28 Posti, il ristorante sostenitore dell’artigianato locale

Il ristorante 28 Posti inaugura una collaborazione tra arte, cucina e design con le creazioni firmate Esperia di Luisa Bertoldo e Ramiro di Alessandra Modarelli.


L’eleganza qui ha il nome della semplicità, da 28 posti, ristorante di Milano sito in via Corsico 1, l’ambiente intimo e accogliente del locale si fa ancora più caloroso con le creazioni di Ramiro ed Esperia.

Collaborazioni tutte al femminile, delicate quanto l’ambiente e la mise en place fatta di ceramiche Esperia firmate Luisa Bertoldo. Progetto ispirato al nome con cui greci e latini indicavano l’Italia, Esperia crea oggetti unici e in quanto tali imperfetti, realizzati totalmente a mano nel laboratorio milanese.

Piatti piani e fondi del colore della terra, dal Siena bruciata per esaltare il piatto con “linguina, brodetto di lische, alloro”, al bianco panna con sfumature di beige per il “pesce bianco, rrbette, molluschi, cipollotto in carpione”, un colore neutro base perfetta per sottolineare il verde della salsa e quella croccantezza della pelle di pesce che richiama i puntini dell’oggetto. Insomma tutta la mise en place parla lo stesso linguaggio della cucina, firmata per l’occasione speciale di presentazione della collab, dagli chef Andrea Zazzara e Franco Salvatore.

Le tovaglie firmate Ramiro di Alessandra Modarelli, sono l’abito perfetto per vestire una tavola che ha il calore di casa, di un cotone pregiato, ricami del passato, inamidata ma comodamente stropicciata, in perfetta sintonia con un artigianato forse purtroppo dimenticato, puro e non artefatto.

Dai piatti alla cucina, dal tovagliato al vino (un interessante bianco non filtrato del piacentino, fatto con uve Ortrugo al 90% e Chardonnay, il Foglianella di Marinferno), tutto viene celebrato con amore del mestiere.

L’ssparago verde con latte di rafano e olio al dragoncello, rimane il nostro piatto preferito, potrete gustarvelo da giugno per tutta l’estate e scoprire questa bellissima collaborazione tutta al femminile, nella location che fa di 28 posti non un semplice ristorante, ma una tavola creativa sostenitrice di piccole realtà artigianali.

Miracolo a Milano 

INTERVIEW BY MIRIAM DE NICOLO’

PHOTOGRAPHY MARCO ONOFRI

Se “le amicizie non si scelgono per caso, ma secondo le passioni che ci dominano“, come affermava il grande scrittore Alberto Moravia, questo trio colorato ne è certamente l’esempio. Nina Zilli, Alvin e King Raptuz, sono tre amici che hanno fatto del sentimento più nobile, l’amicizia, un progetto artistico: Miracolo a Milano! 
Una mostra itinerante che toccherà diverse tappe delle più importanti città italiane dove esporranno le loro opere, così diverse eppure così accomunate dalla passione e dall’entusiasmo per la vita, che il successo popolare della tv non poteva raccontare. 
E siamo così abituati a collegare l’immagine mondana che lo schermo riflette, da dimenticarci che dietro quella parete si celano  esseri umani con paure, fragilità, e sogni! 
Percepisco immediatamente che in Nina, Alvin e Raptuz, qualcosa di importante li accomuna: l’umiltà. Ah, quale piacere conversare con persone che vestono solo i panni della loro vitalità, i colori che li descrivono, che rispettano le loro radici, abbracciandole, ma soprattutto che conservano quella parte fanciullesca dal fascino esotico. E’ la scintilla che non muore mai, la si legge dallo sguardo, dal sorriso onesto, dalla bonarietà di concedersi agli altri; è una dote superiore, imparagonabile ad altri talenti. 

 

Nina Zilli, pseudonimo di Maria Chiara Fraschetta, cantautrice dalla voce potente, veejay, conduttrice televisiva, disco di platino con il brano “Per sempre”, è influenzata dalle sonorità dei ’40, Nina Simone, Etta James; l’immagine di una pin-up che ha sempre qualche dettaglio rock e deliziosamente femminile, la grinta di una vichinga e l’aria di chi guarda solo alla sostanza. Nina Zilli è l’elemento magnetico del trio. 

Alvin, pseudonimo di Alberto Bonatoamato dal grande pubblico italiano per aver ricoperto il ruolo di inviato nel noto programma televisivo “L’Isola dei Famosi”, è un presentatore e conduttore radiofonico. Un passato da cantante e compositore, Alvin è di quelle personalità che non possono non piacere, è il perfetto vicino di casa, è il prediletto della maestra, il cocco di mamma, insomma possiede quell’aria da bravo ragazzo a cui non si riesce mai a dire “NO”. Doti innate? Io credo piuttosto che dietro quel sorriso generoso ci sia un lavoro enorme di autodisciplina, che ha alla base educazione e grande senso civico. Scusate se è poco!

King Raptuz, pseudonimo di Luigi Maria Muratore, il più affermato tra i writer italiani, fonda la  TDK (The Damage Kids, 1990), il più importante collettivo della disciplina. Più di 30 anni di carriera alle spalle, Raptuz è membro della storica crew di West Hollywood “CBS”; amico dei rapper J-Ax e Space One, fonda il collettivo Spaghetti Funk, con Gemelli Diversi, DJ Enzo e Chief. Espone nelle più importanti gallerie del mondo e collabora con importanti aziende sia in performance live che in qualità di grafico.
Il suo stile è diretto e apparentemente caotico, proprio come la sua personalità; gioca sugli accostamenti di colori e grafiche, non mi stupisce abbia scelto il writer come mestiere, la timidezza è forse il lato che prova a celare dietro grandi e scuri occhiali da sole, lavora quando tutti dormono, lascia il segno con bombolette spray, vernici, smalti, è un grande osservatore, parla solo la mattina, la notte gli è sacra. Ah, è un purista dell’arte. 

Che cosa vi accomuna, oltre l’amicizia? 

A: Le colazioni a casa di Nina.  Tutto è partito da lì.

NZ: E Milano, la città delle grandi opportunità, quella che realizza i sogni dei giovani ragazzi come in “Miracolo a Milano”, il film di Vittorio De Sica. “La storia si ripete, ma cambia il contesto“, lo diceva anche Giambattista Vico.

Milano come le Americhe?

NZ: Arriviamo tutti e tre dalla provincia, quella cosa noiosissima, si sa.

A: Una provincia che può schiacciare o lanciare. La capacità è sapersi aggrappare a tutto ciò che luccica in qualche modo. E così Milano diviene il sogno americano di tre ragazzi che hanno la stessa passione per l’arte e per la musica. 

E la tua passione per l’arte quando è nata?

A: Intorno al 2018 ho sentito l’esigenza di circondarmi di colore tra le mura di casa, vivevo un momento molto difficile della mia vita. Quelle tele mi hanno riportato ai 12 anni, i primi pastelli, gli aerografi, la creatività istintiva e naturale.

Difficoltà che possiamo raccontare? 

A: Il Covid che ha intaccato gli equilibri lavorativi, la scomparsa prematura di persone a me care,  sono stati anni di grande dolore, ma che hanno portato in seguito anche grande gioia, una personale a Modena e molte collaborazioni, anche se il mio principale lavoro rimane quello del presentatore. 

Il rimando delle tue opere è Banksy. Ti ispiri a lui?

A: Diciamo che lui è il più riconosciuto e facilmente riconoscibile, ma esistono numerosi street artist a cui mi ispiro. 
A questo proposito mi è parso d’obbligo creare un quadro che recita così “Assomiglia a Banksy, ma non lo è”. 

