Max Papeschi, arte pericolosa

MAX PAPESCHI – ARTE PERICOLOSA

Ha venduto sua madre all’asta, ha deflorato Minnie lanciandone il video integrale su YouPorn per poi ricorrere al matrimonio riparatore, ha ricoperto il ruolo di Ambasciatore Culturale della Corea del Nord, se pensate di aver vissuto un periodo pulverulento dell’arte, allora non conoscete Max Papeschi, il genio del marketing.

Artista italiano tra i più conosciuti all’estero, Max Papeschi ha un passato da autore e regista teatrale, cinematografico e televisivo; buca il mondo dell’arte contemporanea nel 2008 per lasciare il segno. Per sempre.

Racconta le sue marachelle artistiche in “Vendere Svastiche e Vivere Felici” l’autobiografia edita da Sperling & Kupfer (Gruppo Mondadori) uscita nel 2014. Che è matto da legare lo ammette, forse non si rende ancora conto del clangore che risuona oggi, dopo aver lanciato sul mercato l’Eau de Parfum Hitler n.5, vestito Topolino con la divisa fascista, beffeggiato il leader nordcoreano Kim Jong-un, dissacrato ogni simbolo della storia, esorcizzandone il significato attraverso l’uso delle arti.

Max Papeschi

Non ti manca tua madre, dopo averla venduta all’asta per due spicci?

Quello è stato il momento più divertente. Era un periodo di grande successo, titoli di giornale da ogni parte del mondo, rientravo dal successo mediatico della deflorazione di Minnie su Youporn, durante una cena dico al mio agente “Ma sì, in fondo chi se ne frega della notorietà” e lui mi risponde “Ma se venderesti tua madre per avere un altro anno così“.

Nasce quindi da una battuta.

Esatto, ma tutto il polverone mediatico di news è stato realissimo, giornalisti che chiamavano a tutte le ore e da ogni parte del mondo, nessuno a cui interessava smentire la notizia, piuttosto era importante che i giornali per cui lavoravano facessero clickbait.

Ma tua madre come l’ha presa?

Mia madre si è rifiutata di interpretare mia madre in galleria (ride), al Rinascimento Contemporaneo di Genova, per cui ho dovuto ingaggiare un’attrice datata che sedesse su una sedia, con accanto un trolley e un cartello che citava così “Mamma di Max Papeschi”. E’ stato divertentissimo. In Italia mi chiamò anche Giancarlo Magalli per invitarmi alla trasmissione I Fatti Vostri, ovviamente accompagnato dalla mia vera madre e lei ha risposto “Neanche morta”.

Ma qualcuno l’ha comprata?

L’abbiamo messa fuori a un milione di Euro per essere certi che nessuno la comprasse veramente. (ride)

E se si fosse presentato uno sceicco per riscattarla?

Pensa che imbarazzo, avrei dovuto dire all’attrice “Scusi signorina, mi spiace ma deve seguirlo”.

NaziSexyMouse, Max Papeschi artwork

Perchè non hai lasciato Minnie alla sua illibatezza?

Volevo fare sesso con uno dei miei personaggi, e ho scelto Minnie. Ha seguito le stesse orme di Paris Hilton e Pamela Anderson, sai quelle scelte di marketing studiate a tavolino, lanciate quasi per caso sui canali porno per poi regalare al personaggio notorietà e visibilità immediate, contratti, e lavoro. Abbiamo caricato un video integrale su YouPorn, (la Minnie reale era un’attrice porno), abbiamo pensato che Disney, una volta uscito il video, l’avrebbe licenziata poverina, così sono stato costretto a sposarla, per ridarle onestà e dignità.
Ultimamente ho ricevuto una mail di una pagina e mezzo di un fan che elogia il progetto e che mi chiede di spedirgli il video perchè non lo trova più su Youporn, proverei su Redtube.

Un mockumentary?

Esattamente, come quando nel 2016 sono stato nominato Ambasciatore del Ministero della Propaganda Sociale e Culturale della Repubblica Popolare Democratica di Corea del Nord da Kim Jong Un in persona. Si sono scomodati tutti i giganti dell’arte per omaggiarlo, Marina Abramovic, Banksy, Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan, Lucio Fontana, Piero Fornasetti, Damien Hirst, Jeff Koons e Andy Warhol.

E sei ancora vivo?

Il Consolato della Corea del Sud ha richiesto subito un incontro, mi hanno confiscato il cellulare per evitare che registrassi. Sul tavolo la console aveva un dossier grosso quanto una casa, con su il mio nome.
La foto di Kim Jong Un che mi stringe la mano era su tutti i giornali sudcoreani che dicevano “Artista italiano finge di essere l’Ambasciatore della Corea del Nord”. Mi sono divertito un sacco.

Avrai dei legali che ti tutelano in casi come questi?

No. Io sono proprio spericolato.

Sei matto. Ma quante volte sei finito nei casini?

Dipende cosa intendi per casini, perché quei casini sono gli stessi che mi divertono.

Casini economici, anche.

Nessuno. La Corea del Nord non ti fa causa per una buffonata. Al massimo ti fa ammazzare.

The Leader is Present

Hai fatto niente che fosse realmente pericoloso per la tua incolumità?

Il grande vantaggio dell’ arte contemporanea è che si ha la possibilità di utilizzare brand, loghi, personaggi noti, per il tuo racconto, per giocare su una realtà distopica. Anche se le minacce, mi sono arrivate eccome.

Minacce da chi?

Nazisti polacchi. Si sono offesi perchè ho denudato Minnie che posa davanti ad una svastica. “Quando vieni in Polonia, vedrai”. Insomma in Galleria avevo le guardie del corpo.
Ma si è offesa anche la comunità ebraica perchè “usi la svastica per le tue cazzate”. Poi i patrioti americani che hanno detto “non è una svastica, stai dicendo che gli americani sono dei mezzi nazisti”. E la pagina di giornale “Max Papeschi must die.” Un pochino fa paura, ho pensato, potrebbe spararmi uno psicopatico con disturbi mentali durante una mostra.

