MONSIGNOR VALLEJO: DETENZIONE DORATA

Nuovi furti, nuove sorprese e reciproche accuse tra i principali imputati: nuove ombre sul Vaticano. Un caso da chiudere al più presto.

Il Vaticano trema.

La fuga di notizie e di segretissimi documenti sta minando le solide basi di quello che agli occhi del mondo intero sembra essere un mondo prefetto e, sopratutto, “intoccabile”.

Il mistero si infittisce in seguito ad nuovo furto: diversi documenti sono stati sottratti dallo studio dell’avvocatessa Alessia Gullo, ormai ex legale del monsignor Angel Lucio Vallejo Balda. Infatti, la stessa dottoressa Gullo, dopo aver denunciato l’accaduto alle autorità competenti, ha deciso di rinunciare alla difesa del prelato spagnolo.

Ma, c’è un particolare, emerso da diverse dichiarazioni del monsignor Vallejo, che fa riflettere e, in un certo senso, desta non pochi sospetti: il prelato ha affermato di essere trattato molto bene e nella sua grande cella (più che una cella è una grande e confortevole stanza) si sente protetto.

Cosa significano queste parole? Vallejo teme per la sua vita?

La posizione di Vallejo è “critica”: accusato di aver consegnato ai giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi diversi documenti riservati e scottanti, è l’unico dei 5 imputati ad essere trattenuto in arresto.

Monsignor Vallejo è stato colpito più volte da diversi furti e mai si è riuscito a capire chi volesse “attaccarlo” in maniera così diretta.

A suo avviso, e tali dichiarazioni emergono anche dai diversi interrogatori tenuti dinanzi alla magistratura, si ritroverebbe al centro di un grande complotto.

Un complotto messo in piedi da diversi soggetti, che godono di grandi poteri e che sanno muoversi con rapidità e discrezione tra le mura del Vaticano, i quali più volte, indirettamente, hanno creato forti pressioni sul prelato, sfociate anche in minacce.

Tutti soggetti, secondo Vallejo, contrari alle riforme del Papa.

Ma, Vallejo è tranquillo. Si sente al sicuro in quella che può tranquillamente essere definita come una “dorata detenzione”. Passa le sue giornate in una grande stanza dotata di ogni servizio e molto luminosa: nemmeno una piccola sbarra alle finestre a far da minuto scudo per la luce del sole.

Inoltre, il prelato pranza e cena sempre in compagnia, con gli uomini della gendarmeria e celebra la messa, ogni giorno, nella chiesa del Pellegrino sita nei giardini vaticani.

Insomma, tutt’altro che una vera detenzione. Al massimo si può definire la “posizione” del monsignor Vallejo come una “vacanza forzata”.

Il mistero si fa sempre più fitto e si copre di un velo di oscura incertezza.

Gli inquirenti stanno ricostruendo, pezzo dopo pezzo, il rapporto e la “collaborazione” tra Vallejo e il suo segretario Nicola Maio, uno dei “corvi” vaticani.

Ciò che risulta assai strano è il fatto che il monsignor Vallejo Baldo, sin dai primissimi istanti della sua nomina (segretario della Prefettura degli affari economici e della Commissione di studio sulle strutture economiche e amministrative della Santa Sede) registrasse ogni singola riunione, ogni singolo incontro con il Papa e gli alti prelati.

Non una parola era sfuggita al monsignor Vallejo Baldo.

Parte di tale documentazione, di tali registrazioni, sarebbe stata consegnata dallo stesso Vallejo Baldo ai giornalisti, sotto processo, prima citati, ai quali avrebbe, inoltre, consegnato password per scaricare documenti, testi e cifre, dal carattere estremamente riservato, relativi alle attività economiche ed amministrative della Santa Sede.

Tutte le “malefatte” dei prelati sono state raccolte diligentemente in due libri: “Via crucis”, del giornalista Nuzzi e “Avarizia”, di Fittipaldi.

Una vicenda che si complica giorno dopo giorno, assumendo le vesti di una fittissima ragnatela. Una ragnatela che potrebbe essere spazzata via da un momento all’altro e che già ha cominciato a vibrare, sempre più forte, dallo scorso 24 novembre: data della prima udienza di fronte al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.

Una vicenda che, però, è al vaglio anche delle autorità dello Stato italiano, rispettivamente riconosciute nella Procura di Terni e in quella di Roma.

E, questa duplice indagine, da parte dello Stato italiano e da parte del Vaticano, sembra si sia trasformata in una frenetica corsa: una gara per scoprire il colpevole prima dell’altro e chiudere la vicenda.

