Nasce come un gioco la serata dedicata al Nero d’Avola organizzata dal “Consorzio di tutela vini Doc Sicilia“, degli assaggi alla cieca per concentrarsi unicamente sul gusto di questo vino icona della regione Sicilia.
Missione del Consorzio è da sempre rafforzare l’identità dei vini siciliani, migliorandone la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato.
Antonio Rallo, Presidente del Consorzio, sottolinea: “Ogni giorno lavoriamo per comunicare al meglio il sistema ‘Sicilia Doc’ come produttore di eccellenza dei vini contemporanei, a fianco dei nostri produttori e delle nostre aziende così che possano essere sempre più competitive sui mercati di riferimento”.
Giornalisti, critici enogastronomici e addetti al settore hanno degustato 17 diverse varietà siciliane di Nero d’Avola accompagnate ai piatti dello chef Carlo Cracco, che per l’occasione ha ideato un menu vegetariano dove i tranci arrosto erano di verza e gli asparagi venivano esaltati dal tartufo nero.
Valorizzare e conservare la biodiversità dell’isola è importante per tutto il Paese; le varietà autoctone vanno conservate così come l’identità varietale e l’integrità sanitaria, per dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani.
Se pensiamo che il vigneto siciliano è il più grande d’Italia con quasi 98 mila ettari di terra, e che in Europa ha la stessa estensione del vigneto tedesco, nel mondo misura tre volte il vigneto della Nuova Zelanda, superando addirittura quello sudafricano, significa che oggi la Sicilia è la prima regione in Italia per superficie vitata in biologico.
Ma la sua peculiarità, essendo il crocevia tra Europa, Africa e Medio Oriente, è che i prodotti della Sicilia regalano il gusto della cultura, la nostalgia della storia, un mosaico ricco di sapori e saperi. Ed è nella bottiglia del Nero d’Avola che si sprigionano, basta chiudere gli occhi, aprire i sensi e lasciarsi trasportare dalle note fruttate e balsamiche della zona di Ragusa, dove i terreni sono sabbiosi e calcarei, o da quelle più legnose della zona di Trapani, un viaggio tra castelli normanni e mari ventosi.
Stefano e Chiara, scappati da Milano per inseguire l’amore e il sogno, “Muralia“
La loro storia fa pensare agli inizi di quei film ambientati tra i vigneti toscani, i paesaggi sempre gialli di sole, gli animali in libertà, il calice sempre pieno, dove un’americana infelice scappa dalla sua terra, acquista un casolare tutto da ristrutturare per poi ritrovarsi innamorata e felice.
Per Stefano e Chiara il passaggio è similare, loro però sono due italiani che scappano da Milano, dalla vita frenetica del lavoro competitivo e abitudinario; il casolare è quello del nonno di lei, medico piemontese appassionato di agricoltura, e terreni adibiti all’allevamento di pecore. Stefano e Chiara rivoluzionano la destinazione e creano “Muralia”, azienda vinicola nata nel 2003 che fa di Poggiarello a Roccastrada (GR), territorio etrusco che 3000 anni fa coltivava la vite, il loro sogno!
E proprio “Muralia“, che in lingua latina significa “muro di pietra” e il cui simbolo è una mano, la mano che stringe rapporti, la mano che raccoglie i frutti dalla terra, la mano che accompagna, rappresenta la filosofia dell’azienda, i cui obiettivi non sono solo la produzione di ottimi vini, ma una gestione di cura e amore per la terra, di rispetto verso il prodotto e di sostegno del territorio.
Muralia
Un po’ di numeri e informazioni:
130 ettari, 14 ettari a vigna, 8 a oliveto ed i restanti a vivaio specializzato. Bottiglie prodotte da 65.000 a 90.000. La coltivazione delle viti avviene a diverse altitudini: al Poggiarello, 100 metri sul livello del mare e a Sassofortino, a 350/450 metri, sulla costa orientale del Sassoforte, un antichissimo vulcano spento che la lasciato nel suolo tracce profonde della sua attività.
Tutti i suoli sono caratterizzati da un’elevata presenza di ferro e minerali tipici del territorio ma, mentre i terreni più bassi posano su argille con grande presenza di scheletro, quelli alti posano su terreni molto sciolti e profondi, dove la presenza di gesso puro caratterizza la matrice di origine. I vitigni coltivati a cordone speronato e guyot sono principalmente Sangiovese e Syrah, ed in via residuale Merlot, Cabernet Sauvignon e Viognier.
Mercato: 90% estero: Stati Uniti, Cina, Corea del sud, Europa (ad esclusione di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia)
Stefano e Chiara sono soci della Federazione italiana Vignaioli Indipendenti dal 2009.
Stefano, fondatore di Muralia
CERTIFICAZIONE BIO
Muralia dal 2018 ha ottenuto la certificazione Bio.
Intorno all’azienda non ci sono altre proprietà, per cui nessuna contaminazione, il che rende la conduzione biologica delle coltivazioni ancora più efficace e realmente sensata. Negli anni, oltre all’ utilizzo di sovesci e tecniche a zero impatto ambientale, sono stati installati anche pannelli solari e sistemi di depurazione delle acque reflue.
degustazione presso il ristorante Il Liberty di Milano
I PRODOTTI:
Presso il ristorante Il Liberty di Milano, una certezza in casa meneghina, lo chef Andrea Provenzani ha creato un menu in food pairing.
ll primo assaggio proposto, con una focaccia a lievito madre con paleta di pata negra e patata croccante è, in due annate, il
Chiaraluna Viognier Toscana Igp
2020 un bianco invitante dal carattere mediterraneo. Al naso è intenso con note di frutta tropicale. In bocca grintoso, buon volume e spiccata sapidità. 2018 al naso frutta gialla matura, buon volume e persistenza.
Manolibera Toscana Igp
Il secondo assaggio è il vino Manolibera Toscana Igp, nato quasi per scherzo dal “vino di merenda”, Sangiovese 50%, Cabernet 25%, Merlot 25% ha i sapori delle 17.00 quando ancora non è ora di pranzare ma prende quella voglia di abbinamento facile e libero. E allora frutta rossa fresca, e sorso di grande bevibilità. Lo chef lo ha abbinato ad un risotto alla parmigiana, ristretto di Marsala e fave di cacao, una delizia.
Maremma Toscana Rosso Doc “Babone” 2019
65% Sangiovese e 35% Syrah, al naso spezie dolci, sfumature vegetali, acidità matura al contrario dei suoi anni
E infine il
Muralia Toscana IGT nato da uve syrah 50%, cabernet sauvignon 30%, sangiovese 20% rosso rubino con note balsamiche, frutta a bacca scura, ribes, prugna e sentori di liquirizia persistenti, che lo chef ha abbinato ad una Tarte Tatin con scalogno al vino rosso, gorgonzola naturale, noci, maggiorana e pere marinate al Cognac, una sfida di Andrea Provenzani che ha lasciato tutti con penna e taccuino alla mano per segnare la ricetta.
Ma Muralia è soprattutto da visitare, perchè l’azienda agrituristica è aperta tutto l’anno per visite e degustazioni, con la possibilità di acquistare i vini della cantina facendo due chiacchiere con i proprietari, che tengono molto a raccontarveli di persona e aprirvi le porte al loro grande sogno, finalmente realizzato.
Esistono due tipi di persone, chi ha un totale disinteresse nei confronti della bellezza e chi della bellezza ne fa il proprio riflesso. Riki appartiene alla seconda categoria, fa parte di quelle persone i cui nervi si sentono ronzare intorno, alla persona, alle sue cose, alla sua casa.
La sua casa, uno spazio immerso nel bianco e nella luce, un appartamento che sembra scelto dal bisogno di ripulirsi da qualche rumore di sottofondo; ogni oggetto acquistato pare stimolarlo e cercare la sua attenzione, le sue cure; questa totale assenza del colore culla e trasporta, il minimalismo architettonico svuotato da ogni orpello emana un’energia zen.
E’ qui che Riki ricarica le batterie dopo i concerti, in uno stato d’animo calmo e distaccato pronto a cogliere ogni briciola di bellezza.
Maglia manica lunga Alessandro Gilles, giacca bianca e pantalone La Torre, sneakers stampa cocco Hide&Jack
Accoglie il team di SNOB per un servizio fotografico, chiedendo gentilmente di togliere le scarpe e abbandonarle fuori dalla porta, come è d’uso nella tradizione giapponese. Camminiamo scalzi sul pavimento prontamente rivestito di cellophane per accogliere gli abiti di scena, quelli che dovrà indossare nei vari scatti. L’atmosfera è ovattata, quasi eterea, il candore vellutato del tappeto panna accarezza il bianco della poltrona Utrecht di Cassina; di Riki, in total white in questa scena, buca solo il ghiaccio dei suoi occhi, che molto dicono ma molto lontano dal tenero.
