YOUFIRST: FRAGRANZE COSY

Stefania Cuzzeri, laureata in filosofia e fondatrice del brand YouFirst Pura Rinascita, condivide la sua expertise sul mondo luxury di fragranze e candele profumate lanciando la linea YouFirst. Veri e propri pezzi artistici, ciascuna di queste candele diffonde un delicato aroma attraverso le abitazioni  invitandoci al relax e a vivere in una avvolgente e rilassante atmosfera.

1. Come nasce la sua passione per le fragranze e il mondo delle candele? 

Fin da piccola ho sempre avuto sensibilità e attenzione verso questo mondo. Mi piace ricordare che la mia prima memoria di bambina è olfattiva, legata ai bellissimi ricordi nella casa al mare dei nonni dove aromi di erbe aromatiche, basilico primo tra tutti, e profumi e odori di cucina erano  per me indissolubilmente associate al mare, all’estate e alla felicità! Anche mia mamma ha sempre amato molto la casa e cercato di ricreare nello spazio privato l’intimità e il calore di cui parlo con i miei prodotti: “stay cosy at home”, amiamo trasmettere, in questo momento peraltro un gesto ancora piu prezioso.

2. Viste le diverse difficoltà del periodo storico ci sono stati cambiamenti nel modo di comunicare il branding? 

Diciamo che abbiamo cercato di trasformare la costrizione dello stare in casa con la nostra filosofia “cosy”, cioè appunto intima, calda, avvolgente, da sempre al cuore del nostro progetto. Le fragranze sono utilissime per evocare ricordi piacevoli e aiutare a vivere il meglio possibile nel proprio spazio, anche quando ci viene imposto da situazioni di emergenza come in questo momento. YOUFIRST PURA RINASCITA significa proprio questo: mettersi al centro e rinascere, attraverso piccoli gesti di attenzione a tempo per sé come accendere una candela profumata o vaporizzare e lasciarsi avvolgere dal nostro profumo preferito. E poi abbiamo puntato molto sull’altro tema che ci sta a cuore e caratterizza, la Natura, come fonte di ricarica energetica, di connessione gioiosa, vera e propria esperienza immersiva di benessere. Per accompagnare questi momenti di rinascita personale abbiamo inoltre creato un canale podcast YOUFIRST PURA RINASCITA su Spotify- L’essenza della Rinascita – con cadenza settimanale, ogni venerdi, dove ci lasciamo ispirare dalle parole di filosofi e pensatori per attivare la nostra “rivoluzione gentile”. La nostra idea è proprio quella di ricrearsi un proprio privato accompagnato dai nostri profumi, che aiuti a star bene e ad attivare una propria crescita personale.

3. Il mondo della profumazione è molto vasto , in cosa siete diversi ?

La nostra scelta è stata quella di costruire piramidi olfattive basate sempre su un accordo di due note, capaci di ricreare sensazioni mediterranee. La nostra linea è infatti 100% Made in Italy, in tutto e per tutto, dal design del prodotto, alla carte usate, al Naso italiano e alla scelta delle materie prime. L’elicriso, fiore tipico della macchia mediterranea, presente in tutti i prodotti, e gli accordi olfattivi come basilico e brezza marina, che immediatamente ci trasportano al mare, sulla Riviera Ligure, oppure fico e talco, che subito ci facciano sentire in un’isola del sud. 

In un momento come questo puntare sul nostro territorio e sulla sua infinita ricchezza e potenzialità, come luoghi, professionalità, materiali, competenze e sensazioni ricreabili mi sembra una scelta ancora piu importante.

4.  Novità per il 2021 ? 

Nel 2020 abbiamo completamente ricreato il packaging illuminandolo con i toni del bianco e del cipria all’interno dei prodotti, scegliendo anche un nuovo design e nuove finiture per i prodotti, con l’obiettivo proprio di trasmettere rotondità, avvolgenza, eleganza e leggerezza, curando sempre di piu ogni dettaglio. Grazie alla maestria dei nostri fornitori italiani siamo molto soddisfatti del risultato. Nel 2021 continueremo con l’estensione della gamma, con una nuova fragranza e nuovi prodotti all’interno delle gamme esistenti.

5. Oltre alle candele e alle profumazioni per la casa , ha mai pensato ad una linea di beauty ?

La nostra è propria una filosofia di cosy luxury lifestyle, in cui è  la fragranza guida tutto il percorso sensoriale. Questo rende piu difficile l’estensione ad una linea beauty viso al momento, per quanto riguarda il corpo stiamo invece pensando ad alcuni prodotti che siano sempre in linea con la nostra filosofia, come olli o candele da massaggio per il corpo: al momento abbiamo solo un olio profumato roll-on senza alcool da utlizzae solo per piccoli punti come polsi, nuca, avambracci…ma certamente le potenzialità in questo mondo sono infinite!

Mareja: viaggi di moda

Angelica e Teodora, amiche da sempre e adesso anche socie. Si ispirano al Rajasthan nelle loro creazioni, terra a cui sono legate e che rievoca in loro ricordi particolarmente significativi. i tessuti di Mareja – questo il nome della loro linea- si ispirano alla millenaria tradizione delle finissime sete ricamate a mano.

Core stilistico del duo un mix and match composto di colori, texture e pattern declinati su materiali serici e arricchiti con ricami in contrasto, tono su tono e sfumature cangianti. Eleganza timeless e artigianalità: il duo imprenditoriale punta sulla piccola produzione.

 I tessuti sono impressi a mano con blocchi di legno intagliati da artigiani a Bagru, nel Rajasthan. Completano la collezioni AI 2021 top a clessidra, tuniche in velluto con interni a contrasto in seta, pantaloni, gonne, tuniche con ricami fatti a mano, chemises longues in seta con tinte a contrasto blu pervinca e azzurro polvere, con tinte del rosso, arancio, viola, del giallo e del verde acido.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con le due imprenditrici.

  • Cosa é per voi l’altro (inteso come altra cultura)? 

L’altro è conoscenza di altre culture, tradizioni, religioni e storia che ci aiuta a realizzare un processo di trasformazione e crescita interiore ed esteriore portandoci ad ampliare la nostra visione del mondo e comprendere con maggior chiarezza ciò che accade intorno a noi. La conoscenza dell’altro è un percorso aperto che intreccia più realtà donando nuovi stimoli al nostro stile di vita.

  •  Su quali valori punta una pmi come la vostra durante una crisi mondiale? 

La maggior parte della nostra produzione è improntata in India e durante questo periodo di pandemia, nella nostra piccola realtà, vogliamo dare un contributo al miglioramento della qualità della vita a persone che sono nate in un contesto molto più sfortunato del nostro.

