Qual è “L’altra metà della storia”?

Tony è un anziano signore, burbero, intollerante, impacciato con la figlia che decide di fare una inseminazione artificiale, divorziato ovviamente, si direbbe sociopatico con una tendenza a vivere nel passato. Un nostalgico.

Da quando ha raggiunto l’età della pensione, ha aperto, in un angolo di Londra, un piccolo negozio di fotocamere Leica usate, che vende e propone con la passione di chi quella passione gliel’ha trasmessa. E in genere in questi casi si tratta di donne. La sua ha il nome di Veronica, la ragazza con cui stava ai tempi dell’università, una misteriosa bionda, cinica, fredda, diretta, cruda, con la passione per la fotografia, per l’appunto.

Questa donna, che da adulta assume il volto di Charlotte Rampling nel film, dagli occhi segnati dal tempo, lo sguardo sempre severo e quell’allure enigmatica, sfingea, consegnerà a Tony una lettera relativa alle volontà testamentarie della madre, che avrebbe voluto lasciargli il diario personale di Adrian, il suo migliore amico.
Tony è quindi costretto a fare un rewind di ricordi, gli anni giovanili, l’amore mai consumato con Veronica, la madre di lei, bizzarra, a tratti infantile, seduttiva, l’amicizia con Adrian e quel traumatico momento in cui gli confesso’ di essersi innamorato della sua bella e impenetrabile Veronica.

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Cosa sia successo in quell’arco di tempo, nelle vite dei protagonisti, non ci è dato saperlo, ma dai ricordi di Tony scopriamo che il suo migliore amico si è suicidato, quel ragazzo introverso che definiva la storia come “qualcosa che è successo”, che parlava di suicidio di un ex compagno di scuola perchè aveva scoperto la sua lei incinta, quel giovane biondo dagli occhiali da secchione, dietro cui si celano problemi irrisolti, che ha deciso di suicidarsi tagliandosi i polsi, con una collezione di lamette ben affilate.

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Tony non leggerà mai quel diario, Veronica si rifiuterà di consegnarglielo. Nel frattempo la nascita del nipote lo addolcisce, la vicinanza dell’ex moglie lo consola e la scoperta di un figlio di Sarah, la madre di Veronica, quella madre malata, bambina, che lascia in eredità alla figlia un fratellastro con problemi di handicap, lo frastorna e lo copre di sensi di colpa. Da questi, difficile separasene. Il senso di colpa è come una colla a lunga tenuta, nemmeno le intemperie lo sciolgono via. E’ lì, dentro di te, e torna a farti visita, quando qualcuno di importante sparisce dalla tua vita, quando il destino decide di portartelo via o quando il vento decide che è arrivato il momento di riflettere e te lo riconsegna come una foglia secca d’autunno, svolazzante qua e là per le strade, per poi capitare proprio tra i tuoi piedi.

Tony capirà qual è per Veronica, il peso di quel fratellastro tanto somigliante ad Adrian.
No, non puoi capire” sarà la risposta severa.
Perchè il dolore, a differenza dell’amore, non è condivisibile. Purtroppo.

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L’ALTRA METÀ DELLA STORIA regia di RITESH BATRA

dal romanzo di Julian Barnes Il senso di una fine, pubblicato in Italia da Einaudi 

con JIM BROADBENT, CHARLOTTE RAMPLING, HARRIET WALTER, MICHELLE DOCKERYEMILY MORTIMER, MATTHEW GOODE

uscita  nelle sale il 12 ottobre 2017

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La donna metallica di Ricostru – collezione SS2018

La collezione Primavera Estate 2018 di Ricostru ha l’impronta futuristica di “Metropolis”, fredda, cerebrale, metallica.
Una collezione che è bisogno di allontanarsi dalla realtà, un viaggio lontano di un luogo inesplorato, che ha i colori argentei della Luna e del suo riflesso sull’acqua.

sx Ricostru SS18 – dx foto Eugenio Recuenco


La “seconda pelle“, questo il tema scelto dalla designer Rico, una ricerca che parte dai tessuti, quelli che si fondono con il corpo per formare un’unica texture. Protagonista la rete in metallo realizzata a mano, che ricorda la “cotta di maglia“, l’armatura formata da anelli in ferro e indossata anticamente dai combattenti per proteggere il corpo dai pugnali.

