile leggere la stampa estera, rito mattutino che pare ormai desueto e che invece nobilita come ogni genere di lettura; per gli amanti della notte, un bellissimo angolo bar con capitonnè turchese e lampade Art Nouveau, dove trascorrere le ore chiacchierando davanti ad un Vermouth Belle Époque, con un cubetto di ghiaccio.
La sala colazioni è il ritratto femminile per eccellenza, agghindato di profumatissimi fiori del parco secolare circostante, ha i colori del lilla e del viola; sui tavoli, che affacciano alla grandi vetrate panoramiche, le piccole argenterie per un risveglio coccolato dalle prelibatezze della cucina, muessli e yogurt naturale, frutta fresca, croissant appena sfornati e le dolcissime torte fatte in casa, con i prodotti locali.
Qui tutto parla della più amata, la principessa triste e romantica che era solita annotare tutti i segreti del cuore nel suo piccolo diario, la più fissata con la linea e in perenne dieta, di quelle fai-da-te per ridurre all’eccesso il suo già minuscolo punto vita, colei che nella tabella giornaliera aveva sempre delle lunghe passeggiate che la videro anche qui, a Merano, per lungo tempo: la Principessa Sissi.
La immagino salire con l’ampio vestito di seta color del cielo, nello storico ascensore datato 1914 (una vera rarità per l’epoca), e ancora intatto nel palazzo con la poltroncina interna in gobelin, quel meraviglioso tessuto che ricopre i salotti più graziosi, dalle trame fiorite con i colori più tenui e che ricorda gli arazzi Gobelins, Manifattura storica del XVII secolo. Anche i corridoi omaggiano la bella Principessa, con foto, ritratti e documenti che ne ripercorrono la storia, e una stanza dedicata, la numero 18, Sissi, l’imperatrice.
Hotel Adria è il quattro stelle lusso per chi ha voglia di vivere il fascino del passato con le comodità del presente, come la sua spa con 4 saune, bagno turco salino e aromatico, piscina interna e vasche idromassaggio esterne, zona relax e solarium e trattamenti benessere per dedicarsi totalmente alla cura del corpo e della mente. Un bel regalo da concedersi soprattutto quest’anno in cui cade il 138mo anniversario dell’Adria, progettato nel lontano 1885 e rinnovato nel 1914 secondo i canoni estetici dello Jugendstill. La storia poi lo vede trasformato in un ospedale da campo durante la Prima Guerra Mondiale e riportato alla sua funzione originaria a fine conflitto, per poi passare sotto la cura della famiglia Amort-Ellmenreich, che oggi gli ridona splendore e grazia.
Se avete visto il film “Grand Hotel” del ’32, per chi ovviamente non lo ha vissuto quel periodo, saprete che certi ambienti paiono davvero esser scomparsi, così come alcune atmosfere, ormai sorpassate. Purtroppo. Ma qui al Park Hotel Mignon, dal grande salone dove viene servita la cena, le storie si intrecciano come in un film; il galateo impone l’abito per le signore, i pantaloni lunghi per i gentlemen, un must che dovremmo imporre in ogni albergo che si rispetti. Le voci sono sommesse (Dio sia lodato), le cene si svolgono con ritmo cadenzato, mai a tarda ora, e ogni ospite siede quasi sempre alla stessa tavola, e scambia qualche battuta con il cameriere con cui si ha più simpatia. La liturgia della cena è in nome della cuisine,firmata dallo chef Hanspeter Humml, originario del luogo, ma che porta nel piatto influenze francesi (sono deliziose le salse che accompagnano quasi ogni piatto) e un tocco gourmet ad ogni impiattamento; inoltre si offre la possibilità di scegliere anche un Menu vitale, una cena da 670 kcal per chi non vuole rinunciare alla forma.
Se al momento della cena ci si concede qualche confidenza con l’ospite della camera accanto, perchè la scelta vini è ampia e il pianoforte suona, la colazione si svolge in un clima ancora più lento, per poter assaporare il più importante pasto della giornata. Vi attende una selezione di prelibata pâtisserie, omelette fatte al momento, del puro miele favo direttamente dall’alveare, da gustare masticando la cera d’api che contiene tutte le proprietà nutritive e curative della propoli, e un caloroso invito su carta firmato dalla famiglia Amort-Ellmenreich, per un aperitivo in terrazza. Il tempo sembra essersi fermato al Park Hotel Mignon, i salotti, con i soffitti in legno, sposano perfettamente un design moderno ad elementi vintage; i dipinti alle pareti sono tutte produzioni astratte della signora Ildegard, madre dell’attuale Sissi Amort che porta avanti con uno spirito imprenditoriale e d’accoglienza eccelsi.