  • Il luogo del cuore 

Angelica: Casa al mare al forte dei marmi dove ho vissuto i miei momenti di vita migliori e più spensierati.

Teodora: I miei luoghi del cuore sono molti, ma il posto in cui torno sempre volentieri è Londra. Città poliedrica e cosmopolita, vera capitale del mondo dove si incontrano e fondono le culture più disparate creando un mix di persone, tradizioni e stili unici. 

  • 3 oggetti che non mancano mai nei vostri bagagli? 

Angelica: creme viso, caricatore portatile telefono per restare sempre connessa con il mondo circostante e laptop, ogni momento è buono per lavorare. 

Teodora: camicia bianca, jeans, scarpe comode anche se sono solita partire con la valigia semivuota in quanto amo lo shopping locale.

  •  Tra tutte le privazioni del covid quale é quella che vi causa maggiore sofferenza? 

Intendo dire della normalità cosa ê a mancarvi soprattutto? 

Viaggiare, scoprire e conoscere nuove persone. Un semplice abbraccio. 

  • Una donna a cui vi ispirate?  

Diana Vreeland, giornalista statunitense di origini francesi. Donna di un talento unico, che seppe inoltrarsi nei territori ancora intatti di uno stile personalissimo, ed indurre le donne ad osare ed ad esprimere un eccentricità studiata in grado di valorizzare la figura femminile.

  •  foto in bianco e nero o a colori? 

A colori! È proprio il colore il protagonista del nostro scenario, non a caso l’India, dal cibo ai tessuti, è il mondo multicolor per eccellenza.

Ogni colore può trasmettere delle sensazioni, raccontare storie o far cambiare il nostro stato d’animo.

  •  3 profili instagram da seguire? 

– theladyofthegoldrings

– kenscott.archives

– somewhereiwouldliketolive

  •  Cucina e piatti preferiti? 

Angelica: cibo, che passione! Prediligo la cucina mediterranea, ma mi piace sperimentare, mangio tutto.

Teodora: io sono molto golosa e non resisto ad un millefoglie con la crema chantilly come solo a Firenze sanno fare!

– Cosa state leggendo? 

Angelica: L’arte del dubbio di Gianrico Carofiglio

Teodora: Zia Mame di Patrick Dennis

Descrivete con tre aggettivi il vostro marchio.

Elegante, senza tempo e mai convenzionale.

Andrea Turchi e Ange Biamba: le stelle di domani del New Pop

Un metissage musicale: l’urban francese Francia incontra il cantautorato italiano, e immediatamente dopo si è proiettati nelle sonorità dell’Africa. Sono queste le sensazioni che trasmette la musica dei giovani e promettenti musicisti selezionati da D-Art per voi: Andrea Turchi e Ange Biamba, che si raccontano per la prima volta in esclusiva senza filtri alla stampa italiana. Andrea è toscano, Ange francese: si incontrano ad Amiens e da lì nasce una grande amicizia, una fratellanza. All’epoca stanno entrambi esplorando diversi generi musicali: di lì a poco la volontà di suonare insieme. Siamo rimasti colpiti dalla profondità dei testi di canzoni come “Il marinaio” che riflettono su temi d’attualità scottanti come la condizione degli immigrati clandestini del Mediterraneo, oppure dal romanticismo del singolo “Le Chat de Gouttière” in cui Andrea Turchi parla della sua esperienza francese.

“Panda No Bamba” è il prossimo singolo del duo musicale, un inno alla gioventù animato da sonorità raggae/funk. Due artisti figli dell’Europa che piace a noi, quella unita e multirazziale.

Andrea Turchi.

Come il tuo luogo d’origine (la Maremma toscana) influenza la tua musica?

La Maremma e la Toscana influenzano sicuramente il mio modo di scrivere e altrettanto il mio modo di parlare e vedere il mondo. Lo stile di vita che si conduce qua ti permette di avere lo spazio e il tempo per avvicinarti a te stesso e ritrovarti. È un luogo mistico da cui traggo sempre ispirazione. C’è una mia canzone, “La Strada”, composta  sul Monte Amiata (una località di montagna in provincia di Grosseto, Toscana, ndr) in occasione del compleanno di un mio amico, che rispecchia il nostro stile di vita… Suonare nel bosco, dormire sotto le stelle, stare a contatto con la natura, ma soprattutto vivere con semplicità. 

Esiste qualche altro luogo che la influenza? 

Sicuramente! Un altro luogo centrale per capire il mio universo è l’Africa. L’ho scoperta grazie a mio padre, grande viaggiatore e avventuriero che ha esplorato l’Africa tramite la sua passione : la motocicletta. Già dai miei sette anni mi ha fatto scoprire questo incredibile continente, un mondo nuovo e fantastico, dove lo spazio e il tempo si disegnano in un modo totalmente diverso da quello occidentale. Ho fatto miei i suoi ritmi, i cibi, i paesaggi, le persone, le diverse culture, le difficoltà e le emozioni che hanno profondamente marcato la mia vita e la mia musica.

Nel repertorio infatti c’è una canzone, “L’Africa”, che esprime la mia inquietudine sulle opinioni attuali rispetto alle persone che ci abitano. Per conoscere l’Africa bisogna toccare con mano la sua terra e la sua gente, ma gli innumerevoli pregiudizi sulla questione, ahimè, creano paura nel cuore delle persone.

In merito c’è un progetto in cantiere : fare una traversata fino a Dakar per registrare una inedita versione della canzone “L’Africa” con dei musicisti locali.

Inoltre la Francia ha influenzato ugualmente il mio universo musicale, grazie ai grandi cantautori come Brassens, Barbara, Brel (originario del confinante Belgio), che mi sono serviti come grandi  punti di riferimento.

Il mio repertorio si spartisce fra la lingua italiana e francese (ormai la mia seconda lingua), e questa apertura mi ha permesso di sviluppare nuovi temi, come l’amore che ho scoperto proprio in Francia. E anche nuovi modi di cantare e giocare con la lingua.

Inoltre grazie ai miei due anni di conservatorio ad Amiens ho scoperto il Jazz e ho avuto l’occasione di cantare e suonare la chitarra elettrica insieme ad un’orchestra.

Sempre al conservatorio ho letteralmente scoperto la chitarra elettrica (prima mi accompagnavo con la chitarra classica) e i sound più Rock e Funky che mi hanno fatto uscire dalla mia condizione di “menestrello”, aprendomi a nuovi orizzonti.

La tua formazione?

La mia formazione comincia a 14 anni con due anni di corsi di batteria e varie esperienze in gruppi locali qui a Grosseto : il ritmo rappresenta da sempre la mia predilezione nella musica e si ripercuote sul mio modo di suonare ogni strumento come nel canto.

