Grande successo per l’undicesima edizione di VILLA D’ESTE STYLE One Lake One Car
Nella splendida cornice dell’Hotel Villa d’Este a Cernobbio si è tenuta ieri l’undicesima edizione di Villa d’Este Style One Lake One Car, l’esclusivo appuntamento ideato per celebrare la leggendaria Alfa Romeo 6C 2500 SS che porta il nome dell’Hotel.
Per l’occasione, l’Alfa Romeo 6C 2500SS “Villa d’Este” Touring del 1951 di proprietà dell’hotel Villa d’Este è stata raggiunta da altri due esemplari di questa rarissima Coupé, il quarto e l’ottavo esemplare dei circa diciotto ancora esistenti. Una di queste, vincitrice del Best of Show al Concorso d’Eleganza di Kyoto del 2018, ha percorso 600 km per raggiungere l’evento, ed altrettanti per tornare a casa, dimostrando che le auto d’epoca non sono sculture inanimate.
Nei giardini dell’Hotel più imponente del Lago di Como, una sfilata di automobili la cui eleganza difficilmente si ritrova tra i modelli contemporanei, che ha ricondotto alla storia delle mitiche Alfa Romeo. Ma tra queste altri gioielli d’epoca hanno animato i cuori degli appassionati, una MG NA da corsa del 1935, la risposta britannica alle Alfa di allora; due Alfa Romeo 1900, il modello successivo alla 6C 2500: una Sprint carrozzata da Touring ed ispirata proprio alla “Villa d’Este”, ed una Sprint Cabriolet Pinin Farina del 1952.
Continuando la presenza delle sportive Alfa di grossa cilindrata, spiccavano due 2600: una Sprint Bertone del 1963 e una Spider del 1962, una delle ultime Alfa a sei cilindri carrozzata da Touring.
Per completare la panoramica di vetture di lusso degli anni ’60, un eccezionale capolavoro di Pinin Farina, la Lancia Florida 1 del 1955, accompagnato dalla sua versione di serie, la Flaminia Coupé Pininfarina del 1962; un rarissimo esemplare dellaprima Lamborghini, la 350 GT Touring del 1965, ed una Maserati Quattroporte prima serie del 1969.
Era esposta infine una nuovissima Alfa Romeo Stelvio 6C Villa d’Este, versione speciale prodotta in edizione limitata, acquistata dall’Hotel per fare compagnia alla Alfa “Villa d’Este” originale.
Special guest dell’edizione, un motoscafo motorizzato Alfa Romeo 6C 2500, nato come progetto militare all’inizio degli anni Quaranta e destinato ad un uso bellico, particolarmente avanzato da un punto di vista tecnologico per l’epoca, grazie alla trasmissione con piede poppiero a doppia elica controrotante realizzata dalla CABI Cattaneo. Fabio Morlacchi, storico automobilistico ed esperto della storia Alfa Romeo, ha analizzato insieme a Marco Makaus, Project Manager delle iniziative Villa d’Este Style, la singolare unicità della storia e della tecnica di questo motoscafo.
“Con Villa d’Este Style One Lake One Car, colonna portante dei boutique events Villa d’Este Style, abbiamo inaugurato nel migliore dei modi la nostra 150esima stagione, in attesa di regalare ai nostri ospiti tanti altri momenti indimenticabili, come il prossimo appuntamento ‘Villa d’Este Style Vintage Yachting’ dedicato alle barche d’epoca, che si terrà il 12 giugno, e ‘Villa d’Este Style Electric Yachting’ dedicato a mobilità elettrica e sostenibilità, che si svolgerà il 17 settembre”, afferma Giuseppe Fontana, Presidente del Gruppo Villa d’Este.
“Anche quest’anno, con la collaborazione di collezionisti che custodiscono automobili eccezionali, abbiamo creato una installazione artistica e storica che per qualche ora ha plasticamente descritto la realtà che ha dato vita ad una automobile specialissima. La presenza di un motoscafo degli anni ’40, dotato di motore marino Alfa Romeo, ha poi rappresentato un ideale collegamento con la tradizione nautica di Villa d’Este e del Lago di Como”, dichiara Marco Makaus, Project Manager delle iniziative Villa d’Este Style.
Da Bella Milano Bistrot l’evento culturale del “Salotto Le Preziose”
E’ una piccola Calabria nel centro di Milano, in via Lazzaro Papi 19, il locale da bere dove la cucina calabra incontra la cucina liquida.
Il concept è molto chiaro, portare la passione, i profumi, i colori delle terre calabresi all’interno di un bistrot che proponga non solo un’affascinante design degno della modaiola Milano, ma anche la cultura tradizionale di una cucina che è condivisione e ha il sapore delle domeniche mattina in cui nonna preparava le passate di pomodoro. E’ da queste esperienze che nascono i cocktail signature di Umberto Oliva, bar manager di Bella Milano, come lo Smoky Mary (vodka infusa al rafano, colatura di alici, ponzu, salamoia di cucunci, pomodoro verde affumicato, pepe), dai ricordi del nonno che pastorizzava le conserve di pomodoro in un bidone colmo di fuliggine, e nell’aria rimaneva quell’odore inconfondibile che la nostra memoria porta con sé, nel tempo.
Ascoltare Umberto Oliva nella spiegazione dei cocktail sorseggiandoli al bancone, è un viaggio sensoriale che certamente avvicinerà anche i meno esperti all’affascinante mondo della mixology, c’è tutto il piacere di un mestiere che ama, c’è l’esperienza di un professionista, c’è il presagio del successo che Bella Milano diventi punto di riferimento della Milano da bere, per chi desidera bere bene sentendosi a casa.
Perchè la forza di Bella Milano sta nelle persone, dettaglio fondamentale che molto spesso passa in secondo piano, e a guidare questa grande famiglia è Giuseppe Surace, CEO di Bella Milano, calabrese doc che nonostante la giovane età possiede uno spirito imprenditoriale capace di guardare lontano e sognare in grande.
Da Bella è la ciam”Bella” la protagonista della cucina: un panino con il buco al centro che tipicamente si farcisce con pesce spada nel comune di Scilla, ma che al bistrot si arricchisce di molti ingredienti “tipici di ggiù”, quelli del pacco carico di nduja, colatura di alici, della salinità del mare.
E sempre aperti ad accogliere tutte le influenze artistiche di una Milano ricca di proposte, Bella Milano ospita il Salotto Le Preziose, gruppo di lettura tutto al femminile il cui nome è un omaggio alle donne parigine del 1659, fanciulle per cui linguaggio, modi, gesti, cultura, erano parte dell’educazione e dell’istruzione.
Il Salotto Le Preziose, a differenza di tutti gli altri salotti esistenti al mondo, è l’unico a possedere una particolarità, le iscritte vestono a tema in base al periodo storico del romanzo del mese. Presso Bella Milano si è tenuta la serata dedicata ai tarocchi, con lettura degli stessi, sul libro “ Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, con un successo di pubblico interessato a passare una serata che allieti palato e spirito, perchè Umberto Oliva ha ideato una drink list apposita dedicata alle carte dei tarocchi.
Gioco, Gusto, Gioia sono gli ingredienti che non mancano a Bella Milano, il luogo dove sarete accolti con un abbraccio, dove tornerete per nostalgia, e che consiglierete ai vostri amici perchè ogni serata riserva sempre una bellissima sorpresa.
In occasione della 54a edizione di Vinitaly il Tour “Verona Meraviglia”, un itinerario ideato dal brand di Prosecco V8+ alla scoperta delle 7 meraviglie di Verona.
7 ottimi calici di Prosecco V8+ sorseggiati in 7 locali storici di Verona e seguiti dalla scoperta dei 7 monumenti iconici della città.
In occasione di Vinitaly, V8+ – Gli storyteller del Prosecco, propone “Verona Meraviglia“, un esclusivo itinerario alla scoperta della città che ospita la prestigiosa fiera vitivinicola italiana.
