Un grande mosaico alla Cittadella degli Archivi di Milano per celebrare Donyale Luna, la prima top model nera della storia

Alla Cittadella degli Archivi, il polo archivistico del Comune di Milano che raccoglie documenti della città dal 1802, è stato inaugurato un grande mosaico dedicato a Donyale Luna, la prima top model nera della storia.

L’immagine risale ad una foto scattata dal marito Luigi Cazzaniga, in una Milano degli anni ’60 dove essere nera, avere dei sogni ambiziosi e inserirsi in un contesto come quello della moda, dove tutto era bianco, non solo le modelle, era veramente difficile.

Donyale Luna, nome d’arte di Peggy Anne Freeman, ci riuscì, non solo per la propria bellezza, ma per quel fascino e quel carisma, che solo la forza e l’intelligenza possono regalare. Morì troppo presto, a 33 anni, come tanti in un periodo storico dove le droghe e la perdizione erano forti, e troppo presto fu dimenticata; ma oggi la HBO dedica a questa donna un docu-film, Supermodel, che uscirà in Italia su Sky nel 2024.

Sono felice che Donyale abbia questo omaggio in una città dove ci siamo amati e divertiti a scattare molte foto.” – commenta il marito Luigi Cazzaniga, che da oltre 40 anni vive e lavora a New York – ” Donyale era creativa e faceva spesso i dei vestiti con pellicce e mantelli, e acconciature fantasiose che la rendevano unica. Tra queste foto, tante diventate poi le cover di Vogue America, è rimasta questa immagine che oggi le rende giustizia, su questo mosaico, tecnica perfetta per riportare gli stessi colori e quella luce negli occhi“.

Il mosaico dedicato a Donyale Luna, esposto presso i muri a La Cittadella degli Archivi di Milano

Francesco Martelli, Direttore della Cittadella degli Archivi racconta – “La moda è una storia importantissima nella città di Milano e Donyale è un pezzo di questa storia, così come lo è Luigi Cazzaniga, nato qui.
Ci sono insomma tutti gli elementi affinché La Cittadella ospiti questo mosaico, creato dalla società Stone di La Spezia con quarantaquattromila tessere in pasta di vetro e intagliate a mano, nel grande progetto che portiamo avanti “Muri d’artista”, che vede impegnati più di 70 artisti decorare quasi 2000 metri quadrati di superficie di un museo a cielo aperto.”

Dream, la figlia di Donyale che perse all’età di due anni, ricorda con commozione – “Mia madre ha rotto tante barriere, ha avuto un successo contrastato e dimenticato, ma credo realmente che oggi i tempi siano maturi per concederci il lusso di inseguire i nostri sogni. Lei non ha potuto definitivamente farlo negli anni ’60, perchè essere nera e avere una vocazione così forte, non aiutava. La bellezza di mia madre è vero, è oggettiva, ma la sua vera bellezza veniva da dentro, e per me oggi è come risentirla, riaverla qui, e per la prima volta tutti e tre insieme, nelle foto che ci state scattando.

Dream, figlia di Donyale Luna, e Luigi Cazzaniga, il marito della prima top model nera della storia, con le nipoti

Gaia Romani, assessora ai beni civici “Siamo a fianco di tutte le giovani donne che vogliono realizzare i propri sogni; Donyale Luna è un modello, un esempio che ha ha avuto difficoltà ma che ha raggiunto il suo intento. Oggi per noi è un onore poter omaggiare un esempio di donna così grande”.

L’assessora Tiziana ElmiCon queste iniziative, la Cittadella degli Archivi diventa sempre più fonte di attrazione ed educazione culturale importantissima per il nostro territorio“.












Luisa Spagnoli Spring Summer 2024, la semplicità che vince

La moda in passerella ci sta comunicando un ritorno all’eleganza e alla semplicità.
Vestire è la parola chiave di Luisa Spagnoli che in questa collezione Spring Summer 2024 mette in mostra abiti boho chic dalle lunghe frange rimando ai liberi ’70, e omaggio ai colori della terra. Sabbia, beige, testa di moro, avorio, bianco, un universo caldo e giocoso, con abiti morbidi che creano movimento, frange ballerine, lunghe fusciacche da esibire al collo e lasciar cadere lungo i fianchi, nappine e nastri al girovita.

Sembra in viaggio la donna Luisa Spagnoli SS24, tra una passeggiata lunga un bagnasciuga, ad una cena romantica dove osa con trasparenze e maxi accessori dorati.
Sarà forse l’Andalusia la terra dove si ripara dal caos, dove far brillare le lunghe frange sui passi di un flamenco, o la meditativa India, con i suoi sari intrecciati dai colori sgargianti? Certo è che ogni abito accarezza il corpo con grazia e femminilità, quella dimenticata negli ultimi anni, da una moda mescolata che aveva perso un po’ di sapore.