Gli abiti metallizzati effetto camouflage sono fluidi e morbidi, la maglieria high-tech è elastica e trasparente e mette in scena l’underwear, quando c’è.
La donna Ricostru è un umana in terra extra-terrestre, la figura glaciale delle immagini di Eugenio Recuenco, che si fonde con la natura circostante.

sx foto Eugenio Recuento – dx Ricostru SS18


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COLLEZIONE PICCIONE.PICCIONE PRIMAVERA ESTATE 2018


Dalla leggenda dorata di El Dorado, nasce la collezione Primavera Estate 2018 di Piccione.Piccione.
L’Eden di cui tutti sono alla ricerca disperata, calamita che attirò esploratori, avventurieri, banchieri che finanziarono migrazioni, El Dorado è la città più esoterica del mondo.
Oro e pietre preziose dovrebbero nascondersi in questo angolo terrestre, forse situato nella foresta amazzonica, chi lo sa, dove i bisogni materiali sono appagati e gli esseri umani godono di una pace condivisa.

I colori di questo Paradiso li ritroviamo sulle donne Piccione.Piccione, le fortunate ancelle che vivono il luogo misterioso, dalle stampe grafiche coloratissime, popolate di flora e fauna tropicali, dai ricami preziosi che disegnano fiori esotici imperlati di rugiada, dai fili di lurex e paillettes argentate che ricordano i giochi di luce sui corsi d’acqua. La natura selvaggia, con la sua forza, è l’elemento di questa collezione SS18, il rosso e il fucsia, l’arancio e l’argento, sono addolciti dalle contrapposizioni ai più delicati cipria e bianchi.

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Piccione.Piccione si lascia ispirare da una città immaginaria, costruita sui disegni dell’architetto e paesaggista brasiliano Roberto Burle Marx il quale, profondo conoscitore della natura, impiega con equilibrio colori, tagli lineari, volumi, ordinati paesaggi, luci ed ombre. Nasce così nella collezione la stampa “Amazzonia”, dall’energia sudamericana, su aeree georgette di seta.

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E da Maranhao, uno stato del Brasile che si affaccia sull’Oceano Atlantico, compaiono le sacerdotesse contemporanee, di bianco vestite, come la schiuma del mare, increspate come le onde, leggere nei cotoni e nelle organze ricamate ton sur ton, in pizzi femminili e graziosi.

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Candide come le sabbie più simili a un deserto che a un affaccio sul mare, le donne austere si mescolano alle ninfe del Rio delle Amazzoni, dove abiti laminati prendono luce dalle stratificazioni di tulle e paillettes, dall’effetto tridimensionale.

Il taffettà regala croccantezza, consistenza indispensabile non solo per i piatti gourmet, i tessuti sono strutturati, gli chiffon impalpabili rendono eteree le donne Piccione.Piccione e fili di lurex le donano preziosità.  La ricerca creativa del designer siciliano si fa strada, così come quella stilistica, simbolo di come, alle volte, l’ignoto, sia la via giusta.

Guarda la collezione Piccione.Piccione Primavera Estate 2018: 



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La donna esotica di Cristiano Burani – collezione SS 2018

La collezione Cristiano Burani Primavera Estate 2018 è l’esperienza di un viaggio, come quella che fece Paul Gauguin quando fuggì a Tahiti per coltivare l’arte come lui la intendeva: selvaggia e primitiva, come le donne dell’isola. Una missione artistica, una collezione che la ricorda con i colori vivaci dei fiori, con la florida bellezza delle donne locali.

sx Cristiano Burani SS18 – dx “Racconti Barbari” di Paul Gauguin 1902


La Primavera Estate 2018 di Cristiano Burani sfugge alla fatica e si rifugia tra le braccia di Madre Natura, godendone a pieno le libertà, la donna veste leggera con i tulle plissettati, le nuance vitaminiche la accendono, i cow boy boots la portano a spasso per le foreste inesplorate.