Dall’11 al 13 aprile, date dell’evento fieristico dedicato agli appassionati e ai professionisti del wine, si potrà partecipare al percorso ideato da V8+ in cui assaporare 7 calici di bollicine del brand accompagnati da una proposta gastronomica selezionata.
Un viaggio tra le mura della città dell’amore, che promuove bellezza, cultura e storia e i valori di V8+, che con i nomi di persona delle bottiglie, ha dato voce alle infinite sfaccettature del Prosecco, tra i vini italiani più conosciuti ed apprezzati al mondo. E allora con Toni, il Prosecco Valdobbiadene Superiore Cartizze DOCG, dopo un sorso all’Osteria all’Organetto, luogo storico nel cuore di Verona, si passa alle curiosità delle Basilica di San Zeno, dove Romeo e Giulietta si sposarono in gran segreto. Mentre invece Berto, il Prosecco DOC Brut di V8+ gustato da Marie Bistrot, il locale più trendy del veronese, ci racconta gli aneddoti del vicolo S.Marco in foro, dove il pozzo diventa protagonista di baci e di pericolose prove d’amore.
Ogni etichetta V8+ parla del processo di spumantizzazione con il metodo Martinotti, orgogliosamente italiano, dei giorni di fermentazione, del perlage, un modo semplice per avvicinare il consumatore al mondo del Prosecco e rendere la scelta più informata e consapevole.
Buon itinerario!
Qui le 7 meraviglie del percorso:
La Basilica di San Zeno, a pochi passi dall’Osteria all’Organetto.
Il Ponte di Castelvecchio, fatto esplodere nel 1945 dai nazisti e ricostruito completamente, adiacente al Bar Arsenale.
La Bocca delle denunce segrete, nata per accogliere gli esposti rivolti dai cittadini alla magistratura e vicina all’Osteria Caffè Monte Baldo.
Piazza delle Erbe, dove è possibile scorgere un osso di balena appeso all’Arco della Costa e successivamente sorseggiare un altro calice di V8+ presso il Bistrot della Scala.
La Chiesa San Nicolò all’Arena, da cui spostarsi verso l’Osteria Pizzeria La Benedetta.
Vicolo San Marco in Foro, dove nasce la leggenda del Pozzo dell’Amore, nei pressi di Marie Bistrot.
Piazza Bra, dove continuare a brindare nel vicino locale Demos.
Joseph Campbell, storico delle religioni e saggista, indica questo pensiero:
“Credo sia stato Cicerone a dire che, quando entriamo in un grande bosco avvertiamo la presenza di una divinità. Ci sono boschi sacri ovunque. […] Credo che questa sensazione della presenza della creazione sia un sentimento fondamentale dell’uomo.“
E come lui ricordiamo quanto altri grandi pensatori hanno tentato, nei secoli, di spiegare questo legame così forte, impalpabile, radicato, tra uomo e natura, Jung, Tolstoj che ne “La felicità domestica” scrive:
“Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile con le persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?”
La montagna con i suo paesaggi silenziosi e le vette che si ergono al divino, sembra il luogo dove lo spirito si placa e l’uomo cessa di competere con i suoi simili. E’ qui che vedo solo gentilezza e quella calma che una vita lontana dalla velocità porta alla serenità cui tutti, forse, aspiriamo.
E allora dedichiamo questi piccoli consigli a chi dalla città vuole scappare per ritagliarsi qualche giorno di felicità, un week end lungo dove occhio, cuore e mente si allineano, all’insegna del buon cibo, del buon vino e di lunghe passeggiate in cui ritrovare voi stessi.
GIORNO 1
Santuario di Santa Croce, Alta Badia
Raggiungibile in seggiovia, cabinovia e attraverso un sentiero da percorrere a piedi, il Santuario si trova sotto l’imponente parete rocciosa del Sasso di Santa Croce. Il paesaggio innevato che la circonda sottolinea la sacralità del luogo chiamato La Crusc in lingua ladina. Al suo interno troverete pareti addobbate dai doni lasciati durante i pellegrinaggi, Ex Voto Cuore Sacro e numerose preghiere scritte a punto croce, oltre a diverse reliquie all’interno dell’altare, come quelle dei Santi Leonardo, Ippolito, Virgilio di Salisburgo, Maria Maddalena, Agnese e Barbara. Eretta nel 1484, la cappella è raggiungibile per i più fedeli anche attraverso un percorso battuto, che rende la via crucis una fatica ben ripagata.
Per il ristoro oggi esiste un rifugio con una vista spettacolare, un tempo ospizio per il sacrestano e per i pellegrini, dove padre e figlio si possono riposare dopo una sciata, bevendo un tè del cacciatore (una bevanda calda a base di tè nero e grappa), e dove gli amici non hanno bisogno di riempire lo spazio con le parole, ma possono prendere il sole ed esserci con la loro sola presenza.
Santuario di Santa Croce
Hotel La Perla Ristorante – Corvara, Dolomiti
A conduzione familiare, un hotel con 56 stanze arredate in stile ladino con mobili in legno e rosoni intagliati da mastri artigiani; molti oggetti d’arredo sono stati recuperati negli anni ’60 con la rivoluzione dello stile dècor e inseriti con grande maestria nel contesto elegante della struttura. Il tocco muliebre della signora Annie, moglie del proprietario, lo vediamo nelle grandi composizioni di fiori freschi nella hall e di lavanda e ortensie nei quattro ristoranti dell’Hotel La Perla.
i ristoranti dell’hotel
La cura del dettaglio fa dell’Hotel La Perla un punto di riferimento dell’accoglienza dell’Alto Adige, di cui Michil, seconda generazione, ne è maestro. I clienti sono così legati a questo ambiente che ha l’atmosfera di casa che, al rintocco del Natale, spediscono piatti da collezione Royal Copenaghen, come da tradizione scandinava, pronti ad arredare il muro della stube con i colori bianco e blu dei preziosi oggetti.
sale ristorante
Nel Bistrot La Perla ogni sera un gruppo musicale si esibisce sulle note jazz, il servizio è eccellente, al cocktail bar il personale in camicia bianca e cravatta nera serve uno champagne cocktail con Bruno Paillard. Dal Menu consigliamo les escargot, non troppo agliate per fortuna, e un filetto di cervo con suo foie gras, uvetta, tartufo e salsa Rossini, una delizia per il palato.
Dalla cantina si contano 3000 etichette e 30000 bottiglie, alcune aperte nella zona che un tempo era dedicata agli amici di Ernesto, il proprietario, poi passata ad angolo degustazione e circondata da bottiglie, vuote ça va sans dire, con tanto di dedica sull’etichetta, simbolo di momenti goliardici.
Ernesto, appassionato collezionista, firma le pareti dell’albergo con le sue collezioni di orologi e sveglie, che ama anche aprire, vivisezionare ed aggiustare, oggetti misteriosi che raccontano il passare del tempo, ce lo ricorda bene l’ultima scena de “La migliore offerta” in cui Jeffrey Rush attende invano una visita abbandonando la speranza; e serrature di diverse epoche e grandezze, che rende fortissimo il legame con passato e tradizione.
il Bistrot dell’Hotel La Perla
Simone Cantafio, milanese di nascita, sangue calabrese e 5 anni trascorsi ad Hokkaido in Giappone, è il nuovo executive chef del ristorante La Perla. Ha lavorato nella famiglia più blasonata del Giappone in ambito culinario, 2 stelle Michelin, portando a casa rigore, disciplina, una moglie e una figlia. Oggi, ritornato in patria, “less is more” diventa la sua nuova filosofia, dove l’unica cosa ad abbondare è il gusto. Grande rispetto per le materie prime e per quel che la natura offre senza forzature.
Simone Cantafio ci confida che ad ispirarlo è spesso la musica, colonna sonora delle notti in cui nel silenzio prepara i nuovi piatti. Una composizione di Einaudi, tra i suoi preferiti, ispira il nuovo menu del ristorante La Stüa de Michil – Trasformazione e Perfezione. Ma noi non lo abbiamo ancora provato, vi faremo sapere.