La chitarra l’ho imparata con gli amici musicisti, alle jam, in strada spinto dalla mia solita voglia di superare i miei limiti.

Il canto è uscito fuori insieme al mio primo testo, come un bisogno impellente di tirare fuori  le mie emozioni al resto del mondo.

Le percussioni sono il mio strumento di predilezione, il più basico e intuitivo dove posso esprimere a pieno le mie vibrazioni e la mia comunione profonda con il ritmo.

Mi capita di suonare anche il piano ma resta un gioco per me.

Per quanto concerne la mia formazione in senso umano e accademico ho fatto esperienza all’università di Sociologia. Questo credo abbia accentuato le mie capacità a maneggiare idee e concetti astratti, ad acuire lo sguardo critico sulla realtà che mi circonda e la possibilità di esprimerli con un vocabolario chiaro, diciamo scientifico. Tutto ciò ha fatto ordine nei miei pensieri e mi ha permesso di sviluppare la faccetta più letteraria del cantautorato, con dei testi che hanno una ricerca ben precisa sia nella complessità, che nella semplicità. La sociologia mi ha dato coscienza e un occhio critico sulle informazioni, la politica, la condizione femminile, la storia della nostra civiltà, le dinamiche costruite intorno al potere, la colonizzazione etc. Mi ha dato una minima base culturale che ha forgiato e nutre i miei testi.

Insieme alla laurea in Sociologia iniziata a Padova, e ottenuta in Francia, un’esperienza fondamentale nel mio percorso artistico sono stati i due anni di formazione professionale a l’École du Cirque Jules Verne (scuola di circo). Dopo aver passato le audizioni (che mi sono costate tanto sudore), il planning prevedeva trentacinque ore a settimana fra acrobazie, danza Jazz, teatro, pesi, equilibri sulle mani, clown, trampolino etc.

Questa esperienza mi ha permesso di solcare diversi palchi in tutta la Francia e di capire cos’è realmente il mestiere d’artista, con i suoi obblighi, il suo linguaggio e le sue gioie.

Un evento marcante in questo percorso è stata la richiesta, da parte del direttore della scuola, di mettere su una fanfara con i musicisti della scuola per accompagnare un incontro regionale nel grande Circo in muratura ad Amiens : avevamo violino, clarinetto, fisarmonica, sax, chitarra, percussioni, cori, e io ero al rullante nelle vesti di chef d’orchestra. Questo evento ha messo alla prova e rivelato le mie doti nel campo degli arrangiamenti e della direzione artistica di un’équipe : era il mio ruolo di predilezione, dove potevo esistere nella mia forma più integrale. Quindi lasciandomi alle spalle il mio passato di acrobata e clown ho deciso di mettere in luce le mie doti, mettendo da parte la paura di sbagliare e di non averne abbastanza, per lanciare il mio progetto musicale. Del Circo mi è rimasto il corpo, la disciplina, il metodo, la capacità di ballare e recitare davanti ai riflettori, tanta voglia di mangiarmi più palco possibile, come di partecipare a set cinematografici o fotografici : ho assaporato il senso e le sfaccettature della vita da artista. Adesso sento di avere le basi per cogliere le diverse proposte che offrirà questo percorso, avendo la cognizione di causa che serve per addentrarsi nella giungla del mondo dello spettacolo.

Quindi concludendo, la mia formazione è largamente autodidatta, solo in Francia, grazie ai due anni di conservatorio ho fatto il salto di qualità alla voce e alla chitarra.

Progetti in cantiere?

In cantiere c’è un nuovo singolo: “Panda No Bamba”, una canzone irriverente che serve a smorzare la profondità di altri temi che tratto.

Il singolo come i miei due precedenti prevede la realizzazione di un clip.

Inoltre qui in maremma, Ange e io abbiamo la situazione ottimale per arrangiare e registrare le bozze di altri pezzi, in una sala dedicata direttamente a casa nostra. Viste le vicissitudini attuali legate  al mondo dello spettacolo, dedicheremo i prossimi mesi all’arrangiamento a quattro mani del nostro primo disco, affiancati da musicisti local alla batteria ed alla seconda chitarra. Avremo materiale da presentare alle etichette, perché si, cerchiamo il supporto giusto per poter sviluppare il progetto nel modo più professionale possibile. Infatti questa settimana torniamo in studio a registrare “Ne Parlo Io”, pezzo che presenteremo insieme ad altri, alle preselezioni del Rock Contest nazionale organizzato da Controradio ( una delle più celebri radio underground di Firenze, ndr). 

Per quanto riguarda il 2021, c’è il progetto di Dakar e quello – che sta già prendendo forma intorno alla realizzazione del disco – di unirmi ad altri musicisti come Ange per una tournée Italiana (per il momento), europea in futuro e perché no, anche africana.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Da piccolo ascoltavo tanta musica classica con mia madre, poi alle elementari ho ascoltato tanto i Police che sono ancora oggi uno dei miei gruppi modello. Anche i LimpBizkit, Articolo 31, e tutto ciò che passavano all’epoca su MTV.

Ho avuto il mio periodo Hip-Hop alle medie con Notorius BIG, Snoop Dogg, Dr.Dre, Eminem, ma soprattutto Fabri Fibra, Neffa etc.

E da quando ho cominciato a suonare la batteria ascolto Rock: Led Zeppelin, Who, il reggae, musica rock-elettronica come i Prodigy, che insieme ai Police sono i miei modelli.

Mi rimane molto difficile rispondere a questa domanda perché ho la  tendenza ad assimilare tutto ciò che mi stupisce a livello ritmico e melodico, senza distinzione di genere o epoca.

Comunque le mie influenze musicali sono un grande calderone di tutto ciò che mi ha fatto “tendere” le orecchie nel corso della mia vita.

Regista, attore e attrice preferiti?

Per il regista dico Hitchcock, una passione che mi ha passato mia sorella Martina, grande cinefila, al contrario di me.

Trovo la sua sottilità d’espressione molto ammaliante, mi piace quando un regista fa questo sforzo, esprimendo con leggerezza anche le cose più pesanti ed intrigate.

Attore? Sicuramente Totò, è comunque l’attore che conosco di più: mia Mamma si è guardata tutti i suoi film mente mi aveva in grembo. Forse ho assorbito un po’ di quelle risate! É l’ultima maschera della commedia dell’arte, rappresenta la tradizione teatrale italiana, basica, fondata sulla ripetizione e l’esagerazione di un gesto, una frase, che poi è la stessa tecnica usata dai Clown. Con irriverenza e leggerezza, affronta le difficoltà imposte dai copioni dell’epoca sempre usciti dalla tradizione teatrale della commedia italiana, in cui le difficoltà si accumulano, si moltiplicano, si intrecciano per poi sbrigliasti in modi sorprendenti. Un attore all’antica che ha saputo innovare e incarnare le difficoltà sociali della sua epoca con semplicità, Totò è un pezzo di cuore e di storia italiana.