In una tua serie c’è un cuore che cola…

A: Il cuore che cola è un po’ il centro di tutta la mia idea dell’arte, richiama il dolore, la passione, è interpretabile a seconda della propria storia, e tutti ne possediamo uno. 

Nina, qual è invece il tuo concetto artistico?

NZ: Da bambina disegnavo, scrivevo canzoni, suonavo il pianoforte, fino a quando il rock’n’roll si è impossessato di me, ma quelle passioni non le ho mai perse, pensa che tutte le grafiche dei miei dischi le firmo io. Un bel giorno una giornalista che lavora per la casa Editrice Rizzoli, mi ha detto “Dobbiamo fare un libro di illustrazioni”. Io ho pensato fosse pazza e ho risposto “I miei disegnini?” Ne è nato un volume bellissimo, si chiama “Dream city”, una città con le distruzioni per l’uso dove si possono scardinare le leggi della fisica di Einstein, viaggiare nello spazio, acquistare boule de neige nel negozio di una certa Amy Winehouse che le riempie delle sue lacrime. 

“Dream city”, ma tu hai un sogno non realizzato che hai impresso in questo libro?

NZ: Ho volato per la prima volta all’età di cinque anni, da quel momento ho sempre sognato di mangiare le nuvole, quelle che potevo guardare dal minuscolo finestrino senza poterle toccare. In “Dream City” quindi esiste una gelateria, e il gusto più delizioso è ovviamente quello alla nuvola!

C’è una parte fanciullesca fortissima in te.

NZ: Io credo in tutti noi.

A: La difficoltà sta nel mantenerla viva.

NZ: La vita talvolta ti tira bastonate. Sta a noi metabolizzarle e trasformarle in qualcosa di buono e sano. La noia è qualcosa di sano.

A: Non ci si annoia più oggi, si entra direttamente in depressione.

NZ: Mi chiedo spesso:”Avrei studiato così tante ore pianoforte a otto anni se avessi avuto a disposizione la Pay tv, Internet, un cellulare?” All’epoca era una conquista andare a cercare il film che volevi vedere, lo daranno al cinema? Me lo presterà un amico? C’era il piacere dell’attesa. 

A: Il mio sogno di dj era invece avere tutta la musica con me, senza trasportare scatole di dischi pesantissimi. 

Un sogno realizzato con l’avvento del digitale. In merito a questo, ha ancora senso l’arte oggi?

KR: Lo ha sempre, anche se è cambiato il modo di fruirne e le gallerie d’arte si sono dovute adattare.

Oggi anche le opere d’arte sono divenute digitali.

KR: Gli NFT, hanno cambiato il mercato dell’arte, ma non la spinta e la passione di chi la crea, di chi vuol dipingere a colori la propria vita. 

Raptuz, qual è il messaggio delle tue opere? 

KR: Dipingo da che ho memoria, ma il grafit artist un tempo era considerato solo un vandalo, non un professionista, era un mestiere non ancora riconosciuto. 

Perché hai iniziato dalla strada? 

KR: Perché i muri delle città sono i fogli bianchi più grandi dove far conoscere velocemente la tua arte, condividendola con chiunque. E’ per tutti. Poi lo ammetto, ero un po’ scapestrato; ci si nascondeva, si faceva arte sui treni, nelle metropolitane; con il tempo sono arrivate le prime commissioni, le prime mostre, le illustrazioni, i lavori per la Disney con i titoli di Topolino, e i lettering che adoravo, perchè oltre alla Scuola del fumetto ho frequentato l’Accademia Disney con il maestro Giovan Battista Scarpa. Oggi invece vedo solo marchette tra street artist. Dov’è finita quella forza vitale che ci spingeva per le strade la notte? Dove, la voglia di comunicare e farsi sentire? E’ deludente, e quando oggi mi definiscono “street artist” mi incazzo.

Come vuoi essere definito?

KR: Artista urbano, pittore, imbianchino, ma non street artist. Ho vissuto tutte le varie fasi di questa evoluzione, e so riconoscere chi lo fa per vocazione e chi per business. 

Alvin: E’ questa la nostra fortuna, sceglierci per passione, non per dovere. 

La vostra prima mostra “Miracolo a Milano” nella bellissima location “Cittadella degli Archivi”. In quali case sperate arrivino le vostre opere?

A: In quella di Bill Gates. Sempre puntare in alto (ride). 

KR: Io spero sempre tra le mura di chi apprezza veramente quello che facciamo, non destinato a chi manda il proprio architetto che vuole tappezzare i muri perché “fa figo”. 

A: Io in casa di chiunque. Anche se uno manda l’architetto va bene. (risate)

NZ: Un amico durante il vernissage ha nascosto un mio quadro e mi ha detto “Ue’ Nina, va che ti hanno rubato il quadro” e io non ho sclerato, ho subito pensato “Eh, che buon gustaio“. Voleva farmi uno scherzo e mi dice:  “Ma non sei impazzita? Guarda che gli artisti perdono la ragione per molto meno“.

Raptuz, c’è un’opera a cui sei particolarmente legato? 

KR: “Just Love”. Rappresenta il mio cane, è l’unico quadro della mostra non in vendita. Sulla tela c’è sempre la mia vita, i miei sentimenti, le mie città, Los Angeles e Milano, perchè alla fine faccio giri immensi ma torno sempre qui.

Perché torni sempre a Milano?

KR: C’è l’ho dentro, Milano. I miei sono di zona Loreto, via Popoli Uniti, Greco, quando sono nato hanno deciso di trasferirsi a Pioltello, vissuta fino alle superiori, poi sono passato in una zona migliore, via Padova (ride), e ci sono rimasto per quindici anni, da un ghetto all’atro, me li sono fatti tutti. Ma Milano è Milano, ogni volta mi ripromettevo “stavolta non torno più” e invece eccomi qua. E’ questo il vero Miracolo di Milano, una nostalgia che ti si attacca dentro.

Aperitivo vista lago al Mandarin Oriental Lago di Como, il viaggio italiano della nuova drink list

CO.MO. Bar & Bistrot presenta la nuova drink list, un viaggio intorno ai tesori d’Italia


“I saggi, dopo che hanno ascoltato le leggi, diventano sereni, come un profondo, liscio e calmo lago.”

Siddhārtha Gautama Buddha



Da sempre il lago ha ispirato artisti, poeti e scrittori, le sue placide acque fungono da rilassante, e al di là delle sponde si possono intravedere ancora case e villaggi, oltre la foschia, luoghi che fanno da sfondo ai racconti tramandatici dai grandi pensatori della storia.

Elegante e romantico, il Mandarin Oriental Lago di Como, posa su queste acque, che regalano agli ospiti tranquillità, bellezza e un’intimità unica.

Servizio d’eccellenza per il bien-vivre, il CO.MO Bar & Bistrot che gode di una vista meravigliosa all’interno della storica Villa Roccabruna, dove nella terrazza esterna la sera viene animata di musica dal vivo jazz/swing o djset, un’atmosfera perfetta per un aperitivo in dolce compagnia o per provare la nuova drink list con gli amici.

Bar Manager del CO.MO Bar & Bistrot, Gabriele Contatore, vi farà viaggiare con cocktail dedicati alle regioni italiane, con gusti curiosi e appassionanti abbinamenti.

Il nuovo Menu illustrato è un piccolo gioiello ispirato a George Bradshaw, cartografo inglese autore della primitiva Lonely Planet dell’800, itinerari da raggiungere su rotaie. Voi potrete viaggiare invece comodamente seduti sui divanetti fronte lago e deliziarvi con un “Piemonte”, signature cocktail omaggio alla terra, dai sapori di cioccolato e funghi. Il Bulleit Rye (whiskey di segale) viene infuso con un olio di sesamo dalla nota speziata e miscelato con distillato di funghi e cacao, cordiale di acqua di cocco e maracuja, finito con due gocce di bitter al coriandolo.

