Invisibili misteri in mostra a Palazzo Cusani
Luca Siniscalco e Andrea Scarabelli hanno presentato in dialogo, moderati dal generale Antonio Pennino, il progetto scientifico curato da Siniscalco stesso “Sguardi sull’invisibile” a Palazzo Cusani, nel cuore del quartiere milanese di Brera. Prendendo spunto dalle opere esposte si parla di arte, etica e spiritualità – e dell’evolversi del loro rapporto nel tempo fino ad arrivare alla contemporaneità.
Per quanto spesso incompresa e percepita distante, l’arte contemporanea si interfaccia strettamente con le grandi sfide che vive oggi la nostra società, come la crisi dei valori tradizionali e delle grandi narrazioni della modernità, le nuove frontiere dell’etica, e la riemersione di istanze spirituali e religiose. Ma in che modo lo fa?
Succede spesso che questo avvenga in modo didascalico, quando l’arte ci dice e ci mostra tutto, e non lascia spazio all’immaginazione. Oppure si può giocare un’altra partita, andando alla ricerca invece dell’invisibile, dell’interiore, del simbolico – ma è davvero possibile oggi un’arte simbolica? Questa è la misteriosa dimensione che vuole indagare “Sguardi sull’invisibile” e la domanda cardine su cui si sviluppa la conversazione inaugurale ispirata dalle opere in mostra e dai loro autori: Julius Evola, Hermann Nitsch e Lara Martinato.
Tre artisti che rappresentano diverse generazioni – dall’avanguardia del primo Novecento di Evola, agli anni effervescenti e densi di esplorazioni di nuovi linguaggi artistici nel secondo dopoguerra vissuti da Nitsch (body art, performances e così via), per finire con le sfide estetiche del nuovo millennio di cui è testimone Martinato – e che ci suggeriscono modi diversi di avvicinarci a ciò che è ignoto e quindi, appunto, di guardare l’invisibile, come ben suggerisce il titolo di questa esposizione, in un affascinante percorso dialogico.
Si parte da “Paesaggio Dada n. 1”, visionario capolavoro di Julius Evola, il più importante dadaista italiano, opera esempio del principio di “astrazione mistica” in cui si combinano elementi di astrazione geometrica, formule algebriche e successioni vocaliche. L’arte evoliana è un “elaborazione disinteressata” che evoca Dada: caos, abisso e non senso che superano il pensiero dialettico e logocentrico. L’arte qui non deve significare nulla, e allude invece al dominio dello spirito: oltre ragioni ed emozioni, ci sono potenza e libertà.
Simile lo spirito della serigrafia “Crocifisso” di Nitsch qui affiancata da una talare “relitto” di una sua performance del ’72. Protagonista dell’azionismo viennese, Nitsch ricerca l’Abreaktion, l’opera d’arte totale che possa liberare l’uomo da vincoli sociali e morali affinché possa ricongiungersi con il cosmo. E lo fa tramite l’utilizzo di simboli e figure tratti dalla tragedia greca, dai misteri eleusini (misterici riti religiosi che si celebravano nell’antica città greca di Eleusi, ndr), dai riti dionisiaci e dal cerimoniale cattolico che vengono assemblati al servizio della catarsi spirituale dei partecipanti alle sue performance. Per quanto lontani quindi sia per orientamento politico-culturale che per contesto storico-geografico, l’accostamento dell’opera di Evola e Nitsch ci fa intuire come la dimensione esoterica e simbolica sia trasversale nell’arte contemporanea.
Il fil rouge della mostra continua ironicamente proprio passando dal colore rosso amato da entrambi questi artisti (la sfumatura prediletta da Nitsch rievoca il cinabro dell’alchimia tanto apprezzato da Evola) poiché alchemicamente sublimato nella “Quinta Combinazione” di Martinato, che raccoglie l’eredità dei due autori storicizzati per continuare a indagare questa volta il misterioso confine fra spirito e scienza: ci ritroviamo davanti nell’opera il paradosso del “quinto elemento”, essenza del mondo celeste che nella tradizione ellenica funge da orizzonte ultimo di una filosofia della natura.
Spunti ammalianti quelli offerti dalle interazioni fra le opere di questo breve ma prezioso percorso espositivo, e dai relatori della tavola rotonda inaugurale, che invitano lo spettatore ad immergersi nel mistero, ad affondare nelle tenebre per poterle comprendere, invece che cercare di illuminarle – poiché si può sondare lo scuro solo attraverso lo scuro.