sx Cristiano Burani SS18 – dx “Girasoli e pere” di Paul Gauguin 1901


I colori neon, come l’azzurro delle gonne plissé, ricordano i cieli oliosi dell’isola polinesiana cara a Gauguin, le stampe floreali la sua nuova casa, le frange multicolor dei maxi marsupi sono le code dei pappagalli.
La maglieria è lavorata a mano ed è la tessitura di reti che lasciano intravedere il corpo della donna, quasi fosse un peccato coprirla; ciò che appare pelliccia in realtà è denim, ciò che sembra non è, una collezione carica di energia e mistero, quasi fosse un messaggio di nuova speranza.
Che sia questa la strada Cristiano Burani?

sx “Montagne a Tahiti” di Paul Gauguin 1893 – dx Cristiano Burani SS18


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C’è bisogno di leggerezza, in un periodo in cui Trump allarma il mondo intero di una possibile distruzione della Corea del Nord, c’è bisogno di eleganza, quando si sentono capi di Stato e di Governo insultarsi con espressioni senza precedenti rispetto ai loro precursori. Questo lo si evince anche da quello che ha sfilato in passerella durante la fashion week milanese.

Una su tutte, Alberta Ferretti, che nelle passate collezioni ha messo in scena le pomposità fine ‘800, tra velluti porpora e i grandi manti principeschi, colorando gli abiti delle sfumature veneziane o dei giardini di Giverny tanto cari a Monet, per la collezione Primavera Estate 2018 elimina gli imbellettamenti, niente pizzi o merletti, velluti o maquillage, Alberta Ferretti ci fa dono della semplicità.

Quella del “less is more“, ma carica di luce e di quel fulgore femmineo che la donna Alberta Ferretti sa rappresentare a pieno titolo. E allora la brillantezza del quarzo rosa, quella fiammante del corallo, e quella regale del bronzo, si materializzano in abiti dalla forma pulita ed essenziale, da silhouette lineari ma con volumi inaspettati.


Le scollature sul dorso sono totali, le piume e le paillettes creano un gioco di movimento che segue l’ondeggiare del corpo ad ogni passo, ogni ricamo ci ricorda quanto Alberta Ferretti ama le donne e quanto desidera accontentare il loro desiderio di bellezza.


Nella più pura semplicità, si crea il movimento, grazie ai preziosi ricami e all’effetto dégradé delle paillettes, gli abiti si fanno fluttuosi come le onde, quelle che decantava Virginia Woolf, nell’attesa dell’arresa.





Liquidi e ritmici, come la parola della scrittrice britannica, gli abiti in lurex, declinati nei delicati colori pastello; non mancano chiffon e trasparenze, seta e nylon e la sera il dress code si sdrammatizza con un giubbotto in suède o un parka leggero.



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L’inganno di Sofia Coppola, la follia omicida del desiderio

Siamo in un bosco, luogo che Freud definisce oscuro e selvaggio perchè rappresenta le forze più animalesche e inconsce e che nei sogni rimanda agli angoli inesplorati della psiche. Qui una bambina di buone maniere raccoglie funghi, elemento chiave del film.

E’ la fine del 1800, in piena guerra di Secessione, quel bosco è l’unico svago per le fanciulle che alloggiano in un istituto femminile, austera dimora dalle imponenti colonne, illuminata dagli obliqui raggi di luce che si fanno strada tra gli alberi e le foglie. E la scelta sull’immagine diretta da Philippe Le Sourd non è un caso. Per ricreare quelle atmosfere tanto care a Sofia Coppola, così intime e melanconiche e muliebri, Le Sourd utilizza una Arricam a 35 mm, quindi pellicola, che legge la più fioca luce di una candela.

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La bambina nel bosco, quel cappuccetto rosso vestita di bianco in abiti vittoriani, porta la merenda all’Istituto: un soldato ferito, interpretato da Colin Farrell, che diventa l’oggetto del desiderio e della discordia tra le donne.