Anche la sala bar vi farà venire una certa nostalgia, di quelle serate lette ne “La morte a Venezia” di Thomas Mann, negli ambienti sontuosi del Lido all’Hotel des Bains, quando il narratore rimane affascinato dal giovane Tadzio, quella figura bionda dalle fattezze greche che divenne l’ossessione del protagonista. Un Jalifa Solera Especial dell’azienda Williams & Humbert, uno Sherry appartenente alla categoria “Amontillado” invecchiato 30 anni, o un Pipa XX Glogglhof F. Gojer, il primo vino in Alto Adige prodotto con il sistema del vino Porto con uve di Lagrein affinato nella botti Pipa (tipiche botti in rovere del Portogallo dove viene conservato il Porto), e vi ritroverete a discorrere di tempi passati, costumi in disuso, forme dimenticate, autori illustri e grandi classici, consigliati da Philip, quarta generazione della proprietà e futuro chef del Park Hotel Mignon. E per gli appassionati della fumata lenta, una selezione di sigari a scelta tra Montecristo, Davidoff Churchill, Romeo e Giulietta, da godersi nel grande terrazzo vista piscina.
Fiore all’occhiello è certamente la Spa, 2000 mq di zone intime da dedicare alla cura del proprio corpo, bagni di vapore, ampia piscina coperta comunicante con quella esterna, servita di lettini, ombrelloni, accappatoi, vasca Kneipp, dove sassi di fiume di forma irregolare spremono la pianta del piede favorendo il ritorno della circolazione venosa, ad una temperatura di 12 gradi; vasche idromassaggio, (Sauna Bamboo Hyperthermae, Sauna 4 stagioni, Mediterranean Parcour, grotta Glacier Ice, Aromarium (un bagno turco agli aromi con proprietà disintossicanti e rilassanti), e sudario romano secco (per facilitare l’eliminazione delle tossine e contrastare emicrania, dolori reumatici), confortevoli ambienti intimi dove dormire sotto il canto deli uccelli o dello scrosciare di un corso d’acqua. Per una vera vacanza all’insegna del relax, concedetevi un trattamento corpo come il massaggio integrale Ayurveda, eseguito con olii caldi e tecniche specifiche atte a vitalizzare l’organismo sotto stress e riequilibrare lo stato interiore.
Ogni angolo del Park Hotel Mignon nasconde un’oasi dedicata, come il piccolo laghetto naturale, l’angolo con rocce naturali e doccia, o il percorso con truccioli di pino che collega le zone spa, in 10.000 mq di parco, troverete camminando delle sorprese, sarà un divertente gioco alla ricerca dello spazio più riparato dove godere della perfetta privacy.
Volete vivere un giorno da Principessa? I Giardini di Castel Trauttmansdorff sono un magico labirinto dove avrete il piacere di perdervi; calpesterete lo stesso terreno che un tempo attraversò Sissi, vedrete lo stesso panorama, annuserete gli stessi fiori, parlerete alle stesse specie animali. Qui infatti è presente una grande serra con diverse piante esotiche su cui si posano differenti specie di farfalle tropicali che spuntano in questa zona durante l’anno, da ogni angolo di mondo. E’ uno spettacolo naturale davvero unico, che difficilmente si trova il natura dove la presenza dell’uomo è costante; e il Laghetto di ninfee, il Giardino dei sensi con i suoi fiori profumati; il grande prato acquatico dei fiori di loto; e delle aree dedicate ai simpatici alpaca, moroseta, caprette e insetti dei più bizzarri nel Terrario della Serra, come l’insetto stecca e l’insetto foglia, che farete davvero fatica a scovare tanto sono bravi a mimetizzarsi.
I Giardini di Castel Trauttmansdorff non sono un semplice parco, ma un percorso didattico utile davvero a tutta la famiglia, ai grandi e ai piccini, curato nei minimi dettagli, ricco di attività e di punti di interesse, con zone dedicate a giochi e spazi multisensoriali, un museo a cielo aperto da cui dovrebbero prendere esempio tanti musei italiani e non, per offrire un diversivo che impegni in maniera utile e divertente tutta la giornata. Le Stazioni sensoriali portano il visitatore alla scoperta della natura, ampliando tutti e cinque i sensi, come il percorso a piedi nudi, l’alveare dove poter vedere da vicino il lavoro delle api, la roccia sonora che restituisce le vibrazioni della propria voce, e la Grotta, un percorso sotterraneo che illustra la genesi della Terra.