L’hotel ospita inoltre, durante la maratona delle Dolomites di cui Michil è Presidente, una grande esposizione di bike in un’ala che affaccia verso l’esterno.
Dall’esigenza di ridare alla vita ciò che loro hanno avuto la fortuna di ricevere, nasce la Fondazione della famiglia. Ogni progetto ideato sostenuto e realizzato internamente, aiuta nei paesi sottosviluppati la crescita e l’educazione di donne e bambini attraverso l’istruzione e le strutture necessarie. Nella zona accanto alla spa, un corridoio raccoglie delle gocce di legno che rappresentano i nomi dei sostenitori della Fondazione, simbolo di quanto una goccia possa trasformare le cose diventando fiume, poi mare e infine oceano.
GIORNO 2
Rifugio Lee – Badia
Raggiungibile solo con la seggiovia quadriposto S.Croce, il rifugio Lee è una tappa obbligata se venite in Alta Badia. Recentemente ristrutturato, ha il legno più profumato della valle, il Cirmolo, un odore di bosco che anche internamente vi farà sentire in mezzo alla natura. Godersi un pranzo sulla vallata è un’esperienza che difficilmente trova le parole giuste, soprattutto quando la qualità e l’amore per il cibo combacia con la perfezione della natura. E dalla natura il ristorante prende gli ingredienti per creare delle ricette deliziose, come il pino mugo mescolato alla ricotta e spinaci, il ripieno dei ravioli, piatto icona che con la loro amarezza e originalità non si farà dimenticare. Dal menu consigliamo anche il tortellone al formaggio grigio, prodotto acquistato dal contadino locale, e i malfattini risottati con funghi di bosco, formaggio di baita, speck croccante e ristretto di Lagrein dello chef Agostini. Ma sarà lo strudel di mele con crema calda alla vaniglia a farvi venire già nostalgia di questo luogo, un profumo e un sapore di casa cui far seguire un pisolino sulle sdraio di fronte che danno sulla vallata, dove i larici toccano quasi il cielo.
Rifugio Lee
Maso Alfarëi – Badia
Siete pronti per viaggiare indietro nel tempo? Qui non serve la Delorean di Marty McFly, il gioco lo fanno le foto in bianco e nero di un intero albero genealogico, il pendolo che col suo ticchettìo scandisce i secondi, la Underwood accanto ad un vecchio como’ di legno. Questo è il Maso più caratteristico che potrete mai vedere in vita vostra, patrimonio culturale perchè si tratta della più antica casa della vallata, di foggia tardo romanica con stile architettonico medievale, arroccata e isolata, su scalini di pietra attraversati da marmotte imbalsamate e al cui ingresso troviamo simboli di buon auspicio, segno del passaggio dei Re magi.
Da 200 anni l’abitazione passa da una generazione all’altra ed oggi si possono prenotare cene tipiche ladine, in un ambiente accogliente, intimo, a conduzione familiare. Per iniziare una zuppa d’orzo accompagnata da un piatto di Tutres, frittelle ripiene di spinaci e ricotta o crauti, che da tradizione si mangiano con le mani; mezza luna con patate e formaggio, canederli con polenta e gulash, crapfen con marmellata di mirtilli rossi e per concludere una grappa al pino mugo molto amara.
Cosa rimane? La gentilezza discreta dei padroni di casa, che ti faranno sentire non un ospite, ma uno di famiglia; c’è in questa dimora, una carica positiva di energia misteriosa, dove la memoria sembra non avere età, epoche, dove il pensiero più negativo si affievolisce e lascia spazio solo al piacere della condivisione. Tutto è delizioso, come in nessun altro ristorante fatto di stelle e livree, perchè quando si cucina con il cuore, il piatto si fa ricco e gustoso.
Maso Alfarëi
GIORNO 3
Hotel Posta Zirm, Corvara Alta Badia
Dove alloggiare in questi 3 giorni in Alta Badia? L’hotel Posta Zirm è un’ottima soluzione per comodità e qualità. Un tempo rifugio di cocchieri, generali e avventurieri, il Posta Zirm offre una selezione di camere da standard a suites e una spa di 950 mq dove potervi coccolare. La matrimoniale superior deluxe totalmente in legno richiama l’atmosfera tipica ladina e dispone di doppio bagno con vasca e doccia, un angolo arredato con chaise longue e divanetti, ed un balcone ampio con vista verso il paese. Totalmente rinnovate nel 2017, le stanze matrimoniali ospitano quadri che rappresentano le carte da gioco, un dettaglio divertente e colorato che rende l’ambiente più moderno ed originale. Il breakfast offre un’ampia scelta di piatti dolci e salati, dalle omelettes alle torte tipiche, accompagnati da una brochure che viene stampata tutte le mattine, dove trovare consigli d’acquisto, destinazioni vicine, notizie meteo e l’aforisma del giorno; noi ne abbiamo trovato uno perfettamente calzante:
“Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne” – Immanuel Kant
Hotel Posta Zirm
Rifugio Pralongià – Corvara in Badia
Non si può dire di aver vissuto la montagna, senza averla attraversata a piedi. Per provare la sensazione di libertà e pace che le alte vette offrono, l’escursione per raggiungere la baita è quel che ci vuole, due ore di camminata verso la zona più alta dell’omonimo altopiano, 2109 metri sopra il livello del mare. E’ un deserto bianco la strada battuta da poche impronte, il resto degli sciatori lo raggiunge lungo le piste, tutt’intorno le cime innevate che ti guardano e ti fanno sentire piccolo eppure grande, parte di questo incredibile progetto chiamato Terra. Qui arriva quasi la voglia di perdersi, di lasciare l’inutilità delle cose materiali e di riscoprire quella vita umile e onesta che descrive con profondità Tolstoj.
La fatica del cammino, quasi liberatoria, viene premiata all’arrivo da una ricca degustazione di vini che ospita il Pralongià, la Wine Skisafari, i vini dell’Alto Adige in alta quota dove troviamo il Sauvignon Blanc di St. Quirinus, il Pinot Grigio Riserva Giatl della cantina Peter Zemmer e un avvolgente e intenso Gewurztraminer ” Elyond ” di Laimburg, dal profumo di frutta esotica, una buona freschezza e un sorso persistente che cattura e fa venir voglia di ordinarne una cassa intera.
Piatto stellato dell’evento “Sciare con gusto”, il filetto di cervo marinato nel whisky, topinambur e salsa ai mirtilli rossi e cioccolato fondente dello chef Davide Caranchini del ristorante Materia (1 stella Michelin). Ma la coccola del Pralongià arriva con il dolce tipico ladino, la Kaiserschmarrn, una frittata a base di uova e latte, nata in antichità da un errore dello chef dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria che aveva dimenticato sul fuoco una crêpe e che per coprire la bruciatura la spolverò con zucchero a velo servendola scomposta accanto a della marmellata. All’imperatore piacque così tanto, che da allora diventò il suo piatto preferito; la ricetta cambia di casa in casa, qui al Rifugio è certamente la migliore assaggiata fino ad ora, ricca di uova, saporita e morbida, ottimo carburante per ritornare a valle e salutare con un “Arrivederci” il rifugio dove un gruppo musicale canta i successi italiani anni ’80 facendo ballare tutte le generazioni.
Nasce come un gioco la serata dedicata al Nero d’Avola organizzata dal “Consorzio di tutela vini Doc Sicilia“, degli assaggi alla cieca per concentrarsi unicamente sul gusto di questo vino icona della regione Sicilia.
Missione del Consorzio è da sempre rafforzare l’identità dei vini siciliani, migliorandone la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato.
Antonio Rallo, Presidente del Consorzio, sottolinea: “Ogni giorno lavoriamo per comunicare al meglio il sistema ‘Sicilia Doc’ come produttore di eccellenza dei vini contemporanei, a fianco dei nostri produttori e delle nostre aziende così che possano essere sempre più competitive sui mercati di riferimento”.