La prima parte del film sarebbe inesistente, se non fosse per la scelta dei costumi e per la perfezione della fotografia, i dialoghi sono banali e non accade nulla. E’ solo nella seconda parte che ci torna alla mente “Misery non deve morire” il thriller tratto dal romanzo di Stephen King, dove una psicopatica frattura le gambe del suo scrittore preferito, legandolo al letto, diventando la sua carceriera. Il volto di quella follia omicida ha il viso di Nicole Kidman in questo caso, l’istitutrice rifiutata dal soldato che preferisce rinvigorire i suoi spiriti con una giovane dell’istituto. E le conseguenze di una donna rifiutata sono terribili e temibili, ce lo ricorda Demi Moore in “Rivelazioni” dove , dopo aver sedotto insistentemente un uomo, viene lasciata semi-nuda e furente, dando il via a cause per “molestie sessuali” mai subìte.

Poco credibile Elle Fanning nella parte dell’istigatrice maliziosa, sarà lo strascico del ruolo innocente interpretato in “The Neon Demon”; decisamente fuori forma Kirsten Dunst nella parte di Edwina, la succube insegnante che non riesce a tacere i desideri e si getta tra le braccia del soldato; perfetta nel ruolo di strega Nicole Kidman che con freddezza e spirito di vendetta, amputa la gamba del caporale nordista.

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Se Colin Farrell, sessuomane incallito, ha dichiarato in un’intervista di aver fatto sesso con una settantenne per il gusto della scoperta, credo che mai, nei suoi sogni più languidi, si sia immaginato tanta cattiveria sprigionata da un gruppo di 6 incantevoli donne di buona famiglia. E’ evidente che non conosce a fondo il mondo femminile.

Lontani i tempi delle “vergini suicide”, le ribelli sorelle che preferiscono il suicidio ad una vita senza passioni, lontana la ricerca sociologica di quel vuoto superficiale in “Bling Ring” . I profili psicologici sono piatti, al contrario della fotografia, non c’è spessore né pathos, solo l’ira e la sterile gelosia di donne che stanno erette da troppo tempo.

Neoclassic Modernism Fashion Editorial

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Photo & Styling Miriam De Nicolo’

Model Corinne Piccolo

Make Up/ Hair Elis Ferranti

Assistant Mua Francesca Vinciguerra

Thanks to: Mario Dice, Barbieri & Ridet, Studio Re, Taala, S2BPRESS, Bruno Carlo



sx Abito in seta nero e velluto rosa con rouches Greta Boldini – dx Abito in organza grigio Salvatore Vignola, coroncina fiori Taala


sx Abito lungo bianco con cappa in macramè Mario Dice, coroncina fiori Taala – dx Abito nero in pizzo Piccione Piccione, pochette in velluto Benedetta Bruzziches


sx Abito in macramè e organza e collana di perle Mario Dice – dx Abito in organza Salvatore Vignola, coroncina fiori Taala


sx Abito in macramè con ricamo Mario Dice, coroncina fiori Taala – dx Abito in velluto e seta Greta Boldini


sx Abito in seta color ocra incrociato Greta Boldini, pochette velluto Benedetta Bruzziches, stivale alto con ricami China Lamperti – dx Abito macramè e organza e collana di perle Mario Dice


sx Abito macramè e organza e collana di perle Mario Dice – dx gonna in seta/cotone popeline con inserti macramè e top in crepe de chine Mario Dice, guanti in pizzo Bruno Carlo, borsa velluto Benedetta Bruzziches


sx Abito in seta nero e velluto rosa con rouches Greta Boldini -dx Abito in seta color ocra incrociato Greta Boldini, pochette velluto Benedetta Bruzziches


sx abito lungo tulle grigio con paillettes Greta Boldini, coroncina fiori Taala, pochette pelliccia verde scuro Benedetta Bruzziches – dx abito organza Salvatore Vignola, coroncina Taala


sx Abito nero in pizzo Piccione Piccione, pochette in velluto Benedetta Bruzziches – dx Abito lungo bianco con cappa in macramè Mario Dice, coroncina fiori Taala

Lo spot Ikea che ironizza sul food porn di Instagram

Let’s relax – lo spot Ikea già virale che ironizza sull’uso spasmodico di Instagram

Quanti di noi, davanti ad un piatto preparato con le nostre mani o ad un manicaretto speciale in un ristorante stellato, non è spinto dal desiderio di fare una fotografia, per poi pubblicarla su Instagram? Nessuno lo ammette, eppure è così.