Ma sono le stanze del Castello che l’imperatrice d’Austria abitò dal 1870 con le figlie Gisella e Marie Valerie; qui Sissi si ritirava a leggere, scrivere il suo diario, annotare le pene che la vita non gli ha negato, come la morte del figlio suicida, il principe ereditario Rodolfo d’Asburgo-Lorena. Ma il Castello è anche testimone delle sue piccole gioie, come la fetta di torta che ogni tanto si concedeva, e che è rimasta intatta fino ad oggi, conservata dalla locandiera che gliela preparò nel 1897, data del suo ultimo soggiorno a Merano. Conservata sotto una teca, dura come la pietra e rosicchiata solo da un topino, la torta della Locanda Sole è uno strano oggetto che racconta quanto l’imperatrice fosse amata dalla gente locale, per la sua personalità umile e aperta, nonostante il rango.
Locale storico di Merano, Forst nacque come distilleria per poi dare vita dopo la ristrutturazione all’edificio che è oggi e alla tipica locanda meranese, con le caratteristiche pareti e soffitti in legno, corna di cervo, documenti e foto originali sulla storia della birra, foto della famiglia che gli diede i natali. Forsterbräu Meran è sicuramente il locale più frequentato della zona, che offre piatti di altissima qualità, non perdetevi i canederli di speck in brodo, le mezzelune ripiene di spinaci e ricotta, servite conformaggio di malga, burro fuso ed erba cipollina, o i classici würstel alla bavarese con brezen e senape dolce. Si trova nel centro della città, un quartiere elegante vicino al teatro, dove fare sosta prima di aver rimpinguato la vostra dispensa di prodotti locali da portare a casa o come goloso regalo per i vostri amici.
Fundador Sherry Cask Doble e Triple Madera, il re dei brandy presenta le new entry
Questo è il distillato di vino che più di tutti scatena appassionati, ossessionati e sostenitori incalliti. La sua storia è misteriosa perchè nato intorno al 1300 dalle mani di alchimisti islamici alla ricerca di pozioni che guarissero le crisi respiratorie (e ci sono riusciti in qualche modo). Ha attraversato periodi bui per poi rinascere come una vera star, ha quindi il fascino del bello e dannato, la sua importanza non è l’annata, ma la provenienza, come un cavallo di razza su cui puntare; avete intuito di cosa parliamo? Del brandy, un distillato pregiato, forse, per veri intenditori. E come tutti i cavalli di razza, ha un papà di razza, il padre di tutti i brand spagnoli è certamente Fundador, che forse molti di voi ricorderanno nel divertentissimo spot che vede un giapponese posato assaporare Fundador e, preso dall’euforia, iniziare a parlare di fiesta e flamenco, in spagnolo!
Fundador è il brandy di Jerez più esportato almondo, furono proprio gli spagnoli i primi europei a produrre il distillato e conservano, ad oggi, il primato dei produttori migliori al mondo. Pedro Domecq Loustau nel lontano 1874, crea il primo Spanish Brandy di Jerez, in Andalusia. Come allora, l’invecchiamento avviene sempre nelle cantine di Jerez de La Frontera, le più estese di Spagna, seguendo la Denominacion de Origen Brandy de Jerez.
Fundador Sherry Cask, il grande classico del marchio, è un distillato di vino prodotto a partire da uve nazionali, anche se per il Brandy de Jerez si possono usare esclusivamente le varietà Palomino e Airén. Fundador Sherry Cask viene distillato in alambicchi a colonna e nei tradizionali Alquitar, per poi essere spedito a Jerez a invecchiare. Qui guadagna la denominazione di Brandy de Jerez Solera, maturando almeno sei mesi in botti di rovere americano che hanno contenuto vino Sherry. Infine viene imbottigliato a 36 gradi.
Fundador Sherry Cask si rinnova
Fundador Sherry Cask Solera è una versione rinnovata dello storico Fundador Solera, per avvicinare chi ancora non conosce la storia e le malie di questo potente distillato che avvolge. La storia del cinema ci racconta che Fred Astaire in “L’ultima spiaggia” lo preferisse al gin; è anche la scelta dei teneri fratelli Sister del regista francese Jacques Audiard, ma vi assicuro che in queste new versions, anche le donne potranno degustarlo da solo o in miscelazione.
In Fundador Sherry Cask Solera la scelta delle botti dentro cui andrà a invecchiare il distillato è stata allargata e comprende ben 3 varietà di Sherry: Fino, Amontillado e Oloroso, che ci regaleranno un profilo più morbido, facile e beverino, pur se impreziosito da numerose sfumature organolettiche. Ricordiamo che il passaggio in botte è fondamentale perché il legno rilascia sapori, profumi e colore che ritroveremo poi in degustazione, infatti dopo la distillazione il brandy è trasparente.