Giornalisti, critici enogastronomici e addetti al settore hanno degustato 17 diverse varietà siciliane di Nero d’Avola accompagnate ai piatti dello chef Carlo Cracco, che per l’occasione ha ideato un menu vegetariano dove i tranci arrosto erano di verza e gli asparagi venivano esaltati dal tartufo nero.
Valorizzare e conservare la biodiversità dell’isola è importante per tutto il Paese; le varietà autoctone vanno conservate così come l’identità varietale e l’integrità sanitaria, per dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani.
Se pensiamo che il vigneto siciliano è il più grande d’Italia con quasi 98 mila ettari di terra, e che in Europa ha la stessa estensione del vigneto tedesco, nel mondo misura tre volte il vigneto della Nuova Zelanda, superando addirittura quello sudafricano, significa che oggi la Sicilia è la prima regione in Italia per superficie vitata in biologico.
Ma la sua peculiarità, essendo il crocevia tra Europa, Africa e Medio Oriente, è che i prodotti della Sicilia regalano il gusto della cultura, la nostalgia della storia, un mosaico ricco di sapori e saperi. Ed è nella bottiglia del Nero d’Avola che si sprigionano, basta chiudere gli occhi, aprire i sensi e lasciarsi trasportare dalle note fruttate e balsamiche della zona di Ragusa, dove i terreni sono sabbiosi e calcarei, o da quelle più legnose della zona di Trapani, un viaggio tra castelli normanni e mari ventosi.
Stefano e Chiara, scappati da Milano per inseguire l’amore e il sogno, “Muralia“
La loro storia fa pensare agli inizi di quei film ambientati tra i vigneti toscani, i paesaggi sempre gialli di sole, gli animali in libertà, il calice sempre pieno, dove un’americana infelice scappa dalla sua terra, acquista un casolare tutto da ristrutturare per poi ritrovarsi innamorata e felice.
Per Stefano e Chiara il passaggio è similare, loro però sono due italiani che scappano da Milano, dalla vita frenetica del lavoro competitivo e abitudinario; il casolare è quello del nonno di lei, medico piemontese appassionato di agricoltura, e terreni adibiti all’allevamento di pecore. Stefano e Chiara rivoluzionano la destinazione e creano “Muralia”, azienda vinicola nata nel 2003 che fa di Poggiarello a Roccastrada (GR), territorio etrusco che 3000 anni fa coltivava la vite, il loro sogno!
E proprio “Muralia“, che in lingua latina significa “muro di pietra” e il cui simbolo è una mano, la mano che stringe rapporti, la mano che raccoglie i frutti dalla terra, la mano che accompagna, rappresenta la filosofia dell’azienda, i cui obiettivi non sono solo la produzione di ottimi vini, ma una gestione di cura e amore per la terra, di rispetto verso il prodotto e di sostegno del territorio.
Muralia
Un po’ di numeri e informazioni:
130 ettari, 14 ettari a vigna, 8 a oliveto ed i restanti a vivaio specializzato. Bottiglie prodotte da 65.000 a 90.000. La coltivazione delle viti avviene a diverse altitudini: al Poggiarello, 100 metri sul livello del mare e a Sassofortino, a 350/450 metri, sulla costa orientale del Sassoforte, un antichissimo vulcano spento che la lasciato nel suolo tracce profonde della sua attività.
Tutti i suoli sono caratterizzati da un’elevata presenza di ferro e minerali tipici del territorio ma, mentre i terreni più bassi posano su argille con grande presenza di scheletro, quelli alti posano su terreni molto sciolti e profondi, dove la presenza di gesso puro caratterizza la matrice di origine. I vitigni coltivati a cordone speronato e guyot sono principalmente Sangiovese e Syrah, ed in via residuale Merlot, Cabernet Sauvignon e Viognier.
Mercato: 90% estero: Stati Uniti, Cina, Corea del sud, Europa (ad esclusione di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia)
Stefano e Chiara sono soci della Federazione italiana Vignaioli Indipendenti dal 2009.
Stefano, fondatore di Muralia
CERTIFICAZIONE BIO
Muralia dal 2018 ha ottenuto la certificazione Bio.
Intorno all’azienda non ci sono altre proprietà, per cui nessuna contaminazione, il che rende la conduzione biologica delle coltivazioni ancora più efficace e realmente sensata. Negli anni, oltre all’ utilizzo di sovesci e tecniche a zero impatto ambientale, sono stati installati anche pannelli solari e sistemi di depurazione delle acque reflue.
degustazione presso il ristorante Il Liberty di Milano
I PRODOTTI:
Presso il ristorante Il Liberty di Milano, una certezza in casa meneghina, lo chef Andrea Provenzani ha creato un menu in food pairing.
ll primo assaggio proposto, con una focaccia a lievito madre con paleta di pata negra e patata croccante è, in due annate, il
Chiaraluna Viognier Toscana Igp
2020 un bianco invitante dal carattere mediterraneo. Al naso è intenso con note di frutta tropicale. In bocca grintoso, buon volume e spiccata sapidità. 2018 al naso frutta gialla matura, buon volume e persistenza.
Manolibera Toscana Igp
Il secondo assaggio è il vino Manolibera Toscana Igp, nato quasi per scherzo dal “vino di merenda”, Sangiovese 50%, Cabernet 25%, Merlot 25% ha i sapori delle 17.00 quando ancora non è ora di pranzare ma prende quella voglia di abbinamento facile e libero. E allora frutta rossa fresca, e sorso di grande bevibilità. Lo chef lo ha abbinato ad un risotto alla parmigiana, ristretto di Marsala e fave di cacao, una delizia.
Maremma Toscana Rosso Doc “Babone” 2019
65% Sangiovese e 35% Syrah, al naso spezie dolci, sfumature vegetali, acidità matura al contrario dei suoi anni
E infine il
Muralia Toscana IGT nato da uve syrah 50%, cabernet sauvignon 30%, sangiovese 20% rosso rubino con note balsamiche, frutta a bacca scura, ribes, prugna e sentori di liquirizia persistenti, che lo chef ha abbinato ad una Tarte Tatin con scalogno al vino rosso, gorgonzola naturale, noci, maggiorana e pere marinate al Cognac, una sfida di Andrea Provenzani che ha lasciato tutti con penna e taccuino alla mano per segnare la ricetta.
Ma Muralia è soprattutto da visitare, perchè l’azienda agrituristica è aperta tutto l’anno per visite e degustazioni, con la possibilità di acquistare i vini della cantina facendo due chiacchiere con i proprietari, che tengono molto a raccontarveli di persona e aprirvi le porte al loro grande sogno, finalmente realizzato.
Esistono due tipi di persone, chi ha un totale disinteresse nei confronti della bellezza e chi della bellezza ne fa il proprio riflesso. Riki appartiene alla seconda categoria, fa parte di quelle persone i cui nervi si sentono ronzare intorno, alla persona, alle sue cose, alla sua casa.
La sua casa, uno spazio immerso nel bianco e nella luce, un appartamento che sembra scelto dal bisogno di ripulirsi da qualche rumore di sottofondo; ogni oggetto acquistato pare stimolarlo e cercare la sua attenzione, le sue cure; questa totale assenza del colore culla e trasporta, il minimalismo architettonico svuotato da ogni orpello emana un’energia zen.
E’ qui che Riki ricarica le batterie dopo i concerti, in uno stato d’animo calmo e distaccato pronto a cogliere ogni briciola di bellezza.
Maglia manica lunga Alessandro Gilles, giacca bianca e pantalone La Torre, sneakers stampa cocco Hide&Jack
Accoglie il team di SNOB per un servizio fotografico, chiedendo gentilmente di togliere le scarpe e abbandonarle fuori dalla porta, come è d’uso nella tradizione giapponese. Camminiamo scalzi sul pavimento prontamente rivestito di cellophane per accogliere gli abiti di scena, quelli che dovrà indossare nei vari scatti. L’atmosfera è ovattata, quasi eterea, il candore vellutato del tappeto panna accarezza il bianco della poltrona Utrecht di Cassina; di Riki, in total white in questa scena, buca solo il ghiaccio dei suoi occhi, che molto dicono ma molto lontano dal tenero.