Accanto alla poltrona, tre rami intersecati sembrano perdere l’equilibrio da un momento all’altro, sono una delle tante installazioni minimal che Riki ha scelto per scaldare l’arredo, eppure in questa pagina di vita, che è la sua casa, traspare una lettura di equilibri delicatissimi, quasi trasparenti, appunto come i suoi occhi.
giacca grigia Tombolini, camicia a righe e pantalone Out-Fit Italy
Senza peritarsi della cura ossessiva per ogni angolo di loft, il cantante italiano riesce a far sparire la ruga sulla fronte, quando corrucciata trapela l’ansia che qualcosa possa essere spostato anche solo di qualche centimetro, nel momento in cui svela la sua doppia vita, che non è il profilo di Patrick Bateman di American Psycho, ma l’interior designer che c’è in lui. Perchè Riccardo Marcuzzo ha una laurea in Design del prodotto conseguita allo IED di Milano e non ha mai abbandonato il desiderio di professare in questo settore, tant’è vero che a breve potremo acquistare un’innovativa lampada di design che ha ideato in collaborazione con un grande brand.
Riki rivelaci di cosa si parla troppo del tuo lavoro e di cosa troppo poco.
Si è tutti carichi di pregiudizi, la gente fa delle radiografie sui personaggi pubblici, ci vedono come dei privilegiati che macinano soldi, ma nella musica non ci sono più i tempi dei Pooh! A me hanno detto di essere entrato al 92mo, ho venduto molti dischi quando ancora era possibile, ma ora è tutto streaming e non si guadagna niente. Ti vedono come uno stronzo che se la tira, che non lavora, ma ignorano l’impegno che c’è dietro un disco e una canzone. Molti miei colleghi hanno la fortuna di fare una cernita delle canzoni che arrivano, per chi scrive invece è diverso, hai bisogno di storie da raccontare e in tempo di Covid e restrizioni è molto difficile.
Tu per chi scrivi canzoni?
Io scrivo per me stesso, per me è analisi, una valvola di sfogo, la pagina bianca come uno specchio che trova le parole che talvolta non sappiamo dire. E’ un processo molto naturale, come un flusso di coscienza e vorrei le mie canzoni fossero sempreverdi, quando invece oggi la musica è fast food, si ascolta un pezzo e lo si butta via. La musica oggi è come un post su Instagram, diventa vecchio.
trench Avec le Vent
Quali sono i processi di chi per mestiere fa il cantautore?
C’è chi scrive per contratto, e in quel caso si organizzano session in studio con autori e produttori e a fine giornata si è obbligati a tirar fuori qualcosa. Poi ci sono cantautori come me che cercano di vivere la vita il più possibile aizzando le antennine e cercando di scrivere ispirato. Talvolta sono anche gli altri a farmi da “musa”, le loro storie, il fascino delle esperienze, ma il più delle volte le canzoni sono il mio diario.
Scrivi più quando sei triste o quando sei felice?
Scrivo quando sono molto felice o molto triste, non esistono per me le vie di mezzo. Quando sono felice scrivo pezzi che fan venire voglia di ballare, quando sono triste butto fuori il dolore.
La verità è che scrivo i pezzi che vorrei ascoltare in quei momenti.
Durante la giornata quanta musica ascolti?
Pochissima. Quella di oggi non mi piace molto, viviamo su frequenze molto basse e anche la musica ne risente. Del passato amo Battisti e De Gregori.
Vivi quindi l’era fast, lo sei anche nella vita privata?
A momenti. Molti capolavori sono stati scritti in 5 minuti, succede come nella foto perfetta: quando tutte le combinazioni combaciano, il risultato è un capolavoro.
completo Giampaolo, t-shirt panna supima cotton Filippo De laurentiis
Descriviti con 3 aggettivi per vita privata e 3 per vita professionale.
Lavoro: – maniacale – insicuro (fino all’ultimo metto in dubbio tutto, ma sono arrivato alla conclusione che le canzoni più sincere sono le più vere e quelle che arrivano dritto agli ascoltatori) – sognatore (ho molti obiettivi e ci lavoro con calma, quando non li raggiungo non me ne faccio più una colpa)
Privato: – sicuro – diretto – introspettivo (e credo nell’energia delle cose, dei luoghi, delle case)
Quanto è importante un’azione di marketing per un cantante?
La mia è stata bizzarra: ho tolto tutte le foto dai miei social e da quel momento un sosia viveva esattamente la mia vita; si faceva foto con i fan, postava sul mio profilo, rispondeva ai commenti, e tutti scrivevano “ti sei rifatto gli zigomi, hai levigato il naso, hai fatto operazioni agli occhi”. Un cartellone enorme nel centro di Milano creato in partnership con gli Orticanoodles (un duo di street artist che hanno collaborato anche con Banksy) mi ritraeva nudo con la scritta “Rovinami”; le ragazze lasciavano dei cuori e i ragazzi scrivevano “Frocio”. Io nel frattempo stavo in Sud America, volevo fare tutto il contrario di quanto ci si aspetti da un talent che esce da “Amici” di Maria De Filippi; una bella trovata sociale che ti fa capire quanto il successo si trascina dietro l’invidia.
L’ esperienza artistica più importante?
L’ Arena del Messico con davanti 30000 persone; ho dovuto imparare lo spagnolo in pochissimo tempo e fare interviste in una lingua diversa dalla mia, fatica e soddisfazioni.
L’ Auditorium di Buenos Aires, tante collaborazioni andate molto bene, una crescita professionale.
Ma è in Piazza del Duomo a Milano per RadioItalia che avevo più adrenalina in corpo: 80 mila persone ed un sogno che si avvera, cantare davanti al simbolo di Milano.
Nei palazzetti invece ci si sente in famiglia, è una sensazione di pace perchè entri in empatia con il tuo pubblico; mentre Sanremo è politica e non me la sono goduta molto.
Fai il cantante da soli 4 anni e hai raggiunto già molti traguardi, da dove arriva questo rigore?
Dal bello, quando me ne innamoro divento quasi psicopatico e ne porto immenso rispetto.
Nei rapporti hai la stessa ricerca di perfezione? Non permetti a nessuno di sbagliare?
Metto in conto l’errore, sempre, ma sono anche convinto che si possa fare meglio.
“Imagine” di John Lennon, magari con una frase diversa avrebbe potuto essere ancora più bella di quanto già non lo sia. In amore si sbaglia, ma credo nella statistica: è difficile arrivare nel momento perfetto nella vita di una persona. Sono stato con una ragazza, 21enne commessa di un centro commerciale, quando io ne avevo 25, molto dolce e stava con me per quel che sono non per la mia popolarità, ma non eravamo allineati.
“La vita ci rincorre ma ci sbaglia i momenti” lo scrivo in una mia canzone.
giacca pelle Harmont & Baine, jeans white PT Torino, sneakers Hide&Jack
E l’esperienza emotiva più importante?
La nascita di mia sorella, avevo 14 anni. Testarda, riservata, matura. E la nascita del mio studio di design; finita l’università lavoravo alla grafica e al prodotto e con i soldi che guadagnavo pagavo le registrazioni per fare un disco, dovevo avere almeno sei, sette pezzi da presentare ad “Amici”, Maria ha creduto in me e le devo molto. Nella mia vita musica e design vanno di pari passo.
Raccontaci i retroscena della tua esperienza ad “Amici”
In una stanza molto piccola quando si è in tanti l’aria si fa pesante. Nell’andare avanti del programma abbiamo iniziato ad odiarci tutti, un gruppo non ben omologato e i tempi morti in studio non aiutano, men che meno il sottoscritto che pensava di sprecarne troppo a stare con le mani in mano. Ricordo che ero primo in classifica su Itunes e i ragazzi non facevano che criticarmi. Un giorno, esausto, sono scappato, avrei dovuto finire un pezzo ma non potevo, non si scrive schioccando le dita. Design e Musica, come farle combaciare?
Il design parla in una tutta la mia casa santuario, il luogo dove finiti i concerti vengo alla ricerca di tranquillità.
Lo trovo quando siedo sulla De Padova, quando bevo il caffè dalle tazzine Bluside in vetro chimico, nei cucchiaini che ho carteggiato con le mie mani, tra le sculture africane del 1800/1900 AOC (African Oriental Craft), nella luce delle lampade Flos e sul tavolo in legno disegnato dai miei amici del Belgio dove ho spatolato del microcemento perchè mi diverte!
completo grafico azzurro Carlo Pignatelli, t.shirt con logo New Era
Ma chi pulisce la casa?