Arriva la gioia dei colori per gli occhi, e degli aromi per l’olfatto, ma prima di addentare: STOP! Clic! E pensa alla didascalia, e riprendi in mano il menu per non sbagliare, e gli hashtag, e pubblica e il piatto si raffredda.

Questo è l’iter dei giorni nostri, ma cosa sarebbe successo se ci fossimo trovati nel ‘700? Lo racconta in maniera divertente IKEA con l’ultima pubblicità che sta diventando virale.

Siamo alla tavolata di un nobile nella Francia del XXVIII secolo, la figlia cerca di addentare una mela quando il padre la ferma. Alt! Prima è necessario immortalare la scena ed ecco che appare un pittore, che cerca in fretta e furia di ultimare il quadro. Una volta concluso è il momento di sapere quanti like riceverà e allora tutti in carrozza con i cavalli alla massima potenza a mostrare per le case il dipinto. Nell’intimità di un letto, durante un duello di pistole, in piazza, durante un ballo, qualcuno alza il pollice, qualcun altro accenna smorfie, ma alla fine, tornati a casa, si può iniziare a mangiare.

E’ solo cibo. Non è una gara. LET’S RELAX – Questa l’ultima pubblicità Ikea su YouTube che invita la famiglia a rilassarsi e a condividere i momenti di gioia, lasciando da parte cellulari e social network. Messaggi che puntano sempre sull’emotività con la leggerezza dell’ironia; insomma il reparto marketing Ikea non sbaglia un colpo!

Qui il video Ikea – Let’s relax




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Sinead O’Connor “Sono sola, l’unica persona a tenermi in vita è il mio psichiatra”!

L’immagine indelebile è quella di una ragazza rasata, dal viso perfetto, grandi occhi dolci e umidi e un’interpretazione da hit mondiale, qual è il singolo “Nothing Compares 2 You“.
Oggi quella testa ha lo stesso taglio, ma gli occhi sono più tristi, l’arcata della bocca all’ingiù e le parole delle canzoni hanno lasciato il posto alla disperazione; stiamo parlando di Sinead O’Connor che in questi giorni sta lanciando un segnale di aiuto.

Dalle sue pagine social, quelle di Facebook, la cantante irlandese urla al mondo la sua malattia, quella che le ha cambiato la vita, costringendola ora alla solitudine.
Affetta da disturbo bipolare, Sinead O’Connor non è nuova avere problemi con la famiglia e con l’affidamento dei figli, ultimo il bambino di 13 anni, una famiglia che sembra averla abbandonata a se stessa, marito compreso, “solo il mio psichiatra è presente ora, la persona più dolce al mondo, è lui che mi tiene in vita” – questa la confessione della cantante.

Il video lanciato su Facebook ha uno scopo: “far sapere a tutti cosa significa; le malattie mentali sono come le droghe, sono uno stigma, all’improvviso tutte le persone che dovrebbero amarti e prendersi cura di te ti trattano male“; oltre a poter essere un aiuto a far comprendere alle persone vicine ai malati, quanta sofferenza porta uno stato psicologico come quello del bipolarismo.

Qui il video:


Oggi la cantante danese vive in completa solitudine in un motel Travelodge in New Jersey, dove scrive canzoni.
La situazione clinica della cantante sembra molto peggiorata dall’uscita del circuito musicale e dopo l’abbandono dei manager.
Attraverso i social network, Sinead O’Connor aveva, nel 2015, lanciato un messaggio prima del tentato suicidio, dove dichiarava di aver assunto una massiccia dose di stupefacenti. “L’unico modo che hanno i miei familiari per sapere come sto e dove mi trovo, altrimenti per loro potrei anche essere morta“.