Luisa Spagnoli enfatizza la donna pur non strizzandola dentro abiti mini, è seducente nei long dress scollati e nei crochet day and night. Veli come seconda pelle, e giochi di geometrie sul corpo sono la nuova ispirazione Luisa Spagnoli, che vince su ogni stravaganza diventata ormai demodè.

“Vera”, il film su Vera Gemma disponibile su MUBI

Il film è la sintesi dell’ossessione sulla verità. “Vera”, vita vera, come il nome della protagonista Vera Gemma, che interpreta nessun altro al di fuori di se stessa.

Vera Gemma, figlia del grande attore e stuntman Giuliano Gemma, quello bello che faceva roteare pistole come fossero carte da gioco tra le mani, quel padre famoso che ogni figlio non vorrebbe, perchè il peso della notorietà grava sempre su chi lo segue. Solo i non famosi lo sognano, appesi all’illusione che il cinema e la celebrità regalano, nascondendo la polvere sotto il tappeto. In questo film tutto lo sporco salta fuori; con una secchezza e un minimalismo quasi da Nouvelle Vague, i registi Tizza Covi e Rainer Frimmel fanno sfilare le presenze venali e superficiali che circondano il mondo di Vera, dall’agente al fidanzato che chiede, dietro la finzione dell’amore, denaro.
Sarà sempre Vera a pagare, per il compagno, per una famiglia a cui si lega, vittima di un imbroglio.

Vera con Manuel

Vera viene rappresentata così com’è, eccentrica nel vestire, indossa sempre un cappello da cowboy, tacchi vertiginosi, gilet di pelliccia, e un trucco da trans. “Mi ispiro alle trans. Più somiglio a una trans e più mi sento bella. Da piccola ero innamorata pazza di Eva Robin’s.

Lo sguardo è sempre imbronciato, un po’ triste, amareggiato dalla vita, a volte rassegnato quando si parla di lavoro e di persone.
Vera è la figlia d’arte che potrebbe avere le porte spalancate, e invece le si chiudono in faccia, con una ferocia e una noncuranza che la porta a dire “basta”. Basta casting, basta film, buttandosi senza paracaduta nella vita vera.

È qui che si scontra con il padre di Manuel, disperato vedovo che vive nella borgata di Roma che tira a campare aggiustando motorini, vivendo nella casa dell’anziana madre (costretta a riempire secchi d’acqua alla fontana pubblica) e fingendo incidenti con il figlio per racimolare qualche spiccio dalle assicurazioni.
È così che si guadagna da vivere, così che irretisce Vera, arrivando a drogarla e derubarla di tutti i gioielli regalatole dal padre, nella sua piccola casa a Trastevere. Vera, combattuta se denunciarlo o no, preoccupata di quel figlio senza madre che potrebbe ritrovarsi a vivere pure senza un padre, rinuncia per compassione, come quando capisci che nella vita tutto ha un inizio ed una fine, e non puoi farci nulla se le regole sono queste, puoi solo accettarle, puoi solo accogliere la sofferenza o crogiolartici.

Vera Gemma con Asia Argento

È nella scena con l’amica di sempre Asia Argento, che si legge un momento di complicità e leggerezza, quando Asia la porta al cimitero acattolico di Roma, a vedere la tomba del figlio di Goethe. Una tomba senza nome, solo il “figlio di”, come si sentono le due donne, le figlie di Dario Argento e di Giuliano Gemma. Si chiedono se qualcuno ha pensato mai ai dolori di quel ragazzo, se hanno mai parlato dei suoi sogni e delle ambizioni, se lo hanno mai chiamato per nome. Qui Vera accenna un sorriso, quei sorrisi amari che si svelano solo nella complicità, come quando due animali braccati si annusano e si riconoscono; e così anche il dolore ha lo stesso odore.


Quanti avranno pensato che Vera Gemma sarebbe stata così talentuosa? Il film è stato premiato al Festival di Venezia 2022 Sezione Orizzonti con due premi: migliore attrice femminile e migliore regia.

È il pregiudizio ad averci fregato, come confessa lei con grande onestà, “non ho mai la faccia giusta, non sono mai abbastanza bella come mio padre, sono sempre sbagliata“, un viso segnato dalla chirurgia, pratica iniziata alla tenera età dalla madre.
Perchè ha voluto rifarci il naso?” – chiede Vera alla sorella mentre riguardano delle diapositive “erano così belli“.

Una ricerca ossessiva della bellezza, quella bellezza esteriore che ci mette tutti sotto torchio, sotto esame, dalla Barbie che ci regalano da bambine, alle mode che cambiano repentinamente. Eppure, la bellezza che vediamo in questo crudo e trasparente documentario, come attraverso un cristallo, è quella più pura, l’empatia più sacra, la genuinità più integra, la generosità più calorosa.
Vera è l’amica che vorrei.