Fino a due mesi fa io perchè non mi fidavo di nessuno, ho sempre paura si rompa qualcosa, o che si spostino oggetti da dove sono stati collocati al centimetro. Ma impegnava troppo tempo e ho dovuto cercare un aiuto domestico, una ragazza a cui ho fatto del terrorismo psicologico (ridiamo) e che ha le mani così delicate da riuscire a spolverare anche i fiori, che mia madre per farmi un dispetto aveva fatto cadere apposta!
trench Avec le Vent
Obiettivi futuri?
Sto lavorando a nuovi singoli, in uscita in primavera e in estate. In parallelo ho firmato una collaborazione con un grosso brand di design, ho disegnato una lampada “Per 2”, metafora della ricerca dell’anima gemella che, una volta trovati i due pezzi, si uniscono e si accendono.
Tra i miei sogni c’è anche l’idea di recuperare case ridandogli valore e bellezza.
Il suo simbolo è un cerchio imperfetto in Stile Art Nouveau, con quei decori floreali tipici dei primi ‘900; come accedervi rimane un segreto, almeno per voi che non ci siete ancora stati, ma a rivelarvelo toglierei il divertimento perchè il 1930, il secret bar più secret di Milano è davvero una chicca.
Uno dei modi per tentare di spalancare la porta del proibizionismo è diventare assidui frequentatori del Mag Cafè, altro luogo della stessa famiglia, e meritarvi un invito dagli stessi proprietari. Come? Immaginiamo il cliente perfetto del 1930 come un gentleman che beve come un vero maschio; un dandy che accompagna la propria signora e l’inizia all’arte del bere; ma oggi i tempi sono cambiati e potrebbero ribaltarsi i ruoli; in quel caso il barman si complimenterà con voi! Potrete quindi iniziare a collezionare cocktail al Mag per poi ritrovarvi o semplicemente ubriachi, o i fortunati “uomini da bere” del 1930.
L’impatto è deludente, una porticina vetrata vi svelerà una triste ex latteria, o potrebbe sembrare uno di quei bar arrabattati all’ultimo senza budget da investire; ma anche questo è il calcolo diabolico di chi ha voluto, con il 1930, creare un mondo al rovescio, un tempo che volge al passato, una clessidra che si ferma, perchè una seconda porta nascosta vi catapulterà nel caldo universo dei cocktail proibiti.
Sono due i livelli del locale, il piano superiore sembra più affollato, luminoso e destinato a gruppi; quello inferiore è la ricetta perfetta per una serata intima in cui è piacevole conversare perchè tutti bisbiglieranno anziché sbraitare, sorseggeranno anziché trangugiare, flirteranno anziché pretendere.
1930 è uno stille di vita, il cocktail è protagonista, lo si rispetta come un mito, lo si attende come una medicina, e tutto diventa un rito, tra un sorso di whiskey cocktail e un tiro di Montecristo n.2, perchè anche questo è concesso.
Ogni angolo presenta un cimelio de les temps passés, vecchi registratori di cassa su antichi bauli di legno, candelabri in argento a 5 braccia, poltrone in blu velvet incorniciate da drappeggi porpora come una scena a teatro. I mattoni alle pareti riscaldano l’ambiente, su ogni oggetto poggiano foto vintage in bianco e nero, con una Marilyn Monroe ammiccante e infinite scatole di sigarette di ogni dimensione, portate lì da un contrabbandiere sul cui petto è finita una pallottola.
Le uniche luci sono quelle delle candele, per fortuna, perfette per creare quell’atmosfera pittoresca e silenziosa che è d’obbligo in un locale che vuol essere chiamato “secret bar”.
Una sedia a dondolo sta accanto alla porta d’ingresso del bagno, utile per chi deve fare il palo e fuggire dopo essersi caricato con uno Sazerac. Comodo per le ladies che vogliono poggiare giacche o cappotto, nel bagno trovate un manichino in ferro, delle foto d’antan del Naviglio Grande fine ‘800, dei poster in stile Art Déco e un simpatico tariffario della “Madama Gioia”, la donna ad ore che dovrebbe soddisfare desideri e svezzare giovani studenti a cui viene concesso un trattamento speciale con agevolazioni. Insomma non manca nulla per essere un perfetto Peaky Blinders.
Prima di salutare con un arrivederci (perchè vorrete assolutamente tornarci) il 1930, scaldatevi l’ugola con un Tom & Jerry, vi verrà servito in un bicchiere di legno senza manici, ha i profumi di casa, del caffè latte prima della buona notte ma alcolico; in questo modo potrete almeno fingere di essere dei bravi ragazzi!
L’ideatore di “RICORDI?” fa rumore, ha sempre fatto rumore, anche quando fotografava le modelle sulle spiagge di Bali o Bianca Balti per la cover di First; fa parlare per le irriverenze del suo blog, aperto tra i primi in Italia, e per la sua pungente schiettezza sui social network. Se qualcuno pensa che Settimio Benedusi abbia cambiato rotta con l’annuncio di questo nuovo progetto, si sbaglia di grosso! Perchè “RICORDI?” segue lo stesso pensiero di sempre del fotografo imperiese, e cioè quello di andare controcorrente. Se tutti si spingono ai limiti del digitale, Settimio Benedusi ci riporta al bianco e nero del ritratto stampato perchè, come diceva Susan Sontag, “Il carattere contingente delle fotografie conferma che tutto è caduco“. E quando tutti si improvvisano fotografi con in mano uno smartphone di ultima generazione, lui ritorna artigiano di bottega, un umile sfondo, un camice bianco e un ritratto stampato e incorniciato, pronto per essere appeso alle pareti di casa, come ai vecchi tempi.
– Cos’è “RICORDI?” “RICORDI?” è un collettivo di fotografia popolare che nasce dal progetto di riportare il privilegio del Ritratto Fotografico Stampato accessibile e democratico.
– Settimio Benedusi è un fotografo nostalgico? Una definizione che mi piace di “nostalgia” è la felicità di essere tristi. In quel senso un po’ lo sono, e lo sono probabilmente anche come fotografo perchè i miei riferimenti sono i grandi classici. Ma sono solito dire che il progetto “RICORDI?” è talmente antico da essere rivoluzionario!
– Nella presentazione di “RICORDI?”, sul sito ufficiale, affermate di essere in grado di rappresentare il soggetto per quello che è realmente. Come ci riuscite? Non facendo assolutamente nulla! Non facciamo fare pose, movimenti, atteggiamenti… nulla! Solo ed unicamente la faccia delle persone, convinti che lì ci sia proprio tutto ciò che serve per raccontare chi siamo. Non facciamo fotografie, ma definiamo un’identità.
– Da cosa nasce il passaggio del fotografo Settimio Benedusi dalla moda/lifestyle al ritratto? Dal desiderio di realizzare attraverso il linguaggio che io conosco (la fotografia!) qualcosa che abbia un valore etico/morale/politico: perché nella contemporaneità la fotografia o possiede questi valori o è il nulla.
– In base a quali caratteristiche sono stati scelti gli altri fotografi (Toni Thorimbert, Oliviero Toscani, Marco Onofri, Guido Stazzoni, Massimo Sestini) autori dei ritratti? Persone colte, intelligenti, empatiche e il più possibile prive del maggiore e più frequente difetto dei fotografi: il narcisismo.
– Come si differenziano? Sono tutti diversi all’interno dello stesso identico progetto.
– Avete una “divisa” durante il servizio. Perchè? La divisa è fondamentale! Perché dice chiaro e tondo che siamo lì come artigiani, al servizio di chi viene a fare il ritratto.
– Il nome del più grande fotografo ritrattista mai esistito Almeno fammene dire tre! Avedon, Sander, Disfarmer.
– Qual è il messaggio ultimo di “RICORDI?” “Il ricordo è il tessuto dell’identità” Nelson Mandela.
– Perchè tornare alla STAMPA in un’epoca DIGITALE? Perché è l’unica cosa che rimane.
– Quanti anni ha “RICORDI?” e quanto vivrà? Comincia ad avere 5 anni e vivrà per sempre!
Se si vuol fare il pieno di buon umore, a inizio giornata è consigliato passare dal suo profilo Instagram e seguire le simpatiche tips che lancia insieme ai suoi migliori amici, i manichini del suo atelier Genny, Mariano e Ciro! Parlo di Luca Rubinacci, che oltre ad essere l’erede della più grande sartoria italiana, è anche un seguitissimo influencer che regala consigli di stile.
Come i più grandi sarti che si rispettino, Luca Rubinacci è di famiglia napoletana, appartiene alla terza generazione e porta avanti i gioielli di famiglia, gli atelier Rubinacci di Milano, Napoli e Londra; lui lo si trova nella città della moda, in via del Gesu’, negozio allargatosi dal 2015 implementando la collezione con il “ready to wear” ed un esclusivo Club per soli uomini dedicato ai clienti del “su misura”.