Accanto alla poltrona, tre rami intersecati sembrano perdere l’equilibrio da un momento all’altro, sono una delle tante installazioni minimal che Riki ha scelto per scaldare l’arredo, eppure in questa pagina di vita, che è la sua casa, traspare una lettura di equilibri delicatissimi, quasi trasparenti, appunto come i suoi occhi.
giacca grigia Tombolini, camicia a righe e pantalone Out-Fit Italy
Senza peritarsi della cura ossessiva per ogni angolo di loft, il cantante italiano riesce a far sparire la ruga sulla fronte, quando corrucciata trapela l’ansia che qualcosa possa essere spostato anche solo di qualche centimetro, nel momento in cui svela la sua doppia vita, che non è il profilo di Patrick Bateman di American Psycho, ma l’interior designer che c’è in lui. Perchè Riccardo Marcuzzo ha una laurea in Design del prodotto conseguita allo IED di Milano e non ha mai abbandonato il desiderio di professare in questo settore, tant’è vero che a breve potremo acquistare un’innovativa lampada di design che ha ideato in collaborazione con un grande brand.
Riki rivelaci di cosa si parla troppo del tuo lavoro e di cosa troppo poco.
Si è tutti carichi di pregiudizi, la gente fa delle radiografie sui personaggi pubblici, ci vedono come dei privilegiati che macinano soldi, ma nella musica non ci sono più i tempi dei Pooh! A me hanno detto di essere entrato al 92mo, ho venduto molti dischi quando ancora era possibile, ma ora è tutto streaming e non si guadagna niente. Ti vedono come uno stronzo che se la tira, che non lavora, ma ignorano l’impegno che c’è dietro un disco e una canzone. Molti miei colleghi hanno la fortuna di fare una cernita delle canzoni che arrivano, per chi scrive invece è diverso, hai bisogno di storie da raccontare e in tempo di Covid e restrizioni è molto difficile.
Tu per chi scrivi canzoni?
Io scrivo per me stesso, per me è analisi, una valvola di sfogo, la pagina bianca come uno specchio che trova le parole che talvolta non sappiamo dire. E’ un processo molto naturale, come un flusso di coscienza e vorrei le mie canzoni fossero sempreverdi, quando invece oggi la musica è fast food, si ascolta un pezzo e lo si butta via. La musica oggi è come un post su Instagram, diventa vecchio.
trench Avec le Vent
Quali sono i processi di chi per mestiere fa il cantautore?
C’è chi scrive per contratto, e in quel caso si organizzano session in studio con autori e produttori e a fine giornata si è obbligati a tirar fuori qualcosa. Poi ci sono cantautori come me che cercano di vivere la vita il più possibile aizzando le antennine e cercando di scrivere ispirato. Talvolta sono anche gli altri a farmi da “musa”, le loro storie, il fascino delle esperienze, ma il più delle volte le canzoni sono il mio diario.
Scrivi più quando sei triste o quando sei felice?
Scrivo quando sono molto felice o molto triste, non esistono per me le vie di mezzo. Quando sono felice scrivo pezzi che fan venire voglia di ballare, quando sono triste butto fuori il dolore.
La verità è che scrivo i pezzi che vorrei ascoltare in quei momenti.
Durante la giornata quanta musica ascolti?
Pochissima. Quella di oggi non mi piace molto, viviamo su frequenze molto basse e anche la musica ne risente. Del passato amo Battisti e De Gregori.
Vivi quindi l’era fast, lo sei anche nella vita privata?
A momenti. Molti capolavori sono stati scritti in 5 minuti, succede come nella foto perfetta: quando tutte le combinazioni combaciano, il risultato è un capolavoro.
completo Giampaolo, t-shirt panna supima cotton Filippo De laurentiis
Descriviti con 3 aggettivi per vita privata e 3 per vita professionale.
Lavoro: – maniacale – insicuro (fino all’ultimo metto in dubbio tutto, ma sono arrivato alla conclusione che le canzoni più sincere sono le più vere e quelle che arrivano dritto agli ascoltatori) – sognatore (ho molti obiettivi e ci lavoro con calma, quando non li raggiungo non me ne faccio più una colpa)
Privato: – sicuro – diretto – introspettivo (e credo nell’energia delle cose, dei luoghi, delle case)
Quanto è importante un’azione di marketing per un cantante?
La mia è stata bizzarra: ho tolto tutte le foto dai miei social e da quel momento un sosia viveva esattamente la mia vita; si faceva foto con i fan, postava sul mio profilo, rispondeva ai commenti, e tutti scrivevano “ti sei rifatto gli zigomi, hai levigato il naso, hai fatto operazioni agli occhi”. Un cartellone enorme nel centro di Milano creato in partnership con gli Orticanoodles (un duo di street artist che hanno collaborato anche con Banksy) mi ritraeva nudo con la scritta “Rovinami”; le ragazze lasciavano dei cuori e i ragazzi scrivevano “Frocio”. Io nel frattempo stavo in Sud America, volevo fare tutto il contrario di quanto ci si aspetti da un talent che esce da “Amici” di Maria De Filippi; una bella trovata sociale che ti fa capire quanto il successo si trascina dietro l’invidia.
L’ esperienza artistica più importante?
L’ Arena del Messico con davanti 30000 persone; ho dovuto imparare lo spagnolo in pochissimo tempo e fare interviste in una lingua diversa dalla mia, fatica e soddisfazioni.
L’ Auditorium di Buenos Aires, tante collaborazioni andate molto bene, una crescita professionale.
Ma è in Piazza del Duomo a Milano per RadioItalia che avevo più adrenalina in corpo: 80 mila persone ed un sogno che si avvera, cantare davanti al simbolo di Milano.
Nei palazzetti invece ci si sente in famiglia, è una sensazione di pace perchè entri in empatia con il tuo pubblico; mentre Sanremo è politica e non me la sono goduta molto.
Fai il cantante da soli 4 anni e hai raggiunto già molti traguardi, da dove arriva questo rigore?
Dal bello, quando me ne innamoro divento quasi psicopatico e ne porto immenso rispetto.
Nei rapporti hai la stessa ricerca di perfezione? Non permetti a nessuno di sbagliare?
Metto in conto l’errore, sempre, ma sono anche convinto che si possa fare meglio.
“Imagine” di John Lennon, magari con una frase diversa avrebbe potuto essere ancora più bella di quanto già non lo sia. In amore si sbaglia, ma credo nella statistica: è difficile arrivare nel momento perfetto nella vita di una persona. Sono stato con una ragazza, 21enne commessa di un centro commerciale, quando io ne avevo 25, molto dolce e stava con me per quel che sono non per la mia popolarità, ma non eravamo allineati.
“La vita ci rincorre ma ci sbaglia i momenti” lo scrivo in una mia canzone.
giacca pelle Harmont & Baine, jeans white PT Torino, sneakers Hide&Jack
E l’esperienza emotiva più importante?
La nascita di mia sorella, avevo 14 anni. Testarda, riservata, matura. E la nascita del mio studio di design; finita l’università lavoravo alla grafica e al prodotto e con i soldi che guadagnavo pagavo le registrazioni per fare un disco, dovevo avere almeno sei, sette pezzi da presentare ad “Amici”, Maria ha creduto in me e le devo molto. Nella mia vita musica e design vanno di pari passo.
Raccontaci i retroscena della tua esperienza ad “Amici”
In una stanza molto piccola quando si è in tanti l’aria si fa pesante. Nell’andare avanti del programma abbiamo iniziato ad odiarci tutti, un gruppo non ben omologato e i tempi morti in studio non aiutano, men che meno il sottoscritto che pensava di sprecarne troppo a stare con le mani in mano. Ricordo che ero primo in classifica su Itunes e i ragazzi non facevano che criticarmi. Un giorno, esausto, sono scappato, avrei dovuto finire un pezzo ma non potevo, non si scrive schioccando le dita. Design e Musica, come farle combaciare?