Ma, il Vaticano è un avversario duro da battere, spinto, ora, dall’imminente apertura del Giubileo. Lo Stato vaticano vuole chiudere velocemente la triste vicenda, con una premura che mai era stata riscontrata in passato per alcun altro caso.

Magari la giustizia si muovesse sempre così veloce.

MEDIO ORIENTE: LA SITUAZIONE E’ SEMPRE PIU’ COMPLICATA

Chi è Abu Bakr al-Baghdadi? Chi sono i nemici dell’Isis? Cosa sta succedendo in Medio Oriente?Domande che riecheggiano nella mente delle persone di tutto il mondo, terrorizzate e sempre più confuse dopo i recenti attacchi di Parigi e in Mali.

Domande che necessitano di risposte chiare e vere, sopratutto, nell’odierno clima di terrore, che ormai ha abbracciato il mondo intero in una morsa troppo stretta.

Il mondo ha bisogno di capire. Chi è questo nemico così forte e così spietato da combattere?

La situazione in Medio Oriente è più complicata che mai, una matassa troppo difficile da sbrogliare, sopratutto se si analizzano i recenti fatti.

Ciò che è certo è che Abu Bakr al-Baghdadi si è autoproclamato Califfo di uno Stato non riconosciuto, ma che ha confini ben definiti. Uno Stato che ha intenzione di espandersi, con qualunque mezzo, e senza alcuna pietà. Uno Stato, l’Islamic State, che chiede a gran voce il suo riconoscimento, attraverso una guerra mai combattuta prima.

Ma, quanto appena detto non può essere considerato il completo riassunto dell’intera situazione mediorientale. Non si tratta di una mera guerra di religione, di etnie.

In ballo ci sono interessi economici e politici troppo grandi.

Proviamo a fare un punto della situazione.

Nei territori tra Siria ed Iraq si sono schierate le truppe di diverse Nazioni, quelle appartenenti alla Coalizione che combatte questo nemico, non precisamente identificato, conosciuto come Isis.

Ma, chi sta a capo di questa grande coalizione, che raggruppa più di 50 governi?

Non vi è un unico capo, ma si parla di direzione bilaterale: da un lato, vi sono gli U.S.A. di Barack Obama; dall’altro, la Russia di Putin.

Questo è un dato che già dovrebbe far riflettere. Come è possibile comandare una coalizione, dirigendola in un’unica direzione, se gli obiettivi e sopratutto le linee di pensiero (e politica) sono diverse?

Infatti, l’America ha deciso, almeno per il momento, di adottare una linea meno dura, evitando l’invio di truppe di terra. Invece, la Russia di Putin si è schierata apertamente nei territori di fuoco, per sostenere Bashar al-Assad.

Ora, anche la Francia ha deciso di fare la voce grossa, decidendo di scendere in campo, al fine di rispondere agli spaventosi attentati di Parigi. Infatti, Hollande ha intrapreso una sorta di “tour mondiale” per cercare alleati pronti a schierarsi con la Francia per combattere l’Isis e rispondere agli attentati, che l’hanno ferita duramente.

Lo scopo di Hollande è, quindi, quello di avviare una cicatrizzazione delle ferire francesi, attraverso una linea dura che non promette nulla di buono.

Intanto, nel trambusto generale, l’Italia prende tempo.

E, gli Stati confinanti con Siria e Iraq?

Da prendere in considerazione è sopratutto la situazione della Turchia di Erdogan.

Quest’ultima si è schierata contro l’Isis, ma in realtà sembra maggiormente interessata a combattere i curdi del PKK, nascondendo, quindi, i diversi attacchi contro questi ultimi, sotto il nero velo della lotta al terrorismo.

Ma, a complicare ancor di più il quadro degli scontri mediorientali si è presentata la vicenda del jet russo, abbattuto dalle forze turche. Quindi, una forte tensione si è accesa tra i due Stati e la vicenda risulta essere ancora apertissima.

L’unica cosa che in questi giorni sembra essere davvero certa è la dichiarazione di guerra di Putin all’Isis: la Russia si schiera apertamente a fianco della Francia.

Una decisione che va a cozzare contro la linea d’azione, più cauta, degli Stati Uniti.

Si creeranno nuove tensioni? Domanda retorica.

Chi è il nemico dell’Isis?

L’Isis non ha un unico nemico, ma tanti nemici.