Nel 2016 invece sparisce dopo aver fatto un giro in bicicletta, mentre si trovava nei pressi di Chicago; un altro allarme di suicidio, per poi essere ritrovata sana e salva. Ma è evidente che queste “sparizioni” sono un segnale, una disperata richiesta di aiuto da parte di chi non sa più come affrontare il dolore e farlo tacere.

Vorrei non essere così sola al mondo” – dichiara “dovrei meritarmi qualcosa o qualcuno dopo tutti questi anni, e dopo aver dato così tanto. Sono scioccata da quanto sia rimasta sola“.

Un intervento chirurgico al fegato ha messo a dura prova le forze della O’Connor, che non le permette di respirare bene e le procura continui dolori, le ripetute minacce di suicidio e il totale abbandono della famiglia, non lasciano buone speranze per la vita di questa cantante che ci ha regalato forti emozioni e che, come nessuno, merita tanta sofferenza.

Sto facendo questo video perché ci sono milioni di persone come me. Dobbiamo prenderci cura di noi. E non voglio morire, non morirò, anche se non è possibile che le persone vivano così“.

L’ottava nota – se la prendi, sei destinato a perderla

Ci dimentichiamo troppo spesso di essere stati bambini, abbiamo rimosso le prime ingiustizie subìte, i rimproveri umilianti, le sofferenze riversate inconsapevolmente su di noi da parte dei nostri genitori. Ma chi bambino ancora lo è, sa di possedere quella sensibilità intelligente che percepisce ciò che invece gli adulti credono lui ignori, chi è ancora nell’età della fantasia assorbe come una spugna, la luce ma anche le scorie del mare aperto, la vita.

Stet ha 12 anni, una madre alcolizzata che accudisce tra la scuola, con gravi disagi e problemi comportamentali ovviamente, e la casa in condizioni precarie, svegliandola puntualmente al suo ritorno, preparandole un bagno caldo, porgendole pastiglie e svuotando prontamente tutte le bottiglie di alcolici che gli capitano a tiro. Stet fa da madre a sua madre, fino a quando questa muore in un incidente in auto e il ragazzo si ritrova in balìa della decisione del suo padre biologico, mai conosciuto prima.

Dietro consiglio di una insegnante, il padre, per nascondere il figlio alla sua famiglia, lo manda in un prestigioso istituto in quanto padrone di un grande talento vocale. Il carattere ribelle e istintivo del ragazzo troverà non poche antipatie nella scuola, soprattutto da parte dei compagni, ma questo si sa, è il prezzo del “diverso”, del nuovo arrivato, lo scenario identico a se stesso anche nei branchi adulti.

Il maestro Carvelle, l’anziano capo del coro delle voci bianche, dapprima scettico, si avvicina presto al ragazzo, infondendogli fiducia e amore per la musica, riconoscendosi in lui alla sua età; è il rapporto che si instaura tra queste due figure l’impronta più profonda del film, e dalle domande che Stet si pone quando, crescendo, la sua voce cambia: “Che senso hanno tutte queste lezioni, se poi alla fine perderò la mia voce?
Le lezioni stesse” sarà la risposta.
Qui insegnamo la vita, non a fare carriera” spiegherà il Maestro durante la conversazione con un altro docente.

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E’ un film che parla di disciplina, di ordine, regole e volontà. L’intento degli insegnanti non è quello di creare delle super star, ma uomini che in futuro si alzeranno la mattina presto per compiere i propri doveri, che svolgeranno con amore e con passione, nel rispetto degli altri e soprattutto per se stessi.

Molte critiche si indignano per la mancanza di azione, ma cosa volevano? Più litigi, più cattiveria tra i compagni? Più disordine e caos? Professori più severi nelle punizioni?
Hanno capito che non è necessario urlare per farsi ascoltare?

L’ottava nota, un film di Francois Girard – 2014

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8 DONNE E UN MISTERO

The reader – A voce alta – Cosa è più forte? Il senso di colpa o la vergogna?