Vera è Disponibile su MUBI.





Torre Ristorante in Fondazione Prada, il nuovo appuntamento alla moda di Milano

TORRE RISTORANTE FONDAZIONE PRADA, MILANO

La vista è affascinante, soprattutto in una giornata di nuvole dense e scure che lasciano passare una luce fitta sulle guglie dei grattacieli, che creano un riverbero scintillante sulle vetrate circostanti.
Siamo al sesto piano della Torre in Fondazione Prada, sede del Ristorante Torre, un edificio ad ampia vetrata, dentro il metallico labirinto d’arte, dove ogni piano sembra essere un livello di un videogioco futurista. Subito all’entrata, la prima ad accogliervi sarà la luce, e il bancone centrale dietro cui sfila l’immensa bottigliera sospesa con una invitante esposizione di distillati e liquori di ogni angolo di mondo.

A servirvi Tommaso Cecca, responsabile e anima di Camparino in Galleria, l’iconico locale milanese fondato nel 1915 da Davide Campari, per questa giornata speciale che inaugura la nuova stagione gastronomica del ristorante Torre, seguendo stagionalità e ritmo della natura.
E a proposito di ritmo, ad accompagnare il delizioso brunch, la musica di Roy Paci e Roxy, un mix di elettronica che sembra seguire gli umori di queste nuvole curiose, sempre più vicine a noi, quasi vogliano entrare.

Torre brunch sarà il nuovo appuntamento fisso del week end milanese, un approccio culinario che rispetta la materia prima e la tradizione. In cucina, lo chef Lorenzo Lunghi, formatosi professionalmente al ristorante ‘Gambero Rosso’ (due Stelle Michelin) di Emanuela e Fulvio Pierangelini a San Vincenzo, Livorno. Propone un’originale interpretazione del classico brunch newyorkese con un menu dalle radici italiane, dall’uovo poché con salsa al pecorino, al pesce crudo e pomodoro, dalla milanese di vitello, alla focaccia barese con aggiunta di burratina.
Un percorso a ritroso nei ricordi d’infanzia e nei viaggi italiani che la vostra memoria e il vostro dna nostalgico non possono dimenticare.

L’ambiente ha qualcosa di veramente eccezionale, il cammino all’entrata è attorniato da poltroncine Soviet e tavolini Tulip di Eero Saarinen, e la cappa per caminetto (1949) con accanto la Testa di medusa (1948-54) sono opere di Lucio Fontana; qui anche un semplice caffè vi sembrerà il più aromatico del mondo.

Progettato da Rem Koolhaas con Chris van Duijn e Federico Pompignoli dello studio OMA, il Ristorante Torre è come diviso in 3 zone ad altezze diverse, bar, ristorante e terrazza. Gli ambienti interni sono arredati con tavolini in legno e sedie Executive di Eero Saarinen e presentano una selezione di quadri e fotografie di Thomas Demand, Jeff Koons, Goshka Macuga e John Wesley. Lo spazio più rialzato accoglie arredi originali del Four Seasons Restaurant di New York progettato da Philip Johnson nel 1958 ed elementi dell’installazione di Carsten Höller The Double Club (2008-2009). I piatti d’artista appesi alla grande parete sono realizzati per il ristorante Torre da John Baldessari, Thomas Demand, Nathalie Djurberg & Hans Berg, Elmgreen & Dragset, Joep Van Lieshout, Goshka Macuga, Mariko Mori, Tobias Rehberger, Andreas Slominski, Francesco Vezzoli e John Wesley, una piccola parte che attende compagnia di altri autori.

Torre Ristorante è un’alternativa alle location modaiole e chiassose, qui la moda passeggia tra i tavoli ma è riservata, al massimo la ritrovate su qualche account Instagram; si beve bene e potete godervi Milano dall’alto.



Ristorante Torre
Via Lorenzini 14, 20139 Milano

+39 02 23323910 reservationtorre@fondazioneprada.org

Annakiki SS 2024 – L’Evoluzione Post-Futurista

L’Evoluzione Post-Futurista: Coevoluzione dell’Umanità e della Tecnologia

“Né gli esseri umani possono creare mutazioni, né possono impedire che avvengano mutazioni. Gli esseri umani semplicemente conservano e accumulano mutazioni che sono già avvenute.

 — Charles Darwin, “Sull’Origine delle Specie”

Nel 1859, Charles Darwin pubblicò l’importante opera “Sull’Origine delle Specie,” discutendo dell’evoluzione della vita. Affrontò principalmente due argomenti: le diverse forme di vita sulla Terra che si sono evolute, e l’evoluzione biologica che è guidata dalla selezione naturale. Infatti credeva che la specie umana non fosse un’entità invariabile ma che cambiasse in risposta ai cambiamenti ambientali, e che l’evoluzione fosse un processo graduale e continuo.