Le novità
E a proposito di botti, il Fundador Doble Madera Sherry Cask viene invecchiato in botti di rovere americano da 500 litri ex-Sherry di Amontillado e Oloroso, utilizzando il tradizionale sistema dei Criaderas y Soleras. Avremo un brandy ricco di aromi speziati ed esteri vinosi, che si alternano a sentori di frutta, miele, vaniglia e caramello. Al palato è estremamente equilibrato e corposo, con note vinose, di vaniglia, frutta candita e caramello. Il finale è lungo e persistente, molto elegante. Va sorseggiato, concedetevi del tempo, fra voi e lui, si farà sentire lentamente, e ricordate che c’è voluto del tempo e lunghi viaggi prima che arrivasse a voi, per cui non abbiate fretta.
Fundador Triple Madera Sherry Cask è un brandy ottenuto a partire da vini accuratamente selezionati (fondamenta del brandy è la materia prima, cioè i vini scelti, di qualità, senza solfiti e senza conservanti, privo di difetti) e invecchiato utilizzando il tradizionale sistema dei Criaderas y Soleras in botti ex-Sherry di rovere americano da 500 litri che hanno contenuto Fino, Oloroso e Pedro Ximénez. Al naso è complesso, ricco di sentori di rovere e vino, che si intersecano armoniosamente con profumi di frutta, miele, vaniglia e caramello. La bocca è straordinariamente equilibrata, corposa e rotonda, con note vanigliate, di frutta candita e caramello. Il finale è lungo e persistente.
Portatelo nel salotto, davanti al camino, dopo una cena con amici, lasciate che apprezzino prima il colore che intravedono già dalla bottiglia, poi quello che i francesi chiamano premier nez, i profumi volatili, quelli che ti illudono di restare ma poi ti lasciano col cuore innamorato, poi offritegli un sigaro (è perfetto in degustazione con il brandy) e lasciatevi andare ad una fumata lenta, al chiacchiericcio composto e rilassato, tra una boccata e l’altra. Bere brandy diventerà un rito, un bellissimo vizio da ripetere.
Actor Tommaso Ragno Interview by Miriam De Nicolò Photography Martina Mammola Styling Allegra Palloni
Più andiamo avanti nella conversazione, più si comprende che la vita, per Tommaso Ragno, sia uno studio continuo sul mestiere dell’attore, e che queste ricerche siano diventate di natura così ossessiva, da averle incarnate con la sua carne stessa. Cita Sacha Guitry senza saperlo, quando dice che l’attore è pagato per provare sentimenti che non prova: l’intensità arriva già dalla voce. chiudendo gli occhi diviene più profonda e poi attenta, cauta, sibilante, triste quando parla dell’amore, decisa quando si riflette allo specchio.
La differenza tra la realtà del teatro e la realtà del cinema. James Stewart, un grande attore statunitense, diceva: “Nei film si tratta di creare momenti. Nessuno sa come questo accada. Ma il compito è di prepararsi al meglio affinché questi momenti accadano, perché nei film non è la performance a contare come la si intende in teatro. Non è esattamente così. Nei film si va per momenti. La cosa grande del cinema è il potenziale che i film hanno di comunicare le cose visivamente: il cinema ti viene più vicino di qualunque altra cosa, la gente ti guarda negli occhi.” Nel teatro invece, proprio perché la scena, lo schermo è un continuo campo totale si fa un lavoro che comporta l’uso di tutto il corpo, l’elemento tecnico (cavi, telecamere, ciak, etc.) che nel cinema e nella tv è primario in teatro diventa secondario, in teatro è l’elemento umano a esser centrale, è un flusso ininterrotto, in cui sei connesso direttamente al pubblico, che dovresti percepire come tuoi partners, come fossero attori a loro volta che partecipano a creare lo spettacolo.
Come si entra dentro il personaggio da interpretare? Direi in parte alla stregua di un atleta, laddove ciò che muove tutto è il muscolo dell’immaginazione, facendo spazio in sè stessi per lasciare che si manifesti questo fantasma, chiamato per convenzione “personaggio”. Si va a cercare qualcosa che speri venga a sua volta a cercare te. Una sorta di reazione chimica. Di chimica alchemica, alla maniera degli antichi alchimisti.
