Tutti i trend del momento nella collezione Annakiki FW 18/19

Anna Yang è la designer cinese che per la sfilata autunno inverno 2018/19 di Annakiki ha regalato una gettata di colore sulle tele della moda.


Rosa sorbetto, rosso di cadmio, viola indaco, blu dodger, giallo limone, verde trifoglio, celadon, marrone foca, cachi, nero e bianco luminoso, sono le sfumature che rallegrano la stagione fredda di quest’anno e del prossimo 2019.  Della serie, all’arcobaleno non abbiamo nulla da chiedere, i capi Annakiki illumineranno le strade e lo streetwear sui social. Ci sarà da fare a gara a chi celebra i colori dell’estate, del sole, delle piante, dei fiori e dei frutti della bella stagione, perchè indossando Annakiki si dice addio alla noia nero-grigia dell’autunno-inverno.


info@imaxtree.com

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E ce n’è per tutti i gusti, per le romantiche i long dress in velluto, per le busy women trench old style ma con le maniche in voile, che regalano un tocco femminile e trendy, così come di tendenza l’impermeabile in pvc che copre il cappotto cammello in lana, tutto tono su tono.


I capi di stili differenti si mescolano, l’eco pelliccia copre l’abito in tulle, la vernice si fa strada sui bomber, il pvc compare sui completi di taglio maschile e riceve applicazioni in pelliccia sui trench, il cappuccio diventa simbolo feticcio.

Sfoglia la collezione Annakiki Fall Winter 2018/19:



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Gabriele Colangelo Autunno Inverno 18/19

GABRIELE COLANGELO FALL WINTER 2018/19

C’è bisogno di semplicità, pulizia, rigore. Per la stagione Autunno Inverno 2018/19 Gabriele Colangelo propone una collezione in cui la scelta dei colori, delle forme, dei tagli, delle materie prime regalano una sensazione di essenzialità.

Essenzialità che non tralascia l’impatto delle tendenze, per cui gli abiti, i trench, i cappotti, vengono tagliati all’altezza delle spalle per lasciarle libere, asimmetricamente, così come asimmetriche sono le aperture delle longuette, con bottoni a mezza coscia.

Le frange, dei colori del mare in blu e bianco, oscillano sulle gonne e sui cappotti e sono extralong sulle maxi-bag per un effetto pelliccia e tridimensionali.

Le note cromatiche intense di accessori come borse, ankle boots e cinture, si accostano alla palette neutra di sabbia, argilla e calce.
Da portare singoli e d’ispirazione surrealista, gli orecchini in resine colate; onnipresente il top a collo alto in cashmire leggero e sofisticata la nappa plongé, adesivata in nuance cammello o in blu per coat o gonna drappeggiata sul davanti.

Le lane maschili piatte si alternano a micro pied de poule per giacche con rever a lancia, doppiate da pannelli in nappa plongé, appoggiati con bottoni in corno, e per pantaloni alla caviglia dal risvolto alto.
L’alpaca è lavorata a mosaico e composta da micro tasselli bicromi in alternanza a strisce di pelle a scacchiera per la pelliccia leggera con collo staccabile in lana.

Guarda qui l’intera collezione Gabriele Colangelo Autunno Inverno 18/19 


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MIA Photo Fair 2018 – il meglio della fotografia d’autore

Che ruolo ha la fotografia oggi? La risposta possiamo trovarla al MIA Photo Fair di Milano, la fiera internazionale delle fotografia d’arte appena conclusasi e allestita presso lo spazio The Mall tra i nuovi grattacieli in Porta Garibaldi.

L’evento, che ha visto un’affluenza in crescita rispetto alle edizioni precedenti – 25.000 visitatori di quest’anno rispetto ai 15.000 della prima – ci rimanda un ritratto di quello che oggi è allettante e in voga, nel mondo dell’immagine. In che modo? Attraverso quei bollini rossi che abbiamo visto accanto a nome dell’autore e prezzo dell’opera, un simbolo che sta a significare “venduto“. E allora le fotografie esposte al MIA sono per lo più destinate ai collezionisti, e il MIA stesso è il mercato del mercato dell’arte fotografica dove, quest’anno, hanno vinto gli stranieri. Sì perché mai come in questa edizione, gallerie e autori parlano una lingua diversa dalla nostra, e soprattutto, una lingua che è armoniosa e melodica come le immagini che la rappresentano, a partire dai fotografi olandesi che, per lo meno in me, hanno lasciato il segno.