“Non perderti, viaggia con spirito, bevi con testa e ridi di cuore”.


Così vi accoglie la mappa disegnata della nostra bella Italia, con tutte le tappe che il menu tocca, regione per regione. E allora come un Jacques-Yves Cousteau avrete voglia di esplorare ancora e ancora, andrete in “Campania”, con un twist sul Daiquiri servito in coppetta, Veritas Rum e rosolio di bergamotto Italicus, fiori di osmanto infusi con un cordiale alle albicocche. Un distillato speciale di porro e menta finisce il sorso con note verdi e balsamiche. E non ancora stanchi partirete per la “Lombardia”, per un aperitivo milanese incravattato. Base alcolica Roku Gin, estratto di rabarbaro fresco, limone del Garda salato, qualche goccia di Brancamenta, sorso balsamico e fresco.


Artista delle 10 illustrazioni dedicate, Valeria Romeo, con le sue donne in abito grande soirée davanti ad un tramonto italiano, o in costume e cappello di paglia come le ospiti asiatiche del Mandarin Oriental nella piscina a sfioro dell’hotel.

Sono poche le strutture dove tante eccellenze si fondono, servizio, vista, location, food & beverage, e qui al Mandarin, a partire dalla calorosa accoglienza firmata made in Italy, l’eccezione si colora di rosa Tiepolo e blu come le acque del lago, che resta placido e superbo, nonostante i continui viaggi alcolici!


Mandarin Oriental Lago di Como si trova in Via Caronti, 69 Blevio (CO)

Waby Restaurant e la tradizione dei Donburi con anguilla laccata

Il perfetto business lunch da Waby Restaurant, ai piedi dei grattacieli di Gae Aulenti, un ristorante che riporta a tavola la tradizione dell’anguilla laccata

Immaginate un teatro giapponese dove la geometria e il minimalismo degli interni fanno da cornice ad uno spettacolo seguito in rigoroso silenzio. Gli spettatori ora hanno appetito e, come sempre nella tradizione giapponese, il cibo diventa protagonista di ogni momento della giornata, è un elemento di condivisione, di scambio, di seduzione, di magnetismo e anche “mezzo d’affari”. Per discrezione e facilità, viene servito un “donburi“, un piatto a base di riso e anguilla, un piatto tradizionale giapponese che ha però origini antichissime, quando tra il 1330 e il 1570 sotto il periodo Muromachi, veniva condito con 5 particolari verdure di colori diversi, bianco, giallo, rosso, verde e nero, seguendo il principio energetico e armonico dello Yin e dello Yang. Allora il suo nome era houhan.

Oggi sono molte le varianti del donburi, dove l’anguilla viene sostituita con ingredienti freschi e di stagione, e il ristorante Waby ne propone 10.

In Corso Como, zona dedita alla movida delle notti milanesi e centro nevralgico delle sedi d’affari, Waby è il ristorante giapponese di Matteo Zhu, elegante e con elementi di design, dai toni caldi della terra alle pareti, agli ocra dei tendaggi, a quelli rasserenanti del blu per sedute e tavoli. Il cerchio, figura che rappresenta la perfezione ed il divino, torna nei riquadri alle pareti, negli specchi a soffitto che catturano la luce, nelle appliques e lampadari.

Waby è ił luogo perfetto per un business lunch, un pranzo con le amiche dopo lo shopping in C.so Como, o dopo la visita ad una mostra in Galleria (oggi è ancora aperta quella su Yamamoto, con allestimenti degli abiti più significativi), o una cena di coppia.
Ma per un pranzo speciale Waby ha pensato a 10 tipi diversi di Donburi, serviti su un vassoio di legno e accompagnati da una miso soup, un benvenuto dalla cucina e combinazioni succulente a base di carne o pesce.
La mia preferita è senza dubbio la Lobster Moriawase, un sashimi d’astice, gambero rosso di Mazara del Vallo, capasanta, ikura e scampi serviti su riso, wasabie salsa di soia, un piatto pregiato di di freschezza e sapore.

Per gli amanti della carne invece la proposta verte su Wagyu Don, una carne pregiata scottata su carbonella e accompagnata da verdura di stagione, riso bianco, kizami wasabi e salsa di soia, oppure stufato con tofu, cavolo cinese e uovo poché (Sukiyaki) o ancora nella versione Wagyu Steak cotto a bassa temperatura.

Raffinati l’Hoseiki Don, un classico che comprende 15 tesori freschi del mare, ogni giorno diversi secondo mercato, del quale esistono versioni più semplici come lo Zenbu Don (tonno e ventresca di tonno con kizami wasabi serviti su letto di riso, zenzero e salsa di soia) e l’Akami Sake Tartare (tartare di tonno e salmone); Miso Cod con carbonaro d’Alaska marinato nel miso e avvolto nella pasta kataifi, astice, ikura,

Se invece volete sentirvi come a teatro, e le vetrate sul via vai sotto i grattacieli di Gae Aulenti in qualche modo lo permettono, siate tradizionalisti e puri ed ordinate la Una-Ji: l’anguilla laccata cotta su carbonella, finita al vapore, con guarnizione di tsukemono (cetrioli in salamoia) e riso bianco.

WABY Restaurant si trova in Via Carlo de Cristoforis 2 a Milano, ed è aperto dalle ore 12:30 alle 14:30 e dalle 19:00 a mezzanotte.

Grand Hotel Bristol, la Dolce Vita in Riviera

Grand Hotel Bristol, la Dolce Vita in Riviera

Se i più grandi scrittori di tutti i tempi usavano ritirarsi di fronte al mare per trovare ispirazione, forse dovremmo anche credere nella verità assoluta di Irène Némirovsky, grande autrice francese, che diceva:

Non si può essere infelici quando si ha questo: l’odore del mare, la sabbia sotto le dita, l’aria, il vento.

E questi preziosi tesori della natura, il Grand Hotel Bristol di Rapallo li ha tutti.
Membro di Small Luxury Hotels of the World, il lifestyle hotel a cinque stelle situato nella esclusiva Portofino Coast, si apre ad un pubblico dallo spirito romantico, capace di cogliere i veri lussi della vita, regalando un’accoglienza ricca di comfort, valorizzando i plus della struttura in quanto a posizione, offerta dei servizi, scelta delle experience da vivere.

Perchè Grand Hotel Bristol non è solo una struttura stellata, ma quel luogo habituel dove ci si sente “a casa”.

Guardando la facciata vi verrà subito alla mente la locandina di Grand Budapest Hotel, il film Gran Premio della Giuria al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, premio ai Nastri d’Argento e al David di Donatello, diretto da quel genio di Wes Anderson. Le vicissitudini all’interno sono assai diverse per fortuna, anche se i “personaggi” dei grandi alberghi sono tutti delle caricature dannatamente reali, affascinanti per mistero, quasi protagonisti di un mondo racchiuso sotto una campana di vetro, o come quei villaggi innevati delle boule de neige. Perchè la vita dei 5 stelle sono un mondo a sé, una coccola continua; qui ad esempio il fiore all’occhiello è la grande Erre Spa, la più grande della Liguria con 2000 metri quadrati e premiata nel 2023 come Best Luxury Spa in Italia e Best Luxury Destination Spa – Global Winner dai World Luxury Awards.

Un’area relax composta da sauna, bagno mediterraneo, percorso kneipp, aree multisensoriali e spazi relax a tema con sapori e aromi, una piscina coperta e cabine massaggio private. Le zone umide si alternano con i benefici passaggi alla fontana di ghiaccio, che riattiva la circolazione, donando alla pelle luminosità e un effetto rigenerante; e per chi desidera una maggiore privacy, la Private Spa Suite è su prenotazione ed è dotata di sauna, bagno turco, doccia emozionale, per coppie o eventi privati.