Hai dichiarato in una intervista “Ciò che mi differenzia è l’immaginazione” E’ questa la miglior qualità di un attore? La qualità più importante sta nel modo di rielaborare le cose che hai imparato. Porto un esempio: tu mi consigli vivamente un libro che hai letto e amato, e che a me invece non piace. Non è il libro a essere buono o cattivo, un libro è buono o meno a seconda di quanto lo è il suo lettore, e questa è in qualche modo una benedizione per i pessimi scrittori e una maledizione per quelli buoni. Mettiamo tu abbia letto “La ricerca del tempo perduto”…
Stai parlando del mio libro preferito, Proust è l’amore della mia vita. Nella vita ci si “incontra” per somiglianze, ecco La Recherche è un libro che ha significato moltissimo per me, l’ho letto la prima volta durante una tournée teatrale in Francia molti anni fa, e mi è sembrata, attraverso l’immenso sforzo linguistico dell’autore una sorta di Divina Commedia contemporanea. E mi torna in mente la descrizione del protagonista che va a teatro a vedere la leggendaria attrice Berma, con aspettative altissime, e ne rimane deluso. Tornerà anni dopo a vederla recitare, e prenderà parte allo spettacolo con una consapevolezza che somiglia a un risveglio, a un satori, semplicemente guardandola senza alcuna aspettativa. Un capitolo incredibile che spiega cos’è la recitazione. È un libro sapienziale, che continua a esser fondamentale nella mia vita di ogni giorno.
La Recherche è vita. Vero. Un dispositivo perfetto per accendere luci in una centrale elettrica.
Hai mai interpretato un ruolo così impegnativo? In Nostalgia di Mario Martone.
Una parte che ti è valsa il premio Nastro d’argento per l’interpretazione di Malomm. Un uomo di malaffare appunto, che incontra il protagonista, Pierfrancesco Favino, in una scena di 9 minuti ricchi di difficoltà perché dovevamo portare sul set le sfumature di due vecchi amici che si incontrano dopo 40 anni, segreti nascosti, colori legati al passare del tempo e ai sentimenti contrastanti tra i due, per di più in dialetto napoletano. Sono felice di averlo fatto con un grande regista come Martone e con un attore di così grande generosità oltre che di immenso talento.
Riconosci di essere un grande attore? Non so esattamente cosa questo voglia dire, e non lo dico per modestia, perché la modestia è sempre falsa. Credo al fare con sincerità quello che mi viene proposto, credo nel lavoro, il lavoro su se stessi soprattutto e credo che si possa fare quasi tutto a patto di impegnarsi e di volerlo. Poi io come tutti dovevo pagare le bollette e potevo farlo con il mestiere che mi ero scelto. Ma anche se si è pagati per sentire sentimenti che non provi, si è anche il tramite fra un mondo di fantasmi e un mondo di vivi. Alla mia età, è davvero molto più appagante fare il mestiere che faccio, rispetto alla gioventù.
Quindi per te lo scorrere del tempo è un regalo? “Il fiore vero di un attore è quando lui invecchia“, è una frase del libro “Il segreto del Teatro No” di Zeami. La gioventù ci abbraccia con i suoi fiori freschi, la bellezza, le cellule che si irradiano, ma nessun fiore, per quanto bello, è eterno, la bellezza vera del fiore sta nel fatto che cade e poi rifiorisce, e quando quella luce comincia a cambiare, quando si va verso l’apogeo della vita, emergono altri fiori, i fiori autentici. Ed è in questo continuo cambiamento che sta il mistero, e ogni età, per chi fa questo mestiere, nasconde un fiore diverso.
Ma Luce non è solo bellezza e gioventù Vero, ma questo non lo sai quando sei giovane, non lo puoi sapere perché l’abbaglio delle cose è fortissimo ed è comprensibile che sia così. Solo oggi, i 55 anni mi hanno regalato la consapevolezza che ciò che mi accade ora, assume decisamente più sapore rispetto a solo 10 anni fa.
Come si spiega l’amore? Non si spiega, secondo me, in fondo accettiamo che esistano anche cose inspiegabili. Forse, ma non ne sono del tutto sicuro, saprei spiegare cos’è un comportamento d’amore, più che un sentimento. Il sentimento d’amore mi pare sia un’entità intermittente, il comportamento d’amore un atto volontario.
Chi o cosa ami? Amo me stesso. Voglio dire che ho cominciato a cercare di amare me stesso come fossi un’altra persona, ad amare di me ciò che nessun altro è obbligato ad amare.
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Quali aspetti di te? Gli aspetti oscuri, quelli meno condivisibili, irriducibili. Ciò che è condivisibile porta con sé qualcosa di superficiale, anche se non privo di valore. Iosif Brodskij in “Dolore e ragione” dice questa cosa: “Se l’arte insegna qualcosa in primo luogo all’artista stesso, è proprio la dimensione privata della condizione umana, essendo la forma più antica, anche la più letterale, di iniziativa privata. L’arte stimola nell’uomo, volente o nolente, il senso della sua unicità, dell’individualità, della separatezza, trasformandolo da animale sociale in un Io autonomo.” Sono molte, moltissime le cose che si possono condividere, un letto, un pezzo di pane, ma non, per esempio, una poesia di Rainer Maria Rilke, non un’opera d’arte o letteraria, che toccano la parte più profonda di noi stessi. Ed è giusto anche che sia così.