Il design parla in una tutta la mia casa santuario, il luogo dove finiti i concerti vengo alla ricerca di tranquillità.
Lo trovo quando siedo sulla De Padova, quando bevo il caffè dalle tazzine Bluside in vetro chimico, nei cucchiaini che ho carteggiato con le mie mani, tra le sculture africane del 1800/1900 AOC (African Oriental Craft), nella luce delle lampade Flos e sul tavolo in legno disegnato dai miei amici del Belgio dove ho spatolato del microcemento perchè mi diverte!
completo grafico azzurro Carlo Pignatelli, t.shirt con logo New Era
Ma chi pulisce la casa?
Fino a due mesi fa io perchè non mi fidavo di nessuno, ho sempre paura si rompa qualcosa, o che si spostino oggetti da dove sono stati collocati al centimetro. Ma impegnava troppo tempo e ho dovuto cercare un aiuto domestico, una ragazza a cui ho fatto del terrorismo psicologico (ridiamo) e che ha le mani così delicate da riuscire a spolverare anche i fiori, che mia madre per farmi un dispetto aveva fatto cadere apposta!
trench Avec le Vent
Obiettivi futuri?
Sto lavorando a nuovi singoli, in uscita in primavera e in estate. In parallelo ho firmato una collaborazione con un grosso brand di design, ho disegnato una lampada “Per 2”, metafora della ricerca dell’anima gemella che, una volta trovati i due pezzi, si uniscono e si accendono.
Tra i miei sogni c’è anche l’idea di recuperare case ridandogli valore e bellezza.
Il suo simbolo è un cerchio imperfetto in Stile Art Nouveau, con quei decori floreali tipici dei primi ‘900; come accedervi rimane un segreto, almeno per voi che non ci siete ancora stati, ma a rivelarvelo toglierei il divertimento perchè il 1930, il secret bar più secret di Milano è davvero una chicca.
Uno dei modi per tentare di spalancare la porta del proibizionismo è diventare assidui frequentatori del Mag Cafè, altro luogo della stessa famiglia, e meritarvi un invito dagli stessi proprietari. Come? Immaginiamo il cliente perfetto del 1930 come un gentleman che beve come un vero maschio; un dandy che accompagna la propria signora e l’inizia all’arte del bere; ma oggi i tempi sono cambiati e potrebbero ribaltarsi i ruoli; in quel caso il barman si complimenterà con voi! Potrete quindi iniziare a collezionare cocktail al Mag per poi ritrovarvi o semplicemente ubriachi, o i fortunati “uomini da bere” del 1930.
L’impatto è deludente, una porticina vetrata vi svelerà una triste ex latteria, o potrebbe sembrare uno di quei bar arrabattati all’ultimo senza budget da investire; ma anche questo è il calcolo diabolico di chi ha voluto, con il 1930, creare un mondo al rovescio, un tempo che volge al passato, una clessidra che si ferma, perchè una seconda porta nascosta vi catapulterà nel caldo universo dei cocktail proibiti.
Sono due i livelli del locale, il piano superiore sembra più affollato, luminoso e destinato a gruppi; quello inferiore è la ricetta perfetta per una serata intima in cui è piacevole conversare perchè tutti bisbiglieranno anziché sbraitare, sorseggeranno anziché trangugiare, flirteranno anziché pretendere.
1930 è uno stille di vita, il cocktail è protagonista, lo si rispetta come un mito, lo si attende come una medicina, e tutto diventa un rito, tra un sorso di whiskey cocktail e un tiro di Montecristo n.2, perchè anche questo è concesso.
Ogni angolo presenta un cimelio de les temps passés, vecchi registratori di cassa su antichi bauli di legno, candelabri in argento a 5 braccia, poltrone in blu velvet incorniciate da drappeggi porpora come una scena a teatro. I mattoni alle pareti riscaldano l’ambiente, su ogni oggetto poggiano foto vintage in bianco e nero, con una Marilyn Monroe ammiccante e infinite scatole di sigarette di ogni dimensione, portate lì da un contrabbandiere sul cui petto è finita una pallottola.
Le uniche luci sono quelle delle candele, per fortuna, perfette per creare quell’atmosfera pittoresca e silenziosa che è d’obbligo in un locale che vuol essere chiamato “secret bar”.
Una sedia a dondolo sta accanto alla porta d’ingresso del bagno, utile per chi deve fare il palo e fuggire dopo essersi caricato con uno Sazerac. Comodo per le ladies che vogliono poggiare giacche o cappotto, nel bagno trovate un manichino in ferro, delle foto d’antan del Naviglio Grande fine ‘800, dei poster in stile Art Déco e un simpatico tariffario della “Madama Gioia”, la donna ad ore che dovrebbe soddisfare desideri e svezzare giovani studenti a cui viene concesso un trattamento speciale con agevolazioni. Insomma non manca nulla per essere un perfetto Peaky Blinders.
Prima di salutare con un arrivederci (perchè vorrete assolutamente tornarci) il 1930, scaldatevi l’ugola con un Tom & Jerry, vi verrà servito in un bicchiere di legno senza manici, ha i profumi di casa, del caffè latte prima della buona notte ma alcolico; in questo modo potrete almeno fingere di essere dei bravi ragazzi!
L’ideatore di “RICORDI?” fa rumore, ha sempre fatto rumore, anche quando fotografava le modelle sulle spiagge di Bali o Bianca Balti per la cover di First; fa parlare per le irriverenze del suo blog, aperto tra i primi in Italia, e per la sua pungente schiettezza sui social network. Se qualcuno pensa che Settimio Benedusi abbia cambiato rotta con l’annuncio di questo nuovo progetto, si sbaglia di grosso! Perchè “RICORDI?” segue lo stesso pensiero di sempre del fotografo imperiese, e cioè quello di andare controcorrente. Se tutti si spingono ai limiti del digitale, Settimio Benedusi ci riporta al bianco e nero del ritratto stampato perchè, come diceva Susan Sontag, “Il carattere contingente delle fotografie conferma che tutto è caduco“. E quando tutti si improvvisano fotografi con in mano uno smartphone di ultima generazione, lui ritorna artigiano di bottega, un umile sfondo, un camice bianco e un ritratto stampato e incorniciato, pronto per essere appeso alle pareti di casa, come ai vecchi tempi.
– Cos’è “RICORDI?” “RICORDI?” è un collettivo di fotografia popolare che nasce dal progetto di riportare il privilegio del Ritratto Fotografico Stampato accessibile e democratico.
– Settimio Benedusi è un fotografo nostalgico? Una definizione che mi piace di “nostalgia” è la felicità di essere tristi. In quel senso un po’ lo sono, e lo sono probabilmente anche come fotografo perchè i miei riferimenti sono i grandi classici. Ma sono solito dire che il progetto “RICORDI?” è talmente antico da essere rivoluzionario!
– Nella presentazione di “RICORDI?”, sul sito ufficiale, affermate di essere in grado di rappresentare il soggetto per quello che è realmente. Come ci riuscite? Non facendo assolutamente nulla! Non facciamo fare pose, movimenti, atteggiamenti… nulla! Solo ed unicamente la faccia delle persone, convinti che lì ci sia proprio tutto ciò che serve per raccontare chi siamo. Non facciamo fotografie, ma definiamo un’identità.
– Da cosa nasce il passaggio del fotografo Settimio Benedusi dalla moda/lifestyle al ritratto? Dal desiderio di realizzare attraverso il linguaggio che io conosco (la fotografia!) qualcosa che abbia un valore etico/morale/politico: perché nella contemporaneità la fotografia o possiede questi valori o è il nulla.
– In base a quali caratteristiche sono stati scelti gli altri fotografi (Toni Thorimbert, Oliviero Toscani, Marco Onofri, Guido Stazzoni, Massimo Sestini) autori dei ritratti? Persone colte, intelligenti, empatiche e il più possibile prive del maggiore e più frequente difetto dei fotografi: il narcisismo.