Sono quasi sempre i profumi ed i sapori a legarci ad un territorio, e qui, nell’elegante architettura a cupola da cui prende il nome il ristorante, per l’appunto Le Cupole, con una impareggiabile vista mare e quella luce calda che le acque riflettono, lo chef Andrea Cannalire vi farà viaggiare su e giù per l’Italia con piatti contaminati dai sapori internazionali. Gamberi rossi, cioccolato bianco e albicocca, lime e geranio al limone; risotto all’arancia, prescinseua e carpaccio di ricciola al peperoncino e salicornia; Sogliola cime di rapa, croccante di spirulina, limone, Umibudo; cucina creativa e prodotti freschi del territorio il cui comune denominatore è freschezza e contemporaneità.

Eccellenti le scelte della Pastry Chef Ilaria Castellaneta, che propone a Le Cupole tartelletta di mais con caramello al frutto della passione e namelaka al cioccolato bianco, croccante al latte di cocco, crumble all’olio evo e sorbetto al mango.

Le Cupole è il ristorante fine dining del Grand Hotel Bristol premiato nel 2023 come Best Panoramic Views in Europa e Best Luxury Hotel Restaurant in Italia dai World Luxury Awards.

Per vivere a pie’ polmoni la Dolce Vita, il Bar Manager del Grand Hotel Bristol, Erwan Garofalo, vi stupirà con cocktail d’autore, nella sala bianca e rossa arredata con elementi di design, quadri dallo stile contemporaneo, eleganti lampadari, classici divani capitonnè ed un terrazzo che affaccia sulla piscina esterna panoramica con area idromassaggio. The Silk Lounge Bar prende il suo nome dalla via in cui è situato che porta alle storiche seterie di Zoagli, tutt’oggi sede di produzione di sete e velluti.

Grand Hotel Bristol ha da poco inaugurato una galleria d’arte al suo interno, un luogo multifunzionale dove esporre opere d’arte acquistabili dal cliente stesso, mostre itineranti, collettivi o personali, uno spazio con attività di live painting e scambi culturali.

Per tutta la stagione primavera-estate inoltre, è la musica che accompagnerà ogni esperienza vissuta al Grand Hotel Bristol, un programma ricco di eventi e serate a tema dedicate alla musica, saranno la colonna sonora del viaggio nella Portofino Coast. Accompagneranno aperitivi in piscina, con Dj set internazionali, artisti da ogni parte del mondo grazie alla partnership con il festival Sibelius, un brindisi al tramonto, una cena a lume di candela sul mare che culla.

Il segreto custodito nella ricetta perfetta del pesto ligure, vi sarà svelata dallo chef Andrea Cannalire, che nella Masterclass dedicata al food, preparerà con voi il gioiello a base basilico; e ancora degustazioni di vini pregiati e olio extra vergine d’oliva, con l’esperta guida del sommelier Andrea Levaggi


Ludovica Rocchi, Brand Director sottolinea: “Il nostro obiettivo è garantire un modello di ospitalità esperienziale all’ospite in sintonia con l’anima, la storia, i profumi e i sapori del territorio con proposte esclusive che possano sorprenderlo. La centralità dell’ospite è il tratto distintivo della nostra ospitalità. La nostra accoglienza è italiana e su misura. Vogliamo trasmettere lo stile di R Collection Hotels, il “True Italian Heritage”. 

Ma la grande novità del 2024 è Marina di Bardi Beach Club, la spiaggia privata del Grand Hotel Bristol che rappresenta uno degli angoli più esclusivi della costa di Portofino.

A soli 3 minuti d’auto dall’hotel e con servizio navetta gratuito, è l’unico angolo intimo e riservato della costa di Portofino, una vera chicca, un’area totalmente esclusiva dove godere di mare, spiaggia, lettino e ombrellone con servizio attento, una piscina idromassaggio, una vista del golfo unica.

Questo è quel che si chiama Dolce Vita, ma in Riviera, sembrava fosse utopico rivivere un’epoca passata, ma da Marina di Bardi Beach Club, senza eccessiva nostalgia, si gioisce delle bellezze naturali. Qui in questa insenatura, regna solo il suono delle onde, potreste vedere qualche pescatore rientrare a riva e le casette arroccate in cima alla collina, dei colori della primavera.

Sunset Bar per un cocktail Martini ghiacciato o un calice di Champagne perfetto a tutte le ore, Dolce Vita in Riviera è il Beach Club dotato di tutti i lussi, per regalare agli ospiti momenti di grande comfort ed un soggiorno indimenticabile.

La spiaggia è pet-friendly, per cui possiamo portare con noi i nostri amici a quattro zampe, e rilassarci nella piscina vista mare prima di un’aperitivo in dolce compagnia.

Il ristorante “pieds dans l’eau” è il cuore gastronomico della Marina di Bardi, un tributo alla ricchezza e alla freschezza dei frutti del mare, con i plateau Royal di crudi con gamberi rossi di Mazara del Vallo, canocchie, tartare di salmone, branzino, selezioni di tonno e assortimenti di ostriche. Una gioia per il palato e per gli amanti del crudo che vivono a pieno l’esperienza del mare, dalla spiaggia alla tavola.

Qui l’atmosfera è veramente estranea al caos delle strutture in città, raffinata negli arredi dove il legno è protagonista, con sedute in velluto verde e dettagli oro, elementi marini alle pareti, e una cucina a vista.
Non resta che tornare a godersi la pace, dei momenti per sé, un regalo al partner, una vacanza con gli amici che amano il buon cibo, il buon vino, il mare e un’ottima compagnia!

Conclude Riccardo Bortolotti, General Manager Grand Hotel Bristol “Al Grand Hotel Bristol ‘La Dolce Vita’ è un mood of life – senza tempo, che abbraccia generazioni, che racchiude il meglio dell’espressione italiana per la ‘bella vita‘. Vivere ‘La Dolce Vita‘ significa svegliarsi con il suono delle onde rilassanti e lo stridio dei Gabbiani e delle cicale, salpare dalla marina e navigare lungo la costa del Mar Ligure e lasciare che lo sguardo vada sull’incredibile vegetazione mediterranea, con i suoi profumi, di pino e oliva. Godere il tramonto del sole a picco sul mare. Perdersi nella piazzetta di Portofino tra le sue boutique glamour e ristoranti alla moda o nella ricca storia e cultura della regione”.


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Cavallino Classic Modena 2024, ecco la Ferrari più bella del mondo

Cavallino Classic Modena 2024


L’eleganza è una stella sita in quelle persone definibili “eccezionali”, ha a che fare con la grazia, l’educazione, un certo savoir-faire, una noncuranza dell’essere eccezione, si sposa assai spesso all’etichetta, al bon ton, a quel che Giovanni Della Casa scrisse nel 1558 nel primo Galateo.
Ma si rifà ad altre opere “eccezionali”, come alcune statue di Canova, che nella loro nudità conservano tutto il fascino del pudore e della riservatezza; lo sono, alcuni esemplari di auto classiche, vissute in epoche passate, intrise di storia e tradizione, di quelle nostalgiche atmosfere riportate in vita una volta messo il piede sull’acceleratore.

Ed è per questo che nasce Cavallino Classic Modena, il Concorso Internazionale d’Eleganza, che ogni anno premia il culto dell’auto storica, il modello più bello nella sua originalità, un evento straordinario che raccoglie collezionisti di tutto il mondo, e che si svolge dal 2021 presso la prestigiosa dimora Casa Maria Luigia di Massimo Bottura, chef nel gotha dei 50 Best Restaurants, dopo aver guadagnato il primo posto per ben 2 volte.