Hai mai disprezzato qualcuno al punto di odiarlo? Certo. Me stesso.
Carlo Cecchi, regista teatrale italiano con cui hai lavorato dice che qualche anno fa avevi paura di sedurre e oggi invece questo timore è passato. Il palcoscenico regala una profonda carica seduttiva, che non ha nulla a che fare con l’esibizionismo. Ma si tratta di una seduzione che è somma del contesto, di una certa regia, di un’opera, di un personaggio. Di qualcosa che non sei tu. Ma qualcosa d’altro.
Quale dote vorresti avere di natura? La capacità di amare. Ci si immagina coraggiosi finché non avvengono cose che mostrano magari quanto, in realtà, la viltà, la pigrizia abbiano la meglio sull’idea che si ha di sè. E allora può succedere si diventi coraggiosi per reazione, per dimostrare che non si è codardi. E magari si continua a essere codardi pur avendo mostrato di fatto un coraggio da leoni. Lo stesso, credo, per l’amore. Da giovani si tende ad amare se stessi, uno tende ad amare l’amore di se stesso e il suo amore dell’amore, dell’idea di amore. Ma quella capacità di amare cui ti parlo è qualcosa di attivo, credo, e trova la sua realtà solo nella relazione con l’altro. Che ti mostra la tua piccolezza, o la tua grandezza, a seconda.
Da chi credi d’essere amato? “La cinepresa, ti amerà sempre, qualunque cosa tu faccia”, Michael Caine.
Domanda di rito, quanto sei Snob? Conosci un lettore appassionato di Proust che non sia anche snob?
Al personaggio più romantico e ambiguo che conosciamo, è intitolato il ristorante Valentino Vintage sito in Corso Monforte a Milano.
Di Rodolfo Valentino qui troverete tutto, le foto in bianco e nero con quelle che furono le sue mogli (chissà quante altre amanti ha avuto in segreto), le immagini di backstage con trucco e parrucco appena fatto (qualcuno spiffera che la liason fosse con il make up artist di allora), quelle con lo sguardo magnetico a cui nessuno sapeva resistere. E alle pareti, i più bei manifesti della Belle Époque, quel periodo dove i ristoranti erano immensi saloni a festa, l’eleganza era educazione, e c’era ancora il buon senso della leggerezza.
Da Valentino Vintage, varcando la porta, si cambia epoca; le grandi colonne in stile dorico sotto le grandi arcate, creano uno spazio arioso e maestoso, le poltrone in velluto rosso, le cornici dorate e il pianoforte a coda, regalano un’atmosfera da grande soirée (il grammofono suona ancora le canzoni dell’epoca, ed è subito magia).
Qui m’immagino deliziose cene alla Babette, e non verrete delusi perchè a stuzzicarvi il palato c’è lo chef Emanuel Menna, classe ’98 di origini campane (che è di per sé una garanzia) a Milano da cinque anni. Porta al Valentino Vintage un omaggio all’Italia e alla cucina toscana; da non perdere la tartare di Chianina con funghi pioppini, fonduta di pecorino toscano e tartufo nero, le tagliatelle fatte in casa al caffè Nannini con ragù bianco di cinghiale e cacao, e il tiramisù servito direttamente nella moka classica, rimando alla sua terra d’origine. Per i nostalgici, la “Costoletta alla milanese con maionese allo zafferanno e bietole saltate”, un regalo alla città meneghina; e per gli amanti di Bacco, una bella selezione in cantina, consigliata dal maître Raffaello Rizzi, Antinori e Piccini, pregiati champagne francesi, vecchie annate e vini che non potrete bere altrove, come il Brunello di Montalcino 2015 di Caffè Scudieri Firenze, bottiglie della proprietà che vi consiglio di assaggiare.
Una location di rara bellezza ed eleganza, un’atmosfera magica e una cucina che vi farà sentire a casa, così come il servizio; Valentino Vintage è il nuovo place to be di Milano, da scegliere quando avrete voglia di fare un tuffo nel passato, indossare l’abito da cocktail e immaginare di vivere in un film…con Rodolfo ça va sans dire!