Just Married 2008

Il tuo linguaggio è la provocazione?

Il mio linguaggio è racconto. E’ satira. Io arrivo dal teatro, ho giocato sulle nevrosi e sulle ipocrisie della civiltà occidentale. Erano gli anni ’90, periodo di grandi pubblicità e consumismo; la tv era l’Internet di oggi, dove c’è sempre qualcuno che ti indirizza ad una scala valoriale che gli porta soldi.

“Extinction”, il tuo ultimo lavoro artistico, sta toccando diverse tappe, dalle gallerie di Milano alla “Soglia Magica” di Malpensa. 54 statue con il corpo dei guerrieri di Xi’an e le teste di nani da giardino scoperti da una razza aliena. E’ un monito contro il rischio di estinzione della razza umana?

Io credo che la razza umana tenderà sempre a cavarsela, ma non senza aver subìto sofferenza, così come ci insegna la storia. La povertà che ci toccherà non sarà solo economica, ma culturale, e la stiamo già vivendo.

Max Papeschi artwork, cover creata appositamente per il numero cartaceo di SNOB


Credi che l’AI aiuterà la razza?

Credo che il 50% della popolazione perderà il proprio lavoro e faticherà ad arrivare a fine mese, oltre a perdere stimoli intelligenti. L’AI entrerà senza dubbio nella vita di tutti i giorni, i cellulari l’avranno integrata, i taxi si guideranno da soli (A San Francisco è già realtà), soppianterà le macchine e i lavori noiosi che possono logorare l’essere umano, come quello del mulettista, del corriere o del magazziniere. Se queste persone, una volta perso il mestiere, saranno in grado di soddisfare i bisogni secondari e terziari altrove, quindi gratificandosi, allora sarà meraviglioso, in caso contrario ci sarà una grande crisi e senza dubbio un’evoluzione della razza.
Spero solo che non entri di petto nella creatività.

Perchè?

Perchè è tutto troppo perfetto e noioso.
Anche io ho iniziato a studiare le dinamiche di Midjourney, un’estetica effetto marmellata, dieci macro categorie
che si ripetono. L’AI deve essere un mezzo per elaborare tempi complessi, diventa uno strumento meraviglioso solo se lo guidi tu, non se lo lasci all’anarchia.

Domanda di rito. Quanto sei snob?

Comincio a soffrire il disinteresse dilagante alla cultura, la totale ignoranza della storia e del tempo presente, arma utilissima per la risoluzione dei problemi, la comprensione dei macrofenomeni e dello spirito del tempo, il concetto di zeitgeist. Se tutto questo manca, si rimane totalmente indifesi.
Questo snobismo culturale, ti devo dire la verità, ce l’ho.

Rien 2023, seconda cover del numero cartaceo di SNOB 2024

Tenute Tomasella in degustazione al ristorante Joia, il primo stellato vegetariano

TENUTE TOMASELLA 

Un esperimento dove si sono incontrati la cucina etica e sana di Joia, ed il vino sostenibile di Tenute Tomasella, un esercizio di gusto e rispetto per il Pianeta. Joia, il primo ristorante vegetariano a ricevere la stella sotto la guida di Pietro Leemann, Chef, scrittore e sostenitore della cultura vegetariana e della filosofia naturale, e i vini di personalità di chi dal ’65 è tornato alla terra per regalarci una produzione vinicola diversificata e di carattere, Tenute Tomasella sceglie la semplice e complessa cucina verde per una degustazione che mira ad esaltare ogni piatto.

Luogo straordinariamente vocato e al contempo assediato da controversie e contraddizioni, Tenute Tomasella ha radici a Mansuè, nella provincia di Treviso, a cavallo tra la DOC Friuli e la Prosecco DOC Treviso. Due terre di confine, il Friuli ed il Veneto, da cui i vini trarranno il meglio, 50 ettari vitati dove rispetto per il territorio e amore per la diversità, regaleranno un prodotto enologico per definizione ricco di storia.

Se dalla proprietà arriva la loro definizione “Siamo diretti come il nostro vino, pane e salame“, la degustazione dei vini Tomasella al Joia regala invece qualcosa di più della semplicità (anche se gustosissima) di pane e salame, perchè ogni bottiglia ci racconta un pezzo di storia e una sorprendente e potente personalità nei merlot, in terra di prosecchi. L’orgoglio della distinzione laddove il prosecco è scontato, anche se mai demodè.

Ad “Anima Mundi”, un risotto, piatto al centro di ogni cultura internazionale, mantecato vegetale, carote novelle, asparagi alla brace, olio all’aglio orsino (raccolto a mano in montagna dallo Chef), spuma di cavolfiore arrostito e curry, viene abbinato un Bastiè Bianco Friulano Friuli Grave Doc riserva 2016, prodotto di punta dal profumo fine e intenso, ottima persistenza con ricordo di vaniglia, e un finale avvolgente con note mielose.

Altra punta di diamante di Tenute Tomasella, il Pinot Bianco Rigole, Spumante Brut dai sentori fioriti, pieno e avvolgente al palato, perfetto in abbinamento con i germogli brassicales con farina di carrube e maionese vegetale, ma anche con cecina, maionese al curry, pak-choi.

Con un capolavoro della cucina vegetariana di Joia, il tempè fermentato e glassato con riduzione salsa ponzu in purezza (lenticchie e semi zucca), un cubetto laccato di un marrone puro che tanto ricordava una glassa di vino rosso, arriva nel suo mantello rubino intenso il Bastiè Rosso 2016, un Merlot Friuli Grave DOC che diventa protagonista tra le bottiglie che lo han preceduto. Raffinatezza nel profumo, ribes rosso, spezie, caffè, prugna secca, muschio, pepe nero, corpo generoso e persistente, un vino vellutato che non si fa dimenticare, di quelli con cui andresti a braccetto anche senza cena.