L’evoluzione umana segue una via simile. Dopo aver acquisito saggezza, abbiamo costruito la civiltà e inventato la tecnologia, mirando a plasmare il nostro futuro destino. Brian Arthur, un pensatore americano, presentò una prospettiva sull’evoluzione umana nel suo libro “La Natura della Tecnologia.” Suggerì che la tecnologia, come la biologia, può evolversi attraverso “aggiornamenti,” “miglioramenti” e “sviluppi.” Proprio come gli organismi biologici subiscono “mutazioni” come risultato di cambiamenti fondamentali, Arthur credeva che la tecnologia esistesse da sempre per servire agli scopi umani.

Negli ultimi dieci anni, i drastici cambiamenti nell’ambiente naturale, nelle dinamiche politiche globali e il rapido avanzamento della tecnologia, guidato dall’arrivo dell’intelligenza artificiale, ci hanno spinto a riflettere sull’era dell’informazione in rapida evoluzione e sul futuro incerto dell’umanità. Basandosi su questo contesto, la designer Anna Yang osa immaginare cosa succederebbe se gli esseri umani e la tecnologia co-evolvessero. Se processi come l’autoriparazione, le connessioni emotive e l’autocoscienza si verificassero contemporaneamente nella relazioni tra umani e tecnologia, e se gli esseri umani possedessero attributi sia meccanici che biologici, potrebbe ciò portare a nuove “mutazioni”? Con il coinvolgimento della tecnologia, il corpo umano potrebbe subire cambiamenti inediti, dando origine a forme di vita straordinarie?

La collezione Primavera/Estate 2024 di ANNAKIKI, intitolata “Alian Body,” è la risposta della designer a queste domande introspettive. Rappresenta i pensieri e riflessioni di Anna Yang sull’ambiente dinamico e incerto in cui gli esseri umani vivono e sul futuro ambiguo che ci attende. La designer immagina che le mutazioni genetiche possano scatenare “anomalie” umane future. In un mondo post-futuristico in cui tecnologia ed esseri umani coesistono, il corpo umano potrebbe subire nuovi cambiamenti, evolvendo in forme che offrono autodifesa contro minacce esterne, creando così una prospettiva futura completamente nuova. L’elemento predominante di questa stagione è la “spina”, Anna Yang ha tratto ispirazione dalle intricate forme delle mutazioni cellulari e le ha tradotte in sporgenze appuntite che ricordano spine argentate futuristiche. Realizzate in materiale PET rivestito d’argento, ogni spina è meticolosamente tagliata a mano e cucita  dagli artigiani a creare un senso di profondità. Il nylon rigenerato dalla tecnologia è utilizzato per creare fitte boscaglie di spine, realizzate attraverso imbottiture e cuciture manuali, adornate con stampe a righe e pois. Perni metallici conici neri sono distribuiti in modo uniforme sugli abiti, simboleggiando l’irremovibile armatura del futuro dell’umanità nel mondo visionario di ANNAKIKI.

Allo stesso tempo, Anna Yang mira a creare un nuovo ordine dal caos. Utilizzando tessuto denim con bordi sfilacciati, preservandone la natura grezza e ruvida, contrapposta a tessuti in maglia elasticizzati sfrangettati e forati per incarnare i cambiamenti costanti della divisione cellulare. Tratto d’ispirazione dalla struttura a doppia elica del DNA, utilizza elementi circolari per scolpire varie forme, utilizzando tazze spiraliche e strutture circolari  in 3D come base per creare un secondo corpo architettonico. Disserta la struttura a doppia elica, estendendola e trasformandola artisticamente, evolvendola in vari elementi mutati come punti e strisce, infusi con l’iconico logo di ANNAKIKI, simile a un esperimento di intervento genetico. La stella a quattro punte, emblema del brand, ispirata all’estetica dell’arte frattale, subisce una trasformazione e si fonde armoniosamente in abiti dal design minimalista dalle spalle larghe, simili a invincibili armature futuristiche.

Elisabetta Franchi Spring Summer 2024

ELISABETTA FRANCHI SPRING SUMMER 2024 FASHION SHOW


La notte sembra essere il momento prediletto per il marchio Elisabetta Franchi, che in questa collezione Spring Summer 2024 mette in passerella long dress sparkling del colore della luna, o dalle infinite paillettes dorate, trasparenze nude con ricami in perle, voile, piume, reggiseni in pizzo e animalier.

Sdrammatizzati con anfibi total black o estremizzati con maxi stivali gold al ginocchio, per Elisabetta Franchi non ci sono mezze misure, come nella vita privata, che spesso ci apre attraverso i social network.
La cravatta è morbida e allentata sopra la camicia, come il cravattino slacciato dopo una serata a teatro; insomma la donna per Elisabetta Franchi è libera e indipendente, ma meno rigida rispetto all’uomo, che stringerebbe il nodo à la perfection.