Castelli, dimore storiche, il canto serale delle locuste, i filari a perdita d’occhio dei vigneti, il clima perfetto per il comune denominatore del Nizza Monferrato, Patrimonio dell’Umanità UNESCO per i suoi beni paesaggistici e per la produzione di vino Barbera, il Nizza DOCG, che l’Associazione Produttori del Nizza da oltre 20 anni promuove con orgoglio attraverso attività legate allo sviluppo del paesaggio e delle comunità. Sono ottantaquattro oggi i soci che insieme al Presidente Stefano Chiarlo e ai vicepresidenti Gianni Bertolino e Daniele Chiappone, portano alto il nome di un prodotto che come diceva il poeta Libero Bovio – unisce gli uomini – il vino. Terra di radici antichissime e di prodotti enogastronomici di incredibile ricchezza, qui proponiamo del Nizza Monferrato i luoghi del cuore, quelli assolutamente da visitare, con un calice di Barbera alla mano.
LHV Residenza San Vito, Calamandrana
Il sogno di una ragazza norvegese che diventa realtà, come in un film. Legge un annuncio sul giornale “Vendita struttura alberghiera a Calamandrana, Piemonte”, e subito vola in Italia per poi trasformarlo nel gioiellino che è oggi, uno suites hotel con piscina e vista vigneti, i suoi, quelli della produzione LHV Avezza. Ma non bastava per Lisette Lyhus, giovane proprietaria ambiziosa dell’hotel, no, Lisette trova anche l’amore, Davide Tinazzo, oggi Executive Chef della Residenza San Vito. Una cucina che non ti aspetti in un luogo dove vige l’ordine della tradizione; Davide stupisce con i suoi mix and match culinari, come il ramen piemontese, dei tagliolini ai 40 tuorli con un brodo di manzo, uova di quaglia, funghi, asparago, un viaggio tra il Giappone e il Bel Paese; o la lingua di vitello e crudo di scampo in salsa verde, sapori contrastanti, il gusto deciso della carne e la delicata dolcezza del pesce, in un piatto perfettamente equilibrato che ti va venir voglia di dire “Ancora!”. Le camere hanno tutte accesso diretto al giardino e alla piscina, che gode di ottima privacy, e sono arredate con antichi bauli e rustici armadi in stile Art Nouveau. A salutarvi il mattino, augurandovi il buongiorno, fuori dalla finestra una bellissima magnolia in fiore.
Qui ho scoperto il cardo gobbo, vegetale che cresce principalmente nelle aree del Nizza Monferrato e dintorni, e che è diventato un ossessione. In estate si trova solo in barattoli sott’olio, perchè la sua stagione è quella invernale, quando viene posto manualmente sotto terra per superare gli inverni rigidi, assumendo così la posizione “gobba” che gli deve il nome, ma diventando per questo più morbido e più piacevole. Si mangia solo crudo, perfetto in insalata. Lo trovate confezionato da Vittorio e Loredana, macelleria storica nel centro di Nizza Monferrato, dove poter degustare anche le tartare e le salsicce secche fatte di carne bovina di razza piemontese.
Palazzo del Gusto è un inno alle prelibatezze enogastronomiche del territorio, per appassionati e curiosi, qui scoprirete la provenienza della robiola di Roccaverano, della mostarda e della nocciola, degli amaretti di Mombaruzzo e del tartufo d’Alba, del gran bollito e del bunet, degli agnolotti e della bagna cauda.
Locale storico nel cuore di Nizza Monferrato, alcune sale sembrano scavate nella roccia, sono invece ricavate dalle grandi volte a mattoni, illuminate solo dal lume di una candela. Romanticissime in inverno. All’entrata vi accoglierà una parete vetrata dove sfilano migliaia di bottiglie di vino, è la cantina del ristorante; in alcuni angoli, installazioni artistiche con richiami al teatro e alla letteratura, come le centinaia di fogli sparsi, pagine e pagine dei grandi classici. Il menu vi farà venire l’acquolina in bocca, non andate via senza aver assaggiato la specialità locale, i ravioli al pin fatti a mano, serviti in una ciotola dentro cui verrà versata della Barbera. Il sugo del vino si scalderà e darà sapore al piatto.
La cantina omonima ha deciso di acquistare parte del bosco confinante la proprietà, per allestire queste bellissime casette fatte di salice intrecciato a mano, un riparo dal sole nelle giornate più calde dove poter fare un pic-nic sulle panchine sottostanti, un modo di abbellire lo splendido paesaggio, tra una camminata e l’altra su un percorso tracciato con tanti rimandi a storie ed aneddoti, come quello dei Tre Vescovi.
I Tre Vescovi, località dove confinano i vescovadi di Asti, Acqui e Alessandria, è il punto panoramico ad alta vocazione viticola; la leggenda narra che la posizione del luogo fosse meta di incontri segreti dove si riunivano i tre Vescovi per accordarsi sulle decisioni più delicate; trovavano sempre un accordo grazie alla loro saggezza, ma soprattutto grazie al vino locale che veniva loro offerto, Barbera ovviamente. Questo regala alla Barbera un grande potere conciliatore, è riuscita infatti nell’impresa di superare la storica rivalità tra gli abitanti di Vinchio e di Vaglio che oggi cooperano per la tutela di questo patrimonio.