E sempre a base di Merlot, il Chinomoro, un merlot chinato da fine pasto, 20 erbe aromatiche tra cui il cardamomo, il coriandolo, l’assenzio, perfetto con il cioccolato, e qui in abbinamento con il cubo di cocco, cuore di infusione di vaniglia, lime, cioccolato, menta, basilico, ciliegia e frutto passione. Di quei vini ricchi, habillè da grand soirée, che leniscono ogni male, da bere anche soli in meditazione.

Se Charles Baudelaire, tra i più celebri lodatori del vino, a cui dedicò vari componimenti ne “Les fleurs du mal” ci ricorda:

Dio aveva creato il sonno, l’uomo vi aggiunse il vino

pur per ragion di santità come soleva fare Tommaso, dovreste recarvi nelle Tenute Tomasella, e scoprire a pieno i valori di quest’azienda, che nel 2026 avrà totalmente raggiunto la conversione al biologico. Fare un tour della cantina, una passeggiata tra le vigne, vivere la tradizione a scoprire il territorio attraverso la voce degli esperti, e soprattutto portare a casa, non solo il ricordo vibrante e indelebile degli assaggi, ma il dono di Dionisio, che dispensa allegrie e libera dalle preoccupazioni. Un vero rimedio passe-partout!

MARIO SCHIFANO. COMPAGNI IN UN’OASI SOTTO IL CIELO STELLATO

Un vero atto di mecenatismo come non si vedevano ai tempi della Guggenheim, la mostra “Mario Schifano. Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato”, è il vero regalo che dovreste farvi in questa quanto mai caotica Milano Design Week, uno spazio surreale dove per la prima volta in assoluto, avrete l’occasione unica di vedere le opere mai fotografate e mai esposte prima, del grande artista Mario Schifano.

La location, un ex convento ristrutturato e oggi adibito a spazio multifunzionale, head quarter di Hopafin S.P.A., società specializzata in rent luxury appartment, è aperta al pubblico fino al 19 maggio 2024 ed ospita ben venti tele realizzate dal maestro della Pop Art negli anni Sessanta.
“Inevitabile viaggio a Marrakesh” – “Compagni” (bacio), del 1968 – Oasi (o Palme) – e 8 incredibili tele “Tutte stelle”  del 1967 – che furono le pareti della stanza di Patrizia Ruspoli, principessa la cui dimora romana fu dipinta da Mario Schifano con stelle realizzate a stencil spray.

La mostra è forse un evento che non si ripeterà mai più nella storia, una chicca dal cogliere al volo per poter rivivere il percorso artistico e il pensiero di Mario Schifano, che fu il primo vero sperimentatore delle tecniche pittoriche; opere provenienti da collezioni private e proprietà di Roseto, vi faranno viaggiare nei luoghi deserti in cui Schifano riproduceva le famose palme. Di ogni dimensioni e colore, le palme forse sono il ricordo lontano delle radici d’infanzia, quelle libiche della nascita, zone di luce e d’ombra attaccate all’artista come una sorta di nostalgia, la dolce-amara melanconia che cercò di scacciare con le cattive abitudini. Ma lo sanno bene le nature saturnine, che è in questi anfratti che si sveglia la coscienza e l’intuizione, lì dove il dolore non passa.

Di rosso e nero laccata, l’opera “Compagni Compagni” cattura magneticamente l’attenzione; qui c’è tutto il pensiero politico di Schifano e la cronaca del suo tempo, una tela coperta da una lastra di plexiglass che riflette il paesaggio circostante (una scelta voluta?).

Non c’è mai in me il desiderio di ricreare la realtà, le cose sono tutte diverse tra loro ed io voglio rappresentarle nella loro diversità; la mia maniera è guardare.”

In questa affermazione, Schifano ci accompagna alla visione di una realtà personale e personalizzata, il nostro sguardo all’interno della mostra converge nell’esperienza che abbiamo dell’arte e nella conoscenza della vita dell’artista ma, se rispettiamo il suo concetto di “reale”, allora, forse, avremo la possibilità di viaggiare in quei luoghi che egli stesso ha voluto immortalare per donarceli. E allora una palma non sarà una semplice palma, ma una fotografia di Marrakesh che lo ha fatto innamorare. E il gesto di una bomboletta spray non sarà un semplice schizzo istintivo, ma la padronanza della tecnica che viene semplificata e modernizzata dal presente, un presente che Mario Schifano viveva come fosse l’ultimo presente, assorbendone tutta l’energia e la vitalità.

Mario Schifano. Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato” è una mostra promossa da Roseto e Harves, nuova società specializzata nell’intermediazione di proprietà di pregio del segmento luxury real estate sostenuta da Hopafin, holding leader in Italia e una delle più importanti in Europa a governo di un gruppo con core business nel settore immobiliare e creditizio.

Curata da Monica De Bei Schifano e Marco Meneguzzo, e organizzata da Art Relation di Milo Goj, società leader nella consulenza per il mondo dell’arte, in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano, la mostra ripercorre temi importantissimi della narrazione d’artista, dal periodo musicale psichedelico (è nel 1966-67 in collaborazione con Ettore Rosboch che Schifano forma la band “Le stelle di Mario Schifano”) ai movimenti della contestazione politica.

La mostra riguarda un periodo breve e intenso di Schifano, che lo vedeva da un lato impegnato a vivere, a condividere e a registrare in pittura i cambiamenti nel costume – a partire dalla conquistata libertà nelle relazioni e dalla liberazione sessuale” afferma il curatore della mostra, Marco Meneguzzo. “Inoltre costituisce un unicum e una prospettiva assolutamente nuova nella pur vastissima serie di mostre su di lui. In mostra sono esposte opere di grandi dimensioni, realizzate appositamente per personaggi che come lui stavano vivendo le stesse sensazioni, e mai più esposti da allora, come la stanza “Tutte stelle” – dal pavimento al soffitto un ambiente psichedelico – realizzato per Patrizia Ruspoli”.