A partire da Justine Tjallinks, classe 1984, che riprende il lavoro del ritratto fiammingo, quello pittorico del ‘400 dove il soggetto dipinto crea un’interazione, una sintonia, un collegamento con chi lo guarda (lo spettatore, noi). Opere che si espandono a ceti differenti, quindi non abbiamo solo regnanti ritratti, ma anche la nuova borghesia, i banchieri, i mercanti, che posano di tre quarti e non di profilo, così come posiziona i suoi soggetti Justine Tjallinks. Volti di persone dall’aspetto non convenzionale, un’immagine dalla perfetta ricerca stilistica, quasi aulica, in cui l’atmosfera, la scelta dei toni, lo sguardo, le pose, creano un forte senso di intimità.

@ Justine Tjallinks


Da Jan van Eyck a Erwin Olaf (altro fotografo olandese – e non è un caso), fino a Justine Tjallinks, dal primo che fu un moderno ritrattista fino a chi fa della fotografia un passaggio “moderno” di quello che fu il nostro passato, mantenendone le leggi, la composizione, le regole, le armonie, i significati. E in genere chi le rispetta, non sbaglia.

In questa ottava edizione fieristica, la fotografia diventa necessità espressiva (quindi aumentano gli autori) e forma rappresentativa, con un aumento degli acquisti che, nello specifico, vede i prezzi delle opere partire da 350 a 20.000 euro circa, numeri che arrivano da “Il Sole 24 ORE.

Chi acquista cosa e perché? Perché la fotografia diventa sempre più succulenta, non solo ai fedeli collezionisti di sempre, quelli che andavano con le proprie gambe dagli autori a chiedere delle immagini da comprare, ma anche ai neofiti?

Cosa si legge dietro una “piatta” fotografia? In fondo è la rappresentazione di una realtà, ma vista in maniera distorta e quindi non oggettiva, perché “modificata” dall’occhio che fa “clic”. E’ un oggetto superficiale che esprime un concetto superficiale perché illusorio, voglio dire: se vediamo una modella che ammicca, quell’immagine ci porterà ad elaborare una serie di fantasie che in realtà la macchina fotografica non ha impresso, e cioè il carattere della modella, la sua vera natura, il suo andamento, il linguaggio che usa. Vediamo invece quello che il fotografo ha voluto sussurrarci, il desiderio di una bocca socchiusa, la sensualità in una spalla nuda accarezzata dai capelli sciolti, ci racconta sottovoce del guizzo intelligente attraverso gli occhi curiosi, o accenna la dolcezza con uno sguardo umido. Ma sono solo dei mezzucci per occultare il vero. Perché dietro quel finto sentimentalismo, dietro quell’apparenza, abbiamo magari un maschiaccio, una persona scortese, una donna volgare, un’analfabeta, un rude, una a cui puoi solo chiedere di “mettersi in posa”. E allora cos’è la fotografia se non la conferma che l’essere umano vuole essere preso in giro? Così come ha bisogno di simboli per pregare, una chiesa, una croce, un dio sofferente, ha bisogno di ritratti per sognare. E la bravura di un ritrattista sta nel rendere bello ciò che gli altri ritengono privo di interesse.

Leggendo alcune interviste a noti fotografi, la risposta ricorrente alla domanda “Cosa rappresenta questa immagine?” è sempre la stessa: “Semplicemente quello che vede”. Un paesaggio rappresenta un paesaggio, un volto rappresenta un volto, un’albero riflesso sull’acqua rappresenterà un semplice albero riflesso sull’acqua. Chi ha inventato il “concetto” dietro la fotografia? Sicuramente qualcuno che ha un ruolo molto vicino a quello del critico d’arte, o per essere più precisi e non fraintesi, a colui che dell’arte ne scrive le prefazioni sui cataloghi delle mostre. “Bla bla bla bla bla bla“.