Il parco di Casa Maria Luigia diventa così per 3 giorni, dal 17 al 19 maggio, un bellissimo salotto espositivo per le auto più iconiche del marchio Cavallino, dalla 275 GTS, versione spider con cerchi in lega, ruote a raggiera, oggi restaurata dopo un lavoro certosino di circa 6 anni, e un tempo appartenuta al calciatore e dirigente sportivo italiano, Gigi Riva. O alla Ferrari Testarossa del 1989 che ha segnato l’era del design automobilistico sposato all’esperienza di guida. Un motore da 390 CV totalmente esibizionista, che definisce per sempre il ruolo da protagonista della Ferrari, che negli ’80 presenzia nelle più importanti produzioni cinematografiche e televisive. Oggi il contachilometri segna solo 32.000 km.
Ma fu Ralph Lauren ad accaparrarsi per primo la mitica 288 GTO, leggendario stile Pininfarina, una potenza inesauribile, presentata da Enzo Ferrari nel lontano ’84 al Salone di Ginevra.

Un evento davvero raro Cavallino Classic Modena, esclusivo e riservato solo su invito, dove giudici provenienti da ogni parte del mondo, si sono scrupolosamente riuniti per eleggere la Ferrari classica più bella in assoluto.
Se li trovate in silenzio con l’orecchio poggiato accanto al finestrino, stanno religiosamente ascoltando il suono del tergicristallo, o quella che loro chiamano “melodia” del clacson, perchè per dei devoti come loro, è timbrica se firmata dal marchio di fabbrica. Una fotografia biblica per il brand che, dopo l’acquisizione del 2020 della Holding Canossa di Luigi Orlandini, oggi Chairman e CEO Cavallino, ha aizzato un’altra bandiera d’eccellenza, quella degli eventi luxury.

Un passato nel mondo dei software e una passione innata per quello dell’automobile, Luigi Orlandini oggi conta un team di 60 dipendenti, oltre 300 collaboratori continuativi, un team positivo ed esplosivo che fa di Cavallino Classic Modena un evento boutique.

Ho acquisito Cavallino durante il Covid, da una società americana che dal ’78 pubblica la rivista omonima, prettamente specializzata ma che oggi possiamo dire è diventata anche una rivista lifestyle. Portiamo il brand in giro per il mondo, pur non avendo bisogno di presentazioni, per il nome che porta e il prestigio che si trascina con sé, abbiamo aggiunto quell’ingrediente che fa un piatto eccezionale, quello che lo definisce per gusto, ed è il lusso dell’accoglienza e del dettaglio. Scegliamo sempre location d’eccezione, qui dallo chef Bottura nulla è lasciato al caso, e soprattutto omaggiamo il brand nella terra dove tutto è nato.

Una sorta di “spada nella roccia”, l’evento rispetta le rigide procedure di restauro delle Ferrari, raccolte da una specie di disciplinare che Enzo Ferrari ha sviluppato, un patrimonio unico di educazione e cultura della grande bellezza italiana del marchio, eredità che ha portato il nostro bel paese in tutto il mondo.

  • 365-GTB4-1971
  • F50-1997
  • 250-Monza-1954
  • 1512-F1
  • 288-GTO
  • Testarossa
  • 275-GTS
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Durante un défilé presso lo storico MEF – Museo Casa Natale di Enzo Ferrari, le premiazioni alle auto.
Il Best of Show Competizione va alla Ferrari 250 Monza del 1954, con telaio #0466, mentre la Best of Show Ferrari Classiche Certified, è stato assegnato alla Ferrari F50 del 1997 con telaio #107125; il Best of show Gran Turismo è stato assegnato alla 365GTB4 del 1971 con telaio #14405, un’evoluzione della 275 GTB4, pietra miliare nella storia del brand. Linee eleganti e ultra moderne di Pininfarina, abbinate ad un motore V12 e un’esperienza di guida unica; molti fan la ricordano per il suo soprannome “Daytona”. Questo particolare telaio ha tutti i numeri corrispondenti e la carrozzeria non è mai stata riparata o restaurata.



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La Genisia, le esperienze enologiche nell’Oltrepò Pavese, eccellenza del Pinot Nero

APRE LA NUOVA CANTINA LA GENISIA 
DEGUSTAZIONI, ABBINAMENTI, ESPERIENZE: UN CENTRO MULTIFUNZIONALE DEDICATO ALLE ECCELLENZE DELL’OLTREPÒ PAVESE 


Lev Tolstoj scrisse che “felicità è trovarsi con la natura, vederla, parlarle“, se esiste un luogo dove questo l’ho visto succedere, anche ai malati delle comodità urbane, quel luogo è l’Oltrepo’ Pavese, terra italiana vocata anche per la produzione del divino vino.

In queste terre ha inaugurato non molto tempo fa una cantina, che chiamarla cantina è assai riduttivo, La Genisia, è piuttosto un appuntamento da darsi costantemente, per godere delle cose meravigliose che la vita ci ha donato: una natura rigogliosa, di un verde brillante che non sente il grigiore dei fumi delle auto; del cibo sano e contadino, che ci ricorda le nostre radici; la vicinanza con gli animali, perchè il linguaggio universale è quello dell’istinto e dell’amore incondizionato; e dell’ottimo vino, che questa terra fa crescere della miglior specie.

E’ qui infatti che nascono il PINOT NERO CENTODIECI NATURE D.O.C.G. METODO CLASSICO, il PINOT NERO BRUT D.O.C.G. e il PINOT NERO ROSÉ BRUT D.O.C.G., dove il Pinot Nero sta ovviamente al centro dell’attenzione, attraverso un prezioso percorso di riscoperta di uno dei vitigni nobili internazionali; vitigno che in Oltrepò Pavese ha trovato terreno fertile per esprimere al meglio le sue potenzialità attraverso un terroir ricco di peculiarità, versatile e lavorato sia in bianco che in rosso, da cui si possono ottenere importanti vini fermi e strutturati e bollicine altrettanto prestigiose. 

La Genisia inaugura quindi un punto di riferimento per amanti del vino e nuovi appassionati, dove poter fare degustazioni guidate, scoprire l’approccio enologico della cantina guidata dall’enologo Simone Fiori, fare attività dedicate alla scoperta del territorio, una passeggiata a cavallo tra le vigne, arrivare al punto più alto di Codevilla, città in cui è ubicata, e assaporare i prodotti tipici del territorio godendo di un panorama mozzafiato.

Le vigne La Genisia sono situate nelle zone di Codevilla, Torrazza Coste e dintorni. 
Attraverso i nostri vini lasciamo parlare il terroir ed il vitigno – spiega l’enologo Simone Fiori il Pinot Nero vitigno unico e prezioso, viene qui esaltato al massimo, cercando di addolcirne le spigolosità. L’obiettivo è sempre quello di raggiungere la massima espressione e qualità del terroir. Per farlo, è necessario innovare, per questo abbiamo acquistato una pressa di ultima generazione, altamente sofisticata e finalizzata alla miglior lavorazione possibile per l’estrazione delicata del mosto per il Metodo Classico.
Oltre a questo la ricerca è continua, ed il nuovo progetto di zonazione ci ha permesso di individuare i terroir di provenienza delle etichette La Genisia, territori che differiscono tra loro per altitudine, esposizione e densità, caratteristiche che possono essere ritrovate all’interno dei vini, proprio grazie alla ricerca messa in atto in cantina percepibile ad ogni sorso.


Da La Genisia le esperienze non si leggono su carta, ma si vivono personalmente, intensamente, e questa apertura è solo l’inizio di un lungo percorso, dove il turista può godere appieno dell’ospitalità del nostro paese; wine experience per singoli, gruppi e famiglie, visite in cantina, esperienze incredibili (che troppo spesso dimentichiamo) nella natura. Qui si organizzano eventi, percorsi e-bike con guida turistica, e si finirà sempre (per fortuna), con un calice La Genisia a cui brindare, davanti ai tramonti oltrepadani, sulle colline rigogliose di vigneti e dove il Monte Rosa di colora del suo cognome.