Michael è un ragazzo timido, riservato e di buone maniere. Ha 15 anni.
Hanna è una donna mascolina, all’apparenza severa, ligia al dovere, lavora come controllore sulle linee tramviarie di Neustadt. Ha 36 anni
Michael sceso dall’autobus durante una giornata fredda e piovosa sta male a causa di un attacco di scarlattina e Hanna lo aiuta a riprendersi per poi riaccompagnarlo a casa. Il ragazzo tornerà a ringraziare la signora, dietro consiglio della madre, con in dono un mazzo di fiori, per poi ritornare una seconda volta ed essere iniziato alla sessualità da Hanna. La prima parte del film si concentra sullo strano equilibrio del loro rapporto: Michael, prima di poter fare l’amore con Hanna, deve leggerle delle pagine di romanzo, da “La signora con il cagnolino” di Anton Checov fino a “L’Odissea”, il poema di Omero, libri che “il ragazzo” (così lei ama chiamarlo) studia tra i banchi di scuola.

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Michael, attraverso la sessualità condivisa, diventa uomo, acquisisce la sicurezza che gli mancava, scopre in quella donna un’anima fragile, capace di commuoversi ascoltando il canto muliebre di un coro in una chiesa o per il sottile piacere della letteratura. In cambio la misteriosa donna, che lascia al suo nuovo compagno la scelta delle portate così come le pagine di un libro, gli chiede di accontentare la sua sete di sapere, ma con il suono della sua voce.
La sensualità della prima parte del film, che può sembrare uno stralcio de “Il laureato” ma in ambientazione povera (siamo nella Germania Ovest del 1958) in realtà si trasforma in dramma, perchè il tema centrale diventa l’Olocausto.
Hanna scompare senza lasciare tracce né lettere né spiegazioni, lasciando Michael addolorato, nel momento in cui aveva intuito d’amarla. Sette anni dopo Michael, che studia legge, si trova a osservare un processo per crimini di guerra nazisti e rimane sconvolto nel constatare che tra gli imputati c’è Hanna, accusata di aver lasciato bruciare vive 300 donne ebree chiuse in una chiesa, lì per proteggersi da un bombardamento, e così destinata a trascorrere il resto della sua vita in carcere. Questa è una lettura che Michael non avrebbe mai voluto sentire e che soprattutto mette in discussione, per lo spettatore, la figura amorevole e caritatevole di Hanna.

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Ma Hanna non è l’unica responsabile; le altre imputate l’accusano invece di essere la sola ad aver redatto il documento-rapporto per i suoi superiori; menzogna che stona con una realtà cui solo ora Michael si accorge: Hanna è analfabeta! E per la vergogna, quando il giudice le chiede di scrivere qualcosa su un foglio per decifrare la calligrafia, si dichiara colpevole.
A questo punto il ragazzo potrebbe impiegare la sua testimonianza per salvarla, invece tace, assecondando il volere della donna che si è condannata a morte. Perchè sceglie il silenzio? Per rispetto? Per evitarle l’umiliazione e la vergogna? La stessa che l’aveva costretta a rifiutare la promozione a impiegata d’ufficio per poi arruolarsi come sorvegliante nelle SS. O per consevare il ruolo sociale che in questi anni si è cucito su misura?
Durante gli anni di prigionia, l’uomo le invia delle cassette dove registra la lettura di innumerevoli volumi, grazie ai quali Hanna imparerà a leggere da autodidatta. Quando una responsabile del carcere contatterà l’uomo per avvisare che la donna è prossima all’uscita, Michael incontrerà Hanna per la prima volta dopo lungo tempo e le chiederà se ha avuto modo di riflettere sul suo passato e che cosa ha imparato.
Ho imparato a leggere” risponderà con durezza la donna, senza peraltro provare compassione o dispiacere per i crimini commessi come carceriera nel periodo nazista. Questo atteggiamento allontanerà Michael, addolorato e incredulo che, solo una settimana dopo, pronto per aiutare Hanna alla nuova vita, viene informato del suo suicidio. E cosa significa questo suicidio? Senso di colpa o vergogna?

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The Reader – A voce alta – è un film del 2008 diretto da Stephen Daldry, adattamento cinematografico del romanzo di Bernhard Schlink del 1995