Il nemico pubblico numero uno è ovviamente l’occidente: Stati Uniti e Europa intera sono nel mirino del movimento guidato da Abu Bakr al-Baghdadi perché considerati infedeli.

La lista con i nemici da combattere e sconfiggere prosegue con gli sciiti e i sunniti.

In pratica, l’Isis ha dichiarato guerra al mondo occidentale in generale e agli Stati di Turchia, Israele, Siria e Paesi del nord Africa, come ad esempio la Tunisia.

Una lunga lista quindi.

La situazione è davvero complicata ed è già precipitata in un burrone di atrocità e sofferenze.

Il mondo intero è in subbuglio.

Alcune risposte le abbiamo, anche se sinteticamente, trovate.

Ma, ci sono tante altre domande, che quasi sicuramente non avranno alcuna risposta.

Come può un unico movimento, un singolo stato, l’Islamic State, gettare nel caos l’intero pianeta?

Possibile che gli tanti Stati, già riuniti in fortissime coalizioni, non riescano a fermare un unico e comune nemico?

“SELEZIONARE GLI EMBRIONI IN CASO DI GRAVI MALATTIE”: NON E’ PIÙ’ REATO.

Da un po’ di anni a questa parte, quella che sembrava una “legge intoccabile”, cioè quella sulla fecondazione assistita (Legge 40), sta letteralmente perdendo un pezzo dietro l’altro, sotto l’azione di diverse sentenze della Corte Costituzionale.

La legge 40 può essere sintetizzata in 4 fondamentali punti:

  1. divieto di fecondazione eterologa”;
  2. obbligo di impiantare al massimo 3 embrioni , tutti insieme”;
  3. divieto di accesso alle tecniche relative alla fecondazione assistita per le coppie fertili”;
  4. divieto di selezionare embrioni in caso di patologie genetiche”.

Ma, quella che sembrava essere una piena insindacabilità di questi punti, si è trasformata in una serie di continue rivisitazioni giuridiche e nuove interpretazioni sorrette da numerose sentenze della Corte Costituzionale.

Basti pensare al divieto di fecondazione eterologa, definito in un primo momento come preludio a pratiche eugenetiche di selezione artificiale di gameti, per l’ottenimento di “bambini su misura”, poi definito come divieto incostituzionale.

Altre sentenze della Corte Costituzionale sono, poi, intervenute in merito al divieto di accesso alle tecniche di fecondazione assistita per le coppie fertili. In questo caso, sono due le sentenze che hanno sollevato una questione di illegittimità costituzionale sulla base della disparità che il predetto divieto sancisce a svantaggio delle coppie fertili, il tutto supportato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha definito tale principio come discriminatorio.

Una legge, quindi, che ha subito numerose modifiche.

Per ultima, a dare un calcio al punto della legge 40, relativo al divieto di selezionare gli embrioni in caso di patologie genetiche, è stata la recente sentenza 229/2015 redatta dal giudice Rosario Morelli, relativa alla questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Napoli, in merito allo specifico procedimento penale nei confronti di un gruppo di medici rinviati a giudizio, con l’accusa di produrre embrioni umani con fini diversi da quelli previsti dalla tanto discussa legge 40.

Tale sentenza abolisce il previgente divieto, sancendo l’ammissibilità di tutte le pratiche volte a selezionare gli embrioni da impiantare nell’utero della donna, nelle specifiche ipotesi in cui ci sia il rischio di impiantare embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, cioè quelle previste dalla Legge 194 sull’aborto.

Ovviamente, il tutto dovrà essere accertato da apposite strutture sanitarie.

La sentenza ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, nello specifico comma 3, lettera b, e comma 4, della Legge 40.

Quindi, l’operatore medico che pone in essere specifiche azioni volte al trasferimento di soli embrioni sani, nell’utero della donna, non risulta più essere sanzionabile dal punto di vista penale.

Infatti, secondo i giudici della Consulta, l’appena citato articolo violerebbe sia l’articolo 3 della Costituzione (“uguaglianza dei cittadini“, in merito al profilo della ragionevolezza), sia l’articolo 32 della Costituzione (“ tutela della salute”).

In pratica, la sentenza dichiara ammissibile la selezione degli embrioni ma, allo stesso tempo, non intacca assolutamente il “divieto di distruzione degli stessi embrioni. Infatti, questi ultimi non possono essere assolutamente considerati come “semplice materiale biologico” e, quindi, devono continuare ad essere conservati tramite la specifica tecnica della crioconservazione.