Il whisky in edizione limitata, nel ristorante cinese di Milano, Bon Wei

Zhang Le, proprietario di Bon Wei, presenta la sua speciale selezione di 5 Whisky Single Cask in edizione limitata

Oggi più che mai il cliente è sempre più esigente e pretenzioso, tanto da scegliere non solo un ristorante dove sia ineccepibile il servizio e coerente il rapporto qualità-prezzo, ma anche dove vivere un’esperienza che altrove non troverebbe. L’effetto sorpresa e l’unicità di un luogo, sono gli ingredienti che oggi fanno la differenza.
E’ il caso di Bon Wei, ristorante di alta cucina regionale cinese che ha come specialità l’anatra laccata alla pechinese, e una carta di 24 ricette regionali selezionate all’interno degli 8 territori che compongono la “badacaixi”.

Fondato da Yike Weng e Chiara Wang Pei con lo chef Zhang Guoqing nel 2010, oggi è proprietà dello chef insieme al figlio Zhang Le che lo dirige, un locale che mescola una modernità elegante e confortevole, all’estetica tradizionale della Cina, un progettato dall’architetto Carlo Samarati.

Ma il vero plus qui arriva a fine pasto, perchè Zhang Le, appassionato conoscitore del distillato più amato dagli uomini ed oggi sempre più richiesto dalle donne, propone una selezione preziosissima di 5 Whisky Single Cask, (presentati in location da Dario Crisci, whisky selector di Cuzziol Beverage, importatore di prodotti Uk).

La “Zhang Le Selection“, un servizio eccellente e riservato a chi ama il whisky quanto Zhang Le che già nel 2016 selezionava nello Yorkshire la sua prima botte del pregiato distillato che avrebbe aperto, una volta imbottigliato come Filey Bay – Yorkshire Single Malt Whisky – Single cask “Bon Wei Selection”, in occasione del 12° compleanno del suo locale. Una botte di Sherry Pedro Ximénez (cask #294), da cui dopo 5 anni di invecchiamento sono state ricavate 305 bottiglie.

Filey Bay, la distilleria scelta da Zhang Le, si trova nello Yorkshire nel nord dell’Inghilterra, ed è la prima distilleria della regione dedicata ai single malt whisky: la sua filosofia è quella del field-to-bottle, secondo tradizione.
Orzo ed acqua della famiglia Mellor, sono gli ingredienti principali per ogni bottiglia di Filey Bay Single Malt Whisky, nessun processo di filtratura a freddo, mantenendo così il colore naturale ed il profumo inebriante di frutta matura, appassita e cioccolato fondente.

A questa botte ne sono seguite altre tre, di cui una scelta in Scozia nella distilleria Caol Ila, una botte di Bourbon che ha regalato 361 bottiglie. Dallo stretto tratto di mare dove si affaccia la distilleria, i whisky si arricchiscono di preziose e fini note affumicate; al naso sprigionano aromi di zucchero di canna che poi danno spazio alla torba; in bocca sono ricchi e affumicati, con note di erbe officinali, goudron e camino spento.

Lungimirante collezionista, sommelier Fisar (presente in carta una selezione di vini italiani e stranieri, da Chateau Pétrus al Domaine de la Romanée-Conti, dal Masseto al Grange Penfolds), ma soprattutto imprenditore capace di leggere le esigenze dei clienti, Zhang Le ha scelto di portare a Bon Wei la buona usanza (oggi costante anche in Asia) di chiudere i pasti con un rito, come il tè inglese delle cinque, qui si sceglie un whisky speciale, edizioni limitate, bottiglie numerate, disponibili alla vendita o da condividere con gli amici. E se la Cina si distingue per la ricercatezza ed il buon gusto del servizio, e dell’estetica (pensate all’arte dell’ikebana, o all’estrema cura che le geishe ponevano nel versare una tazza di tè, ruotando il polso con dolcezza per accompagnare il suono del liquido nella tazza), da Bon Wei il whisky viene servito su di un piccolo vassoio di legno, in un tumbler dedicato, accompagnato da acqua, ghiaccio e un cioccolatino fondente.

BON WEI si trova a Milan in Via Lodovico Castelvetro, 16/18

Max Papeschi, arte pericolosa

MAX PAPESCHI – ARTE PERICOLOSA

Ha venduto sua madre all’asta, ha deflorato Minnie lanciandone il video integrale su YouPorn per poi ricorrere al matrimonio riparatore, ha ricoperto il ruolo di Ambasciatore Culturale della Corea del Nord, se pensate di aver vissuto un periodo pulverulento dell’arte, allora non conoscete Max Papeschi, il genio del marketing.

Artista italiano tra i più conosciuti all’estero, Max Papeschi ha un passato da autore e regista teatrale, cinematografico e televisivo; buca il mondo dell’arte contemporanea nel 2008 per lasciare il segno. Per sempre.

Racconta le sue marachelle artistiche in “Vendere Svastiche e Vivere Felici” l’autobiografia edita da Sperling & Kupfer (Gruppo Mondadori) uscita nel 2014. Che è matto da legare lo ammette, forse non si rende ancora conto del clangore che risuona oggi, dopo aver lanciato sul mercato l’Eau de Parfum Hitler n.5, vestito Topolino con la divisa fascista, beffeggiato il leader nordcoreano Kim Jong-un, dissacrato ogni simbolo della storia, esorcizzandone il significato attraverso l’uso delle arti.

Max Papeschi

Non ti manca tua madre, dopo averla venduta all’asta per due spicci?

Quello è stato il momento più divertente. Era un periodo di grande successo, titoli di giornale da ogni parte del mondo, rientravo dal successo mediatico della deflorazione di Minnie su Youporn, durante una cena dico al mio agente “Ma sì, in fondo chi se ne frega della notorietà” e lui mi risponde “Ma se venderesti tua madre per avere un altro anno così“.

Nasce quindi da una battuta.

Esatto, ma tutto il polverone mediatico di news è stato realissimo, giornalisti che chiamavano a tutte le ore e da ogni parte del mondo, nessuno a cui interessava smentire la notizia, piuttosto era importante che i giornali per cui lavoravano facessero clickbait.

Ma tua madre come l’ha presa?

Mia madre si è rifiutata di interpretare mia madre in galleria (ride), al Rinascimento Contemporaneo di Genova, per cui ho dovuto ingaggiare un’attrice datata che sedesse su una sedia, con accanto un trolley e un cartello che citava così “Mamma di Max Papeschi”. E’ stato divertentissimo. In Italia mi chiamò anche Giancarlo Magalli per invitarmi alla trasmissione I Fatti Vostri, ovviamente accompagnato dalla mia vera madre e lei ha risposto “Neanche morta”.

Ma qualcuno l’ha comprata?

L’abbiamo messa fuori a un milione di Euro per essere certi che nessuno la comprasse veramente. (ride)

E se si fosse presentato uno sceicco per riscattarla?

Pensa che imbarazzo, avrei dovuto dire all’attrice “Scusi signorina, mi spiace ma deve seguirlo”.

NaziSexyMouse, Max Papeschi artwork

Perchè non hai lasciato Minnie alla sua illibatezza?

Volevo fare sesso con uno dei miei personaggi, e ho scelto Minnie. Ha seguito le stesse orme di Paris Hilton e Pamela Anderson, sai quelle scelte di marketing studiate a tavolino, lanciate quasi per caso sui canali porno per poi regalare al personaggio notorietà e visibilità immediate, contratti, e lavoro. Abbiamo caricato un video integrale su YouPorn, (la Minnie reale era un’attrice porno), abbiamo pensato che Disney, una volta uscito il video, l’avrebbe licenziata poverina, così sono stato costretto a sposarla, per ridarle onestà e dignità.
Ultimamente ho ricevuto una mail di una pagina e mezzo di un fan che elogia il progetto e che mi chiede di spedirgli il video perchè non lo trova più su Youporn, proverei su Redtube.