Siamo orgogliosi di ospitare questa mostra nel nostro spazio, un ex convento, gioiello nascosto nel cuore di Milano. chiostro diventato oggi uno spazio privilegiato per sviluppare connessioni tra l’universo artistico e il contesto cittadino – afferma Andrea Pasquali, Amministratore Delegato di Hopafin S.P.A.

E la sensazione che vi porterete addosso, dopo la visita alla mostra, è di leggerezza autentica, un riassunto di tutta la sua vita, dagli incontri al Caffè Rosati di Roma, con gli altri Fellini, Moravia e Pasolini, ci si ritrova l’eco di quelle conversazioni; dai colori della Factory di New York, si sente il profumo della psichedelia e tutto quell’apparente caos della sperimentazione ossessiva e assetata che l’immensa e numerosa produzione artistica può confermare.

Mario Schifano. Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato” è forse quella cuspide di civiltà che gli affamati d’arte e di vita come noi aspettavano.

MARIO SCHIFANO. COMPAGNI IN UN’OASI SOTTO IL CIELO STELLATO
DATE: 17 aprile – 19 maggio 2024
LUOGO: SPAZIO ROSETO, corso Garibaldi 95, Milano
Dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 19.00

Chiara Boni Collezione Fall Winter 2024/25

MILANO FASHION WEEK
CHIARA BONI FALL WINTER 2024/25


Piratessa, condottiera, cavallerizza, gran dama, la donna Chiara Boni per questa collezione Fall Winter 2024/25 ha la grinta, la verve, la passione di chi sta andando in battaglia, si tratti di un business appointment o di una sfilata da grande soirée.

La notte si trasforma in un bellissimo fiore, dai toni accessi e brillanti, come il blu notte al chiaro di Luna dai drappeggi a tulipano, o il rosso indimenticabile di una rosa, elegantissima.

Gioca con gli accessori che prende da epoche e luoghi lontani, come il chocker vittoriano con cammeo, simbolo di saggezza e protezione, nato come pegno d’amore e il cui artigianato minuzioso si tramandava di generazione in generazione; e le preziose spille che sorreggono drappeggi e arricchiscono il look sui colletti e in vita.

Austera sia negli abiti bustier che nei long dress in velluto porpora dallo scenico voile che la trasforma in una farfalla notturna, la donna Chiara Boni detta un nuovo must have del guardaroba: il frustino!
Onnipresente accompagnato da guanti in pelle nera, il frustino si fa spazio accanto ai completi scozzesi e sull’iconico tessuto del brand, il jersey, perfetto per assecondare le linee femminili.

Quella di Chiara Boni è un’eleganza senza tempo, che abbraccia le mode con leggerezza, regala alla donna un’allure francese, richiama i tessuti britannici (come lo spigato, il Principe di Galles), l’arricchisce dei colori della natura, dal mirtillo al muschio, dal blu artico al viola lavanda, ma l’attitude, la fierezza, quella è decisamente Made in Italy.

Guarda tutti i look della collezione Fall Winter 2024/25 Chiara Boni




Calcaterra Fall Winter 2024/25

Matèria

Calcaterra Fall-Winter 2024/25

Se esiste un capospalla perfetto, è certamente firmato Calcaterra, che in questa collezione Fall Winter 2024/25 lo rende il protagonista del guardaroba.

Dalle misure over e dalle strutture geometriche, il caposcala si fa comodo, dalle lunghezze maxi, lasciando libero il corpo e arricchendosi di dettagli femminili, come i maxi fiori applicati o lasciando uscire i fiocchi e le stoffe della camicie.

Chic, mai costretta in abiti seconda pelle, la donna Calcaterra è libera dalle costrizioni, gioca con le forme maschili, gli accessori come le borse diventano dei maxi contenitori dalle forme geometriche, rotondi, rettangolari e trapezoidali, quasi degli origami che aprendosi svelano uno spazio nascosto.

Notte o giorno non ha più importanza, bisogna essere sempre pronte ed eleganti, per cui il raso e le sete si coprono di pellicce e le giacche si scoprono con tagli alla Fontana.

Se il look è sciolto, i capelli sono perfetti, impomatati in un’acconciatura con riga laterale e dal taglio maschile, corto sempre più corto, per non doversene preoccupare.

Pantaloni con riga perfettamente stirata, dalla vita alta, altissima, sì ai guanti e meno ai gioielli, pochi ma dalle stesse linee dell’outfit, con cerchi e catene maxi; i colori sono quelli caldi dell’autunno, perfetti per un genere “autumn deep warm“, ruggine, bordeaux, zafferano, torba, bianco latte, dattero, rosa antico, geranio, verde bosco, tabacco, un bellissimo bouquet che scalda.

La collezione di Daniele Calcaterra è ricca della materia di cui è fatta la terra, dei suoi colori e delle sue profondità; sceglie i tessuti più pregiati, lane, sete, shetland, cotoni preziosi, alpaca e upcycled fur. I veri gioielli sono i fiori, che ritornano su capispalle e scarpe, il giglio pure e la peonia.

Antonio Marras FW24/25, il legame indissolubile con la sua terra e un omaggio alla forza delle donne

Antonio Marras FW24/25, il legame indissolubile con la sua terra e un omaggio alla forza delle donne

Teatrale e poetico come sempre, Antonio Marras omaggia nella collezione autunno inverno 2024/25 un personaggio femminile che ha difeso i diritti delle donne, Eleonora d’Arborea, Principessa 👑 medievale di Sardegna.