– Come si differenziano? Sono tutti diversi all’interno dello stesso identico progetto.
– Avete una “divisa” durante il servizio. Perchè? La divisa è fondamentale! Perché dice chiaro e tondo che siamo lì come artigiani, al servizio di chi viene a fare il ritratto.
– Il nome del più grande fotografo ritrattista mai esistito Almeno fammene dire tre! Avedon, Sander, Disfarmer.
– Qual è il messaggio ultimo di “RICORDI?” “Il ricordo è il tessuto dell’identità” Nelson Mandela.
– Perchè tornare alla STAMPA in un’epoca DIGITALE? Perché è l’unica cosa che rimane.
– Quanti anni ha “RICORDI?” e quanto vivrà? Comincia ad avere 5 anni e vivrà per sempre!
Se si vuol fare il pieno di buon umore, a inizio giornata è consigliato passare dal suo profilo Instagram e seguire le simpatiche tips che lancia insieme ai suoi migliori amici, i manichini del suo atelier Genny, Mariano e Ciro! Parlo di Luca Rubinacci, che oltre ad essere l’erede della più grande sartoria italiana, è anche un seguitissimo influencer che regala consigli di stile.
Come i più grandi sarti che si rispettino, Luca Rubinacci è di famiglia napoletana, appartiene alla terza generazione e porta avanti i gioielli di famiglia, gli atelier Rubinacci di Milano, Napoli e Londra; lui lo si trova nella città della moda, in via del Gesu’, negozio allargatosi dal 2015 implementando la collezione con il “ready to wear” ed un esclusivo Club per soli uomini dedicato ai clienti del “su misura”.
Entrando troviamo tutti i prodotti “finger food”, come ama chiamarli, quelli da “ti prendo e ti porto via”, quindi pochette, bretelle, foulard, cravatte, cappelli, ombrelli, tutti rigorosamente fatti a mano e con simboli che rimandano alla storia di famiglia, all’orgogliosa appartenenza napoletana, come le stampe su pochette firmate Mariano Rubinacci che riportano Villa Lucia, la dimora dei nonni, o il samurai, il best seller realizzato in onore del Giappone, personaggio tanto amato dal padre per forza ed eleganza.
Vengo accolta con un caffè che mi aspettavo napoletano, e invece arriva dalla Calabria, dalla terra di un loro fidato cliente che, quando torna, può sorseggiarlo sentendosi a casa; questo è il fil rouge del club Rubinacci, un luogo che raccoglie gli oggetti di chi sceglie la bellezza come stile di vita. Prima di arrivarci bisogna attraversare la zona della collezione “pronta” e costeggiare la sartoria, che oggi è vuota causa Covid (gli ultra sessantenni lavorano da casa); una porta apre ad un piccolo corridoio dove troneggia la giacca storica Rubinacci, il capo iconico destrutturato dalle mani del nonno, e una seconda porta si affaccia sull’elegante stanza dalle pareti gialle, con le poltrone Chesterfield, una libreria in legno scuro con le foto di famiglia, i libri di moda maschile, l’angolino bar dove offrire del Gh Mumm o un whisky cocktail, una scatola porta sigari in legno pregiato, sigari lasciati dagli stessi clienti che li ritroveranno tra un meeting e una prova in camerino.
Sul tavolo rotondo, accanto alle ortensie lasciate seccare, le cover di Luca Rubinacci, sempre a suo agio nel mettersi in primo piano.
Luca vuoi raccontarci i tuoi inizi?
Ho la grande fortuna di avere alle spalle il nome della più grande sartoria d’Italia, parto da quello che per altri è un traguardo, ma è anche vero che con un passato così importante subisco anche il rischio di mandarla a picco. Il tempo, l’esperienza e la mia voglia di mettermi in gioco hanno aiutato, soprattutto a stare al passo con i tempi, con l’arrivo dei social network e di un nuovo genere di comunicazione. Arrivo in azienda nel ’99, alle spalle anni di vela da professionista e tutto il successo di mio padre, con cui volevo competere, imparando sì, ma aggiungendo un tocco personale. L’ho ottenuto con la napoletanità e con le stravaganze che tanto attiravano l’attenzione degli street photographer, i pantaloni viola, gli accostamenti strambi di colore, ma senza mai dimenticare l’eleganza, lo stile, e il know-how della mia famiglia. Sono entrato in atelier a 20 anni, oggi ne ho 38 e tengo seminari in Marangoni e alla Bocconi, io che non ho fatto l’Università, dove parlo anzitutto di teamwork, il lavoro di squadra che mi ha insegnato lo sport, ma ricordo soprattutto il senso di gratitudine, come quello che ricordo per l’ingegnere Sergio Loropiana, storico cliente di mio padre, mio mentore per sette anni; è a lui che devo l’amore per i tessuti, l’attenzione all’ascolto del cliente, e il concetto del lusso che tutto può concedersi.
Tuo padre ha deciso di farti studiare da Kilgour, la storica sartoria del 1882 tra le più importanti di Savile Row a Londra; che differenza hai notato tra l’eleganza italiana e quella inglese?
Ringrazio mio padre che mi ha sempre spinto a rubare il mestiere alla vecchia maniera, cioè “impara e porta a casa”, come si faceva nelle vecchie botteghe d’artista, quando l’allievo osservava la mano del maestro pittore, per poi arrivare a completare un suo quadro o addirittura superarlo in bravura. Gli inglesi sono molto precisi, il rigore british costruisce una giacca in maniera eccelsa, perfetta, impeccabile; mentre invece la sartoria napoletana fa del difetto il suo punto di forza! Mio nonno aveva anzitutto clienti marchesi, principi, conti, che vestivano per piacere e non per dovere, è da quest’attitudine che nasce l’esigenza di una giacca leggera e di conseguenza destrutturata. Toto’, Vittorio De Sica, Mastroianni poi, portavano i suoi capi con quella nonchalance, con una disinvoltura e un’allure che ricordiamo ancora oggi come iconiche, e questo lo si deve anche alla vestibilità del capo. Di Toto’ esiste ancora un cappotto Rubinacci, che ha fatto il giro dei musei e che oggi porta una serie di toppe e rattoppi, anche colorati. E’ l’esempio di passaggio di testimone, chi non aveva figli regalava i propri indumenti alla servitu’, che a sua volta lo passava alla portineria; a quel capo avrei voluto togliere quelle pezze e ridargli nuova vita, ma mio padre mi ha giustamente fermato ricordandomi che, così com’è, rappresenta tutta la storia non solo di Toto’ ma soprattutto di Rubinacci, che ha resistito fino ai giorni nostri.
Qual è il fiore all’occhiello di Rubinacci?
Siamo i più grandi collezionisti d’Europa di tessuti vintage; contiamo più di 60 mila metri di tessuti in casa che metterebbero al tappeto qualsiasi sartoria, è un’immobilizzazione incredibile; in atelier sono esposti quelli più venduti, ma è nel caveau tutta la merce più preziosa, tessuti che scovo durante le ricerche in giro per il mondo, a Camden Town a Londra, nei mercatini di Parigi e Los Angeles e talvolta nelle sartorie che lasciano il mestiere. Si scende al piano interrato e si apre il parco giochi dei più appassionati, tra questi Lapo Elkann, che porta amici intenditori; qui tra le pila di stoffe e l’odore del vissuto, si trovano i bouclè anni ’30/40 che usava tanto Chanel, un vellutino color aragosta, un lino color jeans che sembra denim; qui si trova l’introvabile.
Qual è il capo più venduto e cosa chiedono oggi i più giovani?
La giacca è senza dubbio il pezzo più importante e rappresentativo, seguito dai cappotti, sia su misura che pronti; seguono poi i pantaloni vecchia scuola con le pences. Abbiamo la fortuna di avere una clientela molto ampia, che va dai 20 ai 60 anni, forse anche grazie all’uso smart che facciamo dei social network. Ho simpatia per i più giovani che entrano in atelier e mi dicono “Luca, voglio vestirmi come te!”