Entrando troviamo tutti i prodotti “finger food”, come ama chiamarli, quelli da “ti prendo e ti porto via”, quindi pochette, bretelle, foulard, cravatte, cappelli, ombrelli, tutti rigorosamente fatti a mano e con simboli che rimandano alla storia di famiglia, all’orgogliosa appartenenza napoletana, come le stampe su pochette firmate Mariano Rubinacci che riportano Villa Lucia, la dimora dei nonni, o il samurai, il best seller realizzato in onore del Giappone, personaggio tanto amato dal padre per forza ed eleganza.
Vengo accolta con un caffè che mi aspettavo napoletano, e invece arriva dalla Calabria, dalla terra di un loro fidato cliente che, quando torna, può sorseggiarlo sentendosi a casa; questo è il fil rouge del club Rubinacci, un luogo che raccoglie gli oggetti di chi sceglie la bellezza come stile di vita. Prima di arrivarci bisogna attraversare la zona della collezione “pronta” e costeggiare la sartoria, che oggi è vuota causa Covid (gli ultra sessantenni lavorano da casa); una porta apre ad un piccolo corridoio dove troneggia la giacca storica Rubinacci, il capo iconico destrutturato dalle mani del nonno, e una seconda porta si affaccia sull’elegante stanza dalle pareti gialle, con le poltrone Chesterfield, una libreria in legno scuro con le foto di famiglia, i libri di moda maschile, l’angolino bar dove offrire del Gh Mumm o un whisky cocktail, una scatola porta sigari in legno pregiato, sigari lasciati dagli stessi clienti che li ritroveranno tra un meeting e una prova in camerino.
Sul tavolo rotondo, accanto alle ortensie lasciate seccare, le cover di Luca Rubinacci, sempre a suo agio nel mettersi in primo piano.
Luca vuoi raccontarci i tuoi inizi?
Ho la grande fortuna di avere alle spalle il nome della più grande sartoria d’Italia, parto da quello che per altri è un traguardo, ma è anche vero che con un passato così importante subisco anche il rischio di mandarla a picco. Il tempo, l’esperienza e la mia voglia di mettermi in gioco hanno aiutato, soprattutto a stare al passo con i tempi, con l’arrivo dei social network e di un nuovo genere di comunicazione. Arrivo in azienda nel ’99, alle spalle anni di vela da professionista e tutto il successo di mio padre, con cui volevo competere, imparando sì, ma aggiungendo un tocco personale. L’ho ottenuto con la napoletanità e con le stravaganze che tanto attiravano l’attenzione degli street photographer, i pantaloni viola, gli accostamenti strambi di colore, ma senza mai dimenticare l’eleganza, lo stile, e il know-how della mia famiglia. Sono entrato in atelier a 20 anni, oggi ne ho 38 e tengo seminari in Marangoni e alla Bocconi, io che non ho fatto l’Università, dove parlo anzitutto di teamwork, il lavoro di squadra che mi ha insegnato lo sport, ma ricordo soprattutto il senso di gratitudine, come quello che ricordo per l’ingegnere Sergio Loropiana, storico cliente di mio padre, mio mentore per sette anni; è a lui che devo l’amore per i tessuti, l’attenzione all’ascolto del cliente, e il concetto del lusso che tutto può concedersi.
Tuo padre ha deciso di farti studiare da Kilgour, la storica sartoria del 1882 tra le più importanti di Savile Row a Londra; che differenza hai notato tra l’eleganza italiana e quella inglese?
Ringrazio mio padre che mi ha sempre spinto a rubare il mestiere alla vecchia maniera, cioè “impara e porta a casa”, come si faceva nelle vecchie botteghe d’artista, quando l’allievo osservava la mano del maestro pittore, per poi arrivare a completare un suo quadro o addirittura superarlo in bravura. Gli inglesi sono molto precisi, il rigore british costruisce una giacca in maniera eccelsa, perfetta, impeccabile; mentre invece la sartoria napoletana fa del difetto il suo punto di forza! Mio nonno aveva anzitutto clienti marchesi, principi, conti, che vestivano per piacere e non per dovere, è da quest’attitudine che nasce l’esigenza di una giacca leggera e di conseguenza destrutturata. Toto’, Vittorio De Sica, Mastroianni poi, portavano i suoi capi con quella nonchalance, con una disinvoltura e un’allure che ricordiamo ancora oggi come iconiche, e questo lo si deve anche alla vestibilità del capo. Di Toto’ esiste ancora un cappotto Rubinacci, che ha fatto il giro dei musei e che oggi porta una serie di toppe e rattoppi, anche colorati. E’ l’esempio di passaggio di testimone, chi non aveva figli regalava i propri indumenti alla servitu’, che a sua volta lo passava alla portineria; a quel capo avrei voluto togliere quelle pezze e ridargli nuova vita, ma mio padre mi ha giustamente fermato ricordandomi che, così com’è, rappresenta tutta la storia non solo di Toto’ ma soprattutto di Rubinacci, che ha resistito fino ai giorni nostri.
Qual è il fiore all’occhiello di Rubinacci?
Siamo i più grandi collezionisti d’Europa di tessuti vintage; contiamo più di 60 mila metri di tessuti in casa che metterebbero al tappeto qualsiasi sartoria, è un’immobilizzazione incredibile; in atelier sono esposti quelli più venduti, ma è nel caveau tutta la merce più preziosa, tessuti che scovo durante le ricerche in giro per il mondo, a Camden Town a Londra, nei mercatini di Parigi e Los Angeles e talvolta nelle sartorie che lasciano il mestiere. Si scende al piano interrato e si apre il parco giochi dei più appassionati, tra questi Lapo Elkann, che porta amici intenditori; qui tra le pila di stoffe e l’odore del vissuto, si trovano i bouclè anni ’30/40 che usava tanto Chanel, un vellutino color aragosta, un lino color jeans che sembra denim; qui si trova l’introvabile.
Qual è il capo più venduto e cosa chiedono oggi i più giovani?
La giacca è senza dubbio il pezzo più importante e rappresentativo, seguito dai cappotti, sia su misura che pronti; seguono poi i pantaloni vecchia scuola con le pences. Abbiamo la fortuna di avere una clientela molto ampia, che va dai 20 ai 60 anni, forse anche grazie all’uso smart che facciamo dei social network. Ho simpatia per i più giovani che entrano in atelier e mi dicono “Luca, voglio vestirmi come te!”
Ma il mio compito è tirar fuori il loro di stile, la loro di personalità, il mio è anche un lavoro psicologico, e mi diverte molto. Copiare è un atteggiamento da brand di tendenza, che non mi rappresenta, io non mi ispiro a nessuno, non copio nessuno, non ho icone. Se mi parli di James Dean posso sì dirti che mi piace lo stile con cui indossa la t-shirt bianca, ma non mi rifaccio a lui. Dobbiamo conoscerci per capire qual è lo stile che più esalta la nostra persona e che ci fa sentire a nostro agio in ogni situazione. Io porto il mio punto di vista, il mio know-how, la mia expertise, non vestirò mai un cliente uguale ad un altro, per quello ci sono le confezioni di Gucci e Dolce & Gabbana e se siamo arrivati a 1100 abiti su misura oggi, dai 300 l’anno del 2015, crediamo che sia la conferma della soddisfazione dei nostri amati clienti.
Tu ti occupi non solo del marketing dell’azienda ma anche del design. Da dove trai ispirazione?
Mi rifaccio al passato ma soprattutto ascolto i miei clienti, sono loro la massima ispirazione. Noi non abbiamo inventato niente, ma proponiamo una vestibilità regular, che è prerogativa del brand. Se altrove si seguono le mode, e quindi jeans slavati, stracciati, skinny, qui invece si trova il jeans pulito, classico, semplice; così come i pantaloni e i bomber di pelle regular fit, ma anche prodotti atipici come le sahariane e le giacche/camicie in cashmire.
Un pezzo icona è la nostra scarpa, che ci riporta al comfort come filo conduttore perchè è una pantofola rielaborata. La produzione è toscana e arriva da un mastro pantofolaio; l’idea mi è venuta guardando una foto di Andy Warhol che ne indossava una negli anni ’90, noi abbiamo deciso di sostituire la parte in tessuto della suola con il cuoio, per permettere di uscirci per strada.
Sai di essere molto divertente e simpatico sulla tua pagina Instagram luca_rubinacci?