Rock, ma sempre erotica, comoda anche in abito da sera, ma soprattutto sempre al centro dell’attenzione, negli abiti giallo fluo e nella jumpsuit day & night.
Sound concerto Depeche Mode, un ritorno ai ’90, al caos composto, alla voglia di cantare insieme, alla sana carica delle donne che attraverso la moda giocano, facendo sul serio.

Antonio Marras fa sfilare il cinema alla Milano Fashion Week

LIGHTS, CAMERA, ACTION!
Antonio Marras, a Spring Summer 2024 movie

“Everything I learned I learned from the movies.

Tutto quello che ho imparato l’ho imparato dai film.”

(Audrey Hepburn)


La prima sfilata che vidi, molti anni fa, era di Antonio Marras, sentivo in lontananza cavalcare, un rombo di cavalli che arrivavano non vedevo da dove, era il suono potente del primo fashion show della mia vita. Piansi per la commozione, d’altronde ero una ragazzina, il mondo della moda era ancora un sogno, così algido e chiuso, poi l’ho conosciuto come addetta ai lavori, e la magia è svanita. Ma quell’emozione, quella polverina che tutto avvolge come in una favola, Antonio Marras continua a regalarmela. Perchè? Perchè non è solo uno stilista, è un poeta, un pittore, un artista, un pensatore, ma soprattutto un uomo che mette in luce i nervi, li scopre senza paura delle conseguenze.

Lights, Camera, Action non sarà un semplice fashion show, lo vedo dall’allestimento, una Porsche Speedster del ’57, rossa brillante, un letto con lenzuola inamidate, un grande sofà azzurro Tiepolo accanto ad un carrellino degli alcolici, preziosi servizi da tè in porcellana, candelabri d’argento, un disco dei The Platters, “My Prayer”, e tutto uno staff pronto a girare un film, cameraman, sceneggiatore, regista, suggeritore, comparse, attori. Manca solo la protagonista: la diva!

Vittoria Marisa Schiaparelli Berenson, nipote della nota stilista surrealista, tra le modelle più pagate di sempre, e attrice cinematografica che iniziò la carriera nel ’70 con “La morte a Venezia” di Luchino Visconti interpretando l’elegantissima signora von Aschenbach, è quella diva.

Sulla passerella va in scena “Boom“, il meraviglioso film interpretato dalla regina dagli occhi purple, Liz Taylor, in quella casa da sogno a picco sul mare, sulla scogliera di Capo Caccia, vicino ad Alghero, luogo di Marras che ricorda:

Quando, nel 1967, ad Alghero è sbarcata la troupe di Joseph Losey alla ricerca di un set ideale, io avevo sei anni ma mi ricordo, eccome se mi ricordo. E con il tempo il film, le star, gli avvenimenti, le comparse del luogo, i pettegolezzi, i tentativi di rapimento, il mega yacht Kalizma della coppia stellare con cani, bambini, cuochi, capitani e marinai al seguito, i gioielli di Bulgari della Diva, gli abiti realizzati apposta dall’Atelier Tiziano da un giovane Karl Lagerfeld, copricapi di Alexander da Parigi, il cibo fatto arrivare direttamente da Londra con l’aereo ogni giorno, il tanto alcool, le liti fra i due protagonisti, la falesia di 186 metri di Capo Caccia e la villa bianca stratosferica a picco sul mare che, agitato, continua a sbattere sugli scogli e il vento, hanno assunto un’aurea di mito.

Io uso la moda per raccontare e l’ho imparato andando al cinema.
Il cinema, fonte inesauribile di storie, di sogni, di mood, di personaggi, di costumi, di set, di racconti di esistenze eccezionali o di straordinaria normalità. Il cinema è indispensabile compagno di vita. E ancora di più per me, per il lavoro che mi sono ritrovato a fare. Io, onnivoro di cinema, ho trascorso la mia adolescenza seduto tra il Selva e il Miramare di Alghero vedendo e rivedendo in loop film che ancora ora fanno parte del mio vissuto.


Come Liz, la Berenson indossa un copricapo scintillante che le dona regalità, kimono dai disegni Hokusaiani, che solo la maestria di Marras può accostare a pizzi e merletti; hanno le maniche lunghe come si addicono alle donne impegnate del Giappone; lo staff è in trepidante attesa della diva, che cerca di ammansire con complimenti e frasi sdolcinate.

A sfilare, caftani dai rimandi orientali, fiori e broccati, long dress di seta che sembrano impalpabili e pronti a volare con una folata di vento; il macramè, il vichy, il pied de poule, sono quel pot-pourri delicato e così aggraziatamente antico, che anche se pensato per essere indossato oggi, conserva un fascino e una personalità di un capo ricco di storia.