Come attrice direi Audrey Hepburn, innocente, leggiadra ed estremamente affascinante. Un suo poster mi ha tenuto compagnia per i 5 anni passati in Francia, anche lei la considero come un piccolo mito, capace di rappresentare la figura della donna con carattere e senza volgarità.

Pittore, scultore, architetto preferito?

Pittore sicuramente Amedeo Modigliani, figura misteriosa, anche lui trovò nella Francia il suo terreno di esordio.

Trovo il suo stile onirico, quasi improbabile : riesce a trasformare la semplicità di un viso, o di un corpo in un viaggio sensoriale.

Riguardo la scultura dico Auguste Rodin, da quando andai a vedere le Musée Rodin a Parigi, rimasi stupito dal legame che c’era fra la sua scultura e la riflessione filosofica, emblematicamente rappresentata dal Pensatore.

Come architetto Frank Lloyd Wright, con il suo concetto di architettura organica, mi corrisponde in modo particolare.

La sua riflessione sul rapporto fra uomo e natura va al di là della mera ricerca estetica e rispecchia il mio spirito pragmatico, dove ciò che si crea deve avere un senso pratico, dando strumenti concreti all’essere umano per poter far evolvere la propria concezione della realtà.

Descrivi il tuo sound.

Molto Afro, Reggae/Rock, mi piacciono i suoni asciutti e i ritmi incalzanti, dove il contro tempo fa da padrone e il groove è una costante quasi obbligatoria. La mia evoluzione comincia dall’arrangiamento dei miei singoli, in cui ho potuto dare forma a canzoni nate dal connubio di canto e chitarra classica.

L’obiettivo è di dare forma al calderone di influenze che sento ribollire (passatemi il termine) dentro di me, sintetizzandole in modo diverso per ogni pezzo. L’idea è di esplorare e mescolare, non avrò mai un sound puro, sarà sempre ‘sporcato’ da ritmiche e strumenti usciti da tradizioni musicali diverse. La mia forza sta lì, nel maneggiare generi diversi e farli esistere nello stesso pezzo, trovando i ponti, i punti d’incontro che offre da sempre la musica. La mia musica è un melting pot.

Perché fai musica?

La musica è il mezzo per potermi sentire un tutt’uno con gli altri, un modo per rompere le barriere tra i cuori della gente, per costruire ponti, anche solo il tempo di una canzone.

La musica ti entra dentro, ti invade e punta dritta al cuore, viene a te con la leggerezza e il potere di una magia. Questa cosa mi ha sempre affascinato e mi ha permesso di trasmettere ciò che nella vita di tutti i giorni non ci insegnano a trasmettere.

Riguardo al messaggio che voglio trasmettere con i miei testi, voglio lasciarlo in sospeso e anche lasciare al mio pubblico la libertà di interpretarlo, ma c’è tanta voglia di andare al di là dei luoghi comuni, voglia di far riflettere e scuotere gli animi delle persone.

Un artista con cui sogni di collaborare?

Mi piacerebbe tanto lavorare con Jovanotti, la sua energia mi piace molto, e mi sembra una persona molto alla mano.

Senza contare che ha saputo segnare la musica italiana dagli anni 90 ad oggi, reinventandosi con estrema leggerezza. 

Mi inspira simpatia, credo potremo farci delle belle risate insieme, prima e dopo aver fatto musica.

Dedica un tuo verso ai nostri lettori.

« Dall’Egitto, dalla Libia e dal Marocco,

Bevo vino e vendo pesce, in ogni porto, 

Sono amico di pirati e marinai,

Gioco a carte, amo donne,

Che non rivedrò mai…»  

Ange Biamba.

Come il tuo luogo di origine (la provincia parigina) influenza la tua musica? 

Sono cresciuto dove la multiculturalità è all’ordine del giorno, sin da piccolo ho ascoltato generi musicali diversissimi tra loro. Insomma sì, sono cresciuto a pane e musica e per me è stata una scelta alquanto naturale intraprendere questo percorso anche dal punto di vista professionale.

Da dove vengo io, vicino Parigi, si è nel nido della musica urbana. La musica è ovunque. E non posso prescindere da questo: da qua nasce l’interesse per diversi generi musicali.

Esiste qualche altro luogo che la influenza? 

Sicuramente Amiens, la città dove ho iniziato a suonare la musica più hardcore (metal, punk  e tanti altri generi). Ho sempre vissuto in Francia, prima a Parigi e dopo il liceo ad Amiens appunto. Adesso vivo in Italia, in Toscana, per spingere il progetto qua con Andrea. E certamente questa regione mi sta influenzando in qualche modo.

La tua formazione?

Sono uscito dal liceo artistico a 15 anni, dopo ho fatto 2 anni di formazione sportiva di alto livello nel football americano e nel frattempo frequentavo l’Università di arte e spettacolo (cinema e teatro).

Ho suonato con un gruppo di punk-hardcore (Bill The Dog) per 2 anni come bassista e cantautore, abbiamo fatto due album, due EP e concerti nel nord della Francia e a Parigi.

Con i due ragazzi del gruppo abbiamo creato un podcast radiofonico(Gueule de Metal) per presentare gruppi della scena locale e parlare della storia dei differenti sottogeneri del metal. 

Ho creato un progetto di musica esperimental/noise che si chiama Billy Records per sviluppare le mie attività parallele alla band. 

Progetti in cantiere?

Abbiamo registrato con Andrea il pezzo «Panda no Bamba » ad agosto, adesso stiamo lavorando alla realizzazione del videoclip.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Ho sempre ascoltato molta musica diversa: già a casa quando ero piccolo con i miei genitori c’era sempre musica… Le canzoni francesi, il soul, la  musica dei Caraibi, reggae, rock. 

Da sempre il rap mi ha accompagnato  crescendo insieme alla musica più estrema,il rock alternativo e tanti altri sottogeneri che sento più affini a me.

Regista, attore preferiti?

Mi piace il lavoro di Benoit Porlvoorde (attore belga) e Tim Burton soprattutto come animatore.

Pittore, scultore, architetto preferito?

Amo le sculture di Niels Hansen Jacobsen (scultore danese) sono incredibili; ma anche i quadri di Kandinsky,

Marcel Duchamp, gli artisti dell’avant-garde francese mi hanno fatto capire tante cose sull’arte (tra le passioni del musicista Ange anche la pittura, ndr).