Quante fotografie hanno quel privilegio? Quello di essere davvero più di ciò che raccontano, più di quello che la carta stampata o un file jpg ci rimandano? Poche. E al MIA Photo Fair, per chi ci è stato, si ha avuto la fortuna di poterle vedere: i ritratti di Steve McCurry, i reportage di Sebastiao Salgado, la potenza comunicativa dei colori di Joel Meyerovitz, i bianco e neri di Mario Giacomelli, l’umanità delle stars di Harry Benson, l’eleganza di Edward Quinn, la visione geometrica di Gabriele Basilico


@ Steve McCurry


E ancora ritroviamo al MIA Photo Fair un Giovanni Gastel nuovo, con delle fotografie che sembrano un omaggio al pittore Edward Hopper.

I suoi colori, i tagli netti della luce, il silenzio degli interni, i dettagli freddi, spogli e artificiali, lo sguardo del soggetto perso nel vuoto.

E’ un nuovo stile per spronare le coscienze?


@ Giovanni Gastel


Diverso è invece lo spazio riservato a Settimio Benedusi, che anziché partire con una esposizione “già stampata”, ha progettato dei ritratti momentanei rivolti al pubblico, in cui ogni foto ha il valore di 30 euro. Il progetto ha preso il nome di “NON MI RICORDO“. Perché? “Quando tra 10 anni mostrerete la vostra stampa e vi chiederanno “quanto l’hai pagata?”, voi risponderete: NON MI RICORDO.”
Il fotografo è stato pero’ costretto a delegare i ritratti a degli assistenti a causa di un grave problema di salute. Ora sta bene per fortuna e, anche nell’ospedale dov’è stato curato, il reparto di chirurgia di Imperia, non ha resistito a prendere in mano la macchina fotografica e dire “grazie” con i suoi simbolici ritratti. Credo abbia più valore esporre questi:

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@ Settimio Benedusi


Qui una piccola selezione delle immagini esposte al MIA PHOTO FAIR 2018:



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Les Copains omaggia la donna altera e chic che fu Capucine

LES COPAINS COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2018/19

Germaine Hélène Irène Lefebvre, in arte Capucine, fu una modella ed attrice francese, musa del grand couturier Hubert de Givenchy che da sartina la promosse a mannequin, il designer che oggi purtroppo ci lascia all’età di 91 anni.

Capucine era una donna altera, magnetica, di una bellezza elegante e dallo stile rigoroso e chic, come lo definiremmo oggi; fu lei ad ispirare la figura della Duchessa Altea di Vallenberg, elegante personaggio del fumetto Diabolik. 

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Capucine era circondata da un velo di mistero, tipico delle donne che sanno di dover nascondere qualcosa, a caro prezzo, la donna difatti di suicido’, all’età di 61 anni, dopo una vita in cui depressione e bipolarismo intaccavano quello che era successo e serenità.

Un passato di maltrattamenti subìti dalla madre, la morte prematura dell’uomo che amava, un primo tentativo di suicidio tagliandosi le vene, ma Capucine manteneva in pubblico un’allure sempre impeccabile, quel tono distaccato, un poco snob, di chi invece aveva camminato la strada della povertà. Il suo fascino rimane, anche dopo la crisi lavorativa, le chiamate dei registi che tardano ad arrivare, la sua figura iconica è impressa nei film che ha interpretato e nelle collezioni che la omaggiano, come quella Autunno Inverno 2018/19 di Les Copains.

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Tonalità neutre e sobrie, dal carne al sabbia, dal blu notte al nero profondo, dal kashà al prugna; i filati pregiati sono arricchiti da lavorazioni artigianali, pizzi, tulle, maxi sciarpe con maxi frange, capo fondamentale dell’outfit, fermate da cinture in pelle, maxi anche le borse e i cardigan.