Ape Cesare apre in Isola

Ape, Cesare!
Un progetto nato in un’apecar, guidato e capeggiato ovviamente da un romano, Alessandro Favola, che dalla capitale porta tradizione, gusto e simpatia. Dopo aver attraversato tutte le strade di Milano a bordo della 3 ruote, inizia un percorso nella ristorazione accanto allo stellato Carlo Cracco, come direttore da Carlo e Camilla in Segheria, per poi tuffarsi nel primo bistrot dalle ricette romane de Roma.

E allora la cacio e pepe potrete gustarla in ogni forma, nel supplì, nel panino con carne di manzo da allevamento certificato, fornitore veneto dei ristoranti più èlitari, con broccoletto appena scottato, come la carne che ha un sapore intenso, e la salsa cacio e pepe che protagonista sbaraglia tutti per gusto e persistenza.
Anche il supplì consigliamo di assaggiarlo per ultimo, dopo aver gustato il classico pomodoro e mozzarella, e il delicato con coda alla vaccinara.

In cucina una squadra di romani con pluriesperienze nel settore, le cui contaminazioni francesi e spagnole non hanno intaccato la grande cucina tradizionale, rispettandola. Dal ricettario di nonna infatti arriva anche il tiramisu, fatto con savoiardi Vicenzi, un mascarpone fresco fresco dal colore dorato, e una consistenza che ve la ricorderete a vita.

L’ambiente è semplice, un bancone con posti a sedere e dei tavolini esterni dove troverete non solo i compaesani, ma modelle che muoiono di fame dopo le sfilate che invadono questa settimana della moda meneghina.

Qui si viene per un comfort food da asporto, per quella voglia golosa di carbonara (che troverete nel panino!), per quella nostalgia della città più magica d’Italia, dove nelle trattorie ci trovate ancora nonna Pina e zio Mario che servono e accolgono come foste figli suoi. I loro figli sono qui da Ape Cesare, troverete la stessa ospitalità. E quando siete a Milano, serve eccome.





Farmily Group firma la drink list di Soulgreen

SOULGREEN PRESENTA ‘ANYTIME GREEN’,
LA NUOVA DRINK LIST FIRMATA FARMILY GROUP



Alcuni matrimoni nascono per caso, spesso il destino ci mette al momento giusto con le persone giuste, talvolta più di frequente per lanciarci dei segnali, com’è capitato tra Soulgreen e Flavio Angiolillo, founder di Farmily Group. Cosa ne è nato? Un bellissimo progetto chiamato “Anytime Green”, la nuova drink list del nuovo place to be di Milano, Soulgreen, non un semplice ristorante, non un semplice cocktail bar.

Soulgreen apre nel 2017 con un concept tutto verde, plants based, che prevede una scelta eccellente di materie prime, elaborate internamente, evitando quindi lavorazioni industriali. Non troverete carne nel menu, né latticini, ma pesce che arriva da pesca sostenibile e una carta vini biodinamici e naturali.

L’incontro con Flavio Angiolillo è stato casuale, ma abbiamo capito subito fosse la persona giusta per curare una drink list che rispecchiasse l’etica di Soulgreen. La carta cocktail cambierà stagionalmente, a seconda della disponibilità dei prodotti, per assicurarne la freschezza e rispettare il corso della natura”.

– Federica Grasso, General Manager Soulgreen

Anytime green e tutti i cocktails della drink list firmata Farmily Group, hanno un comune denominatore, sono low alcol. Anzitutto perchè perfetti per pasteggiare ad ogni ora della giornata, pranzo o cena; inoltre sono pensati per essere come una ciliegia: uno tira l’altro.
Sono bevute morbide, fresche e poco zuccherine, con un grado alcolico che non supera i 5 gradi, una nuova generazione di drink allungati con acqua di cocco o acqua tonica.


– Flavio Angiolillo, founder Farmily Group


La divisione food & beverage del grande gruppo Percassi, di cui Soulgreen fa parte, continua a posizionarsi sul mercato con idee innovative e di qualità, scommettendo sempre più nel made in Italy, ma posizionandosi anche sui nuovi mercati, come quello di Dubai dove ha sede il fratellino di Soulgreen.
La figura di Flavio Angiolillo, leader sul territorio milanese con all’attivo 6 locali di successo, punto di riferimento della movida meneghina ma anche di chi sceglie qualità ed eccellenza del bere bene, è certamente una scelta ponderata e mirata a raggiungere un pubblico consapevole ed esigente.
Ma il matrimonio tra le due realtà ha in serbo nuove sorprese, per il momento top secret.

Grand Hotel, una Greta Garbo un po’ troppo drammatica

Lirismo del divismo, “Grand Hotel” illumina nonostante l’età. è il ’32 quando il regista Edmund Goulding raccoglie i più grandi divi del cinema Hollywoodiano e li piazza davanti ad una camera per girare quello che sarà premiato agli Oscar nello stesso anno, come miglior film a MGM, e pellicola scelta per essere conservata nel Nation Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. 