Descrivi il tuo sound. La sua Evoluzione stilistica e verso dove stai andando?

Ho iniziato a suonare dal vivo il punk, quindi io cerco prima il ritmo ragionando come bassista. Adesso con Andrea siamo anche nella ricerca di un groove con sonorità reggae e rock alternativo. 

Perché fai musica?

Io faccio musica perché è il medium di espressione artistica che mi permette di viaggiare e di esprimere me stesso nella maniera più intensa. 

Un artista con cui sogni di collaborare?

Collaborare con Michel Polnareff sarebbe un sogno.

Ho composto questo verso per Bill The Dog, la canzone parla del movimento punk in Francia ma anche nel mondo. Prima c’erano molte più persone che aderivano a questo stile di vita, musicale e politico.

“Que sont devenu ces punks dont on m’a tant parlé

Que je n’ai jamais connu que je n’ai jamais rencontré

Toujours prêt à se battre pour leur liberté

Ces rebelles dans l’âme, prêt à se révolter, d’une injustice faisaient un drame le poing en l’air et criaient”

Photo: Edoardo Lenzi (www.edoardolenzi.com)

Location: Giardino dei Tarocchi, Capalbio (Gr)

A talk with Verena Redin, Scenografa scaligera

A talk with Verena Redin, Scenografa scaligera

Scenografa realizzatrice della Scala, Verena Redin studia all’Accademia di Belle Arti scenografia. Sceglie questo ramo di studi per la passione del teatro. C’è stata una folgorazione durante la sua vita, dopo aver visto i lavori del pantomimo Lindsay Kemp (che insegnò questa arte nientemeno che al Duca Bianco David Bowie). Nelle su e rappresentazioni coglieva il coinvolgimento dei sensi, l’empatia con il suo percussionista e l’uso delle luci. Ha conosciuto molto da vicino i più grandi scenografi del mondo.

 In cosa consiste il suo lavoro? E quale è la differenza tra scenografo bozzettista e realizzatore? Lo scenografo bozzettista lavora in team con il regista cui viene commissionato un’opera o un balletto. Si occupa della creazione di moodboard e di disegni della scenografia: è un progettista. Quello realizzatore, come suggerisce il termine, invece traduce queste immagini nella scenografia tangibile.

Come prende vita un’opera scaligera?

 Dalle prime riunioni con gli altri capo-reparto della Scala prende vita l’opera. Nello specifico del mio lavoro, quello di scenografa realizzatrice, io e il mio team  analizziamo  le piante, le scenografie, e così elaboriamo  i campioni dagli storyboard. Il regista racconta la sua idea e ogni scenografo, con la sua unicità e sensibilità – dichiara Verena a D-Art – trasmettendo così un messaggio unico.  Si creano le ambientazioni, che possono essere astratte o fedeli all’epoca storica. Da queste suggestioni che si creano attraverso soprattutto la ricerca di materiali credo di saper esprimere al meglio la creatività dello scenografo bozzettista.

Come prosegue poi la fase creativa dello scenografo bozzettista?

Dopo questo primo meeting porto  i campioni al secondo incontro con il team. Ogni volta si creano dei prototipi ex novo, utilizzando materiali sempre nuovi. Gli elementi strutturali come il ferro, il legno e la parte meccanica sono adattati alle esigenze della scena. La parte più difficile del lavoro è saper interpretare il gusto pittorico e riproporlo in dimensione del palco. Ossia tradurre graficamente le sensazioni, interpretare le tavole tecniche, il gusto pittorico.

Cosa le entusiasma di più del suo lavoro?

La fase di ricerca in cui si toccano con mano i materiali è quella che mi  entusiasma di più. Prima però si traduce in tavole tecniche con dimensioni reali il gusto del bozzettista.

Ciò che amo del lavorare in Scala è il lavoro dinamico. Lavorare sui prototipi è la parte che mi stimola di più. Il lavoro sui colori, sulla tela è dinamico: il lavoro in gruppo e il dialogo che ne scaturisce. Gli incontri che si fanno con professionisti da tutto il mondo è un altro aspetto che mi affascina assai.

Consegnare lo spettacolo “sezionato” arrivando alle prime prove vedendo l’integrazione della scena con le luci, gli attori diretti dal regista compongono questa “scatola magica” che è la rappresentazione dello spettacolo dal vivo. 

Verena è ancora quell’adolescente che rimase folgorata da Lindsay Kemp. La scintilla che la appassiona da anni è sempre vivissima.

A talk with Patrizia D’Anzuoni, costumista scaligera.

A talk with Patrizia D’Anzuoni, costumista scaligera.

Patrizia D’Anzuoni è una costumista che ha collaborato con i più grandi costume designer e registi mondiali. Da sempre molto determinata (Re Giorgio la scartò dall’inserirla all’interno dei suoi negozi come commessa in quanto le disse che avrebbe frenato il suo sogno di realizzare abiti per il teatro), grazie a una grande preparazione culturale e alla sua risolutezza lavora da 30 anni in uno dei più importanti teatri del mondo: la Scala di Milano. Abbiamo avuto l’onore di conversare con lei su come sia evoluto il mestiere di costume designer nel tempo e anche di riflettere sulla moda contemporanea e sui giovani secondo il suo assai influente punto di vista.

Come sono cambiate le esigenze oggi? il costumista come si rivolge oggi nel 2020 nel proporre un bozzetto e soprattutto un figurino per il balletto e l’opera?

 Tutto questo dipende dalle esigenze della regia. Dall’idea che uno ha e che poi sviluppa con scenografo e costumista. Queste componenti portano al prodotto finale dell’idea.  Se torniamo un po’ indietro nel tempo le tipologie e lo sviluppo del costume sono cambiati. Prima c’era una ricerca storica, un elaborato. Si cercava minuziosamente fino i piccoli particolari al fine di rappresentare il periodo storico, il tema  dell’opera che occorreva rappresentare. Oggi non è proprio così. Si fa molto riferimento nel costume design al periodo storico attuale. La moda condiziona l’idea e soprattutto il progetto. Perché? La moda rappresenta il tempo stesso di oggi e si proietta sull’opera, sul filmato, sullo stato sociale di quel momento e del periodo rappresentato. Alcuni costumisti nel corso del tempo arrivano con piccoli schizzi, altri invece portano anche riviste come Vogue, Marie Claire, Glamour. Da lì iniziano a dirti cosa vorrebbero. Poi magari vengono fatte delle modifiche. Il costume di una modella non sempre può essere indossato da un’artista del coro o una solista. Alla base ci deve comunque essere una manualità, un costume dove si può muovere il ballerino. Dipende anche dal tipo di balletto, ma in assoluto il ballerino è movimento. Dipende dalla rappresentazione. Se è un’opera moderna si può anche acquistare presso retailer del mass market oppure se necessita anche acquistare capi e stoffe da cui confezionare l’abito. Questo cambia dalla tipologia di opera e dall’idea del regista. Il regista è fondamentale. 