Ma il mio compito è tirar fuori il loro di stile, la loro di personalità, il mio è anche un lavoro psicologico, e mi diverte molto. Copiare è un atteggiamento da brand di tendenza, che non mi rappresenta, io non mi ispiro a nessuno, non copio nessuno, non ho icone. Se mi parli di James Dean posso sì dirti che mi piace lo stile con cui indossa la t-shirt bianca, ma non mi rifaccio a lui. Dobbiamo conoscerci per capire qual è lo stile che più esalta la nostra persona e che ci fa sentire a nostro agio in ogni situazione. Io porto il mio punto di vista, il mio know-how, la mia expertise, non vestirò mai un cliente uguale ad un altro, per quello ci sono le confezioni di Gucci e Dolce & Gabbana e se siamo arrivati a 1100 abiti su misura oggi, dai 300 l’anno del 2015, crediamo che sia la conferma della soddisfazione dei nostri amati clienti.
Tu ti occupi non solo del marketing dell’azienda ma anche del design. Da dove trai ispirazione?
Mi rifaccio al passato ma soprattutto ascolto i miei clienti, sono loro la massima ispirazione. Noi non abbiamo inventato niente, ma proponiamo una vestibilità regular, che è prerogativa del brand. Se altrove si seguono le mode, e quindi jeans slavati, stracciati, skinny, qui invece si trova il jeans pulito, classico, semplice; così come i pantaloni e i bomber di pelle regular fit, ma anche prodotti atipici come le sahariane e le giacche/camicie in cashmire.
Un pezzo icona è la nostra scarpa, che ci riporta al comfort come filo conduttore perchè è una pantofola rielaborata. La produzione è toscana e arriva da un mastro pantofolaio; l’idea mi è venuta guardando una foto di Andy Warhol che ne indossava una negli anni ’90, noi abbiamo deciso di sostituire la parte in tessuto della suola con il cuoio, per permettere di uscirci per strada.
Sai di essere molto divertente e simpatico sulla tua pagina Instagram luca_rubinacci?
Ci provo! Già trovo una gran rottura di scatole i social network dove tutti fanno le stesse cose e parlano degli stessi inutili argomenti, io tento almeno di far ridere insegnando però quello che conosco. E’ una sorta di ringraziamento, di passaggio, come se i social mi avessero dato la possibilità di restituire agli altri quello che hanno insegnato a me; e allora do’ consigli di stile, o faccio un video su come annodare una cravatta, o su come accostare i colori o su che tipo di tessuto indossare a seconda delle stagioni, e intanto presento al pubblico Ciro, Genny e Mariano, i tre manichini che hanno i nomi di famiglia.
Difficile non provare simpatia per te che rispondi con garbo anche agli hater più maleducati…
Mio padre mi ha sempre detto da bambino “In ogni cosa che fai, mettici il buon senso”. E’ a questa frase che penso prima di rispondere, conto fino a 10 e cerco sempre di far prevalere la mia napoletanità, l’abbracciare tutti, anche se sono uno scorpione e in quanto tale prima o poi lascio del veleno.
Cosa chiedono gli uomini una volta entrati in atelier? Vengono accompagnati dalle loro mogli/compagne?
Qui il cliente sa che troverà i prodotti che vanno a costruire il guardaroba; i prodotti stagionali oggi vanno di moda ma domani non potrai più indossarli, da noi si acquista il “senza tempo”. Io oggi ad esempio indosso una giacca datata 2005, un blazer blu doppiopetto, un evergreen. E se l’uomo viene accompagnato è perchè si fida dei consigli di chi lo conosce bene, non è sempre questione di gusto, ma di approvazione, non di esperienza ma di sentirsi a proprio agio. Mia moglie prima del matrimonio non riusciva a trovare l’abito giusto, girava alla ricerca con mamma e sorella quando un giorno viene da me quasi in lacrime e mi chiede “Possiamo farlo insieme?!” Ma come le dico di sì io che sono un napoletano, uno scaramantico, che non si può vedere l’abito prima del matrimonio!? Alla fine le ho consigliato gli shape che le donano e lei a sua volta mi dice cosa le piace, certo io sono un poco stravagante in tartan verde, giallo e arancio, li indosso in inverno per giocare con Ines, mia figlia, ma a Maria sembrano sempre dei pigiami! (ride)
Che valore ha il sartoriale su misura?
E’ una questione di dettagli, di qualità e di durata nel tempo. Noi produciamo ancora la camicia come una volta, facciamo le prove con un telino di cotone povero, mettiamo in prova i tessuti meno pregiati su cui possiamo scrivere sopra e fare tutte le modifiche che il cliente richiede e che permette di provarlo più e più volte, fino al risultato finale, che sarà sicuramente perfetto e che verrà realizzato con il tessuto pregiato scelto in precedenza tra i 45 scaffali a disposizione. Il cliente può scegliere il modello del collo, del polsino, è anche un momento di creatività che fa della camicia un pezzo davvero unico, su misura.
Cosa vendi sull’ecommerce?
Tutto quello che si trova in atelier tranne il “su misura”. Dai posaceneri di Pulcinella portafortuna ai portafogli in cervo, dal documentario della nostra storica sartoria ai pigiami in seta, dalle vestaglie in cashmire ai costumi da bagno.
Il club Rubinacci è una tua recente idea…
Il club vuole essere un servizio aggiunto per chi sceglie il “su misura”. Spesso i miei clienti sono obbligati a meeting in sale degli hotel dove alloggiano, ho così pensato di creare uno spazio per loro, più intimo, dove poter incontrare clienti ed amici, un luogo che li faccia sentire a casa, dove possono lasciare i loro sigari, i loro distillati preferiti, dove possono provare un abito in totale tranquillità in un maxi camerino, magari facendosi consigliare dall’amico. Qui troviamo i libri di moda di Del Vecchio, imprenditore di Luxottica e nostro fidato cliente, un modellino di Ferrari, che ci riporta al Presidente Montezemolo, degli scatti di Franco Pace, una fotografia di Pavarotti, che ricordo con grande simpatia quando gli misuravo la circonferenza vita e mi diceva che mio padre comprava il metro sbagliato perchè non era sufficientemente lungo!
Come avete reagito al lockdown?
I nostri clienti sono amanti del bello, soprattutto chi sceglie il sartoriale su misura; per loro abbiamo creato un gioiellino, una box ispirata ad un portasigari, in legno pregiato, che contiene una raccolta di tessuti scelti appositamente per quel cliente in base ai gusti e ai precedenti acquisti, accompagnata da una lettera scritta a mano che inizia con “Special Fabrics Selection for Mr….”. E’ un gift coccola in cui ci rendiamo disponibili anche in video chiamata per la scelta di un su misura a distanza, avendo già in casa i cartamodelli. E’ un regalo per sempre, può essere poi utilizzato come svuotatasche o come soprammobile da salotto. E’ un modo per sentirci vicini, anche se siamo lontani!
Vintage è sinonimo di qualità, è la moda di ieri rievocazione di storia, tradizione, ricercatezza.
Non solo gli addetti al settore oggi se ne rendono conto, perchè un buon taglio sartoriale, l’unicità dei dettagli quali bottoni elaborati o modelli irripetibili, oggi assumono un grande significato.
Non è un caso se nascono siti di vendita online vintage o second hand, che portano tutti alla caccia del pezzo più iconico.
Le peculiarità risiedono nell’irriproducibilità dei medesimi standard qualitativi, dei materiali di altissima qualità, delle strutture démodé eppure evergreen, del fascino nostalgico di un periodo che non abbiamo vissuto e che ci regala, indossando un abito vintage, l’illusione di averlo percorso.
Abbiamo unito la favola del vintage con dei capi d’alta moda e con l’immagine nostalgica delle Polaroid. Tra i preziosi capi un kimono originale e dei Valentino haute couture.
I copricapo sono tutti fatti a mano da Oriana Curti.