Teatro di scena è il Grand Hotel di Berlino, non cercatelo perché non esiste, il set è stato interamente ricreato negli Studios purtroppo, peccato per gli appassionati di cinema che si sarebbero fiondati nelle sontuose stanze dei protagonisti.

Gente che va gente che viene, un tram tram di clienti che fa da sottofondo alle storie che si intrecciano tra i personaggi di diverso ceto sociale. Abbiamo il barone Felix von Geigern ( John Barrymore) che si rivelerà essere un ladro gentiluomo, molto amato per i suoi modi e il suo buon cuore, la ballerina russa, madame Grusinskaya (Greta Garbo), una diva viziata caduta in depressione al calar della carriera, il contabile Kringelein, un uomo dai giorni contati perchè malato di cuore, che decide di vivere i suoi ultimi momenti nello sfarzo totale, l’industriale Preysing, un arrogante panzone e la sua dattilografa, Flaemmchen, la grande Joan Crawford che ruba la scena alla bella Garbo forse a tratti troppo drammatica e teatrale per uno spettatore del 2023.

Wallace Beery e Joan Crawford in una foto pubblicitaria del film

La missione del ladro barone sembra andare in fumo, entrato nella stanza della ballerina per rubarle i collier di perle, assiste di nascosto alle angosce della povera donna in procinto di suicidarsi. Colto da compassione sbuca fuori dalle tende e la implora di fermarsi, confessandole di essere entrato furtivamente nella stanza perchè innamorato perdutamente di lei. E nella trappola dell’amore ci finirà sul serio, rischiando così di essere ammazzato dalla malavita che pretende quelle perle promesse. Ma il barone è troppo debole nei confronti del gentil sesso, e cercherà di ottenere quel denaro altrove. Si imbatterà nel povero Kringelein a cui ha regalato la sua amicizia, quell’uomo così solo e così desideroso di vivere; ruberà il cuore alla dattilografa che non ricambia, ormai pronto a scappare segretamente in Russia con la bella ballerina, che miracolosamente ha ripreso a brillare come i vecchi tempi e che vede il Sole in ogni angolo della stanza in bianco e nero.

Grand Hotel è un film romantico che ci ricorda quanto l’amore sia il vero salvatore, un film che denuncia i comportamenti degli anni ’30 nei confronti dei differenti ceti sociali, un film che apre gli occhi sulle vere identità delle persone (la timida dattilografa si scoprirà essere una calcolatrice pronta a vendersi al suo datore di lavoro per soldi, ma presa da compassione accompagnerà il signor Kringelein a Parigi, per gli ultimi suoi giorni di vita e di gloria.

Greta Garbo e John Barrymore (Photo by MGM Studios/Courtesy of Getty Images)



Edmund Goulding ci fa amare il buon ladro, così galante, di rara eleganza e calma, e così prodigo a salvare la vita di una star a fine carriera, ci conduce nelle stanze 170, 164, 168 sbirciando dalle fessure le storie segrete dei clienti d’albergo, ci appassiona con le telefonate d’amore e ci attanaglia trasformando il dramma in un thriller, perchè alla fine, qualcuno muore. Chi?

Sebastiano Pigazzi, il nipote di Bud Spencer oggi recita in “And just like that”, il sequel di “Sex and the city”

Della sua vita privata si sa poco, noi lo conosciamo perchè recita accanto a Sara Jessica Parker, in una delle serie tv più seguite di sempre, “And just like that”, il sequel di “Sex and the city, ma nella vita reale Sebastiano Pigazzi è un timido, così si racconta, un bambino che scriveva poesie un poco drammatiche, e che oggi ha il cassetto pieno di sogni…nel mondo del cinema.

Buon sangue non mente, perchè Sebastiano Pigazzi è il nipote di Bud Spencer, il nonno forzuto e buono che tutti avremmo voluto, una vita vissuta in America, e il cuore che lo riporta spesso a Roma, la città che ogni tanto fa sentire nostalgia dell’Italia.

Photographer Claudia Pasanisi

EIC/Interview Miriam De Nicolò

Stylist Diletta Pecchia

Grooming Barbara Bonazza

Press Office Agent Matteo Cassanelli – Mpunto

Stylist Assistant Giada Turconi

Press Office Assistant Laura Marazzi

Location Studiocane – Milan

Gilet e pantalone AGARW-UD, camicia ANTONIO MARRAS

Nel sequel di “Sex and the city, “And just like that”, interpreti il fidanzato di Anthony Marentino. Puoi svelarci qualcosa della storia?
Sarà una relazione omosessuale, che nasce come un gioco e diventa un amore romantico.