Sui micropull a coste, Les Copains racconta le storie mitologiche e draghi cinesi compaiono sotto le giacche, sui tulle trasparenti. Ma il pezzo cult della collezione Autunno Inverno 2018/19 Les Copains torna ad essere la Giacca Flag, emblema storico della maison, come ci ricordano Alessandro Mariani e Stefania Bandiera, rispettivamente CEO e Creative Director di Les Copains.


Guarda la collezione Autunno Inverno 2018/19 di Les Copains:

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“La forma dell’acqua”, un film sulla solitudine

Elisa é una ragazza muta, vive sopra un cinema chiamato Orpheum, mangia uova sode, ama i musical e, ogni giorno, alla stessa ora, si dedica alla masturbazione nella sua vasca da bagno, scandita dal ticchettìo dell’uovo che conta i minuti. Per tirare a campare fa le pulizie in un laboratorio scientifico di Baltimora, dove tira su’ per lo più urina e sangue, tanto sangue, il sangue di una creatura anfibia dall’aspetto umanoide, la “risorsa“, su cui gli americani stanno facendo esperimenti, tra torture e una imminente vivisezione.

Il “mostro marino” è stato catturato in Amazzonia dal colonnello Strickland, un uomo violento che lava le mani prima di pisciare, non dopo, e questo la dice lunga sulla sua persona, un marito che prende la moglie nel letto coniugale senza nemmeno levarsi le braghe, soltanto abbassandole e imponendole il silenzio, lo stesso uomo che, dopo aver perso due dita in una lotta con la creatura marina dice al generale: “Non sono preoccupato signore, mi sono rimaste quelle per la fica!

Siamo negli anni ’60, periodo razzista e omofobo, dove Giles, il vicino di casa gay, amico di Elisa, combatte per rendere più appetibili i dolci gelatinosi che disegna sui cartelloni pubblicitari, budini su carta che non verranno mai acquistati a causa del suo orientamento sessuale. Giles è un signore vicino alla sessantina, vive con un numero indefinibile di gatti, e anche lui, come Elisa, presenta delle caratteristiche nevrotiche: colleziona torte al lime (bellissime ma immangiabili – la visione americana di quel tempo, case perfettamente impacchettate ma con nuclei familiari dalle situazioni disastrose) che finiscono dritte negli scomparti del suo frigorifero, per il solo piacere di scambiare due chiacchiere con il ragazzo del fast food.

Zelda, collega e confidente di Elisa, altro “relitto della società” perché afroamericana, combatte i pregiudizi e la condizione familiare in casa, e all’interno del laboratorio fa da interprete alla sensibile, umile, dolce, povera muta.
Sono i 4 diversi (il mostro, la nera, il gay, la muta) che combattono contro i veri mostri travestiti da brava gente, da falsi moralisti, dietro quelle divise che nascondono violenza e frustrazione.


Cosa spinge Elisa a macchinare la fuga del “mostro”? L’empatia. Quello scambio di sensazioni, mute, in cui si riconosce un essere uguale a noi, che prova quello che noi proviamo, che sente quello che noi sentiamo. É la forza che ci aggrappa a qualcuno per sentirci meno soli.

Lo accudirà nella sua casa, nella sua vasca, nel luogo destinato all’erotismo solitario, che ora diviene erotismo condiviso perché, ebbene sì, la “Bella e la Bestia” si accoppieranno, e non solo platonicamente, perché la creatura anfibia è dotata di sesso e Zelda, personaggio dotato di grande sense of humor, ci ricorda che “gli uomini ingannano e sorprendono sempre, anche quando sembrano piatti, lì sotto“.

L’essere anfibio, che gli amazzoni veneravano come un dio, si rivela dotato di grande intelligenza e capace di provare sentimenti, oltre che essere in grado di guarire le ferite e riportare i capelli all’anziano Giles. Senza la necessità della parola, attraverso il solo linguaggio sei sentimenti, Elisa trova un amico, che colma la sua immensa solitudine e si lascia cullare nelle acque dell’amore, quel liquido amniotico dentro cui fluttuano e si abbracciano, come due feti, un unico corpo, la grande vasca che sarà il suo bagno, destinato ad allagare l’Orpheum e a far infuriare il proprietario.