“Anche i ragazzi di oggi che escono e hanno studiato scenografia e scuola del costume quello che devono fare è  avere l’idea, qualcosa che esca fuori dagli schemi. All’interno di una società come la nostra che è in crisi per una serie di motivi, non occorre abbattersi. Occorre avere una visione, occorre saper cercare la strada giusta. Affiancarsi a persone più esperte di noi significa crearsi un bagaglio. Lavorare come assistente. Nella sartoria. Nell’elaborazione, ossia le tinture.”

“Il costume è cambiato – dichiara Patrizia D’Anzuoni – è al passo con il tempo. Siamo in continua evoluzione, stiamo cambiando. La moda influenza molto il teatro. Rappresenta il quotidiano: alcuni costumisti che sono anche i registi che lavorano sui film, in particolar modo quelli che noi vediamo nelle sale cinematografiche, sono molto attenti a ciò che indossiamo ogni giorno. Il regista Martone ad esempio si rifà al giorno d’oggi e esige che il costumista adotti questa visione. L’opera similmente è maggiormente proiettata al capo del giorno d’oggi. I giovani d’oggi sono molto attenti alle celeb, vogliono emulare i loro look. Oggi c’è un grande mix, la differenza di ceto sociale non è più una prerogativa nella differenza del look. Inoltre si è anche quasi azzerata la differenza tra maschile e femminile. La moda riporta dei canoni, dei clichè di ciò che ha rappresentato. Tornano gli anni Ottanta, Settanta, Novanta. Sfogliando le riviste di oggi ci si rende conto che i trend non esistono più. Si fa riferimento al cultural mix, o per meglio dire, ci si ispira a un determinato periodo storico e ne escono fuori nuovi codici e canoni estetici.”

Gli scatti unici di Ilaria Facci

“Non confondere la buona salute con il non essere malati. Una vita veramente sana è quella spesa per la creazione di valore. Affrontando le sfide lanciate contro di noi per tutta la vita, cercando di realizzare qualcosa di degno e significativo; espandendo continuamente le frontiere della nostra vita.”


bozza preparatoria self portrait ©Ilaria Facci d-art


Questa citazione è dell’umanista buddista giapponese Daisaku Ikeda, ed incarna alla perfezione la vita di Ilaria Facci, romana, classe1982. Il quote non è casuale: Ilaria Facci è buddista ed ha certamente reso proprio il principio buddista della “rivoluzione umana” dell’invididuo.


Essa parte dalla comprensione che tutti gli esseri umani, nessuno escluso, evita quattro avvenimenti (nascita,malattia, vecchiaia, morte) durante l’esistenza. Da questa consapevolezza deriva la massima espressione del potenziale umano, in termini di empatia e realizzazione. Un avvenimento segna la vita di Ilaria: a due anni si ammala di tumore e perde l’occhio sinistro. Sempre parafrasando il buddismo, l’artista ha “trasformato il veleno in medicina”.


Dopo l’adolescenza trascorsa in Argentina, nel 2000 Ilaria torna a Roma. Dopo aver abbandonato la facoltà di Lettere a La Sapienza, si iscrive all’Accademia di Costume e moda. Alla continua ricerca di sè, prosegue gli studi con un Master in Comunicazione, ed in seguito si iscrive al DAMS a Roma.


Dopo aver vissuto per un anno nella capitale catalana, nel 2010 approda a Milano, dove intraprende la carriera di Stylist e costumista. Ha lavorato nella redazione di Cosmopolitan ed in quel periodo ha collaborato con celebri fotografi, tra cui il pluri-premiato Mustafa Sabbagh.


Poi, proprio quando la sua carriera nel fashion system era ormai decollata, una folgorazione, avvenuta grazie al cadeau di un’amica, che le dona una macchina fotografica.


Io – dichiara Ilaria – non so quello che faccio. Non so molto della tecnica fotografica, dello studio delle luci, del ritocco. Non so molto della macchina che sto usando. Anzi ‘lei’, la macchina fotografica, è apparsa nella mia vita così, per caso, come l’amore, come quelle storie che nascono da un incontro fortuito, che so, in un parco: ‘lei’ mi è stata donata da un’amica, che non se ne faceva più nulla. E così l’ho presa ed ho iniziato a scattare, che per me ora so, significa scavare. Dentro di me.”


Dal 2013 Ilaria abbandona la carriera di stylist e si trasferisce a Londra.
Da quel preciso istante, dall’incontro fortuito con la macchina fotografica, Ilaria prosegue senza sosta a ritrarsi in autoscatti realizzati senza premeditazione.

Dante non muore©Ilaria Facci d-art


E’ questo, per Ilaria, il bello della fotografia: essa è un macchinario ed uno specchio. “E all’improvviso – dichiara – come uno schiaffo, ti mostra chi sei”.


Nace così la prima serie ‘Autoscatti sbagliati’. I media si accorgono di lei: viene pubblicata su VOGUE.IT, INSIDE ART,The Post internazionale, Vanity Fair, Wall Street International etc.
Con la sua prima serie fotografica, “Retinoblastoma” (omaggio al suo tumore, che l’ha privata di un occhio) inizia a vendere le sue opere a privati.
Nel 2015 lancia il progetto ‘Artists against cancer’ con lo scopo di coinvolgere iniziative artistiche ed artisti, per sensibilizzare e raccogliere fondi per la Ricerca contro il cancro.
Arrivano anche i premi: nel 2016 è la vincitrice della sezione “Fotografia” al XXIII International cultural Exchange of Art and XV Art Salon di Roma.


Collettive d’arte, mostre, esibizioni: attualmente Ilaria si trova a Londra dove lavora in un hotel e porta avanti la sua arte legata a battaglie importanti.
Quest’anno tornerà a Buenos Aires dove sta organizzando la sua mostra personale intitolata “Madres”.


La cosiddetta “creazione di valore”, altro principio cardine del buddismo per la creazione di una società più giusta e orientata verso valori umanitari, è uno squisito leitmotiv nella produzione dell’artista che si immortala senza preparazioni.


Ciò avviene tramite l’opposta metodologia seguita da una sua antecedente ed illustre collega: la fotografa americana Cindy Sherman, che metteva se stessa in scena nelle sue foto come fosse un’attrice, studiando pose ed allestendo il set con meticolosità. Eppure la teatralità della mise-en-scene e l’allure da interprete si evince nelle produzioni di entrambe, sebbene impieghino metodologie agli antipodi, parlando della realizzazione della foto.