Vissuta tra la metà del 1300 e i primi ‘400, la Judicissa si è battuta per le ingiustizie e ha redatto trattati a favore del “sesso debole”; sudditi e regnanti si mescolano in questa sfilata, dove compaiono cavalieri e dame, cotte di maglia e copricapi danteschi, acconciature prese direttamente dal ritratto “Dama con ermellino” di Leonardo da Vinci (1452-1519), testi scritti sui volti femminili che sembrano veli, maschere di perle, donne in armature dorate. 

Qui Marras accarezza ancora una volta la donna, ne sottolinea il carattere e la forza, l’intelligenza e la perseveranza, un atto di amore a cui ci ha abituati, insieme ad una scenografia e ad un mini spettacolo teatrale che tiene incollati e che invoglia a vederne il finale.

(foto Alessandro Lucioni)

Flower Burger festeggia 8 anni di colore e gusto

Se avete visto una vetrina di panini colorati, è certamente quella di Flower Burger, che ha fatto del colore il suo tratto distintivo. Ma non solo, perchè Flower Burger ha da sempre sostenuto la cucina vegan, con un approccio inclusivo. Una strategia che abbraccia tutti i gusti e tutte le scelte, accompagnando anche l’onnivoro in quello che per Flower Burger è etica con gusto.


Il primo Flower Burger è nato a Milano nel 2015 ed oggi è diventato il primo vegan fast food per punti vendita al mondo; conta infatti 20 store tra Italia, Francia e Olanda, sviluppando un marchio inclusivo plant-based attraverso proposte di colorati hamburger e gustosi dessert vegani.

Founder è Matteo Toto, imprenditore under 40 che comprendendo la forte assenza sul mercato italiano di proposte vegan di fast food, concretizza passo dopo passo il nuovissimo concept, dalla prima apertura in Porta Venezia fino al suo modello odierno di business, suddiviso in tre unità:

– la Flower Factory, centro produttivo dei core ingredients
– i punti vendita diretti situati in luoghi strategici a favore di mercato
– e i franchising.

La mission è dimostrare come si possa mangiare vegano senza rinunciare a gusto e divertimento, responsabilizzando il consumatore a un’alimentazione sana in locali rispecchianti la brand image colorata e frizzante. Pane colorato, salse artigianali, contorni sfiziosi, un menù di ricette studiate minuziosamente per rendere ciascun piatto unico, in equilibrio tra lo spirito salutista e l’amore per il fast food: un’offerta ricca e in continua evoluzione, capace di stupire anche i carnivori più scettici.

La visione positiva delle diversità si riflette così nel motto dell’azienda, “Different by nature”, valorizzando le differenze con elementi di originalità e unicità: amante e amato da una clientela sempre più variegata e diversificata, il brand diventa punto d’incontro per tutte le comunità.


Tutti i preparati sono fatti artigianalmente, dalle salse ai contorni, ai burger, non vengono usati coloranti o conservanti, il colore stesso dei panini è ottenuto dalle farine di carote viola, barbabietole e altri cibi che hanno naturalmente quel dato colore. Le bottiglie utilizzate in qualsiasi punto del mondo F.B. sono in PET 100% riciclabili e composte interamente di plastica riciclata. Ma la grande forza del progetto Flower Burger, che l’ha portato al successo, è l’abolizione di ogni stereotipo sul veganesimo. Quanti onnivori non sono mai entrati in un ristorante vegan? Moltissimi, spesso con l’unica ragione di avere il pregiudizio che vegan sia uguale ad assenza di gusto o carenza di scelte alimentari. Al contrario, da Flower Burger, vi accorgerete di quanto le verdure ed ogni singolo alimento acquisti sapore, proprio perchè cucinato con ingredienti naturali. Mangiare un panino qui significa provare un’esperienza nuova di gusto, che prima di tutto rallegra gli occhi.

Noi consigliamo il Cherry Bomb (l’impasto di farina di tipo 1 viene mixato alla polvere color rosa derivante dal succo di barbabietola chiarificato e concentrato; a tali pigmenti, l’estratto di ciliegia contribuisce alla tonalità finale del bun; con semi di sesamo), con pomodori confit, salsa rocktail (la sua realizzazione passa dalle salse più celebri al mondo: ketchup, senape e Flower Mayo, arricchite dal sapore marino dell’alga nori e dalla nota alcolica del brandy), flower cheddar (fette vegetali con gusto aromatico che richiama il tipico cheddar inglese, senza lattosio né latticini), burger di lenticchie (prima lessate, vengono poi mescolate con riso basmati e verdure tritate per dare vita ad un patty compatto e di sostanza), insalata gentilina e germogli di soia.


Festival di Sanremo, la parola agli stylist

Mai come in queste serate, la televisione ha la funzione del caminetto, tutti intorno ben disposti a riscaldarsi“,

Carlo Giuffrè in merito al Festival di Sanremo.

E lo è tutt’oggi un evento che unifica l’Italia, pronta a votare la canzone migliore, a giudicare i cachet da capogiro, a riconoscersi in un brano, ma soprattutto a valutare il look che si potrà copiare o fucilare fino al prossimo Sanremo.

Una corsa allo stylist più bravo, più inserito nel contesto moda, un palco a metà dove il cantautore si affida a quel ruolo oggi più che mai sotto i riflettori, lo stylist.

Li abbiamo intervistati per comprendere meglio cosa c’è dietro le loro scelte d’immagine.



SUSANNA AUSONI

Stylist di Annalisa

Questo è il Festival della canzone italiana o il Festival dello Stile?

E’ una domanda che rimando a te. Il disequilibrio tra musica e stile è stato creato dai giornalisti.
Il Festival dagli anni 2000, quelli dei miei inizi, ad oggi, è certamente cambiato, anche se è sempre stato un grande evento attenzionato, dove i contenuti sono sempre più importanti.
Oggi i giornali fanno le pagelle, è una moda che copiano tutti, spesso senza conoscere il lavoro che sta dietro al personaggio, voti dati a casaccio in maniera poco obiettiva. I social fanno il resto, un altro luogo di democraticizzazione del giudizio senza conoscenza. Sembra di vivere gli ’80, l’epoca dei paninari che compravano le Timberland omologandosi per sentirsi parte di un gruppo.