Sorge un dubbio: ha senso conservare embrioni inutilizzati?

È questa la questione sollevata da coloro i quali si oppongono alla conservazione degli embrioni: il numero di questi ultimi sarà sempre maggiore e proporzionalmente al crescere del numero, ci sarà un incremento notevole dei relativi costi per il loro mantenimento. La crioconservazione, infatti, può essere effettuata solo da specializzati professionisti e solo grazie ad attrezzature “non proprio economiche”.

LA DOPPIA VISIONE DELLA SENTENZA 229/2015

L’ultima pronuncia della Consulta ha dato vita a due gruppi di soggetti: il primo assolutamente favorevole alla sentenza, il secondo, invece, non pienamente convinto della nuova strada intrapresa.

Quindi, da un lato vi è una visione basata sulla salute della donna: eliminando il reato di selezione, viene alla luce la legittimità della “diagnosi preimpianto”, fondamentale ai fini di evitare che una donna possa vedersi impiantato un embrione malato.

La diagnosi preimpianto consentirà di evitare potenziali aborti.

Una precisa diagnosi che dovrà essere garantita da qualsiasi struttura, pubblica o privata che sia, sperando nella non creazione di ostacoli burocratici da parte della politica.

Dall’altro lato, invece, si posizionano coloro i quali sono contrari alla selezione degli embrioni.

Il punto di vista è supportato da una domanda che fa davvero riflettere: “chi è malato non ha diritto di vivere?”.

Ciò che viene condannata, non è la richiesta da parte delle coppie di avere un figlio sano (assolutamente legittima), ma il metodo.

Non è del tutto corretto parlare di “embrioni malati”, poiché nell’embrione è possibile solo riscontrare un danno genetico e non una patologia conclamata.

A detta di molti, che rientrano in questo secondo gruppo di soggetti, si andrà verso una “cultura dello scarto“, dove l’embrione non sarà altro che un bene comune come tanti altri, pronto ad essere buttato via in caso di malfunzionamento.

SENTENZA 229/2015, GIUSTA O SBAGLIATA?

Impossibile definire la pronuncia della Consulta come giusta o sbagliata e di conseguenza è impensabile trovare un punto d’incontro tra le diverse linee di pensiero.

L’unica cosa certa è il consolidamento dell’idea che sta alla base del percorso intrapreso dalla Corte Costituzionale: un orientamento che è volto ad affievolire, per alcuni aspetti, la rilevanza giuridica dell’embrione ed i relativi diritti, al fine di incrementare quello che è il diritto, o meglio un “interesse” della coppia, cioè quello di avere un figlio (precedenti sentenze) e, ora, con la sentenza 229/2015 il funzionale interesse di un figlio sano.

JONAH LOMU: ADDIO AL GIGANTE BUONO DEL RUGBY

Una meteora? No, una stella che mai smetterà di brillare nel cielo del rugby, dello sport, quello vero e puro.

Jonah Lomu, meglio conosciuto come il “Gigante buono” è entrato di forza nel mondo della palla ovale, regalando per tantissimi anni emozioni difficilmente descrivibili e che mai nessuno dimenticherà. Forza, serietà, coraggio e tanta, tanta umiltà: queste le doti di un giocatore, di un uomo vero.

Fermarlo sui campi da gioco, sua seconda casa, era impossibile: una furia, un uragano, una tempesta di muscoli e forza che si abbatteva sugli avversari, impotenti dinanzi a cotanta esplosività.

Un mix di doti fisiche, guidate da un cuore grandissimo, che lo hanno portato ad essere paragonato ad un supereroe, proprio come quelli tanto amati dai bimbi di tutto il mondo.

E, Jonah Lomu era amato dall’intero mondo del rugby e non solo. Un uomo durissimo in campo, ma dai modi gentili fuori.

Il rispetto per gli avversari e per qualsiasi uomo in generale era ciò in cui credeva di più.

Muscoli e cuore che per tantissimi anni hanno combattuto al riparo della nera maglia degli All Blacks: la numero 11. Una maglia che per sempre resterà sua, poiché difficilmente potrà essere indossata da altri giocatori con doti simili.

La forza e la grinta del campione
La forza e la grinta del campione

Jonah Lomu, grazie alle sue grandi doti tecniche e fisiche ha fatto crescere il gioco della palla ovale: uno sport che gli deve tanto.

Risalgono a vent’anni fa le prime impronte rilasciate dal gigante buono sull’erbetta dei campi da gioco. Impronte che hanno indirizzato il rugby nella direzione della spettacolarità, del bel gioco e, sopratutto, del rispetto.