L’arte di Ilaria Facci ci invita nel suo intimo mondo con uno sguardo che la rende unica, diversa da tutte.

Gli stracci di Atlante selfportrait Ilaria Facci d-art

PEECH – monili d’artista

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Secondo quanto la storia insegna, la necessità di agghindarsi con monili pare essere più antica del bisogno di vestirsi. Le testimonianze certe risalgono addirittura al Neolitico, ovvero l’ultimo periodo dell’Età della Pietra (XI millennio a.C. circa). Il gioiello segue da sempre i cambiamenti delle mode, così come il suo grado di sfarzo rappresenta un faro nell’assai mutevole “oceano” dell’odierno mercato del lusso.


Chiamarli “accessori” è oramai evidentemente riduttivo. Sempre più spesso i bijoux rubano la scena agli abiti.


Hanno conquistato la ribalta anche gli oggetti decorativi in oro e la piccola pelletteria Made In Italy di Peech, brand che nasce dall’estro del siciliano Amedeo Piccione, certamente tra i più divertenti tra quelli visti alla recente kermesse Super, organizzata da Pitti Uomo a Milano.


Un gioco di simboli enigmistici ed enigmatici, medaglie e monete sulle quali il giovane designer si dedica nel racconto di “nuove storie” da interpretare per ricavarne messaggi…a libera interpretazione.


A cavallo tra l’esoterico ed il pop, le raffigurazione sulle piccole medaglie di Peech sono certamente la massima espressione del giovane talento siciliano e del suo consolidato know-how nel fashion system e nell’illustrazione (Amedeo Piccione è l’illustratore ufficiale della storica kermesse fiorentina di Pitti).


Monili spiritosi: il cadeau perfetto, magari, per augurare un buon auspicio.


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YOUTH CULTURE – LITTLE SHILPA SS17

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Mumbai-Londra: un asse creativo tanto affascinante quanto stimolante caratterizza le creazioni di uno dei più interessanti talenti fashion della moda contemporanea.


Stiamo parlando di Shilpa Chavan, la quale incarna perfettamente la parabola del fashion designer contemporaneo, in quanto ha fatto della multiculturalità e del viaggio il suo fulcro vitale.


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Il suo background è composto da un magma culturale che ha alimentato il suo stile individuale con un’abbondanza di stimoli e riferimenti.


A Londra i designers possono attingere da una cultura street tra le più radicate e libere del pianeta e da una storia dove la particolare conformazione geografica ne ha rafforzato l’identità estetica, assieme ad una peculiare apertura verso la diversità che da sempre caratterizza il dna culturale britannico.


Mumbai è una delle aree maggiormente popolate del pianeta, un imponente snodo portuale dove l’arte dell’intrattenimento in India è maggiormente rappresentata, oltre ad essere tra i cinque mercati emergenti maggiormente inlfuenti a livello mondiale.
La vita di Shilpa Chavan è segnata dalle metropoli di Londra e Mumbai. In quest’ultima, dopo essersi diplomata al Politecnico, si avvicina alla modisteria e quasi da subito collabora con i concorsi di Miss India per tre anni consecutivi con le sue creazioni di raffinatissimi head-pieces.


Poi approda in Inghilterra dove frequenta la Central St.Martins School of Art ed il London College of Fashion.
Il suo CV vanta una internship presso il leggendario modista britannico Philip Treacy.


Arrivano I primi riconoscimenti: è stata nominata Designer di accessori dell’anno sia da Marie Claire India sia da Elle India.
Nonostante inizialmente si sia fatta notare come modista e designer di accessori, il suo brand, Little Shilpa, ha recentemente presentato collezioni di abbigliamento.


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Ogni sua collezione prevede capi, head-pieces ed accessori in cui la tradizione incontra la contemporaneità. Shilpa propone moda no gender ed in cui l’equilibrio tra Occidente e Oriente fanno di lei una designer concettuale piuttosto che glamorous ed ostentatrice di bellezza. La ricerca di Little Shilpa per la prossima primavera-estate 2017 trae spunto da una pietra miliare del decadentismo, che fornisce il titolo alla collezione: “Fleurs de Mal – Encore”.


L’esplorazione del lato oscuro, la decadenza che ne deriva e la sensualità: la collezione propone vari looks che indagano la bella e la cattiva parte della vita umana. Crepe di seta unito alla lycra: le silhouette si ispirano ai roaring Twenties. Maschere floreali e bow-ties completano I looks. La designer reinterpreta un’epoca con maestria e con un tocco di femminilità cosmopolita che da sempre contraddistingue le sue creazioni.


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Youth Culture: dICTIONARY PROJECT® di Andrea Manzoni

dICTIONARY project® è un progetto artistico e di moda visto dagli occhi di Andrea Manzoni, che ama viaggiare alla scoperta del mondo. Visioni, grafiche hipster: per Manzoni la moda è un divertissement che celebra le cose belle.


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Andrea Manzoni nasce nel 1993 ed è bergamasco. Ha fondato BAD Blog ed è stato contributor per alcuni importanti webzine. Ha lavorato come stylist e consulente d’immagine per note case discografiche tra cui Sony Music (per le Donatella, Ola e Omi), giovani cantanti e icone pop degli anni 80 come Sabrina Salerno.


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La particolarità di ogni capo dICTIONARY project® è la stampa del significato di ciascuna parola in relazione all’immagine rappresentata o della patch applicata.


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Prodotti basici che danno risalto alle parole, in maniera molto semplice ma studiata, e che descrivono ciò che si andrà ad indossare.


La collezione SS17 dICTIONARY project® indaga il mondo subacqueo e i suoi fondali. E’ il caso di dirlo, Manzoni cavalca l’onda del pop e dell’urban conferendo alle stampe dell’ Orca, Delfino, Granchio, Ippocampo, Medusa, Ostrica, Stella Marina e Polpo un’identità ben precisa, molto contemporanea.


Felpe e t-shirt tutti rigorosamente in versione genderless, e prodotte in cotone 100% biologico per il rispetto della natura, dell’ambiente e degli amici animali.


La selezione di alcune t-shirt riportano un ricamo del soggetto in piccolo, applicato direttamente alla t-shirt. Ogni stagione l’immagine coordinata del brand si rinnova e per la SS17, le illustrazioni dei cartellini vendita e il merchandising del materiale stampa, le grafiche dei social network, sono a cura di Elenia Beretta.


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dICTIONARY project®: casualwear in cui l’appeal del graphic design incontra il genderless fashion.