Com’è stato lavorave in un cast così affiattato, di una serie di così tanto successo?
Molto divertente, loro sono davvero accoglienti e gentili, mi hanno fatto sentire a casa, pensavo ci sarebbe stata tanta tensione e invece non avuto problemi ad integrarmi.

Hai portato nel tuo ruolo qualche carratteristica della tua italianità?
Beh si, il personaggio è italiano, non ho avuto scelta. Lui vorrebbe fare il poeta, scrive testi d’amore in un negozio di New York per un dollaro.

Anche tu ho letto che scrivi poesie
Beh scrivevo di più quando ero piccolo, ma non d’amore, ero un pessimista. Poi ho smesso altrimenti si sarebbe potuto pensare che fossi un Leopardi 2.0 un po’ troppo drammatico con tendenze suicide.

Da piccoli abbiamo un po’ tutti un lato drammatico.
Ma io avevo la tendenza ad andare sempre più verso il fondo. Ricordo che mia nonna a un certo punto mi disse: “Guarda che qualche volta puoi scrivere anche una poesia felice!“.

Perchè sei una persona sensibile. 
Si forse sono un sensibilone. 

Tendenzialmente si cerca di coprire questo lato forse perchè qualcuno potrebbe leggerlo come debolezza, quando in realtà è un grande pregio e una grande forza.
Sicuramente rende la vita più difficile. Anche se nell’arte può essere un’arma a tuo favore.

sx camicia ANTONIO MARRAS, pantalone ANGELO FRENTZOS dx giacca e pantaloni ANTONIO MARRAS

Attore con il sogno nel cassetto di regia e sceneggiatura.
Il mio mondo ideale, ma sai certe cose uno vorrebbe tanto farle, ma richiedono tempo.

Hai qualche progetto avviato?
La volontà non manca.

Quali sono i temi che vorresti sviluppare?
Sicuramente mi piacerebbe trattare il tema della moralità, mette sempre in discussione il giusto e lo sbagliato, vorrei spingere il pubblico a pensare, metterli in difficoltà, credo sia la cosa più interessante che possa regalare il cinema.

Moralità che si è un po persa in questo periodo storico. 
Si forse si è un po persa. Non sarò io a dire cosa è giusto o sbagliato, ma vorrei mettere in scena personaggi ambigui e lasciare al pubblico l’ultima parola. Un modo per  giocare con il cinema, riflettendo.

E tu da che parte stai? Ti senti più buono o cattivo?
Come tutti gli altri, qualche momento buono e qualcuno cattivo, direi umano.
Troppo spesso nel cinema vediamo separate le due metà, quando nella realtà siamo tutti entrambi i lati della medaglia.

Cè chi ammette di avere una parte piu preponderante rispetto l’altra.
Tutti hanno qualche motivazione, nessuno nasce cattivo.

Ti senti un ragazzo fortunato?
Molto fortunato, ovviamente tutti hanno vissuto qualche trauma, fa parte della vita, rende tutto più vivo.

E i tuoi traumi li puoi raccontare?
I traumi sono intimi, forse sono sempre stato un pò rabbioso, insoddisfatto.

Potrebbe essere il paragone con qualcuno del tuo grado di parentela?
No nessuno, non posso paragonarmi a mio nonno.

Hai un anneddoto carino da raccontare legato a tuo nonno Bud Spencer?
Ero piccolissimo, e mi ero attaccato ad una bottiglia d’acqua, ingollando senza sosta. Mamma e nonna hanno provato a fermarmi, ma solo il vocione del nonno è riuscito nell’intento, facendomi piangere. Era così imponente.

sx total look ANGELO FRENTZOS, dx total look DSQUARED, bracciale FERSERA

Perchè a tuo parere “Sex and The City” ha un seguito così grande?
Perchè parla di quattro donne che vivono la vita in modo un pò provocatorio e ha la capacità di raccogliere ogni tipo di personalità femminile, per cui è facile immedesimarsi. La scelta di girare in una città meravigliosa come New York, che ti sembra di vivere lì con loro, e soprattutto in chiave ironica.

La tua più grande passione oltre al cinema?
Stare con amici e persone a cui voglio bene.

Dove ti senti più a casa?
A Santa Monica, dove sono cresciuto.

Un luogo dell’italia che un pochino ti manca?
Dopo qualche tempo si sente sempre la mancanza di Roma.

Roma o i romani?
I romani no, ah ah.

Dovessi scegliere un periodo in cui vivere?
Per un giorno? Forse andrei a vedere l’antica Roma.

A fare il gladiatore? 
No a vederli.

Avessi scelto un mestiere diverso?
Il politico.

Sei legato a qualche partito?
No, ma trovo sia un’altra forma d’arte che può cambiare la vita a molte persone. Utopico, ma se ben gestita potrebbe aiutare realmente.


camicia GAËLLE