Ci provo! Già trovo una gran rottura di scatole i social network dove tutti fanno le stesse cose e parlano degli stessi inutili argomenti, io tento almeno di far ridere insegnando però quello che conosco. E’ una sorta di ringraziamento, di passaggio, come se i social mi avessero dato la possibilità di restituire agli altri quello che hanno insegnato a me; e allora do’ consigli di stile, o faccio un video su come annodare una cravatta, o su come accostare i colori o su che tipo di tessuto indossare a seconda delle stagioni, e intanto presento al pubblico Ciro, Genny e Mariano, i tre manichini che hanno i nomi di famiglia.
Difficile non provare simpatia per te che rispondi con garbo anche agli hater più maleducati…
Mio padre mi ha sempre detto da bambino “In ogni cosa che fai, mettici il buon senso”. E’ a questa frase che penso prima di rispondere, conto fino a 10 e cerco sempre di far prevalere la mia napoletanità, l’abbracciare tutti, anche se sono uno scorpione e in quanto tale prima o poi lascio del veleno.
Cosa chiedono gli uomini una volta entrati in atelier? Vengono accompagnati dalle loro mogli/compagne?
Qui il cliente sa che troverà i prodotti che vanno a costruire il guardaroba; i prodotti stagionali oggi vanno di moda ma domani non potrai più indossarli, da noi si acquista il “senza tempo”. Io oggi ad esempio indosso una giacca datata 2005, un blazer blu doppiopetto, un evergreen. E se l’uomo viene accompagnato è perchè si fida dei consigli di chi lo conosce bene, non è sempre questione di gusto, ma di approvazione, non di esperienza ma di sentirsi a proprio agio. Mia moglie prima del matrimonio non riusciva a trovare l’abito giusto, girava alla ricerca con mamma e sorella quando un giorno viene da me quasi in lacrime e mi chiede “Possiamo farlo insieme?!” Ma come le dico di sì io che sono un napoletano, uno scaramantico, che non si può vedere l’abito prima del matrimonio!? Alla fine le ho consigliato gli shape che le donano e lei a sua volta mi dice cosa le piace, certo io sono un poco stravagante in tartan verde, giallo e arancio, li indosso in inverno per giocare con Ines, mia figlia, ma a Maria sembrano sempre dei pigiami! (ride)
Che valore ha il sartoriale su misura?
E’ una questione di dettagli, di qualità e di durata nel tempo. Noi produciamo ancora la camicia come una volta, facciamo le prove con un telino di cotone povero, mettiamo in prova i tessuti meno pregiati su cui possiamo scrivere sopra e fare tutte le modifiche che il cliente richiede e che permette di provarlo più e più volte, fino al risultato finale, che sarà sicuramente perfetto e che verrà realizzato con il tessuto pregiato scelto in precedenza tra i 45 scaffali a disposizione. Il cliente può scegliere il modello del collo, del polsino, è anche un momento di creatività che fa della camicia un pezzo davvero unico, su misura.
Cosa vendi sull’ecommerce?
Tutto quello che si trova in atelier tranne il “su misura”. Dai posaceneri di Pulcinella portafortuna ai portafogli in cervo, dal documentario della nostra storica sartoria ai pigiami in seta, dalle vestaglie in cashmire ai costumi da bagno.
Il club Rubinacci è una tua recente idea…
Il club vuole essere un servizio aggiunto per chi sceglie il “su misura”. Spesso i miei clienti sono obbligati a meeting in sale degli hotel dove alloggiano, ho così pensato di creare uno spazio per loro, più intimo, dove poter incontrare clienti ed amici, un luogo che li faccia sentire a casa, dove possono lasciare i loro sigari, i loro distillati preferiti, dove possono provare un abito in totale tranquillità in un maxi camerino, magari facendosi consigliare dall’amico. Qui troviamo i libri di moda di Del Vecchio, imprenditore di Luxottica e nostro fidato cliente, un modellino di Ferrari, che ci riporta al Presidente Montezemolo, degli scatti di Franco Pace, una fotografia di Pavarotti, che ricordo con grande simpatia quando gli misuravo la circonferenza vita e mi diceva che mio padre comprava il metro sbagliato perchè non era sufficientemente lungo!
Come avete reagito al lockdown?
I nostri clienti sono amanti del bello, soprattutto chi sceglie il sartoriale su misura; per loro abbiamo creato un gioiellino, una box ispirata ad un portasigari, in legno pregiato, che contiene una raccolta di tessuti scelti appositamente per quel cliente in base ai gusti e ai precedenti acquisti, accompagnata da una lettera scritta a mano che inizia con “Special Fabrics Selection for Mr….”. E’ un gift coccola in cui ci rendiamo disponibili anche in video chiamata per la scelta di un su misura a distanza, avendo già in casa i cartamodelli. E’ un regalo per sempre, può essere poi utilizzato come svuotatasche o come soprammobile da salotto. E’ un modo per sentirci vicini, anche se siamo lontani!
Vintage è sinonimo di qualità, è la moda di ieri rievocazione di storia, tradizione, ricercatezza.
Non solo gli addetti al settore oggi se ne rendono conto, perchè un buon taglio sartoriale, l’unicità dei dettagli quali bottoni elaborati o modelli irripetibili, oggi assumono un grande significato.
Non è un caso se nascono siti di vendita online vintage o second hand, che portano tutti alla caccia del pezzo più iconico.
Le peculiarità risiedono nell’irriproducibilità dei medesimi standard qualitativi, dei materiali di altissima qualità, delle strutture démodé eppure evergreen, del fascino nostalgico di un periodo che non abbiamo vissuto e che ci regala, indossando un abito vintage, l’illusione di averlo percorso.
Abbiamo unito la favola del vintage con dei capi d’alta moda e con l’immagine nostalgica delle Polaroid. Tra i preziosi capi un kimono originale e dei Valentino haute couture.
I copricapo sono tutti fatti a mano da Oriana Curti.
Ci si chiede com’è possibile che una così potente forza sia concentrata in una donna così piccina. Marta Grassi, chef del ristorante Tantris di Novara, una stella Michelin, è l’esempio vivente che desideri e forza di volontà sono i gradini per arrivare lontano. Il successo, la stella Michelin e ventisei anni di attività per il Tantris di Novara, ristorante stellato che propone una cucina creativa di qualità e sostenitrice del territorio. La incontriamo per un’intervista poco prima del secondo lockdown.
Quando è iniziata la sua avventura nella ristorazione?
Fino ai trentacinque anni ero insegnante di scuola materna all’asilo nido, un lavoro che amavo ma da cui trasparivano dinamiche difficoltose (molti bambini e pochi finanziamenti) e talvolta monotone. Per quattro o cinque anni ho cercato nel tempo libero dei corsi di cucina, difficili da trovare in provincia; è in quello di Milano che ho avuto la spinta a continuare, dal mio insegnante. Avevamo dei compiti a casa, piatti da ricreare dove mettevo del mio, allungavo cotture, inserivo ingredienti; per partecipare alle lezioni prendevo dei giorni di ferie senza riferirlo alle colleghe e intanto organizzavo grandi cene a casa mia, con amici e tavola imbandita, salmone farcito in crosta e torte al cioccolato servite su piatti specchiati. Mio marito Mauro, che ora è in sala al Tantris, lavorava ancora in un’agenzia viaggi; sul book grigio di Lufthansa ho creato il mio ricettario, per non proporre mai lo stesso piatto e cimentarmi in qualcosa di nuovo, di più difficile. E’ un percorso che abbiamo fatto insieme, lui avvicinandosi al vino, grazie al fondatore di Vinarius Francesco Vivian, grande enotecaio di Novara, io alla cucina.
Che tipo di clientela ha il Tantris?
Novara, cittadina dove siamo, ha una cultura risparmiatrice, contadina, oggi per il centro solo franchising e poca tradizione. Novara rientra nella lista di uno studio sui luoghi dove non aprire attività; oltre a Novara, Rimini e Brescia. Da Brescia la gente si sposta alle località vicine, più belle, come il Lago d’Iseo e la Franciacorta; Rimini invece è conosciuta per la qualità buona ma a basso costo, a Rimini ci si accomoda in una pensione, non in un hotel a cinque stelle, è una città per giovani e famiglie. Novara invece ha una predominanza di cittadini âgée, di risparmiatori, quindi la clientela viene da fuori, da Milano, dalle grandi città o estera, una clientela che comprende gli sforzi e lo studio di una cucina come la nostra, dove nel piatto raccontiamo una storia, un luogo dove vivere un’esperienza. E poi noi abbiamo un cliente simpatico e fidato che torna da anni, il cliente che possiede lo scontrino numero 1!