Una volta scoperti i fautori del rapimento, il colonnello Strickland spara al mostro e ad Elisa, prima che questa gli dia l’addio vicino alle acque che portano al mare. La creatura, col solo tocco della sua mano palmata, guarisce improvvisamente le ferite e uccide il colonnello che sarà costretto ad ammettere la sua natura divina e, quando Elisa sembra ormai essere senza vita, il dio la porta con sé tra le acque, in un abbraccio ultraterreno che trasformerà le ferite al collo della ragazza in branchie, la promessa di una vita insieme.


La forma dell’acqua – The Shape of Water  è il film diretto da Guillermo del Toro che ha vinto il Leone d’oro al miglior film alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e si è aggiudicato quattro Premi Oscar, su tredici candidature ricevute, per miglior film, miglior regista, migliore scenografia e migliore colonna sonora.

La forma dell’acqua è un film sulla solitudine, dove i protagonisti, la MAESTOSA Sally Hawkins e un anfibio bipede antropoide sono MUTI! Come possa riuscire bene un film ben riuscito lo si deve soprattutto a lei, alla Hawkins, che con le sue multisfaccettate espressioni, la beatitudine, la serenità, la gioia, la derisione, quel piccolo solco a forma di parentesi tonda che ha a lato della bocca, non voglio chiamarla ruga perché non lo è, ma è invece il dono di un’attrice, che a noi ha regalato il sorriso e la tristezza. Insomma è la Hawkins che ci ha fatto piangere e ci ha fatto credere in un fantasy! E’ lei ad averci emozionato, con la stessa empatia e lo stesso trasporto che ha il diverso, verso il proprio simile.




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Quella rosa bianca di Philosophy by Lorenzo Serafini – Milano Fashion Week 18

COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2018/19 DI PHILOSOPHY BY LORENZO SERAFINI
MILANO FASHION WEEK 2018

Ricordo un mio viaggio a New York, era un pomeriggio di settembre e passeggiavo per la Fifth Avenue, indossavo delle scarpe ovviamente, mentre le donne newyorkesi, sfacciatamente borghesi, giravano per le strade con degli abiti leggeri dalle code che strisciavano terra, adatti forse ad un cocktail o ad un party in piscina, sicuramente di marca, sicuramente pagati a caro prezzo, ma ahimè abbinati a delle sciattosissime infradito di plastica.
Perché? E’ la domanda che mi sono posta lungo tutti questi anni, e l’unica spiegazione che sia riuscita a darmi, non senza un certo fastidio, è che loro possono! E’ il gesto snob di chi se ne frega, di chi può vestirsi come gli pare, con due dollari di infradito e duemila sulle spalle.

E’ una noncuranza tipica di alcuni ceti, è un mixare poco ragionato, spesse volte si ottiene quel quadro disturbante che ho appena ricordato, altre volte si hanno risultati stupefacenti, come quando due esseri di differenti continenti si uniscono in matrimonio e danno vita a delle bellezze assai rare. Ed è il caso del mixing di Philosophy by Lorenzo Serafini.

Sempre attratto da un tipo di bellezza americana, dalla piccola Brooke Shields di Laguna Blu alla musa di quest’ultima collezione Margaux Hemingway, Lorenzo Serafini  si ispira per la sfilata milanese Autunno Inverno 2018/19.

Una bellezza alla Emmanuelle Seigner, misteriosa, oscura, la figura imponente dallo sguardo profondo e dalle sopracciglia che lo incorniciano, dall’aspetto guerriero, ma profondamente sensibile.

Le tute in pelle hanno il colore del pan pepato, l’acconciatura collegiale di chi deve sempre essere in ordine o sono punizioni, quelle severe, i merletti, i pizzi, le rouches da brava ragazza, iper femminili, simboli allegri un po’ frivoli eppure così casti.