Youth Culture – MGNSQVAD

Con l’avvento del digitale e la “wake-up call” mondiale dopo l’elezione di Trump negli States, l’ abbigliamento rappresenta sempre più non uno status symbol, bensì l’espressione più originale della personalità di ognuno.


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Al bando i trend di stagione: stanno letteralmente scomparendo. O meglio, ad ogni stagionalità è presente una possibilità di scelta talmente ampia nel mercato, che risulta riduttivo quantificarne solo alcuni. Si possono individuare delle macrotendenze, ma veramente ce n’è a volontà secondo il gusto di ognuno. In questo contesto trovano sempre maggiore spazio realtà imprenditoriali di nicchia e che fanno leva sul guerrilla marketing, cavalcando l’onda dei social network.


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Le realtà underground esercitano il loro fascino ora più che mai: è il caso del ghetto brand lodigiano MGNSQVAD. “Noi non vogliamo essere pacchiani, né tantomeno una gang: vogliamo rappresentare dove siamo cresciuti…” sentenzia deciso Eric Folli durante la nostra conversazione telefonica. E’ lui la mente creativa del progetto assieme ad Eros Folli, suo cugino.


I due sono legati come in un vero rapporto fraterno: hanno entrambi un tatuaggio con su scritto “Like a Brother” (Come un fratello, ndr). Sono esordienti, si fanno molte domande ed hanno molte idee. Ogni giovane dell’interland milanese si sarà chiesto “Perchè andare sempre a Milano?” almeno una volta nella vita durante il weekend.


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Da questo interrogativo sono nate le serate MGN,organizzate dai due cugini e con altre persone, a Lodi dal 2014.
Così, per gioco, hanno ideato una tee nera con un pugnale, chiamandola Genesis.
Eric è un architetto, si è formato al Politecnico di Milano, mentre Eros lavora nel terziario: i due hanno deciso di puntare sul loro brand, MGNSQVAD, dal 2016.


Amo la grafica – dichiara Eric – mi ispiro ai quadri di Dalì, all’impressionismo… osservo, mixo e realizzo i disegni. L’osservazione di questi artisti è il punto di partenza per realizzare grafiche il cui fil rouge sta nella bicromia e nell’ossessiva ricerca del tratto grafico tramite cui giungere all’espressione di un concetto.”


Grafiche minimali, ad esempio composizioni di rettangoli, black and white: ecco in sintesi l’estetica tosta e senza fronzoli di MGNSQVAD.


Non producono soltanto tee: hanno realizzato un anello/sigillo in oro con su impressa la scritta MGN, ed anche in argento.
A dicembre a Lodi con un party esclusivo, la cui location rimane top secret, uscirà una nuova collezione di gioielli del brand.


MGNSQUAD: hardcore streetwear made in Italy.


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CHIARA MAZZOCCHI – BODY PERFORMANCE DEL SUBCONSCIO

"White-Metamorphosis" di Chiara Mazzocchi
“White-Metamorphosis” di Chiara Mazzocchi



Certamente buona parte dell’indagine artistica dagli anni Novanta sino ai giorni odierni riguarda il corpo umano, sì come luogo misterioso, ma anche, paradossalmente, come veicolo di autoconoscenza.


Questo trend si colloca nella storia dell’arte come corollario della liberazione del corpo dai vincoli imposti da un’etica molto rigida, per poi arrivare in Occidente a una sua liberazione ed emancipazione, fino al culto della sua celebrazione nei consumisti anni Ottanta fino ad oggi.


In abbigliamento questo ha significato per la donna l’abbandono dei rigidi busti, passando attraverso la rivoluzione di stile voluta dalla lungimirante stilista francese Coco Chanel, che ha liberato il corpo femminile prendendo in prestito le silhouette dal guardaroba maschile, come in molti di noi sappiamo.


Tornando all’arte, sicuramente il processo di liberazione del corpo ha avuto un punto di svolta quando, nei tardi anni Settanta, alcuni artisti hanno iniziato ad usare il corpo stesso come unico strumento espressivo. Stiamo parlando della body art e della performance.


La performance è il campo indagato anche dalla ligure Chiara Mazzocchi, classe 1978, la quale, con la video art e la fotografia, ha fatto della propria alienazione il fil-rouge della sua produzione, nonché il suo sostentamento principale.
L’avvicinamento all’espressione artistica è un bisogno viscerale: “L’Arte – dichiara Mazzocchi – è per me una necessità fisica e mentale. È più forte della mia voglia di vivere”.


La sua ricerca artistica esplora la fotografia, la videoarte e la performance tramite processi interiori consapevoli, motivo per il quale Chiara lavora su sè stessa utilizzando la tecnica dell’autoscatto fotografico e dell’autoripresa video con una reflex in modalità manuale e premendo il telecomando durante la fase del processo da lei definito come “lettura di se stessa”.
Mazzocchi non vede sé stessa né durante lo scatto, né durante l’autoripresa: questa metodologia viene da lei usata come auto-terapia di ascolto che le permette di connettersi con la sua immagine interna, eliminando aspettative, trasgredendo quando capita le regole fotografiche.


Autodefinisce i suoi scatti “listening” (l’atto di ascoltare,ndr), ovvero proiezioni, visioni, vibrazioni, manifestazioni dell’ascolto guidati dall’emisfero destro del cervello.


L’artista, che vive a Berlino, subisce da sempre la forte attrazione del mistero del corpo. Ex ballerina, ha studiato diversi tipi di danza: contemporanea, jazz, moderna, africana e caraibica.
Per l’artista il corpo è il mezzo più efficace sia simbolico sia psicofisico, quindi veicolo di comunicazione, per parlare con sé stessa, il mondo, il tempo e lo spazio.


Fotografa, regista, performer, maestra d’arte, diplomata in Fotografia e Regia. L’arte per Chiara non è un intrattenimento: è una sfida nel far pensare, è una provocazione, spesso un disturbo, una costante ricerca di verità, un mezzo per scuotere le coscienze.
Motivo per il quale la sua ricerca artistica-concettuale che nasce da un bisogno fisico, in ascolto con il corpo, è basata nell’autoscatto fotografico e nell’auto ripresa video fusa nella performance, nel quale il corpo si dona liberamente come mezzo simbolico e psicofisico di scambio con se stessa in connessione con lo spazio attorno.
Nei suoi autoscatti e nei suoi video descrive l’incoerenza e il disagio che la coscienza universale ci ha messo in condizione di vivere.


L’intento è attivare la stimolazione del fruitore attraverso l’autoanalisi, ovvero il “sentirsi” coinvolti in un processo di “lettura interiore”.


"Wannsee" di Chiara Mazzocchi
“Wannsee” di Chiara Mazzocchi