Il vino i Tre Vescovi è una Barbera d’ Asti Superiore D.O.C.G., frutto di un’ accurata selezione delle uve, affinato in botte di rovere da 75 hl e barrique per circa 12 mesi.
Visitare delle cantine può essere un’esperienza unica se riuscirete a trovare quelle giuste. Tendenzialmente devono essere storiche, avere percorsi immensi sotterranei, una storia lunga secoli, e darvi l’impressione che sotto quelle mura aleggino misteri irrisolti. Le cantine Coppo rispecchiano tutte queste caratteristiche, insignita dall’Unesco quale Patrimonio Mondiale dell’Umanità, posseggono delle vere e proprie cattedrali sotterranee, tempio del vino, scrigno del lavoro dell’uomo. All’interno conservano le ricette di Clelia Pennone Coppo, come il roastbeef alla codarci, o il soufflé di formaggio, oltre alle ricette della Barbera, di spumanti Metodo Classico, di Chardonnay e di Moscato d’Asti, fregiato della dicitura «Canelli», sottozona di recente creazione che sottolinea l’eccellenza dei Moscati prodotti in quest’area.
Daniele Chiappone è il produttore di questa cantina e Vice-Presidente dell’Associazione Produttori del Nizza. Insieme al padre, da sempre famiglia di produttori e agricoltori, porta avanti quello che non è solo territorio o prodotto commerciale, ma passione e spirito di gruppo. Perchè il Nizza DOCG, riconoscimento che tutti i vini dell’associazione hanno, vola verso obiettivi più grandi di quelli raggiunti finora in pochissimo tempo, iniziando dallo sradicare il (pre)concetto (sbagliato) che la Barbera (femminile mi raccomando) fosse un vino “da tavola”. Oggi questi vini varcano i mercati mondiali, le richieste aumentano e raggiungono una crescita esponenziale, da 704.00 bottiglie vendute nel 2021, il 2022 chiude con 810.000; alcuni produttori lavorano con 40 mercati differenti e sempre più l’Associazione si impegna nella promozione e tutela di questa ricchezza naturale. Tra i numerosi eventi calendarizzati, “Nata il 1° luglio” è certamente la ricorrenza più amata da produttori e addetti al settore: un’elegante cena di gala che quest’anno si è tenuta a Borgo Roccanivo, con una cena a cura dello chef stellato Massimo Camia, che ha deliziato gli ospiti con dei ravioli di faraona alla nocciola Tonda Gentile, altra forza del Piemonte.
Volete fare un picnic tra i vigneti? Qui c’è l’experience tra le vigne più bella, in un museo a cielo aperto, tra i 20 ettari di filari potrete scegliere il panorama che più vi piace e degustare i vini della cantina Michele Chiarlo, mangiando prodotti tipici del territorio. 20 anni orsono, furono installate le prime sculture artistiche, per invogliare i wine lovers a visitare i vigneti; le etichette si sono trasformate in opere artistiche e di marketing, ed Emanuele Luzzati ha inaugurato questa land art con una bellissima e maestosa Madre Natura in vetroresina. A quale altra figura omaggiare questa terra altrimenti? Ma saranno le “Teste segnapalo” ad indicarvi la strada verso l’osservatorio più bello di questa zona Patrimonio Unesco, delle maschere sulla cui testa poggiano cappelli di varia natura, creati con attrezzi ritrovati, come vasi, bilance, pentole, secchielli, zappe. Rolanco Carbone, Balthasar Brennenstuhi e Dedo Fossati gli autori che hanno riportato un’antica usanza capace di proteggere la vigna dalle malattie.
E infine non può mancare un giro in centro – con i suoi abitanti, i nicesi, che più che piemontesi sembrano venire dal vecchio sud, veraci, spontanei, genuini, sempre allegri e sempre con il bicchiere mezzo pieno. Qui puoi trovare il barbiere che colleziona biciclette, ne possiede centinaia ma cercherà di vendertene qualcuna. Allo stesso tavolo due bikers, li riconosci dal bracciale in pelle nera, la bandana, i Rayban, la barba lunga e i jeans stracciati, uno è idraulico, l’altro un timidone, come tutti gli omoni che si danno un tono più virile, più rude. Non puoi alzarti dal tavolo se non hai bevuto qualcosa con loro, confessato i tuoi più oscuri segreti e accettato un altro giro di Barbera…che fa parlare ve l’assicuro.