L’abito con la gonna a tulipano è di un turchese vellutato che ricorda il Manto della Madonna, non quello marino che attraversi da Genova alla Sardegna, dalle sfumature infinite, ma quello custodito in una grotta per turisti in Calabria, quello consumato dalle mani delle più fanatiche religiose.

Le maniche dei mini dress sono ampie in stile vittoriano, di un rosa baby e i collant sono arricchiti da piccoli swarovski luminosissimi.





La rosa, quella rosa bianca onnipresente, quasi fosse lo stemma di una casata, la ritroviamo sulle cinture,  sui fiocchi bianchi o neri dei colletti, la rosa bianca, quel simbolo di estrema purezza e di sentimenti platonici, di amori aulici e devoti… ci aspettiamo una prossima collezione di forza e colore perché in genere, dopo la calma, arriva sempre la tempesta.

Sfoglia l’intera collezione Autunno Inverno 2018/19 di Philosophy by Lorenzo Serafini:




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Le immagino cavalcare dei maestosi purosangue inglesi, dal manto baio oscuro e dal galoppo elegante ma nervoso. Sono donne dal carattere forte e deciso quelle di Alberta Ferretti, che ogni collezione calca l’importanza del sesso cui è nata, la tenacia della natura femminile, l’indole combattiva nelle forme flessuose e morbide che la nascondono.

Le cappe e i possenti mantelli ben si prestano agli inverni rigidi, i cappelli da cowboy coprono lo sguardo come un cavaliere mascherato, il nero viene illuminato con dei bagliori dorati.










Protagonista assoluto il cappotto, in varie declinazioni, morbido in pelle, comodo oversize, a mantella dai colli avvolgenti, colorato o con inserti in pelliccia. E’ il cappotto che si nota nella stagione Autunno Inverno 2018/19, prima di ogni altro elemento. Gli accessori creano il perfetto equilibrio, quell’armonia fatta anche di contrasti, che Alberta Ferretti studia alla perfezione: il colore dei guanti, le altezze degli stivali, le misure dei cappelli, le forme delle collane e delle cinture.






Grintosa di giorno, la donna Alberta Ferretti FW 2018/19 mostra tutta la sua femminilità negli outfit serali: gli abiti si fanno scintillanti, le paillettes si colorano d’oro e d’argento, i gioielli sono piccole sculture, le cinture metalliche e il lurex si accende anche sui maglioni black dalle maxi spalline. Tutto sottolinea le forme della donna, che finalmente riprende le sue sembianze dopo anni in cui “le tendenze” hanno cercato di destrutturarla e imbruttirla. Grazie Alberta!






Guarda la collezione Alberta Ferretti Autunno Inverno 2018/19:



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Marilyn Monroe e Jacqueline Kennedy tornano a brillare sulla passerella di Moschino

MOSCHINO COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2018/19

Marilyn è stata uccisa o si è davvero suicidata? La sua energia, quella voglia di vivere da “bellissima bambina” come la soprannomino’ Truman Capote, anche lui avrebbe pensato ad un omicidio, lui che l’osservava mentre si mangiucchiava le dita e l’ascoltava “parlare sporco“, lui che le asciugava le lacrime quando quel giorno a Manhattan lei si disperava “Chissà cosa dirà la gente di me, se mi ricorderanno…Truman Capote, l’autore che in “Ritratti e osservazioni” avrebbe poi raccontato le debolezze di una star, le insicurezze mai superate, il bisogno costante di mostrarsi perfetta, truccata, habillè, lei, con quel viso che madre natura le aveva sfortunatamente dato, avrebbe ricorso alla chirurgia per eliminare la forma del naso “a maialino”, così si vedeva Marilyn, la bellissima Marilyn Monroe, la diva di Hollywood, l’eterno sex symbol.