Un mockumentary?

Esattamente, come quando nel 2016 sono stato nominato Ambasciatore del Ministero della Propaganda Sociale e Culturale della Repubblica Popolare Democratica di Corea del Nord da Kim Jong Un in persona. Si sono scomodati tutti i giganti dell’arte per omaggiarlo, Marina Abramovic, Banksy, Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan, Lucio Fontana, Piero Fornasetti, Damien Hirst, Jeff Koons e Andy Warhol.

E sei ancora vivo?

Il Consolato della Corea del Sud ha richiesto subito un incontro, mi hanno confiscato il cellulare per evitare che registrassi. Sul tavolo la console aveva un dossier grosso quanto una casa, con su il mio nome.
La foto di Kim Jong Un che mi stringe la mano era su tutti i giornali sudcoreani che dicevano “Artista italiano finge di essere l’Ambasciatore della Corea del Nord”. Mi sono divertito un sacco.

Avrai dei legali che ti tutelano in casi come questi?

No. Io sono proprio spericolato.

Sei matto. Ma quante volte sei finito nei casini?

Dipende cosa intendi per casini, perché quei casini sono gli stessi che mi divertono.

Casini economici, anche.

Nessuno. La Corea del Nord non ti fa causa per una buffonata. Al massimo ti fa ammazzare.

The Leader is Present

Hai fatto niente che fosse realmente pericoloso per la tua incolumità?

Il grande vantaggio dell’ arte contemporanea è che si ha la possibilità di utilizzare brand, loghi, personaggi noti, per il tuo racconto, per giocare su una realtà distopica. Anche se le minacce, mi sono arrivate eccome.

Minacce da chi?

Nazisti polacchi. Si sono offesi perchè ho denudato Minnie che posa davanti ad una svastica. “Quando vieni in Polonia, vedrai”. Insomma in Galleria avevo le guardie del corpo.
Ma si è offesa anche la comunità ebraica perchè “usi la svastica per le tue cazzate”. Poi i patrioti americani che hanno detto “non è una svastica, stai dicendo che gli americani sono dei mezzi nazisti”. E la pagina di giornale “Max Papeschi must die.” Un pochino fa paura, ho pensato, potrebbe spararmi uno psicopatico con disturbi mentali durante una mostra.

Just Married 2008

Il tuo linguaggio è la provocazione?

Il mio linguaggio è racconto. E’ satira. Io arrivo dal teatro, ho giocato sulle nevrosi e sulle ipocrisie della civiltà occidentale. Erano gli anni ’90, periodo di grandi pubblicità e consumismo; la tv era l’Internet di oggi, dove c’è sempre qualcuno che ti indirizza ad una scala valoriale che gli porta soldi.

“Extinction”, il tuo ultimo lavoro artistico, sta toccando diverse tappe, dalle gallerie di Milano alla “Soglia Magica” di Malpensa. 54 statue con il corpo dei guerrieri di Xi’an e le teste di nani da giardino scoperti da una razza aliena. E’ un monito contro il rischio di estinzione della razza umana?

Io credo che la razza umana tenderà sempre a cavarsela, ma non senza aver subìto sofferenza, così come ci insegna la storia. La povertà che ci toccherà non sarà solo economica, ma culturale, e la stiamo già vivendo.

Max Papeschi artwork, cover creata appositamente per il numero cartaceo di SNOB


Credi che l’AI aiuterà la razza?

Credo che il 50% della popolazione perderà il proprio lavoro e faticherà ad arrivare a fine mese, oltre a perdere stimoli intelligenti. L’AI entrerà senza dubbio nella vita di tutti i giorni, i cellulari l’avranno integrata, i taxi si guideranno da soli (A San Francisco è già realtà), soppianterà le macchine e i lavori noiosi che possono logorare l’essere umano, come quello del mulettista, del corriere o del magazziniere. Se queste persone, una volta perso il mestiere, saranno in grado di soddisfare i bisogni secondari e terziari altrove, quindi gratificandosi, allora sarà meraviglioso, in caso contrario ci sarà una grande crisi e senza dubbio un’evoluzione della razza.
Spero solo che non entri di petto nella creatività.

Perchè?

Perchè è tutto troppo perfetto e noioso.
Anche io ho iniziato a studiare le dinamiche di Midjourney, un’estetica effetto marmellata, dieci macro categorie
che si ripetono. L’AI deve essere un mezzo per elaborare tempi complessi, diventa uno strumento meraviglioso solo se lo guidi tu, non se lo lasci all’anarchia.

Domanda di rito. Quanto sei snob?

Comincio a soffrire il disinteresse dilagante alla cultura, la totale ignoranza della storia e del tempo presente, arma utilissima per la risoluzione dei problemi, la comprensione dei macrofenomeni e dello spirito del tempo, il concetto di zeitgeist. Se tutto questo manca, si rimane totalmente indifesi.
Questo snobismo culturale, ti devo dire la verità, ce l’ho.

Rien 2023, seconda cover del numero cartaceo di SNOB 2024

Tenute Tomasella in degustazione al ristorante Joia, il primo stellato vegetariano

TENUTE TOMASELLA 

Un esperimento dove si sono incontrati la cucina etica e sana di Joia, ed il vino sostenibile di Tenute Tomasella, un esercizio di gusto e rispetto per il Pianeta. Joia, il primo ristorante vegetariano a ricevere la stella sotto la guida di Pietro Leemann, Chef, scrittore e sostenitore della cultura vegetariana e della filosofia naturale, e i vini di personalità di chi dal ’65 è tornato alla terra per regalarci una produzione vinicola diversificata e di carattere, Tenute Tomasella sceglie la semplice e complessa cucina verde per una degustazione che mira ad esaltare ogni piatto.

Luogo straordinariamente vocato e al contempo assediato da controversie e contraddizioni, Tenute Tomasella ha radici a Mansuè, nella provincia di Treviso, a cavallo tra la DOC Friuli e la Prosecco DOC Treviso. Due terre di confine, il Friuli ed il Veneto, da cui i vini trarranno il meglio, 50 ettari vitati dove rispetto per il territorio e amore per la diversità, regaleranno un prodotto enologico per definizione ricco di storia.

Se dalla proprietà arriva la loro definizione “Siamo diretti come il nostro vino, pane e salame“, la degustazione dei vini Tomasella al Joia regala invece qualcosa di più della semplicità (anche se gustosissima) di pane e salame, perchè ogni bottiglia ci racconta un pezzo di storia e una sorprendente e potente personalità nei merlot, in terra di prosecchi. L’orgoglio della distinzione laddove il prosecco è scontato, anche se mai demodè.

Ad “Anima Mundi”, un risotto, piatto al centro di ogni cultura internazionale, mantecato vegetale, carote novelle, asparagi alla brace, olio all’aglio orsino (raccolto a mano in montagna dallo Chef), spuma di cavolfiore arrostito e curry, viene abbinato un Bastiè Bianco Friulano Friuli Grave Doc riserva 2016, prodotto di punta dal profumo fine e intenso, ottima persistenza con ricordo di vaniglia, e un finale avvolgente con note mielose.

Altra punta di diamante di Tenute Tomasella, il Pinot Bianco Rigole, Spumante Brut dai sentori fioriti, pieno e avvolgente al palato, perfetto in abbinamento con i germogli brassicales con farina di carrube e maionese vegetale, ma anche con cecina, maionese al curry, pak-choi.