C’è una corsa al brand lusso acchiappalike?

Purtroppo sono in tanti a trincerarsi dietro il marchio, il pensiero è “piacere alla Milano fashionista per essere cool”; la verità è che si è perso il coraggio, quello che aveva Loredana Bertè nel lontano ’86 quando fece scandalo indossando sul Palco dell’Ariston un finto pancione.
E’ un vero peccato perchè il lavoro più interessante dello stylist sta nella ricerca, ma le famigerate pagelle fucilano i colleghi se scelgono brand minori, anche sconosciuti, ma che alle spalle hanno importantissimi uffici stile, notizia nota solo agli addetti al settore.

Quest’anno è il brand Dolce & Gabbana a vestire Annalisa, una scelta che esalta il made in Italy, perfetto per lei e coerente con il dna del Festival, per l’appunto Italiano.

Quanto è importante per la carriera di uno stylist, vestire un cantante ad un evento di portata nazionale?

C’è chi firma lavori anche senza avere una lunga esperienza, non sempre la competenza è sinonimo di successo.
Certo il Festival è un palco importante ma rischioso per chi fa questo mestiere, perchè si è sotto i riflettori, oggi più che in passato, e sbaglia anche chi ha tanti anni di lavoro alle spalle.
Il Festival regala uno spettacolo meraviglioso, dove per noi stylist si è però persa oggettività e freschezza.

FLORIANA SERANI

Stylist di Fred De Palma


Quanto lavoro psicologico, oltre che di ricerca stilistica, c’è nell’approccio al personaggio?

Personalmente cerco sempre di conoscere la persona prima del personaggio.
Chiedo di essere coinvolta nell’ascolto della canzone in gara, e di costruire intorno a questa, un immaginario visivo che dia forza al suo mondo musicale, partenza sempre dal cantante.

In queste tue scelte, la casa discografica e l’ufficio stampa del cantante, sono coinvolti?

Non in questo caso, anche se per alcune attività ad un certo punto del lavoro ci si confronta sempre.

Hai mai ricevuto richieste strambe da parte dei cantanti?

Spesso succede che richiedano stili non ancora sviluppati da designer, sembra assurdo ma la fantasia è tanta; e in questi casi si passa ad un lavoro di custom creativo, con l’appoggio di sarti. E’ la parte divertente del lavoro, creare ciò che ancora non esiste sul mercato.

Quanto coraggio hanno oggi gli stylist al Festival?

Dipende molto anche dal rapporto tra stylist-artista.
Conoscendo Fred De Palma da diversi anni, so che per lui è importante mantenere la sua identità, rispettando anche le “etichette” d’eleganza del Festival. Il mio lavoro è non snaturare l’artista e portare avanti il suo linguaggio streetwear che nel brand Ssheena ha avuto un buon alleato.

Che cosa fa la differenza in un lavoro di styling, rispetto ad un altro, al Festival di Sanremo?

L’essere di supporto all’artista, alla canzone, allo show. In sintesi lo chiamerei lavoro di coerenza.

GIUSEPPE MAGISTRO

Stylist dei The Kolors

Come si prepara uno stylist ad un Festival di Sanremo?

Con i The Kolors il lavoro è iniziato sei mesi fa, siamo partiti dalle ispirazioni anni ’80, dalle forme, dalle strutture delle giacche, dai gruppi funk come gli Spandau Ballet, ai look del cantante britannico Nick Kamen, cercando di sintetizzare quel periodo fantastico per la moda e attualizzandolo, semplificandolo. Il minimo comune denominatore trovato, ci ha portato alla pulizia e all’eleganza di Armani. Ne è uscita un’immagine dei The Kolors pulita e senza fronzoli, in target con Sanremo e soprattutto che ha saputo valorizzare tutti e tre i musicisti.

Quanto conta il loro gusto personale e quanto la visibilità che regala un determinato marchio?

Fondamentale per me è rispettare il dna dell’artista, perchè sul palco c’è un essere umano.
Io cerco di sapere il più possibile di loro, dei loro gusti, delle loro preferenze, andando a togliere il superfluo, puntando sulla qualità di certe scelte, sui tessuti, sulla sartorialità. Con Maison Armani, nella serata finale, ci saranno ricami, punti vita, pantaloni a palazzo vita alta, per un effetto wow. La fortuna con i The Kolors è che hanno non solo una grande passione per la moda, ma una fisicità adatta a supportare ogni tipo di richiesta.

Quanto ancora lancia icone di stile il Festival di Sanremo?

Oggi ci sono delle scelte nteressanti, il Festival è certamente un palco dove si sta tornando a sperimentare, ed è una bella sorpresa ripensando a 15 anni fa quando la ricerca andava scemando. Se anche i brand internazionali decidono di rappresentare i cantanti in gara, questo dovrebbe farci pensare che si è sulla giusta strada, che stiamo lanciando messaggi universali.

Sanremo 2024 – le interviste ai Negramaro e Mahmood

Dalla Sala Stampa Lucio Dalla del Festival di Sanremo, le conferenze stampa dei Negramaro e Mahmood

NEGRAMARO

Questa sera farete un duetto con Malika Ayane, un omaggio a Lucio Battisti con la cover “La canzone del sole”, com’è nata l’idea?

Battisti ha fatto irruzione nelle vostre vite, siamo tutti un po’ le canzoni di Battisti.

19 anni fa salivate sul Palco dell’Ariston con “Mentre tutto scorre”, oggi il ritorno.

E’ come un esame di maturità, una circolarità infinita; il claim di “Ricominciamo Tutto” non è casuale, abbiamo impresso con le parole momenti importanti, e Sanremo è una iniezione di fiducia e uno stimolo forte a fare della grande musica. Dopo 20 anni di concerti stupendi, Amadeus ci ha chiesto di tornare insieme, un gesto d’amicizia, per fare l’ultimo Sanremo in gara, con una canzone che è visione ed emozione.