Un omone inarrivabile e impossibile da stoppare. Ma, i suoi reni si sono resi alla malattia. L’unico avversario che Lomu non è riuscito a battere.

Una malattia che in un primo momento lo aveva allontanato solo provvisoriamente dai campi da gioco, dato che il Gigante buono era tornato, stringendo i denti, a correre per regalare nuove e spettacolari mete.

Ma, non era più la stessa cosa.

Pian piano la malattia ha preso il sopravvento, succhiando via la linfa vitale di un uomo che sembrava essere invincibile, immortale.

Jonah Lomu, il gigante buono si è arreso.

Proprio così, proprio lui.

Ma, sicuramente, da lassù continuerà ad indirizzare il rugby nella giusta direzione e a mantenere ben saldo, grazie alla sua infinita forza, il treno dello sport vero, quello leale e fondato sul rispetto, evitando di farlo deragliare.

Da lassù continuerà a proteggere la palla ovale con le sue larghe spalle, stringendola con forza al suo possente petto, dimora di un cuore immenso e puro.

Jonah Lomu: un campione, una stella!

BEACH VOLLEY: RANGHIERI-CARAMBULA, DALLE SPIAGGE A RIO 2016

Due ragazzi e un unico grande amore: il beach volley.

Due storie d’amore completamente diverse: da un lato, un vero e proprio colpo di fulmine; dall’altro, un sentimento che è cresciuto pian piano, sintetizzabile nell’espressione “i due opposti si attraggono”.

Queste sono le storie di Alex Ranghieri e di Adrian Carambula, due meravigliosi ragazzi, due sportivi di razza.

Il beach volley ha stregato Alex alla tenera età di 8 anni, regalandogli immense soddisfazioni e indescrivibili emozioni. Ma, un infortunio alla spalla ha fatto scricchiolare le solide basi di una meravigliosa favola d’amore, portando il cavaliere Alex a pensare di voler mollare tutto.

Per fortuna non è stato così.

Adrian, invece, era lontanissimo dal mondo della sabbia, un mondo che pensava fosse abitato solo dal genere femminile. Infatti, la sua prima grande passione è stata il calcio. E il talento non mancava di certo. Poi, se a confermarlo è un certo Luis Suarez, c’è da star davvero tranquilli.

Ma, come è possibile che un giovane calciatore, promessa indiscussa, che ha giocato nelle giovanili con campioni del calibro di Suarez, si ritrova ad essere osannato dal mondo del beach volley?

Galeotto fu il viaggio a Miami, dove si trasferì con la sua famiglia a 13 anni.

Miami e il calcio? Un binomio non proprio perfetto. Miami è sinonimo di spiagge straordinarie e la spiaggia è il regno degli amanti del volley.

MA, COME SI SONO CONOSCIUTI?

E’ stato Alex a partire, come un coraggioso esploratore, alla volta di Miami, proprio per conoscere e ammirare il talento di un giovane, la cui fama aveva attraversato l’oceano.

Poi, uno sguardo, qualche azione insieme e subito pronti a fare coppia. E che coppia!

Grande feeling e intesa perfetta, ingredienti fondamentali per raggiungere qualsiasi traguardo.

Una coppia che ha subito asfaltato i più duri avversari ed ha fatto conoscere al mondo intero il suo potenziale: un 2015 da incorniciare con un terzo posto alle Major Series a Porec, uno strepitoso argento all’Europeo di Klangenfurt, la vittoria al Cev Masters di Milano e dell’Open di Antalya lo scorso ottobre.

Incredibili successi che hanno rafforzato ancora di più il particolare legame che c’è fra questi due fantastici ragazzi, sempre sorridenti e scherzosi, ma serissimi quando ci si allena e si gioca. Due diversi soggetti ma un’unica mente, focalizzata sempre e comunque sulla vittoria. E’ questa la magia della coppia Ranghieri-Carambula.

E ora?

Pronti, partenza e Rio!

Proprio così, la strepitosa coppia, tra le migliori del circuito del beach volley, ha centrato, grazie agli incredibili successi ottenuti durante l’anno, una meritatissima qualificazione per i Giochi di Rio 2016.

La coppia Ranghieri-Carambula si veste d’azzurro ed è già pronta a far sognare tifosi e appassionati di questo bellissimo sport. L’Italia è già pazza di questi due campioni ed è pronta ad emozionarsi, sudare e sporcarsi di sabbia assieme a loro.