I suoi piatti hanno sempre un richiamo al territorio ma rielaborati in chiave moderna e creativa
Quando ho aperto il ristorante mi sono raccomandata di una cosa, e cioè di non cucinare mai la paniscia, che è il piatto tipico novarese. Perchè? Perchè è una pietanza da trattoria e osterie, non mi ci identifico e soprattutto il cliente novarese avrà sicuramente la mamma o la zia che la faranno meglio di me. Ho deciso quindi di dare sì luce ai prodotti locali, ma di inserirli in una cucina contemporanea, moderna. Compro le mele piemontesi anziché quelle del Trentino dall’aspetto lucido e intonso, perchè sono buone e aiuto i produttori locali; la stessa scelta per il riso, le zucche e i polli, dove siamo leader nel settore. Lo spostamento della merce inquina, e cerco di fare scelte intelligenti e sostenibili, ma se opto per il pomodoro lo prendo da Napoli, perchè è un pomodoro nato senza serre, che non ha bisogno di antimuffe e antifunghi grazie al clima dove nasce, che invece sarebbero necessari in un territorio umido come quello di Novara.
Da dove trae ispirazione per i suoi piatti?
Ero in un luogo di montagna, esattamente in Svizzera e passeggiavo in mezzo a dei bellissimi pini, profumatissimi: subito ho pensato che avrei dovuto farne qualcosa. La prima parte di crescita del pino ha degli aghi verde acceso e molto teneri, ho creato un risotto con i funghi, con tante contaminazioni, e l’ho terminato con una polvere di aghi di pino che ho raccolto lì, fatti essiccare e frullati, così il mio piatto oggi, che è ancora nel menu degustazione, ha quel profumo di bosco che mi piace tanto. Ecco, la natura mi ispira.
Lei ha lavorato da Marchesi dove Davide Oldani era secondo sous-chef e Carlo Cracco stava ai dolci insieme a Ernst Knam, tanti grandi nomi in una sola brigata
Marchesi ha lasciato un’eredità culinaria inestimabile, ha chiuso una pagina di storia e quell’esperienza mi ha molto commosso e al tempo stesso fatto riflettere. Chiudeva allora in Via Bonvesin de la Riva un maestro, un artista, un innovatore, penso a lui in questi momenti di difficoltà quando il telefono non squilla e la sala è vuota, e so come ci si poteva sentire. Sono i momenti in cui si è soli con se stessi, ma si è soli anche quando si ottiene la stella e si tocca il cielo con un dito. In cucina? Cracco e Knam si facevano degli scherzi terribili!
Come ha fatto Marta Grassi, oltre ad avere un indubbio talento, a farsi strada nella ristorazione?
L’Europa è oggi la regione geografica che ha più donne stellate, tante ragazze talentuose, ma in quanto donna, in questo settore così come in tanti altri, bisogna valere il doppio per essere ascoltata. Non nascondiamoci, viviamo ancora in un paese patriarcale e maschilista, con una percentuale molto bassa di donne al governo e dove il Papa è e rimarrà maschio. Una sera lavoravo, insieme ad altri colleghi, ad una cena di solidarietà dando indicazioni precise e svelte ai ragazzi in cucina, e uno di questi colleghi si è stupito di come fossi organizzata e preparata, che io mi chiedo dove sta lo stupore dato che, come tutte le donne, gestisco famiglia, lavoro, dipendenti, casa… Mi viene in mente un esempio italiano in cui una donna viene bistrattata nonostante abbia un passato lodevole e meritevole di elogi, quello della politica Laura Boldrini, presa di mira su temi più fragili quali la famiglia, sul personale; gli uomini sanno sempre dove colpire, e quando colpiscono la famiglia, lo fanno al cuore.
Cosa mangia uno chef in vacanza?
Affitto sempre una casa e cucino tutti i giorni, perché se vado all’estero so che troverò prodotti nuovi, tante tipologie di pesce fresco come le sarde locali, le alacce, le aguglie, piccoli pesci pescati e venduti in piccoli mercati, dove in Italia non ci sarebbe richiesta. Se vado in Francia so che potrò assaggiare dieci tipi di ostriche differenti, quando i miei fornitori ne hanno solo tre, quindi è un viaggio di gusto in solitaria, testo i sapori in quel territorio e cucino per me e mio marito, non posso portare qui dei prodotti che terrei per poco tempo in menu: se un cliente contento torna con un amico, dovrà trovare gli stessi gusti che lo hanno colpito, non posso cambiarli. E poi ci piace stare a tavola per due o tre ore, un regalo in confronto ai dieci minuti che abbiamo quando siamo in servizio.
Mai senza…
Il mio coltello! Ho le mani piccole e voglio coltelli affilati; durante i pranzi di Natale a casa di mio padre porto sempre il mio coltello per il taglio della faraona; anche la pinzetta chirurgica non manca mai, per spinare il pesce; è una pinza usata per clampare le vene, me l’ha portata un amico chirurgo: se afferro una spina con quella, non mi scappa più!
Si descriva in cucina con tre aggettivi
Agile, la fortuna di essere piccole. Curiosa, è la mia caratteristica peculiare, devo conoscere tutto e approfondire. Frettolosa, forse come tante donne impegnate, faccio una cosa e ne penso cento e in quell’istante non mi soffermo sul presente, e me ne dispiaccio. Ma è anche il prezzo da pagare dell’essere multitasking.
Piatti preferiti
I lievitati. La pizza, che deve essere super; il pane, e il croissant della Pasticceria Frida di Magenta.
In cosa si sente più portata in cucina?
Paste lievitate e pani. Anche se in molti mi dicono che sono brava nei dolci; ma se sul tavolo ho un pezzo di cioccolato e una fetta di salame, io mi fiondo sul salame!
Un palato pretenzioso come il suo, dove sceglie di mangiare, fuori dalla sua cucina?
Se decido per la pizza, ah sono noiosissima! Ma ho trovato il luogo perfetto, la pizza perfetta: Pizzeria dell’Angolo di Vittuone, dove lo chef Giuseppe Rizzo nobilita le farine usate e le lunghe lievitazioni; ottima la materia prima, olio e mozzarella molto buoni; insieme allo chef ho tenuto delle lezioni sui lieviti, mia grande passione, a Identità Golose, il primo hub internazionale della Gastronomia. Se voglio essere stupita non c’è confine che tenga, prendo un aereo e volo da Amparito Roca, a Madrid, oppure a San Sebastian da Arzak, due dei 3 stelle Michelin dalla cucina innovativa e spettacolare; in casa nostra abbiamo Spazio Niko Romito, piatti semplici ma deliziosi: seppie con i piselli, filetto di manzo con aromi, funghi con patate, agnello arrosto, sono sapori unici e le cotture sono molto curate, inoltre apprezzo il lavoro etico (no scarti e sprechi, team affiatato), e quello si vede anche dal piatto.
Durante il primo lockdown alcuni ristoranti hanno opzionato un delivery con costi accessibili, voi come avete reagito alle chiusure?
La mia cucina in un lunch box non ci può stare, non posso permettermi di vendere sottocosto, abbiamo però recuperato denaro facendo personalmente dei lavori al ristorante: imbiancato, pulito, rifatto le piastrelle in cucina, cambiato le tende, aggiustato i pannelli solari, insomma abbiamo risparmiato cinquemila euro e abbiamo impegnato il tempo, non male in questo periodo.
Qual è stata la risposta del pubblico alla riapertura dopo il primo lockdown?
Un’ondata di persone che comprensibilmente avevano voglia di un ritorno alla vita sociale, il locale è ben predisposto per il distanziamento dei tavoli e i tavoli stessi hanno cento centimetri di diametro per il posto da due, e centoventi centimetri per le prenotazioni da tre. Abbiamo lavorato bene fino all’8 agosto, data di chiusura, poi il rientro è stato difficoltoso, la gente è spaventata, persino gli allievi dei nostri corsi, quelli che arrivano da zone di alto contagio come Milano, sono premurosi nei confronti degli altri ed evitano di presentarsi per paura di contagiare. E’ una situazione surreale, delicata e molto difficoltosa e i primi a risentirne commercialmente sono i ristoratori.
Un consiglio alle donne che vogliono intraprendere questo mestiere
Siate forti e non lasciatevi scalfire, puntate a un obiettivo e andate avanti. Quando lavoravo da Marchesi saltavo i pasti perchè ero lenta, lavoravo tanto e potevano anche essere poco gentili con me che tanto avevo la corazza e un grande scopo: guardare e imparare più che potevo, rubare il mestiere. Se non si hanno le idee chiare, si brancola nel buio e si rischia di perdere tempo; questo è un mestiere di grandi sacrifici, soprattutto quando l’attività è propria; noi abbiamo aperto con un piccolo fondo che erano le nostre liquidazioni dei lavori precedenti e siamo andati avanti grazie al forte sentimento che ci lega, una grande fortuna fare questo viaggio in due.
Quando le hanno annunciato della Stella Michelin, se lo aspettava?