Nel 2005 “Mentre tutto scorre” è stata eliminata da Sanremo, poi però siete risultati primi in classifica negli ascolti. Anche in questo Festival siete primi in radio ma non nella classifica generale.

Sanremo è un palco, se non lo si vive come gara, si suona come in un Festival Europeo. Noi porteremo sempre la nostra visione musicale, senza pensare troppo ai numeri, continuando a suonare per strada, davanti al mare, nelle cantine. Suonare, suonare ovunque.
Lasciamo i numeri a chi nasce con i numeri, a chi fa milioni di views sul web, ma non vende un disco.

Che messaggi vuole lanciare la vostra canzone?

Rinascere. Esistono persone che non riescono a rinascere pulite, come i carcerati, percepiti sotto l’occhio del pregiudizio. Se fosse così sempre e per tutti, questa vita sarebbe una prigione, dobbiamo invece dare la possibilità a tutti di sentirsi migliori e migliorati. Io stesso vorrei essere diverso agli occhi degli altri, e rinascere. Sempre.

Come si fa per mettere d’accordo due generazioni?

Si è Negramaro.
Io odiavo Modugno perchè era la musica di mio nonno, dopo 20 anni l’abbiamo compreso e accettato che fosse irraggiungibile. Anche noi saremo irraggiungibili.

Qual è il potere della musica?

La musica guarisce. Noi insieme, grazie alla musica, ne abbiamo superate tante.

MAMHOOD

Com’è nata “Tuta gold”?

“Tuta gold” rappresenta il nucleo del progetto scritto questa estate in Sardegna in un Airbnb, nei pomeriggi in spiaggia, è un viaggio tra passato e presente, dove racconto le mie prime relazioni adolescenziali, momenti meno facili che rappresentano chi sono oggi, la mia intimità, la mia empatia. Questo è certamente il disco più ematico che abbia mai scritto.

Questa sera il duetto con I tenores di Bitti, portando sul palco “Com’è profondo il mare”.

Se oggi siamo nella sala Lucio Dalla, non è certo un caso. Omaggio a Dalla con un capolavoro, “Com’è profondo il mare” insieme ai Tenores di Bitti. L’accoppiamento inedito di questa sera è il messaggio legato ai sentimenti, forti e violenti come le onde del mare.

I Tenores di Bitti:

“Ringraziamo Alessandro per la sua sensibilità e per averci dato la possibilità di condividere questa esperienza che è anche amore per la propria terra e le proprie origini”

Mahmood riassumi in una frase la canzone che hai scritto, che non sia il titolo

“Non paragonarmi a una bitch così”, che può sembrare una frase frivola, ma non lo è. La “tuta gold” in fondo è una corazza, e avere le palle di dirlo è valorizzare cosa si è ottenuto negli anni.

In che modo ti senti diverso e in che modo uguale dai tuoi inizi

La prima serata mi regala sempre il tremolìo, esattamente cinque minuti prima di salire sul palco. E’ ansia, panico, eccitazione, adrenalina, penso che se non ci fosse non amerei il mio lavoro.

Cambieresti per gli altri, per omologarti a ciò che oggi si vende di più?

Se lo facessi sarei una persona triste. Nella mia cameretta guardo gli anime in tv, ordino da McDonald, e ci ho speso molto tempo a chiedermi se un giorno sarei mai riuscito a fare questo nella vita; ho detto al mio manager “E se tutto questo finisse? Oggi c’è chi mi legge l’agenda degli appuntamenti, chi mi veste, chi mi porta a fare le interviste, se finisse tutto, penso spesso, mi ritroverei a fare il dentista? Se così fosse, scriverei ugualmente, la sera, dopo il lavoro.
Pensiamo a “Com’è profondo il mare”, vale molto più di mille interviste, di infinite riunioni, la canzone può essere più grande di un oceano.

Sanremo 2024 – le interviste a Gazzelle, The Kolors e Bnkr44

SNOB dalla Sala Stampa del Festival di Sanremo 2024

Le interviste a Gazzelle, The Kolors, Bnkr44

GAZZELLE

Flavio Bruno Pardini, in arte Gazzelle, sei citato dal Festival quale quota indie, come ti senti?

“Non credo nelle etichette, io porto semplicemente il mio mondo, la mia storia, la mia esistenza, scrivo quello che mi capita nella vita e scrivo storie che non capitano più o che non capiteranno mai. Se questo è indie non lo so, quel che è certo è che questo sono io.”

Un tempo dicesti che non ti sentivi pronto per il Festival…

“Oggi mi sento a mio agio, anche se sono schivo alle conferenze e ai grandi eventi, ma avevo voglia di novità a livello professionale, volevo dare un brivido alla mia quotidianità, e il batticuore, le emozioni forti, in questo Festival le ho sentite.”

Il tuo rapporto con la musica …

“Ricordo zia Letizia, la più giovane delle zie, era in fissa con Ligabue, lo ascoltavo dappertutto, in auto, a casa, posso dire di averlo assorbito, e ho capito che Ligabue ha realmente il talento di sintetizzare esperienze in 3 minuti e 4 anni di vita in una canzone. Ha il dono della sintesi e della semplificazione, le emozioni non sono sempre facili da tradurre. Spero di averlo anche io.”

Il Festival di Sanremo oggi

“Sanremo è cambiato, non è certo lo spettacolo degli anni passati; come Festival della canzone ha sempre rispecchiato la sua epoca, cosa che sta facendo oggi Amadeus, che negli anni ha intercettato un certo tipo di musica, di generazione, ed io proprio oggi ho iniziato sentire che fosse giusto anche per me.”

La vostra musica e un’orchestra

“Con l’orchestra la musica è tutta un’altra cosa, sentire 70 persone che suonano la musica che hai scritto, gratifica, ti fa sentire bene, il pezzo acquista valore, proprio perchè l’orchestra riesce a dargli risonanza.”