E tra le donne che sfilano in questa settimana della moda milanese, c’è quella Marilyn. Come sarebbe se fosse in vita? Jeremy Scott prova a raccontarcelo, omaggia il suo nome e la sua figura iconica, regala a chi non ha accettato la sua morte, ancora quel po’ di magia, attraverso gli abiti che oggi l’attrice indosserebbe. E certo, sarebbero rosa, di quel rosa shocking, sarebbero glitterati e carichi di luce, come i diamanti, i suoi migliori amici.


Moschino FW 2018 – Marilyn Monroe


Ma la Hollywood dei ’50/’60 ci ha regalato un’altra icona, meno esuberante, decisamente sobria, perfettamente elegante: Jacqueline Kennedy Onassis, la first lady statunitense detta Jackie.

Pur non desiderandolo, le due donne erano in qualche modo legate; durante l’anno della carica kennedyana, si parlo’ della relazione extraconiugale che Marilyn aveva con l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America John F. Kennedy. Nello stesso periodo, si vociferava di un flirting tra la diva dai capelli platino e Anton Szandor Artur LaVey, il fondatore della chiesa satanica. Fu lui, dicono, a lanciare una maledizione su Kennedy per gelosia; ma le voci complottiste non portano da nessuna parte e non danno risposte.

Dalla sua, Jackie, ha regalato la maestà che al popolo americano era sempre mancato.
Il suo stile crea tendenze e detta legge, mai uno scivolone, paragonate a lei, le first lady successive sono ancora scolarette.

Jacqueline Kennedy – Moschino FW 2018


Era troppo perfetta” dice oggi Jeremy Scott, designer del brand Moschino, “un’extraterrestre“, una natura proveniente da un’altra galassia. Così la immagina: blu come un Avatar, ma dai capelli perfettamente acconciati, con i riccioli all’insu’ e il cappellino da brava ragazza, i guanti abbinati alla borsetta e gli abiti di un fluo ultraterreno.

Sono stelle cadute tra noi, brillano anche se non possiamo vederle, i loro nomi sfileranno ancora, sulle passerelle, nei libri, negli archivi di moda, tra le donne della storia.

Sfoglia la collezione Autunno Inverno 2018/19 di Moschino:



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TRUSSARDI COLLEZIONE AUTUNNO/INVERNO 2018

Da una parte c’è chi osa con lo show di teste mozzate e draghetti surreali, dall’altra rimane chi fa forza del proprio nome sulla sobrietà, sui capi must che hanno fatto storia, come il capospalla over Trussardi, il blazer sartoriale, il pantalone dalla linea perfetta.

E’ un inverno freddissimo in casa Trussardi, che vuole giacconi oversize sia in montagna che in città, la maglieria è di altissima qualità, le pellicce vengono stampate, il tartan si fa macro e la pelle nera viene arricchita da tagli di colore o da lampo per un effetto streetwear.



Volutamente senza tempo, nessuna distinzione tra daywear e casualwear, gli elementi Trussardi hanno le sfumature della luce, quella fredda di montagna e quella calda della golden-hour; e il soggetto montagna ritorna protagonista sulle t-shirt e sulle ampie silhouette importanti, che regalano un’aura di solennità ma che soprattutto proteggono dalle fredde passeggiate innevate.


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Il culto del saper fare italiano e un certo romanticismo japan, raccontano la collezione Autunno Inverno 2018 di Trussardi, che ha deciso di sfilare durante la settimana della moda milanese unendo l’uomo e la donna.

Gli accessori spaziano dai maxi marsupi unisex e zaini in tessuto tecnico. Shopping extralarge in pelle stampata o personalizzate con logo a ricamo e dettagli in pelliccia, tracolle intercambiabili, scarpe maschili iconiche e iper-tradizionali con linguetta e due fibbie laterali; per la donna stivali mezzo polpaccio e tronchetti con tacco medio nei toni del beige, blu notte e black.

Guarda la collezione Autunno Inverno 2018 di Trussardi:



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Cos’hanno in comune Freud e la collezione Daizy Shely SS18?

COLLEZIONE DAIZY SHELY PRIMAVERA ESTATE 2018

Il padre della psicanalisi Sigmund Freud, in uno dei suoi scritti rivela questa frase:

Non siamo mai così esposti alla sofferenza, come nel momento in cui amiamo”.