Eravamo ancora in sala per il servizio, erano le undici di sera, squilla il telefono e una voce di ragazzo ci dice “Lavoro per Iaccarino, sapete chi è? Avete ottenuto la stella”. Io subito chiamo mio marito “Mauro, qui c’è un cretino che dice che abbiamo avuto la Stella Michelin”. E dall’altra parte giurava fosse vero, insomma a quel tempo erano quattro giornalisti in croce a decidere le stelle, pochi critici e niente Internet. Lo abbiamo riferito ai clienti ancora in sala e la mattina abbiamo pensato “E se fosse uno scherzo, che figura ci facciamo? Non diciamolo a nessuno”. Decisi poi a scoprire la verità abbiamo chiamato la Michelin e ci ha risposto una segretaria, forse stufa degli infiniti trilli telefonici, sento il rumore delle pagine sfogliate: “Sì, l’è vero, qui c’è un fiorellino”. (ride)
Marta Grassi, chef del ristorante Tantris di Novara, una stella Michelin
Castel Fragsburg: tradizione, ecosostenibilità, benessere, l’accoglienza luxury per eccellenza si trova immersa tra le montagne dell’Alto Adige
Castel Fragsburg Maternum
Qui tutto è circondato da alti monti di cui si vede ancora qualche sentiero di neve. Si respira un’aria di erbe, mite, e si è accompagnati dal dolce canto degli uccellini, di tante specie che sembrano andar d’accordo tra loro. In alto le nubi sono come fatte di zucchero filato, il vento le sfilaccia e si trasformano sempre in figure nuove. La natura ci accompagna verso Castel Fragsburg, oggi struttura alberghiera 5 stelle, ex dimora di caccia del 17mo secolo circondata da 50.000 metri quadri di giardino piantumato.
E’ un castello arroccato antico 400 anni, troneggia sul mondo alpino dell’Alto Adige nella città di Merano e dal 1954 diviene proprietà della famiglia Ortner che lo restaura rispettandone la personalità e arricchendolo, nel corso degli anni, di preziosi oggetti d’arredamento. Antichi bauli inizi ‘800 raffiguranti figure sacre, classici divanetti da conversazione inizi ‘900, eleganti lampade da camera con perline impreziosiscono la sala ristorante. Accanto ad una bellissima stube in maiolica, antico focolare dove si riuniva la famiglia, un carrellino dei liquori vintage, e alle pareti ritratti di signore o simpatiche riproduzioni di Modì e Saudek. Salendo verso il terzo piano troviamo incorniciate delle deliziose illustrazioni de “La Mode Illustrée”, antica rivista francese del 1877. I pezzi di modernariato delle camere si sposano perfettamente agli antichi bauli della nonna, ai pezzi di design e di arredi Art Deco’; gli intarsi elaborati alle porte rimandano alla vegetazione selvaggia che circonda il Castello.
Castel Fragsburg Paternum
Visionario il proprietario del Castello, Alexander Ortner, che acquista anche l’antica residenza del 14mo secolo, un Castello a sé stante poco distante dal Maternum, il Castel Fragsburg Paternum, con l’ambizione di realizzarvi ulteriori suites. Oggi adibito a location per importanti eventi quali matrimoni, cerimonie, anniversari, il Castello conserva tutto il fascino storico che la famiglia Ortner rispetterà nella futura ristrutturazione. Pavimenti in cotto, grandi sale adibite un tempo alle danze, importanti archi a volta e porte che aprono a segreti passaggi interrati, il Paternum oggi ospita la mostra del pittore Theodor Kollmann, una raccolta di dipinti dal 2008 al 2018. Una pittura fatta di dissolvenze e trasparenze per poi irrompere con tratti più marcati nel ritratto della figura umana.
La piscina
Per raggiungerla è necessario attraversare un poetico sentiero di glicini, rose, gelsomini e ortensie; un luogo raccolto e intimo dove poter riposare nel letto a baldacchino intagliato a mano e adagiato sotto un castagno, sempre accompagnati dal magico canto degli uccellini. Romantici archi di rose vi porteranno alla grande piscina immersa nel panorama lussureggiante del Sudtirolo. Intorno le montagne sono così folte di vegetazione che ricordano dei verdi cuscini di velluto. L’intima vasca idromassaggio riscaldata attende certo le coppie che sanno amarsi ancora; la Torre Panoramica nasconde un tavolo per due, sembra una costruzione giapponese dell’ultima scena del film “Memoria di una geisha”.
Detail of the garden at Relais & Chateaux Castel Fragsburg,Merano
Detail of the swimmingpool of Relais & Chateaux Castel Fragsburg
La Suite Royale
Delle 20 suite, la stanza 301 è sita al terzo piano, abita stili differenti e affaccia dal terrazzo sui vigneti e sul romantico giardino con le sedie in ferro battuto dell’albergo. Travi a vista nel salotto e nella camera da letto, formano una prospettiva tridimensionale che si estende fino ai lucernari del bagno da dove penetra una luce intensa e calda. E’ l’unico bagno total white di Castel Fragsburg che ha scelto per le altre stanza un marmo rosso di Verona. Il set di cortesia è ricco e risponde al concetto green: shampoo, balsamo, gel doccia e sapone mani sono tutti solidi eliminando così l’uso della plastica; lo spazzolino è in bambù e le confezioni tutte in carta di pietra, un nuovo tipo di carta formata per l’80 % da carbonato di calcio, lavabile, resistente. La crema corpo è invece preparata al momento dall’alchimista di Castel Fragsburg, Renate De Mario Gamper con prodotti 100% biologici. Pronta di due teli mare e due ciabatte, la sacca di tela preparata dall’albergo, vi accompagnerà nelle giornate soleggiate da passare in piscina, dove il servizio è disponibile a coccolarvi con un drink o un appetizer.
Suite Royale
La Spa Curativa
Fiore all’occhiello di Castel Fragsburg, la 1st Alchemistic Healing Spa Castellanum Natura, nuovo concetto di cura e benessere capitanata dalla moderna alchimistaRenate De Mario Gamper, massima esperta di erbe con un passato da nutrizionista. Un tempo l’avrebbero chiamata strega, oggi la grande esperienza di Renate regala al Castello e agli ospiti un servizio che può davvero considerarsi la nuova era del lusso: i trattamenti dell’area sono tutti taylor made, cambiano a seconda del bisogno e vengono realizzati su misura con erbe non facilmente reperibili in commercio. Creme, unguenti, olii che troverete solo qui, fatti personalmente dalle mani esperte di Renate nel suo piccolo laboratorio dove alambicchi distillano i liquidi, li raffreddano e li preparano all’uso. L’alchimista, discendente di una famiglia di origini altoatesine, ha vissuto la tradizione delle erbe, il loro indispensabile uso non solo in cucina ma anche in medicina, quando la natura era succedanea delle moderne farmacie e la neve alta non permetteva di raggiungere a valle l’unico medico del paese.
La moderna alchimista Renate De Mario Gamper
Il bagno nella tinozza di legno
Magnetica come una guru, Renate accompagnerà gli ospiti nella giusta scelta del trattamento avvicinandoli al mondo alchemico attraverso la “Medicine Walk”, una passeggiata tra le piante che verranno a voi come chiamate; la pranoterapia si unisce all’affumigazione, alla pulizia dell’aura e alle cure energetiche che ciascuno di noi necessita. Questa può davvero essere definita l’oasi di pace, dove sciogliere muscoli e pensieri con l’olio di resina di larice, tornare a sorridere con l’olio di iperico e godere dell’unicità del panorama che solo Castel Fragsburg regala con un bagno nella tinozza di legno. In un’acqua che sgorga dalla sorgente, si sciolgono sali dell’Himalaya lasciati al sole in un vetro viola (in questo modo diventano “sistema di illuminazione sulle cellule”), per un effetto detossinante, purificante e distensivo. Per aumentare l’effetto del bagno e accrescerne il profumo, si aggiungono fiori fresci come la rosa cinese, la malva, la camomilla, l’aptenia cordifoglia, la spirea del Giappone, la calendula, l’heliopsis, la lavanda ed erbe pure, quali alghe, achillea, rosmarino, salvia, la vite del Canada, la foglia di glicine, oltre a latte di asina, come Cleopatra insegna. Avvolti nell’intimità di una candida tenda di pizzo, sull’ampio terrazzo della zona wellness, potrete ora godere del trattamento che più di tutti si avvicina alla tradizione del passato, che più di tutti vi immergerà nei profumi infiniti che la natura regala e che vi delizierà occhi, corpo, ma soprattutto spirito.