Tutto quiE’ una canzone d’amore?

“Una canzone d’amore dedicata a persone che non ci sono più, al dolore, e alla mia voglia di poter essere utile a chi soffre. Credo di avere una visione surreale dell’amore, vorrei entrare nei ricordi dell’altro, nei suoi pensieri.”

A chi è rivolta?

“Non ho in mente un target preciso, io spero che arrivi a più orecchie possibili, anche a un 80 enne, che se facesse l’amore con la mia canzone, sarebbe bello.
In fondo sono solo parole, ma dipende tutto da chi le ascolta.”

Un consiglio ai giovani cantautori

“Fare più esperienze di vita possibili, se non vivi, non scrivi e anche il contrario.
A livello pratico ascoltare tanta musica, che ha sempre qualcosa da insegnare.”

THE KOLORS

La vostra canzone parla di una ragazza e un ragazzo che si incontrano, consigli per un approccio?

“In realtà musicalmente suonava bene un ragazzo, una ragazza, ma la storia non sappiamo come andrà a finire.
Siamo partiti da un incontro insieme a Davide Petrella, che ha scritto il pezzo insieme a noi, e dopo rimane una grande incognita.”

Gli ultimi due pezzi di successo sono molto disco anni ’80, c’è una motivazione dietro questa scelta?

“I nostri genitori suonavano insieme in un gruppo, noi siamo cugini, e abbiamo sempre ascoltato musica di ogni genere, soprattutto i Deep Purple, i The Cure…”

BNKR44

Che cos’è il vostro Bunker?

“Il nostro BNKR è un luogo sociale, un seminterrato con tanti divani, tante scritte sui muri, tante ragazze, poche finestre, una sala tv, una Venere del Botticelli disegnata da street Artist. Bnkr è la nostra sala prove con batteria e pianoforte e uno spazio aperto agli amici, dove poter giocare a carte o alla Playstation.”

Che rapporto avete con i social network?

“Se non usassimo i social per lavoro, indispensabili per promuovere le nostre canzoni, li cancelleremmo.”





I vini Gradis’ciutta in abbinamento con la cucina di Verso, 2 Stelle Michelin

Un viaggio dal Collio al centro di Milano per i vini Gradis’ciutta, che sono stati accompagnati ai piatti della cucina Verso, 2 Stelle Michelin, capitanata dagli chef Remo e Mario Capitaneo.

Un’arte l’abbinamento cibo-vino, che per questa occasione ha saputo mostrare tutte le particolarità dei grandi vini del Collio, rispettando ed esaltando la cucina stellata del duo Capitaneo.

Per iniziare, una Ribolla Collio 2022 Gradis’ciutta abbinata al benvenuto degli Chef, un vino fresco, floreale come i piatti del servizio; per la capasanta servita cruda, adagiata sotto una sfoglia nera leggera con polvere oro che ricorda il suo guscio, carote in polpa e in crema, terrina di foie gras, crema di funghi enoki, salsa prezzemolo, troviamo un Pinot grigio e un Friulano 2022 Gradis’ ciutta, mandorla dolce e fiori d’acacia per quest’ultimo.

Lacrimuccia di gioia per il piatto animella di vitello con sopra polpa di riccio di mare, salsa bernese profumata al caffè, piccola insalata fatta con puntarelle, foglia d’ostrica e acetosella- scelta minuziosamente e adagiata sui piatti con una lunga pinza- il sedano rapa che cuoce a lungo sulle ceneri (all’incirca una notte) e una nuvoletta mantecata con miele e polline. Qui l’abbinamento deve indossare necessariamente il manto regale della portata, la cantina propone quindi uno Sveti Nikolaj Rebula 2021 Robert Princic, una ribolla 100% Slovena, vino transfrontaliero tributo alla storia di famiglia e nato dal desiderio di Robert Princic di valorizzare il dna della ribolla, perfetta laddove la sua coltivazione da’ il meglio, nel territorio vocato del Collio.

Risotto al granchio reale, marasciuoli e finger lime in abbina in abbinamento con il Collio Riserva 2018 Gradis’ciutta, un blend di Ribolla Gialla, Friulano e Malvasia, un vino rotondo, morbido, di frutta matura, mela cotta, sentori di spezie e cera d’api e fiori d’acacia. Agnello lucano cotto con l’osso per preservarne la cottura, parte verde di broccoletto di Custoza, peperoni di Senise e melone cartucciaro in pairing con Monsvini 2018 Gradis’ciutta, una bella scoperta, un blend di Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon che fa barrique e 2 anni di affinamento in bottiglia, note di cioccolato fondente, tè nero, violette, dal tannino delicato e struttura decisa.

A chiudere in dolcezza questo viaggio meraviglioso accompagnati dalla cucina di cuore di “Verso“, 2 stelle Michelin (forse è più corretto dire “del cuore” perchè invade come un grande amore) e i vini di confine Gradis’ciutta, spinti invece ad unire i territori vocati rispettando la natura di ciascun vitigno, un cremoso di gianduia, meringata, patata americana cotta al cartoccio condita con rosmarino, more, nocciole, gelato profumato al tartufo nero pregiato e salsa di more.

Sarebbe perfetto finire questo percorso nel luogo dove tutto nasce, nei Comuni di San Floriano del Collio, Gorizia, Capriva del Friuli e Dolegna del Collio, i luoghi Gradis’ciutta, 25 ettari vitati, su un totale di 35, dove un bellissimo Borgo vista vigneti vi aspetta per farvi assaporare tutto l’impegno, la passione, la dedizione verso il vino.
Borgo Gradis’ciutta è circondato da un’atmosfera magica, i ritmi lenti della campagna, l’ospitalità di una grande famiglia e il profumi dei Colli. Si trova a Gorizia, località Gardisciuta 14.