Veritiera lo è per tutti, per chi nel rapporto d’amore si butta senza paracadute, senza freni, senza maschere. Si diventa vulnerabili.



Daizy Shely
, la designer israeliana, si ispira a questa pulsione tra Eros e Thanatos per costruire una collezione giocata sui contrasti, su luci ed ombre, sugli equilibri instabili.

L’immaginario dei nostri desideri inventa la persona amata, la vita porterà a quel momento in cui bisognerà fare i conti con la realtà e sarà l’esasperazione della sensazione di ansia, di fine, di morte, di distacco, contrapposta alle euforie emotive del sentimento, di attrazione, di forza, tenerezza, dialogo, fedeltà e fiducia.

Nei colori della collezione Primavera Estate 2018 Daizy Shely, nella scelta delle forme e delle strutture, dei tessuti, delle linee femminili, si intuisce la trasformazione che avviene nella donna in questa fase complicata a cui tutte ci affacciamo.

Le stampe degli abiti rappresentano dei Cupido fluttuanti in cerca di armonia, e sono frutto della collaborazione con l’artista Umberto Chiodi.

Tessuti informali e maschili come il denim si abbinano ai più delicati pizzi macramè e crépon, muliebri, femminili.
Dolce in turchese, sensuale negli abiti a sirena, la donna Daizy Shely non rinuncia al suo ruolo nemmeno quando indossa il trench, trasformato in abito, che lascia libere spalle e décolleté.

E’ il suo modo di raccontarsi, multiforme, multisfaccettata come un prisma, e carica di luce nonostante i continui conflitti tra oscurità e felicità.

I colori must sono il verde acido, il rosso corallo, il giallo limone, il turchese.

Sfoglia qui tutta la collezione Primavera Estate 2018 Daizy Shely:



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Il viaggio Daks sul lussuoso British Steam Train

DAKS – AUTUNNO | INVERNO 2018-19


Eleganza british e qualche accenno di colore metropolitano, Daks London all’appuntamento moda più importante dell’anno, la Milan Fashion Week, non sbaglia un tiro.

L’uomo e la donna Daks si incontrano durante un viaggio (il brand ha deciso di unificare le sfilate womenswear e menswear a partire dalla stagione Autunno/Inverno 2018/19), a bordo del lussuoso British Steam Train.

A differenza del lungo tragitto sull’Orient Express, non ci sarà nessun assassinio, non ci sarà nessun Poirot sulle tracce di criminali, ma ci saranno molti colpi di scena. Perché la collezione Daks F/W 2018/19 si rivela nuova, moderna, frizzante, ma conservando lo stile raffinato e di gran gusto che la contraddistingue.


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Sono figure ironiche e irriverenti, l’uomo e la donna Daks condividono gli stessi gusti in fatto di estetica e bellezza, entrambe le collezioni sono complementari, si incontrano dal punto di vista materico, cromatico e tessile.

Il lunch sul British Steam Train si fa in gonna per la donna, una gonna a pieghe o a portafoglio, decisamente a vita alta per enfatizzare la figura e i fianchi. Le calze e i collant sono colorati, le borsette a mano, il cinturino delle scarpe alla caviglia, i cappelli sono maxi e si alternano a turbanti che riprendono i tessuti delle giacche e delle camicie.

L’uomo opta per la maglieria in lana merinos e shetland, i dettagli sono frizzanti nei colori del verde, del ruggine, del burgundy, del rosso fino al giallo ocra e sono colori base per le stampe floreali che ricordano le antiche tappezzerie del luxury British Steam.

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Per la sera la coppia Daks si tinge di neri, velluti i pantaloni di lui e le giacche di lei, le rouches e i volant adornano i capi femminili, i fiori fanno capolino sui rovere dei blazer, in tessuto ovviamente, le cinture sono piccole catene in oro vecchio ed entrambi indossano i guanti, che completano il look.

Guarda la collezione Daks London Fall Winter 2018/19:



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