Relais & Chateaux Castel Fragsburg
Gourmet Restaurant Prezioso
Nobilitato dalla presenza del Ristorante Gourmet Prezioso insignito della Stella Michelin, Castel Fragsbourg si onora di un grande chef e di una cucina eccelsa. Il capitano è lo chef Egon Heiss, ben lontano dall’attuale figura da rockstar che gli chef incarnano oggi nelle nostre tv. Salutare, sportivo, lo chef Egon vive nel Castello sei giorni a settimana, per poi tornare dalla famiglia il giorno del riposo, la domenica. Cinque giorni su sette si dedica alla corsa, 10 km fino e Merano e poi di nuovo in salita; rigore, disciplina e ordine, sono tanto nella persona quanto nei suoi piatti.
Ristorante Gourmet Prezioso, 1 Stella Michelin
“Less is more” è il motto di Egon Heiss che ci riporta ad una cucina essenziale dove gli unici protagonisti rimangono i sapori. Anche il menu risponde alla stessa “pulizia”, pochi ingredienti, i principali, compaiono senza inutili imbellettamenti. Una cucina “metro zero” che utilizza frutta, verdura, erbe del “Soul Garden”, l’orto del Castello che regala le prelibatezze di stagione. Le sorprese in cucina sono sempre dietro l’angolo al Prezioso, che può cambiare menu anche da un giorno all’altro; se una bellissima erbetta fa capolino tra la terra, sfilerà sicuramente nel piatto prima che appassisca, rispettando così i suoi tempi e scardinando quello che è il concetto di cucina classica. La tradizione altoatesina si sposa alla ricchezza italiana, con una centralità di verdure e di erbette (anche spontanee) che difficilmente troverete nei piatti delle altre cucine èlitarie. Frutto anche della collaborazione con l’esperta di erbe e nutrizionista Renate, vengono scelte insieme dal “Soul Garden” per utilizzo e preparazioni.
La carne è di qualità nostrana – “Solo il top, meno peso e qualità eccellente” sottolinea lo chef Egon Heiss, – “il mondo sta cambiando e c’è sempre una maggiore cura ed attenzione a ciò che si mangia, per questo motivo scelgo solo il meglio e lo recupero rispettando il concetto di “slow food”. Dall’amico Stephan prendiamo il wagyu, il kobe giapponese; da Oscar gli agnelli, circa 3 a settimana, che lui stesso porta a pascolare sulle Malghe. Da un giovane ragazzo il riso locale, che ha iniziato a piantare due anni fa. Mi fido dei giovani e l’intento è quello di aiutare sempre i piccoli produttori locali rispecchiando quello che poi è la mia cucina: 70% regione – 30% Italia.”
Set table for dinner in the diningroom of Relais & Chateaux Castel Fragsburg
Relais & Chateaux Castel Fragsburg
Relais & Chateaux Castel Fragsburg
Se guardiamo alle ultime opere di Picasso, noteremo l’essenzialità delle forme, poche linee che creano l’opera d’arte; nella cucina di Egon Heiss ritroviamo la stessa ricerca ossessiva della perfezione, attraverso la semplicità.
Delizia del menu il raviolo fatta in casa ripieno di gambero viola, posato su spinaci saltati, crema di gambero e balsamico, sopra un cuore di mozzarella di bufala e datterino pomodoro, completato da una spuma di gambero e a chiudere il piatto un caldo ristretto di pomodoro. Anche il salmerino si aggiudica il podio, leggermente affumicato marinato, con crema di finocchio, finocchio fresco, insalata di lattuga, chips di speck del contadino e a finire il ristretto di salmerino. Dell’amico Oscar, la pecora cottura rossa, il suo fondo, fagioli bianchi e verdi, un’emulsione di senape e pomodorino datterino. E per i golosi un delicatissimo soufflè di ricotta servito in una mini pentola di rame, soffice e spumoso, una coccola per concludere egregiamente la serata.
lo chef Egon Heiss
Riconoscimenti
Stella Michelin per il Gourmet Restaurant Prezioso 2021 Gault & Millau valutazione 2021 con 16,5 punti e 3 cappelli Condé Nast Johansens Award Best Dining Experience 2021 Tripadvisor Traveller Choice Award 2020
Partner Relais & Chateaux, Virtuoso, Healing Hotels of the World
MYTHERESA, il rivenditore online di lusso, lancia "The Album ", il libro dei sogni con i designer più rappresentativi. Un diario di viaggio che ci porta nelle case dei designer più noti, l'incontro ravvicinato con una moda più vera e più forte.
Si dice "Non tutto il male viene per nuocere" e forse questa maledetta pandemia ci ha fatto scendere un po' tutti dal piedistallo. Ci ha umanizzati, ci ha fatto capire che la vita è un soffio, oggi la abitiamo e domani chissà; ci ha uniti nonostante le distanze, ci ha fatto riscoprire i veri affetti e i nostri più sinceri bisogni. E allora forse ricorderemo questo momento di vita come un dono prezioso, per chi ce l'ha fatta, per chi è riuscito a cambiare e per chi ha finalmente dato un senso alla propria esistenza.
E' l'impegno e l'attitudine che ha messo anche Mytheresa, il rivenditore online di lusso, realizzando un libro in cui anche le star scendono a noi dal cielo, si mettono in cucina e impastano anche loro, come hanno fatto Donatella Versace, Silvia Fendi, Gabriela Hearst, Olivier Rousteing, Lucie & Luke Meier. Ma sempre con grande eleganza, rivisitando i loro piatti preferiti grazie allo chef tristellato Pascal Barbot.
In "The Album" di Mytheresa vediamo i designer giocare con le loro famiglie negli spazi delle loro case, dove il motto è less is more, complice questa voglia di ritorno alla semplicità, all'unicità delle cose. Anche loro sognano di poter viaggiare presto, per tornare ai voli ispirazionali, alle scoperte di nuove culture, che sono poi il frutto delle grandi collezioni che raccoglie Mytheresa.
Della sua Trivero, Alessandro Sartori evoca i paesaggi e omaggia le montagne, le valli, la campagna che hanno contrassegnato la visione del suo lavoro per Ermenegildo Zegna, di cui è direttore artistico.
"The Album" rimane un libro di grande stile, che racconta la moda nel modo più poetico e con una forza forse più profonda, cercando di mettere in luce il lavoro dei designer nonostante i limiti e le difficoltà del fashion world. I saggi che accompagnano queste meravigliose immagini sono degli scrittori Michael Hainey, Gabrielle Hamilton, Lola Ogunnaike e Carvel Wallace; le modelle dei paesaggi mozzafiato di Agave e Portogallo sono Marthe Achilles, Joaquim Arnell e Gloria Brefo.
Diari di viaggio dove gli accessori di moda si mimetizzano come camaleonti, diventano un tutt'uno con la natura, si adeguano, come fa l'uomo per la sopravvivenza.
E' un viaggio intorno al mondo che racconta i più grandi rappresentanti di Mytheresa, una moda di lusso, con un cuore grande.
Il quinto numero di "The Album" con tema "Dream" uscirà oggi 16 aprile e sarà distribuito esclusivamente ai più stretti sostenitori di Mytheresa.
Un mondo acquatico fantastico fatto di cavallucci marini, dalla Balena di Pinocchio, simpatici pesce palla mongolfiera, gruppi di razze, squali e delfini, fluttuanti sirene, Poseidone re dei mari e le magiche carpe tanto amate dai giapponesi. E’ l’universo di Aquatic Creatures, brand di design che ha creato una collezione Home Decor per impreziosire le vostre pietanze e le vostre tavole con l’intento ultimo di sostenere le fauna marina.
I soggetti vengono creati da un team di illustratori, realizzati a matita e successivamente ricalcati a china; segue una scansione ad alta risoluzione per mantenere fedelmente le caratteristiche visive del disegno a mano. Sono personaggi fantastici che abitano i mari e gli oceani, calcati dalla personalità che gli dona il tratto, la matita del creatore, sono il simbolo di un mondo perfetto dove ci si batte per la salvezza della specie.
Aquatic Creatures sostiene Whale and Dolphin Conservation (WDC), la principale organizzazione benefica dedita alla protezione di balene e delfini. WDC si batte da 30 anni per comunicare che la conservazione di queste specie sono di vitale importanza per i nostri sistemi oceanici, poiché aiutano a mantenere una catena alimentare stabile e che, come individui viventi e altamente intelligenti, non dovrebbero soffrire costretti in gabbie per l’intrattenimento umano.
Quello di Aquatic Creatures si rivela quindi non solo un bellissimo progetto di alto design, ma un’iniziativa nobile che dovrebbe interessare noi tutti, iniziando a prendere coscienza del mondo circostante e delle problematiche, informandoci sulle conseguenze delle nostre azioni e aprendoci ad una economia etica e sostenibile.
Aquatic Creatures di Riccardo Capuzzo dona una parte dei profitti delle vendite a WDC, potete effettuare qui i vostri acquisti del cuore https://aquaticcreatures.com