Con un capolavoro della cucina vegetariana di Joia, il tempè fermentato e glassato con riduzione salsa ponzu in purezza (lenticchie e semi zucca), un cubetto laccato di un marrone puro che tanto ricordava una glassa di vino rosso, arriva nel suo mantello rubino intenso il Bastiè Rosso 2016, un Merlot Friuli Grave DOC che diventa protagonista tra le bottiglie che lo han preceduto. Raffinatezza nel profumo, ribes rosso, spezie, caffè, prugna secca, muschio, pepe nero, corpo generoso e persistente, un vino vellutato che non si fa dimenticare, di quelli con cui andresti a braccetto anche senza cena.

E sempre a base di Merlot, il Chinomoro, un merlot chinato da fine pasto, 20 erbe aromatiche tra cui il cardamomo, il coriandolo, l’assenzio, perfetto con il cioccolato, e qui in abbinamento con il cubo di cocco, cuore di infusione di vaniglia, lime, cioccolato, menta, basilico, ciliegia e frutto passione. Di quei vini ricchi, habillè da grand soirée, che leniscono ogni male, da bere anche soli in meditazione.

Se Charles Baudelaire, tra i più celebri lodatori del vino, a cui dedicò vari componimenti ne “Les fleurs du mal” ci ricorda:

Dio aveva creato il sonno, l’uomo vi aggiunse il vino

pur per ragion di santità come soleva fare Tommaso, dovreste recarvi nelle Tenute Tomasella, e scoprire a pieno i valori di quest’azienda, che nel 2026 avrà totalmente raggiunto la conversione al biologico. Fare un tour della cantina, una passeggiata tra le vigne, vivere la tradizione a scoprire il territorio attraverso la voce degli esperti, e soprattutto portare a casa, non solo il ricordo vibrante e indelebile degli assaggi, ma il dono di Dionisio, che dispensa allegrie e libera dalle preoccupazioni. Un vero rimedio passe-partout!

MARIO SCHIFANO. COMPAGNI IN UN’OASI SOTTO IL CIELO STELLATO

Un vero atto di mecenatismo come non si vedevano ai tempi della Guggenheim, la mostra “Mario Schifano. Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato”, è il vero regalo che dovreste farvi in questa quanto mai caotica Milano Design Week, uno spazio surreale dove per la prima volta in assoluto, avrete l’occasione unica di vedere le opere mai fotografate e mai esposte prima, del grande artista Mario Schifano.

La location, un ex convento ristrutturato e oggi adibito a spazio multifunzionale, head quarter di Hopafin S.P.A., società specializzata in rent luxury appartment, è aperta al pubblico fino al 19 maggio 2024 ed ospita ben venti tele realizzate dal maestro della Pop Art negli anni Sessanta.
“Inevitabile viaggio a Marrakesh” – “Compagni” (bacio), del 1968 – Oasi (o Palme) – e 8 incredibili tele “Tutte stelle”  del 1967 – che furono le pareti della stanza di Patrizia Ruspoli, principessa la cui dimora romana fu dipinta da Mario Schifano con stelle realizzate a stencil spray.

La mostra è forse un evento che non si ripeterà mai più nella storia, una chicca dal cogliere al volo per poter rivivere il percorso artistico e il pensiero di Mario Schifano, che fu il primo vero sperimentatore delle tecniche pittoriche; opere provenienti da collezioni private e proprietà di Roseto, vi faranno viaggiare nei luoghi deserti in cui Schifano riproduceva le famose palme. Di ogni dimensioni e colore, le palme forse sono il ricordo lontano delle radici d’infanzia, quelle libiche della nascita, zone di luce e d’ombra attaccate all’artista come una sorta di nostalgia, la dolce-amara melanconia che cercò di scacciare con le cattive abitudini. Ma lo sanno bene le nature saturnine, che è in questi anfratti che si sveglia la coscienza e l’intuizione, lì dove il dolore non passa.

Di rosso e nero laccata, l’opera “Compagni Compagni” cattura magneticamente l’attenzione; qui c’è tutto il pensiero politico di Schifano e la cronaca del suo tempo, una tela coperta da una lastra di plexiglass che riflette il paesaggio circostante (una scelta voluta?).

Non c’è mai in me il desiderio di ricreare la realtà, le cose sono tutte diverse tra loro ed io voglio rappresentarle nella loro diversità; la mia maniera è guardare.”

In questa affermazione, Schifano ci accompagna alla visione di una realtà personale e personalizzata, il nostro sguardo all’interno della mostra converge nell’esperienza che abbiamo dell’arte e nella conoscenza della vita dell’artista ma, se rispettiamo il suo concetto di “reale”, allora, forse, avremo la possibilità di viaggiare in quei luoghi che egli stesso ha voluto immortalare per donarceli. E allora una palma non sarà una semplice palma, ma una fotografia di Marrakesh che lo ha fatto innamorare. E il gesto di una bomboletta spray non sarà un semplice schizzo istintivo, ma la padronanza della tecnica che viene semplificata e modernizzata dal presente, un presente che Mario Schifano viveva come fosse l’ultimo presente, assorbendone tutta l’energia e la vitalità.

Mario Schifano. Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato” è una mostra promossa da Roseto e Harves, nuova società specializzata nell’intermediazione di proprietà di pregio del segmento luxury real estate sostenuta da Hopafin, holding leader in Italia e una delle più importanti in Europa a governo di un gruppo con core business nel settore immobiliare e creditizio.

Curata da Monica De Bei Schifano e Marco Meneguzzo, e organizzata da Art Relation di Milo Goj, società leader nella consulenza per il mondo dell’arte, in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano, la mostra ripercorre temi importantissimi della narrazione d’artista, dal periodo musicale psichedelico (è nel 1966-67 in collaborazione con Ettore Rosboch che Schifano forma la band “Le stelle di Mario Schifano”) ai movimenti della contestazione politica.

La mostra riguarda un periodo breve e intenso di Schifano, che lo vedeva da un lato impegnato a vivere, a condividere e a registrare in pittura i cambiamenti nel costume – a partire dalla conquistata libertà nelle relazioni e dalla liberazione sessuale” afferma il curatore della mostra, Marco Meneguzzo. “Inoltre costituisce un unicum e una prospettiva assolutamente nuova nella pur vastissima serie di mostre su di lui. In mostra sono esposte opere di grandi dimensioni, realizzate appositamente per personaggi che come lui stavano vivendo le stesse sensazioni, e mai più esposti da allora, come la stanza “Tutte stelle” – dal pavimento al soffitto un ambiente psichedelico – realizzato per Patrizia Ruspoli”.

Siamo orgogliosi di ospitare questa mostra nel nostro spazio, un ex convento, gioiello nascosto nel cuore di Milano. chiostro diventato oggi uno spazio privilegiato per sviluppare connessioni tra l’universo artistico e il contesto cittadino – afferma Andrea Pasquali, Amministratore Delegato di Hopafin S.P.A.

E la sensazione che vi porterete addosso, dopo la visita alla mostra, è di leggerezza autentica, un riassunto di tutta la sua vita, dagli incontri al Caffè Rosati di Roma, con gli altri Fellini, Moravia e Pasolini, ci si ritrova l’eco di quelle conversazioni; dai colori della Factory di New York, si sente il profumo della psichedelia e tutto quell’apparente caos della sperimentazione ossessiva e assetata che l’immensa e numerosa produzione artistica può confermare.

Mario Schifano. Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato” è forse quella cuspide di civiltà che gli affamati d’arte e di vita come noi aspettavano.

MARIO SCHIFANO. COMPAGNI IN UN’OASI SOTTO IL CIELO STELLATO
DATE: 17 aprile – 19 maggio 2024
LUOGO: SPAZIO ROSETO, corso Garibaldi 95, Milano
Dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 19.00